lunedì 20 novembre 2017

Parola alle sezioni unite sulla possibilità di un condomino nell'intervenire in un giudizio 'Ad Adiuvandum' - Cassazione 15 Novembre 2017, N. 27101 - Testo


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CASSAZIONE 15 NOVEMBRE 2017, N. 27101

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:   
DOTT. PETITTI STEFANO – Presidente
DOTT. SCARPA ANTONIO – rel. Consigliere

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 28352-2015 proposto da:
P. M. L., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato P. A., che la rappresenta e difende;
- ricorrente –

CONTRO
CONDOMINIO, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato G. J. D. G., che lo rappresenta e difende;
- controricorrente -
NONCHÈ

sul ricorso successivo proposto da: 
A. A., elettivamente domiciliata in ROMA,, presso lo studio dell'avvocato C. G.I, che la rappresenta e difende;
- ricorrente incidentale -

CONTRO
P. M. L., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato P. A., che la rappresenta e difende;
- controricorrente -

CONDOMINIO;
- intimato -

avverso la sentenza n. 7179/2014 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 21/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/10/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
uditi gli Avvocati A., .I. e G.;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Corrado Mistri, il quale ha concluso per l'accoglimento
del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale.

FATTO E DIRITTO

P.M.L. ha proposto ricorso avverso la sentenza 21 novembre 2014, n. 7179, resa dalla Corte d’Appello di Roma, che ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado n. 8052/2009 pronunciata dal Tribunale di Roma. Il giudizio ha avuto origine dalla domanda del Condominio (OMISSIS) , volta alla riduzione in pristino delle opere realizzate dalla condomina P. , proprietaria degli ultimi tre piani dell’edificio, in violazione dell’art. 3 del regolamento condominiale, nonché alla tutela della servitù di passaggio in favore di parti comuni esercitata mediante una scala esterna corrente tra il quarto ed il quinto piano. Il Tribunale aveva accolto integralmente le domande del Condominio (OMISSIS) . Sull’appello di P.M.L. , la Corte d’Appello di Roma ha confermato che l’art. 3 del regolamento di condominio, vietando "qualsiasi opera che modifichi le facciate, i prospetti e l’estetica degli edifici", preclude ogni modifica, indipendentemente dal limite del decoro architettonico. I giudici di secondo grado hanno altresì negato la legittimità dell’operato distacco della P. dall’impianto centrale di riscaldamento, in forza degli artt. 3 e 10 del medesimo regolamento. Invece la Corte di Roma ha accolto l’appello quanto al difetto di prova di un aggravamento della servitù conseguente allo spostamento all’interno dell’appartamento della scala di accesso al piano quinto.
Avverso la sentenza del 21 novembre 2014, n. 7179, della Corte d’Appello di Roma, P.M.L. ha proposto ricorso in due motivi, cui resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS) . La condomina A.A. ha proposto ricorso incidentale articolato in due motivi avverso i capi della sentenza in cui il Condominio è rimasto soccombente, ovvero quanto alla domanda di riduzione in pristino della scala esterna e la compensazione delle spese del gravame. P.M.L. si difende con controricorso dal ricorso incidentale.
Su proposta del relatore, che aveva ritenuto il giudizio definibile nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in riferimento all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., era stata dapprima fissata l’adunanza della camera di consiglio. Il Collegio, con ordinanza del 10 marzo 2017, ritenne tuttavia che non ricorressero le ipotesi di cui all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c. e rimise la causa alla pubblica udienza.
I. Il primo motivo del ricorso di P.M.L. denuncia violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., in relazione all’art. 3 del regolamento di condominio, nella parte in cui la sentenza della Corte d’Appello di Roma ha interpretato letteralmente la clausola, ravvisando l’esistenza di un divieto di modifica dei prospetti del fabbricato a prescindere dall’eventuale violazione del limite del decoro architettonico.
secondo motivo del ricorso principale deduce violazione degli artt. 1363 e 1366 c.c. in relazione agli artt. 3 e 10 del regolamento di condominio, nella parte in cui la sentenza impugnata desume da tali clausole il divieto regolamentare del distacco del condomino dall’impianto centralizzato di riscaldamento.
III. Il ricorso incidentale della condomina A.A. , notificato il 12 gennaio 2016, deduce un primo motivo come violazione dell’art. 3 del Regolamento di condominio e dell’art. 1117 c.c. Si sostiene che lo spostamento della scala esterna di collegamento tra il quarto ed il quinto piano all’interno dell’appartamento dia luogo ad un’opera abusiva, che altera il prospetto dell’edificio, e perciò viola le due indicate disposizioni, a nulla rilevando il mancato aggravamento della servitù di cui discute la Corte d’Appello di Roma. Il secondo motivo del ricorso incidentale della A. deduce violazione dell’art. 91 c.p.c. per la compensazione delle spese di secondo grado disposta dalla Corte d’Appello in ragione dell’ "esito complessivo della lite".
IV. Deve premettersi che si tratta, all’evidenza, di ricorso incidentale tardivo proposto non dal Condominio (OMISSIS) , "parte" nei cui confronti è stata proposta l’impugnazione principale (la quale si è difesa notificando soltanto un controricorso), ma da un singolo condomino.
La legittimazione al ricorso incidentale per cassazione della condomina A.A. , a fronte della soccombenza parziale del Condominio di via (omissis) , che in sede di legittimità si è limitato a contraddire al ricorso principale mediante notifica di controricorso, suppone, ad avviso del Collegio, la soluzione della questione di massima, di particolare importanza, della possibilità di considerare la stessa singola condomina già "parte" dei pregressi gradi di merito, in quanto comunque "rappresentata dall’amministratore", senza peraltro contrastare il principio di diritto enunciato da Cass. Sez. U, 18/09/2014, n. 19663.
Secondo, infatti, il tradizionale orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la legittimazione processuale dell’amministratore di condominio, accordata dall’art. 1131 c.c. nei limiti delle sue attribuzioni, in ordine alle liti aventi ad oggetto interessi comuni dei condomini, dà luogo unicamente ad una deroga rispetto alla disciplina generalmente valida per ogni altra ipotesi di pluralità di soggetti del rapporto giuridico dedotto in lite, sopperendo all’esigenza di rendere più agevole la costituzione del contraddittorio nei confronti del condominio, nel senso di evitare la necessità di promuovere il litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini. Questa ricostruzione tradizionale dei rapporti fra i condomini implica una forma di rappresentanza processuale reciproca, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva, nascente dal fatto che ogni compartecipe non potrebbe tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l’analogo diritto degli altri.
Su tali premesse dogmatiche, si è affermato, ad esempio, che il condomino che intervenga personalmente nel processo in cui sia già parte l’amministratore, ed in cui sia stata dedotta una situazione giuridica ascrivibile alla collettività condominiale, non si comporta come un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei, ma appare come una delle parti originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni, sicché tale intervento non conoscerebbe nemmeno le preclusioni segnate dall’art. 268 c.p.c. o, ove spiegato in grado di appello, dall’art. 344 c.p.c. (cfr. ad esempio Cass. Sez. 2, 27/01/1997, n. 826). Così come, sempre in controversie tra condomini e condominio, rappresentato dall’amministratore, per tutelare i diritti della collettività, i singoli condomini potrebbero intervenire, a sostegno del condominio, anche nel giudizio di rinvio, seppur questo si connoti come giudizio essenzialmente "chiuso", non solo con riferimento all’oggetto, ma anche con riferimento ai soggetti, e ciò sempre sull’assunto che i condomini intervenienti non sono terzi, ma si identificano sostanzialmente con la parte "condominio" già in giudizio (Cass. Sez. 2, 24/05/2000, n. 6813; Cass. Sez. 2, 30/06/2014, n. 14809).
Nella stessa prospettiva, si è altresì ritenuta in giurisprudenza l’incapacità a testimoniare dei singoli condomini nelle controversie in cui l’amministratore abbia assunto la rappresentanza del condominio a tutela delle cose o dei servizi comuni, essendo i primi comunque parti ab origine per il tramite del loro necessario rappresentante (Cass. Sez. 2, 23/08/2007, n. 17925; Cass. Sez. 2, 16/07/1997, n. 6483).
Coerenti con questa risalente impostazione sono altresì le soluzioni ermeneutiche secondo cui, ove la sentenza di primo grado sia stata notificata all’amministratore costituito per conto del condominio, tale notifica è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione anche rispetto ai condomini che non fossero costituiti di persona nel giudizio di primo grado (Cass. Sez. 6 - 2, 11/01/2012, n. 177); ovvero quelle secondo cui il giudicato, formatosi nel processo in cui sia costituito l’amministratore, faccia stato anche nei confronti dei singoli condomini non intervenuti uti singuli nel giudizio (Cass., Sez. 3, 24/07/2012, n. 12911; Cass. Sez. 2, 22/08/2002, n. 12343).
Ancora, considerazioni analoghe a quelle finora richiamate sono alla base pure del parallelo orientamento che ha sempre affermato che la sentenza (o il decreto ingiuntivo) recante condanna del condominio, per un credito vantato da chi abbia contratto con l’amministratore, equivalga a sentenza di condanna, e quindi funga da titolo esecutivo, nei confronti di tutti i condomini (a prescindere dal diverso profilo dell’attuazione solidale o parziaria), anche se essi non abbiano assunto le vesti di parti "in senso formale" del giudizio promosso dal terzo creditore nei confronti dell’amministratore, per non esser stati personalmente evocati in giudizio, e quindi non siano neppure individuati nominativamente nel provvedimento condannatorio (Cass., Sez. 3, 29/09/2017, n. 22856; Cass., Sez. U, 08/04/2008, n. 9148; Cass. Sez. 2, 14/10/2004, n. 20304; Cass. Sez. 2, 14/12/1982, n. 6866; Cass. Sez. 2, 11/11/1971, n. 3235). Questo specifico aspetto della più complessa questione andrebbe, peraltro, ora verificato anche alla luce del vigente art. 63, comma 2, disp. att. c.c. (introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), il quale fa divieto ai creditori di agire nei confronti degli obbligati in regola coi pagamenti se non dopo aver preventivamente escusso i condomini morosi. Se, infatti, tale beneficio d’escussione non si ritenesse efficace unicamente come limite alla fase esecutiva, quanto impeditivo già dell’azione di condanna in sede di cognizione, potrebbe favorirne un’agevole elusione riaffermare genericamente che "conseguita nel processo la condanna dell’amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all’esecuzione individualmente nei confronti dei singoli".
Peraltro, è stato contemporaneamente affermato il principio secondo cui, in caso di decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del condominio in persona dell’amministratore, ove il creditore voglia poi procedere in danno di un singolo condomino, quale obbligato pro quota, è necessaria la notifica del titolo a quest’ultimo, non operando la deroga di cui all’art. 654, comma 2, c.p.c., in quanto "il Condominio è soggetto distinto da ognuno dei singoli condomini, ancorché si tratti di soggetto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta, e l’art. 654, comma 2, è da ritenere applicabile solo al soggetto nei confronti del quale il decreto ingiuntivo sia stato emesso ed al quale sia stato ritualmente notificato" (Cass., Sez. 6 - 3, 29/03/2017, n. 8150).
Quel che più, però, rileva, ai fini della questione di diritto posta dal ricorso incidentale di A.A. , è l’ulteriore conseguenza applicativa della tradizionale impostazione dei rapporti processuali tra condominio, condomini e terzi, inerente, appunto, la legittimazione reciproca e sostituiva all’impugnazione spettante al singolo condomino. È stata infatti costantemente reputata ammissibile altresì l’impugnazione, da parte del singolo partecipante, della sentenza di condanna emessa nei confronti dell’intero condominio, sull’assunto che il diritto di ogni partecipante al condominio ha per oggetto le cose comuni nella loro interezza, non rilevando, in contrario, la circostanza della mancata impugnazione da parte dell’amministratore, senza alcuna necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini non appellanti (o non ricorrenti), né intervenienti, e senza che ciò determini il passaggio in giudicato della sentenza di primo (o di secondo) grado nei confronti di questi ultimi (cfr., ad esempio, Cass., Sez. 2, 16/12/2015, n. 25288; Cass. Sez. 2, 03/09/2012, n. 14765; Cass., Sez. 3, 16/05/2011, n. 10717; Cass., Sez. 2, 19/05/2003, n. 7827; Cass., Sez. 2, 28/08/2002, n. 12588; Cass., Sez. 2, 25/05/2001, n. 7130; Cass., Sez. 2, 30/03/2000, n. 3900; Cass., Sez. 2, 12/03/1994, n. 2392; Cass., Sez. 2, 21/06/1993, n. 6856). Sempre in coerenza con questo approccio interpretativo, proprio di recente, si è negato che la sentenza pronunciata nei confronti del condominio, in persona del suo amministratore, possa essere impugnata con l’opposizione ordinaria ex art. 404, comma 1, c.p.c. dai singoli condomini, appunto perché questi non potrebbero dirsi terzi titolari di un diritto autonomo rispetto alla situazione giuridica affermata con tale decisione, la quale, piuttosto, fa stato anche nei loro confronti, benché non intervenuti in giudizio (Cass. Sez. 2, 21/02/2017, n. 4436).
Un limitato distinguo veniva posto dal cospicuo indirizzo ad avviso del quale dovrebbe soltanto escludersi la legittimazione processuale del singolo condomino, sia pure in caso di inerzia dell’amministratore, allorché si controverta su deliberazioni dell’assemblea che perseguano esclusivamente finalità di gestione di un servizio comune, in quanto non idonee ad incidere, se non in via mediata, sull’interesse esclusivo di uno o più partecipanti (in tal senso, Cass., Sez. 2, 21/09/2011, n. 19223; Cass., Sez. 2, 04/05/2005, n. 9213; Cass., Sez. 2, 03/07/1998, n. 6480; Cass., Sez. 2, 29/08/1997, n. 8257; Cass., Sez. 2, 12/03/1994, n. 2393). Altrimenti si è professata una generale ed indistinta legittimazione di ciascun condomino ad impugnare una sentenza pronunciata nei confronti dell’amministratore, al fine di evitare gli effetti sfavorevoli della stessa, affermandosi che sia priva di qualsiasi fondamento normativo quella distinzione tra incidenza immediata, oppure mediata, sulla sfera patrimoniale del singolo, derivante dalla caducazione di una decisione sulla gestione della cosa comune, operata allo scopo di identificare, appunto, i soggetti legittimati al relativo gravame (Cass. Sez. 2, 06/08/2015, n. 16562).
Ora, Cass. Sez. U, 18/09/2014, n. 19663, com’è noto, risolvendo un contrasto interpretativo tra precedenti decisioni della S.C., ha affermato che, in ipotesi di giudizio intentato dall’amministratore di condominio, pur autorizzato dall’assemblea, a tutela di diritti connessi alla situazione dei singoli condomini, ma senza che questi ultimi siano stati parte in causa, la legittimazione ad agire per l’equa riparazione, correlata alla violazione del termine ragionevole del processo, ai sensi della l. n. 89 del 2001, spetta esclusivamente al condominio, da intendere ormai quale autonomo soggetto giuridico. Le Sezioni Unite hanno ricordato come la giurisprudenza abbia costantemente riconosciuto ai singoli condomini il potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, nonché, quindi, la facoltà di intervenire nel giudizio in cui tale difesa fosse stata già assunta dall’amministratore e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti della soccombenza patita dal condominio. Tuttavia, la sentenza delle Sezioni Unite n. 19663 del 2014 ha dapprima affermato che la nozione di "ente di gestione", sovente adoperata nelle decisioni per descrivere la situazione di condominio, rischia di ingenerare equivoci, e poi, dall’analisi della Riforma del condominio (Legge 11 dicembre 2012, n. 220) ha tratto il convincimento della progressiva configurabilità in capo al medesimo condominio di una sia pur attenuata personalità giuridica, ovvero comunque sicuramente di una soggettività giuridica autonoma. Sicché, se la pregressa richiamata costruzione giurisprudenziale aveva ritenuto che il singolo condomino dovesse sempre considerarsi parte nella controversia tra il condominio ed altri soggetti, seppur rappresentato ex mandato dell’amministratore, proprio per la prospettazione dell’assoluta mancanza di soggettività del condominio, questa impostazione, ad avviso delle Sezioni Unite, entra in crisi ove ci soffermi sull’autonomia del condominio come centro di imputazione di interessi, di diritti e doveri, cui corrisponde una piena capacità processuale. In tal caso, infatti, il singolo condomino dovrà "essere considerato parte in quel processo solo se vi intervenga", e non, invece, già "qualora sia rappresentato dall’amministratore".
Il principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19663 del 2014, a norma dell’art. 384 c.p.c., ed al quale va riconosciuta l’efficacia di cui al comma 3 dell’art. 374 c.p.c., premette: "Nel caso di giudizio intentato dal condominio e del quale, pur trattandosi di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini al condominio, costoro non siano stati parti...", mentre la motivazione, come visto, spiega che il singolo condominio non può più essere ritenuto parte in senso formale qualora sia rappresentato dall’amministratore.
Viene così tracciata una differenziazione tra la "parte condominio" (il quale rileva, ormai, sia come "soggetto dell’azione" che come "soggetto della lite") e la "parte condomino intervenuto", differenziazione che dovrebbe incidere sull’individuazione dei limiti soggettivi del giudicato, come anche su quelli oggettivi radicati nella domanda, riguardanti il petitum e la causa petendi fatti valere in causa.
Potrebbe altrimenti opinarsi che la peculiare legittimazione all’intervento, come all’impugnazione, riconosciuta ai singoli condomini in via reciproca, nonché sostitutiva di ogni precedente o diversa iniziativa dell’amministratore, possa tuttora trovare la sua ragione esclusivamente nella partecipazione degli stessi al diritto di proprietà sulle parti comuni dell’edificio, ovvero nel loro diritto esclusivo di proprietà sulla singola unità immobiliare. Sicché il potere di intervento in giudizio e di impugnativa del singolo potrebbe limitarsi alla materia delle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condomino, o anche delle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di ciascun partecipante; mentre si potrebbe negare l’impugnazione individuale, come l’intervento del singolo partecipante, relativamente alle controversie aventi ad oggetto la gestione o la custodia dei beni comuni, in nome delle esigenze plurime e collettive della comunità condominiale. Nelle cause di quest’ultimo tipo, essendo la situazione sostanziale riferibile unicamente al condominio in quanto tale, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, potrebbe spettare in via esclusiva all’amministratore, e la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest’ultimo finirebbe per escludere la possibilità d’impugnazione da parte del singolo condomino.
L’autorevole precedente costituito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19663 del 2014 delinea, allora, la massima importanza della questione di diritto della legittimazione del singolo condomino (non costituitosi autonomamente) all’impugnazione della sentenza di primo o di secondo grado resa nei confronti del condominio, spettando la legittimazione all’impugnazione, fatta eccezione per l’opposizione di terzo, esclusivamente a chi abbia assunto la qualità di parte nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata e nei cui confronti la sentenza risulti emessa.
La decisione sul ricorso incidentale di A.A. pone altra questione correlata a quella già sinora riassunta. Stante il principio della cosiddetta "rappresentanza reciproca" e della "legittimazione sostitutiva" (principio proprio del regime di comunione ordinaria, ed in verità adattato al condominio edilizio probabilmente trascurando la specialità della legittimazione processuale dell’amministratore ex art. 1131 c.c.), occorre interrogarsi altresì sull’ammissibilità dell’impugnazione incidentale proveniente da un singolo condomino in ipotesi di soccombenza parziale o reciproca del condominio, in primo o in secondo grado, ove lo stesso, a fronte di un appello o di un ricorso in cassazione della controparte, si sia, in realtà, difeso dall’impugnazione principale, seppur soltanto depositando una comparsa di risposta o notificando un controricorso mediante l’amministratore (ovvero tramite il proprio rappresentante unitario di tutti quei partecipanti che non abbiano già assunto individualmente l’iniziativa di appellare o di ricorrere in cassazione).
Nella specie, avendo il Condominio notificato un proprio controricorso in data 11 gennaio 2016, difendendosi dal ricorso principale mediante l’amministratore, potrebbe opporsi all’ammissibilità del ricorso incidentale, successivamente notificato il 12 gennaio 2016 dalla singola condomina A. , il disposto dell’art. 366 c.p.c. Tale norma, che si applica anche al controricorso, impone, invero, che esso sia presentato con un unico atto, nel rispetto dei previsti requisiti di contenuto e forma, sicché è inammissibile la successiva notifica di un nuovo atto, a modifica od integrazione del primo, diretto alla proposizione di un gravame incidentale, ostandovi il principio della consumazione dell’impugnazione, che potrebbe qui riferirsi a tutti i condomini per conto dei quali era già avvenuta la preventiva costituzione unitaria dell’amministratore di condominio.
Il Collegio ritiene pertanto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

P.Q.M.

La Corte dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 ottobre 2017.

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