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lunedì 20 novembre 2017

Parola alle sezioni unite sulla possibilità di un condomino nell'intervenire in un giudizio 'Ad Adiuvandum' - Cassazione 15 Novembre 2017, N. 27101 - Testo


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CASSAZIONE 15 NOVEMBRE 2017, N. 27101

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SECONDA SEZIONE CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:   
DOTT. PETITTI STEFANO – Presidente
DOTT. SCARPA ANTONIO – rel. Consigliere

ORDINANZA INTERLOCUTORIA

sul ricorso 28352-2015 proposto da:
P. M. L., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato P. A., che la rappresenta e difende;
- ricorrente –

CONTRO
CONDOMINIO, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato G. J. D. G., che lo rappresenta e difende;
- controricorrente -
NONCHÈ

sul ricorso successivo proposto da: 
A. A., elettivamente domiciliata in ROMA,, presso lo studio dell'avvocato C. G.I, che la rappresenta e difende;
- ricorrente incidentale -

CONTRO
P. M. L., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato P. A., che la rappresenta e difende;
- controricorrente -

CONDOMINIO;
- intimato -

avverso la sentenza n. 7179/2014 della CORTE D'APPELLO di ROMA, depositata il 21/11/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 25/10/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA;
uditi gli Avvocati A., .I. e G.;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Corrado Mistri, il quale ha concluso per l'accoglimento
del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale.

FATTO E DIRITTO

P.M.L. ha proposto ricorso avverso la sentenza 21 novembre 2014, n. 7179, resa dalla Corte d’Appello di Roma, che ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado n. 8052/2009 pronunciata dal Tribunale di Roma. Il giudizio ha avuto origine dalla domanda del Condominio (OMISSIS) , volta alla riduzione in pristino delle opere realizzate dalla condomina P. , proprietaria degli ultimi tre piani dell’edificio, in violazione dell’art. 3 del regolamento condominiale, nonché alla tutela della servitù di passaggio in favore di parti comuni esercitata mediante una scala esterna corrente tra il quarto ed il quinto piano. Il Tribunale aveva accolto integralmente le domande del Condominio (OMISSIS) . Sull’appello di P.M.L. , la Corte d’Appello di Roma ha confermato che l’art. 3 del regolamento di condominio, vietando "qualsiasi opera che modifichi le facciate, i prospetti e l’estetica degli edifici", preclude ogni modifica, indipendentemente dal limite del decoro architettonico. I giudici di secondo grado hanno altresì negato la legittimità dell’operato distacco della P. dall’impianto centrale di riscaldamento, in forza degli artt. 3 e 10 del medesimo regolamento. Invece la Corte di Roma ha accolto l’appello quanto al difetto di prova di un aggravamento della servitù conseguente allo spostamento all’interno dell’appartamento della scala di accesso al piano quinto.
Avverso la sentenza del 21 novembre 2014, n. 7179, della Corte d’Appello di Roma, P.M.L. ha proposto ricorso in due motivi, cui resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS) . La condomina A.A. ha proposto ricorso incidentale articolato in due motivi avverso i capi della sentenza in cui il Condominio è rimasto soccombente, ovvero quanto alla domanda di riduzione in pristino della scala esterna e la compensazione delle spese del gravame. P.M.L. si difende con controricorso dal ricorso incidentale.
Su proposta del relatore, che aveva ritenuto il giudizio definibile nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in riferimento all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., era stata dapprima fissata l’adunanza della camera di consiglio. Il Collegio, con ordinanza del 10 marzo 2017, ritenne tuttavia che non ricorressero le ipotesi di cui all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c. e rimise la causa alla pubblica udienza.
I. Il primo motivo del ricorso di P.M.L. denuncia violazione degli artt. 1362, 1363 e 1366 c.c., in relazione all’art. 3 del regolamento di condominio, nella parte in cui la sentenza della Corte d’Appello di Roma ha interpretato letteralmente la clausola, ravvisando l’esistenza di un divieto di modifica dei prospetti del fabbricato a prescindere dall’eventuale violazione del limite del decoro architettonico.
secondo motivo del ricorso principale deduce violazione degli artt. 1363 e 1366 c.c. in relazione agli artt. 3 e 10 del regolamento di condominio, nella parte in cui la sentenza impugnata desume da tali clausole il divieto regolamentare del distacco del condomino dall’impianto centralizzato di riscaldamento.
III. Il ricorso incidentale della condomina A.A. , notificato il 12 gennaio 2016, deduce un primo motivo come violazione dell’art. 3 del Regolamento di condominio e dell’art. 1117 c.c. Si sostiene che lo spostamento della scala esterna di collegamento tra il quarto ed il quinto piano all’interno dell’appartamento dia luogo ad un’opera abusiva, che altera il prospetto dell’edificio, e perciò viola le due indicate disposizioni, a nulla rilevando il mancato aggravamento della servitù di cui discute la Corte d’Appello di Roma. Il secondo motivo del ricorso incidentale della A. deduce violazione dell’art. 91 c.p.c. per la compensazione delle spese di secondo grado disposta dalla Corte d’Appello in ragione dell’ "esito complessivo della lite".
IV. Deve premettersi che si tratta, all’evidenza, di ricorso incidentale tardivo proposto non dal Condominio (OMISSIS) , "parte" nei cui confronti è stata proposta l’impugnazione principale (la quale si è difesa notificando soltanto un controricorso), ma da un singolo condomino.
La legittimazione al ricorso incidentale per cassazione della condomina A.A. , a fronte della soccombenza parziale del Condominio di via (omissis) , che in sede di legittimità si è limitato a contraddire al ricorso principale mediante notifica di controricorso, suppone, ad avviso del Collegio, la soluzione della questione di massima, di particolare importanza, della possibilità di considerare la stessa singola condomina già "parte" dei pregressi gradi di merito, in quanto comunque "rappresentata dall’amministratore", senza peraltro contrastare il principio di diritto enunciato da Cass. Sez. U, 18/09/2014, n. 19663.
Secondo, infatti, il tradizionale orientamento giurisprudenziale di questa Corte, la legittimazione processuale dell’amministratore di condominio, accordata dall’art. 1131 c.c. nei limiti delle sue attribuzioni, in ordine alle liti aventi ad oggetto interessi comuni dei condomini, dà luogo unicamente ad una deroga rispetto alla disciplina generalmente valida per ogni altra ipotesi di pluralità di soggetti del rapporto giuridico dedotto in lite, sopperendo all’esigenza di rendere più agevole la costituzione del contraddittorio nei confronti del condominio, nel senso di evitare la necessità di promuovere il litisconsorzio nei confronti di tutti i condomini. Questa ricostruzione tradizionale dei rapporti fra i condomini implica una forma di rappresentanza processuale reciproca, attributiva a ciascuno di una legittimazione sostitutiva, nascente dal fatto che ogni compartecipe non potrebbe tutelare il proprio diritto senza necessariamente e contemporaneamente difendere l’analogo diritto degli altri.
Su tali premesse dogmatiche, si è affermato, ad esempio, che il condomino che intervenga personalmente nel processo in cui sia già parte l’amministratore, ed in cui sia stata dedotta una situazione giuridica ascrivibile alla collettività condominiale, non si comporta come un terzo che si intromette in una vertenza fra estranei, ma appare come una delle parti originarie determinatasi a far valere direttamente le proprie ragioni, sicché tale intervento non conoscerebbe nemmeno le preclusioni segnate dall’art. 268 c.p.c. o, ove spiegato in grado di appello, dall’art. 344 c.p.c. (cfr. ad esempio Cass. Sez. 2, 27/01/1997, n. 826). Così come, sempre in controversie tra condomini e condominio, rappresentato dall’amministratore, per tutelare i diritti della collettività, i singoli condomini potrebbero intervenire, a sostegno del condominio, anche nel giudizio di rinvio, seppur questo si connoti come giudizio essenzialmente "chiuso", non solo con riferimento all’oggetto, ma anche con riferimento ai soggetti, e ciò sempre sull’assunto che i condomini intervenienti non sono terzi, ma si identificano sostanzialmente con la parte "condominio" già in giudizio (Cass. Sez. 2, 24/05/2000, n. 6813; Cass. Sez. 2, 30/06/2014, n. 14809).
Nella stessa prospettiva, si è altresì ritenuta in giurisprudenza l’incapacità a testimoniare dei singoli condomini nelle controversie in cui l’amministratore abbia assunto la rappresentanza del condominio a tutela delle cose o dei servizi comuni, essendo i primi comunque parti ab origine per il tramite del loro necessario rappresentante (Cass. Sez. 2, 23/08/2007, n. 17925; Cass. Sez. 2, 16/07/1997, n. 6483).
Coerenti con questa risalente impostazione sono altresì le soluzioni ermeneutiche secondo cui, ove la sentenza di primo grado sia stata notificata all’amministratore costituito per conto del condominio, tale notifica è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione anche rispetto ai condomini che non fossero costituiti di persona nel giudizio di primo grado (Cass. Sez. 6 - 2, 11/01/2012, n. 177); ovvero quelle secondo cui il giudicato, formatosi nel processo in cui sia costituito l’amministratore, faccia stato anche nei confronti dei singoli condomini non intervenuti uti singuli nel giudizio (Cass., Sez. 3, 24/07/2012, n. 12911; Cass. Sez. 2, 22/08/2002, n. 12343).
Ancora, considerazioni analoghe a quelle finora richiamate sono alla base pure del parallelo orientamento che ha sempre affermato che la sentenza (o il decreto ingiuntivo) recante condanna del condominio, per un credito vantato da chi abbia contratto con l’amministratore, equivalga a sentenza di condanna, e quindi funga da titolo esecutivo, nei confronti di tutti i condomini (a prescindere dal diverso profilo dell’attuazione solidale o parziaria), anche se essi non abbiano assunto le vesti di parti "in senso formale" del giudizio promosso dal terzo creditore nei confronti dell’amministratore, per non esser stati personalmente evocati in giudizio, e quindi non siano neppure individuati nominativamente nel provvedimento condannatorio (Cass., Sez. 3, 29/09/2017, n. 22856; Cass., Sez. U, 08/04/2008, n. 9148; Cass. Sez. 2, 14/10/2004, n. 20304; Cass. Sez. 2, 14/12/1982, n. 6866; Cass. Sez. 2, 11/11/1971, n. 3235). Questo specifico aspetto della più complessa questione andrebbe, peraltro, ora verificato anche alla luce del vigente art. 63, comma 2, disp. att. c.c. (introdotto dalla legge 11 dicembre 2012, n. 220), il quale fa divieto ai creditori di agire nei confronti degli obbligati in regola coi pagamenti se non dopo aver preventivamente escusso i condomini morosi. Se, infatti, tale beneficio d’escussione non si ritenesse efficace unicamente come limite alla fase esecutiva, quanto impeditivo già dell’azione di condanna in sede di cognizione, potrebbe favorirne un’agevole elusione riaffermare genericamente che "conseguita nel processo la condanna dell’amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all’esecuzione individualmente nei confronti dei singoli".
Peraltro, è stato contemporaneamente affermato il principio secondo cui, in caso di decreto ingiuntivo ottenuto nei confronti del condominio in persona dell’amministratore, ove il creditore voglia poi procedere in danno di un singolo condomino, quale obbligato pro quota, è necessaria la notifica del titolo a quest’ultimo, non operando la deroga di cui all’art. 654, comma 2, c.p.c., in quanto "il Condominio è soggetto distinto da ognuno dei singoli condomini, ancorché si tratti di soggetto non dotato di autonomia patrimoniale perfetta, e l’art. 654, comma 2, è da ritenere applicabile solo al soggetto nei confronti del quale il decreto ingiuntivo sia stato emesso ed al quale sia stato ritualmente notificato" (Cass., Sez. 6 - 3, 29/03/2017, n. 8150).
Quel che più, però, rileva, ai fini della questione di diritto posta dal ricorso incidentale di A.A. , è l’ulteriore conseguenza applicativa della tradizionale impostazione dei rapporti processuali tra condominio, condomini e terzi, inerente, appunto, la legittimazione reciproca e sostituiva all’impugnazione spettante al singolo condomino. È stata infatti costantemente reputata ammissibile altresì l’impugnazione, da parte del singolo partecipante, della sentenza di condanna emessa nei confronti dell’intero condominio, sull’assunto che il diritto di ogni partecipante al condominio ha per oggetto le cose comuni nella loro interezza, non rilevando, in contrario, la circostanza della mancata impugnazione da parte dell’amministratore, senza alcuna necessità di integrare il contraddittorio nei confronti dei condomini non appellanti (o non ricorrenti), né intervenienti, e senza che ciò determini il passaggio in giudicato della sentenza di primo (o di secondo) grado nei confronti di questi ultimi (cfr., ad esempio, Cass., Sez. 2, 16/12/2015, n. 25288; Cass. Sez. 2, 03/09/2012, n. 14765; Cass., Sez. 3, 16/05/2011, n. 10717; Cass., Sez. 2, 19/05/2003, n. 7827; Cass., Sez. 2, 28/08/2002, n. 12588; Cass., Sez. 2, 25/05/2001, n. 7130; Cass., Sez. 2, 30/03/2000, n. 3900; Cass., Sez. 2, 12/03/1994, n. 2392; Cass., Sez. 2, 21/06/1993, n. 6856). Sempre in coerenza con questo approccio interpretativo, proprio di recente, si è negato che la sentenza pronunciata nei confronti del condominio, in persona del suo amministratore, possa essere impugnata con l’opposizione ordinaria ex art. 404, comma 1, c.p.c. dai singoli condomini, appunto perché questi non potrebbero dirsi terzi titolari di un diritto autonomo rispetto alla situazione giuridica affermata con tale decisione, la quale, piuttosto, fa stato anche nei loro confronti, benché non intervenuti in giudizio (Cass. Sez. 2, 21/02/2017, n. 4436).
Un limitato distinguo veniva posto dal cospicuo indirizzo ad avviso del quale dovrebbe soltanto escludersi la legittimazione processuale del singolo condomino, sia pure in caso di inerzia dell’amministratore, allorché si controverta su deliberazioni dell’assemblea che perseguano esclusivamente finalità di gestione di un servizio comune, in quanto non idonee ad incidere, se non in via mediata, sull’interesse esclusivo di uno o più partecipanti (in tal senso, Cass., Sez. 2, 21/09/2011, n. 19223; Cass., Sez. 2, 04/05/2005, n. 9213; Cass., Sez. 2, 03/07/1998, n. 6480; Cass., Sez. 2, 29/08/1997, n. 8257; Cass., Sez. 2, 12/03/1994, n. 2393). Altrimenti si è professata una generale ed indistinta legittimazione di ciascun condomino ad impugnare una sentenza pronunciata nei confronti dell’amministratore, al fine di evitare gli effetti sfavorevoli della stessa, affermandosi che sia priva di qualsiasi fondamento normativo quella distinzione tra incidenza immediata, oppure mediata, sulla sfera patrimoniale del singolo, derivante dalla caducazione di una decisione sulla gestione della cosa comune, operata allo scopo di identificare, appunto, i soggetti legittimati al relativo gravame (Cass. Sez. 2, 06/08/2015, n. 16562).
Ora, Cass. Sez. U, 18/09/2014, n. 19663, com’è noto, risolvendo un contrasto interpretativo tra precedenti decisioni della S.C., ha affermato che, in ipotesi di giudizio intentato dall’amministratore di condominio, pur autorizzato dall’assemblea, a tutela di diritti connessi alla situazione dei singoli condomini, ma senza che questi ultimi siano stati parte in causa, la legittimazione ad agire per l’equa riparazione, correlata alla violazione del termine ragionevole del processo, ai sensi della l. n. 89 del 2001, spetta esclusivamente al condominio, da intendere ormai quale autonomo soggetto giuridico. Le Sezioni Unite hanno ricordato come la giurisprudenza abbia costantemente riconosciuto ai singoli condomini il potere di agire in difesa dei diritti connessi alla loro partecipazione, nonché, quindi, la facoltà di intervenire nel giudizio in cui tale difesa fosse stata già assunta dall’amministratore e di avvalersi dei mezzi di impugnazione per evitare gli effetti della soccombenza patita dal condominio. Tuttavia, la sentenza delle Sezioni Unite n. 19663 del 2014 ha dapprima affermato che la nozione di "ente di gestione", sovente adoperata nelle decisioni per descrivere la situazione di condominio, rischia di ingenerare equivoci, e poi, dall’analisi della Riforma del condominio (Legge 11 dicembre 2012, n. 220) ha tratto il convincimento della progressiva configurabilità in capo al medesimo condominio di una sia pur attenuata personalità giuridica, ovvero comunque sicuramente di una soggettività giuridica autonoma. Sicché, se la pregressa richiamata costruzione giurisprudenziale aveva ritenuto che il singolo condomino dovesse sempre considerarsi parte nella controversia tra il condominio ed altri soggetti, seppur rappresentato ex mandato dell’amministratore, proprio per la prospettazione dell’assoluta mancanza di soggettività del condominio, questa impostazione, ad avviso delle Sezioni Unite, entra in crisi ove ci soffermi sull’autonomia del condominio come centro di imputazione di interessi, di diritti e doveri, cui corrisponde una piena capacità processuale. In tal caso, infatti, il singolo condomino dovrà "essere considerato parte in quel processo solo se vi intervenga", e non, invece, già "qualora sia rappresentato dall’amministratore".
Il principio di diritto enunciato dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19663 del 2014, a norma dell’art. 384 c.p.c., ed al quale va riconosciuta l’efficacia di cui al comma 3 dell’art. 374 c.p.c., premette: "Nel caso di giudizio intentato dal condominio e del quale, pur trattandosi di diritti connessi alla partecipazione di singoli condomini al condominio, costoro non siano stati parti...", mentre la motivazione, come visto, spiega che il singolo condominio non può più essere ritenuto parte in senso formale qualora sia rappresentato dall’amministratore.
Viene così tracciata una differenziazione tra la "parte condominio" (il quale rileva, ormai, sia come "soggetto dell’azione" che come "soggetto della lite") e la "parte condomino intervenuto", differenziazione che dovrebbe incidere sull’individuazione dei limiti soggettivi del giudicato, come anche su quelli oggettivi radicati nella domanda, riguardanti il petitum e la causa petendi fatti valere in causa.
Potrebbe altrimenti opinarsi che la peculiare legittimazione all’intervento, come all’impugnazione, riconosciuta ai singoli condomini in via reciproca, nonché sostitutiva di ogni precedente o diversa iniziativa dell’amministratore, possa tuttora trovare la sua ragione esclusivamente nella partecipazione degli stessi al diritto di proprietà sulle parti comuni dell’edificio, ovvero nel loro diritto esclusivo di proprietà sulla singola unità immobiliare. Sicché il potere di intervento in giudizio e di impugnativa del singolo potrebbe limitarsi alla materia delle controversie aventi ad oggetto azioni reali, incidenti sul diritto pro quota o esclusivo di ciascun condomino, o anche delle azioni personali, ma se incidenti in maniera immediata e diretta sui diritti di ciascun partecipante; mentre si potrebbe negare l’impugnazione individuale, come l’intervento del singolo partecipante, relativamente alle controversie aventi ad oggetto la gestione o la custodia dei beni comuni, in nome delle esigenze plurime e collettive della comunità condominiale. Nelle cause di quest’ultimo tipo, essendo la situazione sostanziale riferibile unicamente al condominio in quanto tale, la legittimazione ad agire e, quindi, anche ad impugnare, potrebbe spettare in via esclusiva all’amministratore, e la mancata impugnazione della sentenza da parte di quest’ultimo finirebbe per escludere la possibilità d’impugnazione da parte del singolo condomino.
L’autorevole precedente costituito dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 19663 del 2014 delinea, allora, la massima importanza della questione di diritto della legittimazione del singolo condomino (non costituitosi autonomamente) all’impugnazione della sentenza di primo o di secondo grado resa nei confronti del condominio, spettando la legittimazione all’impugnazione, fatta eccezione per l’opposizione di terzo, esclusivamente a chi abbia assunto la qualità di parte nel giudizio conclusosi con la sentenza impugnata e nei cui confronti la sentenza risulti emessa.
La decisione sul ricorso incidentale di A.A. pone altra questione correlata a quella già sinora riassunta. Stante il principio della cosiddetta "rappresentanza reciproca" e della "legittimazione sostitutiva" (principio proprio del regime di comunione ordinaria, ed in verità adattato al condominio edilizio probabilmente trascurando la specialità della legittimazione processuale dell’amministratore ex art. 1131 c.c.), occorre interrogarsi altresì sull’ammissibilità dell’impugnazione incidentale proveniente da un singolo condomino in ipotesi di soccombenza parziale o reciproca del condominio, in primo o in secondo grado, ove lo stesso, a fronte di un appello o di un ricorso in cassazione della controparte, si sia, in realtà, difeso dall’impugnazione principale, seppur soltanto depositando una comparsa di risposta o notificando un controricorso mediante l’amministratore (ovvero tramite il proprio rappresentante unitario di tutti quei partecipanti che non abbiano già assunto individualmente l’iniziativa di appellare o di ricorrere in cassazione).
Nella specie, avendo il Condominio notificato un proprio controricorso in data 11 gennaio 2016, difendendosi dal ricorso principale mediante l’amministratore, potrebbe opporsi all’ammissibilità del ricorso incidentale, successivamente notificato il 12 gennaio 2016 dalla singola condomina A. , il disposto dell’art. 366 c.p.c. Tale norma, che si applica anche al controricorso, impone, invero, che esso sia presentato con un unico atto, nel rispetto dei previsti requisiti di contenuto e forma, sicché è inammissibile la successiva notifica di un nuovo atto, a modifica od integrazione del primo, diretto alla proposizione di un gravame incidentale, ostandovi il principio della consumazione dell’impugnazione, che potrebbe qui riferirsi a tutti i condomini per conto dei quali era già avvenuta la preventiva costituzione unitaria dell’amministratore di condominio.
Il Collegio ritiene pertanto opportuno rimettere gli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

P.Q.M.

La Corte dispone la trasmissione degli atti al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 ottobre 2017.
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Parola alle sezioni unite sulla possibilità di un condomino nell'intervenire in un giudizio 'Ad Adiuvandum' - Cassazione 15 Novembre 2017, N. 27101 - Commento



La seconda sezione Civile rimette alle Sezioni Unite la questione relativa alla possibilità per i singoli condomini di intervenire in giudizio successivamente al Condominio, con un intervento ad adiuvandum.

Nel caso di specie stante la parziale soccombenza, un condomino decideva di ricorrere in Cassazione al fine di ottenere la riforma della decisione d’appello. Resisteva il Condominio.

Nel controricorso, però, il Condominio si limitava a contestare il contenuto del ricorso del condomino, ma non impugnava i capi della sentenza di appello ove era risultato soccombente.
Un altro condomino, quindi, proponeva successivo ricorso incidentale avverso i capi della sentenza di appello in cui il Condominio era risultato soccombente. Su tali capi, difatti, il Condominio non aveva proposto alcuna domanda in Cassazione e il secondo condomino era intervenuto proprio per sopperire alle mancanze della difesa del Condominio.

Il tutto si fonda sulla natura giuridica del condominio e la questione è stata rimessa al Primo Presidente della Cassazione per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della stessa Corte.

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martedì 14 novembre 2017

Partecipare alle spese: sul venditore l'obbligo risale alla delibera che ha disposto i lavori - Cassazione - 22 Giugno 2017, N. 15547


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CASSAZIONE 22 GIUGNO 2017, N. 15547

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:   
Dott. MANNA  Felice  -  Presidente   
Dott. D’ASCOLA Pasquale  -  Consigliere   
Dott. PICARONI Elisa -  Consigliere  
Dott. ABETE  Luigi  -  Consigliere   
Dott. SCARPA  Antonio  -  rel. Consigliere  
ha pronunciato la seguente:        
                                  
ORDINANZA

sul ricorso 21992-2015 proposto da: 
D.N., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato D. C.; che le rappresenta e difende; 
- ricorrente - 

CONTRO
CONDOMINIO, in persona dell'amministratore M.A., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato G. P., rappresentato e difeso dall'avvocato G. S.; 
- controricorrente - 

avverso la sentenza n. 284/2015 della CORTE D'APPELLO di L'AQUILA, depositata il 25/02/2015; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/05/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

D.N. ha proposto ricorso per cassazione articolato in due motivi avverso la sentenza della Corte d'Appello di L'Aquila n. 284/2015 del 25 febbraio 2015. La sentenza impugnata ha rigettato l'appello formulato dallo stesso D.N. avverso la sentenza resa il 18 luglio 2013 dal Tribunale di Avezzano. Il giudizio aveva avuto inizio con ricorso per decreto ingiuntivo presentato dal Condominio (OMISSIS), nei confronti di D.N., relativo al pagamento della somma di Euro 15.174,78 dovuta a titolo di contributo per i lavori di manutenzione straordinaria dell'edificio deliberati nel 2000 ed eseguiti tra il 2000 ed il 2002, avendo poi il D'Incoronato alienato la propria unità immobiliare nel 2003.
Resiste con controricorso il Condominio (OMISSIS).
La Corte d'Appello di L'Aquila nella sentenza impugnata, per quanto qui rilevi, ha dichiarato inammissibile perchè tardiva l'eccezione di prescrizione dell'opponente, poi appellante, D., in quanto avanzata in primo grado non con l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, ma solo con la comparsa di costituzione del suo nuovo difensore depositata il 30 aprile 2013, ben dopo la maturazione delle preclusioni deduttive. La Corte di L'Aquila ha poi definito infondata l'eccezione di carenza di legittimazione passiva del D. (ovvero, di suo difetto di titolarità passiva del rapporto obbligatorio per cui è causa), essendo lo stesso appellante condomino al momento in cui vennero deliberati i lavori di manutenzione straordinaria, e perciò obbligato alle spese ad essi inerenti, pur non essendo più condomino all'epoca dell'approvazione della delibera di ripartizione dell'aprile 2006.
Il primo motivo di ricorso di D.N. denuncia la violazione e falsa applicazione dell'art. 2937 c.c., in relazione all'eccezione di prescrizione quinquennale ex art. 2948 c.c., comma 4. Il ricorrente critica la Corte di L'Aquila per aver erroneamente ritenuto rinunciata tacitamente la prescrizione, avendo eccepito la stessa solo nella comparsa del nuovo difensore. Viene all'uopo citata giurisprudenza concernente la rinuncia implicita o tacita alla prescrizione.
Il secondo motivo di ricorso deduce la contraddittoria motivazione in relazione alla carenza di legittimazione passiva del D. con riguardo alla pretesa creditoria del Condominio (OMISSIS), la quale si basa su una delibera di ripartizione delle spese del 2006, allorchè egli aveva ormai venduto la propria unità immobiliare ai signori R. e V. e non poteva quindi partecipare all'assemblea nè impugnarne la decisione.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., in relazione all'art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.
Il Condominio (OMISSIS) ha presentato memoria ai sensi dell'art. 380-bis c.p.c., comma 2.
Il primo motivo di ricorso denota un evidente difetto dei necessari requisiti di specificità, completezza e riferibilità alla sentenza impugnata, in quanto non si confronta con la ratio decidendi di essa.
Dalla lettura del provvedimento, emerge con chiarezza che la Corte d'Appello di L'Aquila non ha ritenuto tacitamente o implicitamente rinunciata la prescrizione (come contesta il ricorrente), ma ha dichiarato inammissibile la relativa eccezione, giacchè formulata non già con l'atto di opposizione a decreto ingiuntivo, ma solo con la comparsa di costituzione del nuovo difensore depositata il 30 aprile 2013.
La decisione della Corte di L'Aquila è corretta, in quanto la preclusione del convenuto alla proposizione di eccezioni non rilevabili d'ufficio, ex art. 167 c.c., comma 2, quale appunto è l'eccezione di prescrizione (eccezione in senso stretto: art. 2938 c.c.), nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nel quale l'opponente è solo formalmente attore, ma è sostanzialmente parte convenuta, va riferita all'atto di opposizione ai sensi dell'art. 645 c.p.c. (arg. da Cass. Sez. L, 28/09/2016, n. 19186; Cass. Sez. L, 14/07/1997, n. 6391).

Il secondo motivo di ricorso è, poi, inammissibile, o comunque infondato.

La doglianza deduce un vizio di contraddittorietà della motivazione e non tiene conto del vigente parametro dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto questo, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, contempla soltanto il vizio di omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo. Ne consegue che tale vizio va denunciato nel rispetto delle previsioni dell'art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, dovendo il ricorrente indicare il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività".
Tale motivo si duole, peraltro, della carenza di legittimazione passiva del D. rispetto alla pretesa creditoria del Condominio, per aver egli già alienato la sua unità immobiliare al momento della deliberazione assembleare di ripartizione delle spese di manutenzione straordinaria, fatto esaminato e superato nella sentenza impugnata, la quale ha dato correttamente rilievo alla data della deliberazione di approvazione di tali lavori, allorchè il ricorrente era ancora condomino e perciò era obbligato a contribuire agli esborsi.

Trova qui applicazione ratione temporis, attesa l'epoca di insorgenza dell'obbligo di spesa per cui è causa, l'art. 63 disp. att. c.c., comma 2, nella formulazione antecedente alla modificazione operata dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220. In forza di tale norma, chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo al pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello precedente. Dovendosi individuare, ai fini dell'applicazione dell'art. 63 disp. att. c.c., comma 2, quando sia insorto l'obbligo di partecipazione a spese condominiali per l'esecuzione di lavori di straordinaria amministrazione sulle parti comuni (ristrutturazione della facciata dell'edificio condominiale)", deve farsi riferimento alla data di approvazione della delibera assembleare che ha disposto l'esecuzione di tale intervento, avendo la stessa delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. Sez 6 - 2, 22 marzo 2017, n. 7395; Cass. Sez. 2, 03/12/2010, n. 24654). Tale momento rileva anche per imputare l'obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, rimanendo, peraltro, inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro.

Questa Corte ha in passato affermato che, poichè, una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unità immobiliare, l'alienante perde la qualità di condomino e non è più legittimato a partecipare alle assemblee (potendo far valere le proprie ragioni sul pagamento dei contributi solo attraverso l'acquirente che gli è subentrato), non può essere chiesto ed emesso nei suoi confronti decreto ingiuntivo ai sensi dell'art. 63 disp. att. c.c., comma 1, per la riscossione dei contributi condominiali, atteso che la predetta norma di legge può trovare applicazione soltanto nei confronti di coloro che siano condomini al momento della proposizione del ricorso monitorio (cfr. Cass. Sez. 2, 09/09/2008, n. 23345; Cass. Sez. 2, 09/11/2009, n. 23686).
Tuttavia, per quanto dapprima detto, obbligato a contribuire alle spese di manutenzione straordinaria dell'edificio è chi era condomino, giacchè proprietario dell'unità immobiliare poi alienata, al momento della delibera assembleare che abbia disposto l'esecuzione di detti lavori, proprio per il valore costitutivo della relativa obbligazione. La circostanza della vendita dell'unità immobiliare prima che siano stati approvati tutti gli stati di ripartizione delle spese inerenti quei lavori, o comunque prima che il condomino che aveva approvato gli stessi abbia adempiuto ai propri oneri verso il condominio, può impedire che sia emesso il decreto ingiuntivo con la clausola di immediata esecutività ex art. 63 disp. att. c.c., comma 1, ma di certo non estingue il debito originario del cedente, che rimane azionabile in sede di processo di cognizione, o di ingiunzione ordinaria di pagamento.

Il ricorso va perciò rigettato e il ricorrente va condannato a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della 6 - 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 12 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 22 giugno 2017

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Partecipare alle spese: sul venditore l'obbligo risale alla delibera che ha disposto i lavori - Cassazione - 22 Giugno 2017, N. 15547



Obbligato a contribuire alle spese di manutenzione straordinaria dell'edificio è chi era condomino, giacchè proprietario dell'unità immobiliare poi alienata, al momento della delibera assembleare che abbia disposto l'esecuzione di detti lavori, proprio per il valore costitutivo della relativa obbligazione.
La circostanza della vendita dell'unità immobiliare prima che siano stati approvati tutti gli stati di ripartizione delle spese inerenti quei lavori, o comunque prima che il condomino che aveva approvato gli stessi abbia adempiuto ai propri oneri verso il condominio, può impedire che sia emesso il decreto ingiuntivo con la clausola di immediata esecutività ex art. 63 disp. att. c.c., comma 1, ma di certo non estingue il debito originario del cedente, che rimane azionabile in sede di processo di cognizione, o di ingiunzione ordinaria di pagamento.

Precisa la corte che “tale momento rileva anche per imputare l'obbligo di partecipazione alla spesa nei rapporti interni tra venditore e compratore, se gli stessi non si siano diversamente accordati, rimanendo, peraltro, inopponibili al condominio i patti eventualmente intercorsi tra costoro”. 
Trova qui applicazione ratione temporis, attesa l'epoca di insorgenza dell'obbligo di spesa per cui è causa, l'art. 63 disp. att. c.c., comma 2, nella formulazione antecedente alla modificazione operata dalla L. 11 dicembre 2012, n. 220

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lunedì 30 ottobre 2017

CASSAZIONE 29 SETTEMBRE 2017, N. 22856 - recupero del credito nei confronti del condomino nei limiti della quota millesimale


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CASSAZIONE 29 SETTEMBRE 2017, N. 22856

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
TERZA SEZIONE CIVILE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:   
Dott. VIVALDI   Roberta  -  Presidente    
Dott. SESTINI   Danilo  -  Consigliere   
Dott. GRAZIOSI  Chiara -  Consigliere   
Dott. TATANGELO Augusto -  rel. Consigliere    
Dott. D'ARRIGO  Cosimo -  Consigliere   

ha pronunciato la seguente:                                          
                  
SENTENZA

sul ricorso iscritto al numero 535 del ruolo generale dell'anno 2016 proposto da: 

S. C. G. S.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, D.P.V. rappresentato e difeso, giusta procura in calce al ricorso, dall'avvocato R. B.; 
- ricorrente - 
nei confronti di: 
T.F.   Q.L.   Q.G.   S.M.B.   rappresentati e difesi, giusta procura in calce al controricorso, dall'avvocato Antonio Cirillo 
- controricorrenti - 
per la cassazione della sentenza della Corte di Appello di Napoli n. 4048/2015, depositata in data 15 ottobre 2015; 
udita la relazione sulla causa svolta alla pubblica udienza in data 18 luglio 2017 dal Consigliere Dott. Augusto Tatangelo; 
uditi: 
il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto dei primi  cinque e l'accoglimento del sesto motivo del ricorso; 
l'avvocato A. C., per i controricorrenti.

FATTI DI CAUSA

T.F., Q.G. e L., con l'intervento adesivo di S.M.B., hanno proposto opposizione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., comma 1, avverso l'atto di precetto di pagamento della somma di Euro 15.617,26, loro intimato da Sara Costruzioni Generali S.r.l. sulla base di un titolo esecutivo giudiziale (decreto ingiuntivo) formatosi nei confronti del condominio del fabbricato sito in (OMISSIS).
L'opposizione è stata accolta dal Tribunale di Napoli.
La Corte di Appello di Napoli ha confermato la decisione di primo grado.
Ricorre Sara Costruzioni Generali S.r.l., sulla base di sei motivi.
Resistono con controricorso il T., i Q. e la S..

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia "nullità della sentenza; omessa pronunzia sull'eccezione di giudicato; artt. 99 e 112 c.p.c., art. 2909 c.c.; art. 360 c.p.c., n. 3". Con il secondo motivo si denunzia "contrasto con il precedente giudicato (sentenza n. 8785/2015); art. 2909 c.c.; violazione di legge; art. 360 c.p.c., n. 3".
Con il terzo motivo si denunzia "omessa pronunzia; artt. 99,112 e 615 c.p.c.; violazione di legge; art. 360 c.p.c., n. 3". I primi tre motivi sono connessi e possono essere esaminati congiuntamente.
Essi sono infondati, con le precisazioni che seguono.
E' pacifico che il decreto ingiuntivo posto a base dell'atto di precetto opposto è stato richiesto ed ottenuto nei confronti del solo condominio, e non nei confronti dei singoli condomini.
Per quanto emerge dal ricorso, il condominio ingiunto avrebbe proposto opposizione avverso il predetto decreto sostenendo che la natura "non solidale" dell'obbligazione contratta dall'amministratore avrebbe determinato l'inammissibilità della propria condanna, quale soggetto autonomo rappresentato dall'amministratore stesso.
E questa argomentazione è stata (del tutto correttamente) giudicata infondata dal giudice dell'opposizione, non essendovi alcun dubbio sulla possibilità che il condominio, laddove tramite l'amministratore stipuli un contratto di appalto assumendone le relative obbligazioni, possa poi essere condannato in giudizio all'adempimento di esse, e ciò a prescindere dalla natura parziaria o solidale del corrispondente debito gravante sui singoli condomini.
La questione della natura parziaria o solidale dell'obbligazione condominiale è infatti riferibile alla responsabilità dei singoli condomini e non alla sussistenza della legittimazione passiva - tanto sul piano della cognizione quanto sul piano esecutivo del condominio, quale ente di gestione rappresentato dall'amministratore.
Le considerazioni operate dal tribunale sulla natura solidale o parziaria dell'obbligazione consacrata nel decreto ingiuntivo ottenuto dalla società appaltatrice nei confronti del (solo) condominio possono quindi ritenersi attinenti esclusivamente alla questione ad esso sottoposta (e cioè quella della legittimazione e dell'ammissibilità della condanna del condominio).
Per ogni altro aspetto esse risultano estranee all'oggetto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, e certamente non possono fare stato nei confronti dei singoli condomini, in relazione alla natura della loro obbligazione individuale, e ciò anche considerando che (per quanto emerge dagli atti, ed in particolare dallo stesso ricorso della società intimante) non risulta proposta alcuna domanda, in detto giudizio, nei confronti dei singoli condomini (nè quali obbligati solidali nè quali obbligati in via parziaria).
Devono dunque condividersi sul punto le considerazioni della corte di appello, la quale ha escluso la sussistenza di un giudicate) opponibile ai singoli condomini in ordine alla natura parziaria o solidale della loro personale obbligazione per il debito del condominio, considerazioni che, benchè effettuate in relazione al solo decreto ingiuntivo, risultano valide anche in relazione alla sentenza che ha rigettato l'opposizione avverso lo stesso.
2. Con il quarto motivo si denunzia "violazione di legge; violazione degli artt. 1362 c.c. e segg.; art. 360 c.p.c., n. 3".
Anche questo motivo è infondato.
Il motivo di ricorso in esame si risolve di fatto in una censura di merito, in quanto vertente sull'interpretazione del contenuto negoziale, senza che sia evidenziata una effettiva e concreta violazione (o falsa applicazione) delle norme di interpretazione del contratto, che vengono solo genericamente richiamate dalla società ricorrente.
Si tratta quindi, nella sostanza, della contestazione del risultato concreto dell'interpretazione e della ricostruzione della concreta volontà negoziale delle parti svolte dei giudici di merito, che si pretende di sostituire con un altro diverso risultato interpretativo, gradito alla ricorrente, e non di una effettiva denunzia di erronea applicazione delle norme di interpretazione contrattuale.
La suddetta interpretazione risulta del resto operata dalla corte di appello sulla base dell'esame dei fatti storici rilevanti (e cioè del contenuto del contratto) ed il risultato dell'operazione interpretativa è sostenuto da adeguata motivazione, non apparente, nè insanabilmente contraddittoria sul piano logico, onde tale risultato non è censurabile in sede di legittimità (cfr., ex plurimis: Cass., Sez. 3, Sentenza n. 14355 del 14/07/2016, Rv. 640551-01; Sez. 3, Sentenza n. 10891 del 26/05/2016, Rv. 640122-01; Sez. 3, Sentenza n. 2465 del 10/02/2015, Rv. 634161-01; Sez. L, Sentenza n. 17168 del 09/10/2012, Rv. 624346-01; Sez. L, Sentenza n. 10554 del 30/04/2010, Rv. 613562-01; Sez. 3, Sentenza n. 8372 del 21/04/2005, Rv. 581693-01; Sez. 3, Sentenza n. 13344 del 19/07/2004, Rv. 577572-01; Sez. L, Sentenza n. 12258 del 20/08/2003, Rv. 566079-01; Sez. 3, Sentenza n. 2074 del 13/02/2002, Rv. 552238-01).
3. Con il quinto motivo si denunzia "extra e/o ultrapetizione; art. 112 c.p.c.; art. 360 c.p.c., n. 3".
Con il sesto motivo si denunzia "violazione di legge; artt. 115 e 615 c.p.c.; art. 2697 c.c.; art. 360 c.p.c., n. 3".
Il quinto ed il sesto motivo sono connessi e possono essere trattati congiuntamente.
Essi sono fondati.
3.1 E' senz'altro fondata la censura di violazione dell'art. 112 c.p.c..
Per quanto emerge dagli atti (e dalla stessa esposizione dello svolgimento del processo contenuta nella sentenza impugnata), la società opposta non aveva proposto alcuna domanda di condanna dei singoli condomini al pagamento del debito condominiale.
Il presente giudizio risulta avere ad oggetto una ordinaria opposizione a precetto (si tratta cioè di una opposizione all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., comma 1): il thema decidendum è limitato all'accertamento dell'efficacia dell'intimazione di pagamento, sulla base del titolo posto a suo fondamento, ottenuto nei confronti del condominio e utilizzato dal creditore per minacciare l'esecuzione forzata nei confronti dei singoli condomini.
Fondatamente, quindi, la società ricorrente censura la pronunzia impugnata nella parte in cui (almeno apparentemente) afferma proposta (e decide) in ordine ad una domanda di condanna dei singoli condomini all'adempimento dell'obbligazione gravante sul condominio, invece di limitarsi a statuire sull'efficacia dell'intimazione rivolta ai primi sulla base del titolo formatosi contro quest'ultimo.
3.2 Altrettanto fondatamente la decisione impugnata è censurata nella parte in cui, una volta escluso che la responsabilità dei singoli condomini potesse estendersi all'intera obbligazione del condominio, e una volta stabilito che essa era invece limitata alla quota di partecipazione al condominio di ciascuno di essi, ha ritenuto onere del creditore intimante provare l'esatta misura di tale partecipazione e, in mancanza di tale prova, ha dichiarato totalmente inefficace il precetto opposto.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti:
1) l'obbligazione (contrattuale) del condominio grava pro parte sui singoli condomini, e non in solido per l'intero sugli stessi (Cass., Sez. 2, Sentenza n. 8530 del 27/09/1996, Rv. 499798-01; Sez. 2, Sentenza n. 5117 del 19/04/2000, Rv. 535867-01; Sez. U, Sentenza n. 9148 del 08/04/2008, Rv. 602479-01; Sez. 6-2, Ordinanza n. 14530 del 09/06/2017, Rv. 644621-01);
2) il titolo formatosi contro il condominio è valido, ai fini dell'azione esecutiva, contro i singoli condomini (si ritiene in tale ottica inammissibile l'azione di condanna contro il singolo condomino, laddove il creditore già disponga di un titolo esecutivo nei confronti del condominio: Cass., Sez. 2, Sentenza n. 20304 del 14/10/2004, Rv. 577708-01);
3) per procedere ad esecuzione forzata nei confronti del singolo condomino in base al titolo esecutivo formatosi contro il condominio occorre preventivamente notificare personalmente detto titolo (anche in caso di decreto ingiuntivo, non essendo applicabile in tale ipotesi l'art. 654 c.p.c.) ed il precetto al singolo condomino (Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 8150 del 29/03/2017, Rv. 643823-01).
Orbene, in tale complessivo quadro interpretativo (cui la Corte intende dare continuità), va certamente escluso che il creditore del condominio, che abbia ottenuto un titolo esecutivo nei confronti di quest'ultimo, e che intenda agire nei confronti dei singoli condomini per recuperare il proprio credito, non solo debba instaurare e coltivare una serie di distinte procedure esecutive contro ciascun singolo condomino per la rispettiva quota di debito (quindi, in talune ipotesi, per importi irrisori), ma sia anche onerato della prova della misura della quota millesimale spettante a ciascuno di tali singoli condomini (onere peraltro di difficile attuazione, specie prima dell'entrata in vigore del nuovo testo della disposizione di cui all'art. 63 disp. att. c.c., successiva ai fatti di causa, che impone all'amministratore di fornire ai creditori "i dati dei condomini morosi").
L'utilizzabilità del titolo esecutivo formatosi nei confronti del condominio per promuovere l'esecuzione forzata contro i singoli condomini implica di per sè esclusivamente l'onere, per il creditore procedente, di dimostrare la legittimazione passiva, sul piano esecutivo, dei condomini aggrediti, e cioè la loro qualità di condomini.
Per quanto attiene alla misura della rispettiva quota millesimale, deve invece ritenersi sufficiente una mera allegazione da parte dell'intimante: il condomino cui sia eventualmente richiesto il pagamento di un importo eccedente quello della sua quota potrà proporre opposizione all'esecuzione, ma in tale sede sarà suo onere dimostrare l'esatta misura di detta quota:
Sul piano pratico, poi, laddove il creditore intimi il pagamento dell'intera obbligazione ad uno o più condomini (sostenendo che sono titolari della totalità delle quote condominiali o anche assumendone, erroneamente, la responsabilità solidale per l'intera obbligazione), ovvero intimi comunque il pagamento della quota ad un solo condomino, indicando nel precetto l'importo totale del credito ma senza specificare la misura della quota millesimale dell'intimato, le conseguenze devono ritenersi analoghe, quanto meno sul piano del diritto di procedere ad esecuzione forzata (e ciò prescindendo da eventuali questioni di mera regolarità formale del precetto).
La richiesta di pagamento dell'obbligazione gravante sul condominio - senza la specificazione della minor quota pretesa dal singolo condomino - non può che essere equiparata ad una implicita "allegazione", da parte del creditore intimante, di una responsabilità dell'intimato per l'intero ammontare dell'obbligazione del condominio.
In tale ipotesi il precetto sarà inefficace per la richiesta dell'importo eccedente la quota millesimale dell'intimato, laddove questi dimostri in concreto la misura di detta quota, ma conserverà la sua efficacia nei limiti di essa.
Il singolo condomino cui sia intimato il pagamento del debito condominiale, per intero, o comunque senza specificazione della sua quota di responsabilità, potrà in altri termini proporre l'opposizione all'esecuzione, ai sensi dell'art. 615 c.p.c., in base alle seguenti alternative:
a) allegando di non essere condomino; in tal caso l'onere della prova della sua qualità di condomino spetterà al creditore opposto, trattandosi di un fatto costitutivo della legittimazione passiva all'azione esecutiva del singolo condomino ovvero dell'efficacia del titolo contro l'intimato, e potendo del resto tale prova essere facilmente ottenuta dal creditore (anche con una semplice visura presso i registri immobiliari);
b) eccependo di essere condomino per una quota millesimale inferiore a quella "allegata" (esplicitamente o implicitamente) dal creditore; in tal caso l'onere della prova della misura di detta quota spetterà all'opponente, trattandosi di allegazione di un fatto (quanto meno assimilabile a quello) "modificativo" e/o "parzialmente impeditivo" della legittimazione passiva all'azione esecutiva del singolo condomino, ovvero dell'efficacia del titolo esecutivo per il suo intero importo.
Tale ultima conclusione trova poi ulteriore conferma anche nel cd. principio di riferibilità o vicinanza della prova (sul quale cfr. ad es. Cass., Sez. U, Sentenza n. 13533 del 30/10/2001, Rv. 549956-01; Sez. 3, Sentenza n. 1665 del 29/01/2016, Rv. 638324-01; Sez. 5, Sentenza n. 9099 del 06/06/2012, Rv. 622990-01; Sez. 1, Sentenza n. 6799 del 04/05/2012, Rv. 622614-01; Sez. 3, Sentenza n. 11488 del 21/06/2004, Rv. 573772-01), essendo palese la maggiore prossimità e la riferibilità al singolo condomino del fatto (impeditivo/modificativo) in questione, e cioè la misura della sua quota condominiale e, di converso, le difficoltà per il creditore di venire a conoscenza di esso (difficoltà solo attenuate dal già richiamato disposto del nuovo testo dell'art. 63 disp. att. c.c., peraltro entrato in vigore successivamente ai fatti di causa).
In definitiva, laddove il singolo condomino intimato del pagamento del debito del condominio (per intero, o comunque senza specificazione della minor quota su di lui gravante) proponga opposizione all'esecuzione, dovrà dimostrare, a sostegno dell'opposizione proposta, la misura della sua partecipazione condominiale. In caso contrario subirà l'esecuzione per la quota allegata dal creditore e, laddove detta quota non sia stata specificata, per l'intero debito di cui risulti intimato il pagamento (ferme restando, nel vigore della nuova normativa, le limitazioni di cui dell'art. 63 disp. att. c.p.c., comma 2, in tema di beneficium excussionis).
La sentenza impugnata non si è conformata i principi fin qui esposti, in quanto ha ritenuto onere del creditore intimante dimostrare le quote di partecipazione al condominio dei singoli condomini intimati e, in mancanza, ha dichiarato inefficace per intero il precetto opposto.
Essa va quindi cassata, e la fattispecie dovrà essere riconsiderata dalla corte di appello in base ai suddetti principi.
Il precetto opposto potrà essere ritenuto inefficace solo nella misura eccedente la quota condominiale dei singoli condomini intimati, e sempre che questi abbiano dimostrato la misura di tale quota. In caso contrario varrà a fondare l'esecuzione per l'intero (nella specie, essendovi più condomini intimati, si dovranno presumere allegate le loro quote in misura paritaria, per un totale del 100%).
Il principio di diritto cui dovrà conformarsi in sede di rinvio la corte di appello è il seguente:
"l'esecuzione nei confronti di un singolo condomino, sulla base di titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio, per le obbligazioni di fonte negoziale contratte dall'amministratore, può avere legittimamente luogo esclusivamente nei limiti della quota millesimale del singolo condomino esecutato, che il creditore può limitarsi ad allegare; nel caso in cui il creditore ne ometta la specificazione e/o proceda per il totale dell'importo portato dal titolo nei confronti di un solo condomino, implicitamente allegando una responsabilità dell'intimato per l'intero ammontare dell'obbligazione, quest'ultimo potrà opporsi all'esecuzione deducendo di non essere affatto condomino, ovvero deducendo che la sua quota millesimale è inferiore a quella esplicitamente o implicitamente allegata dal creditore; nel primo caso, l'onere di provare il fatto costitutivo di detta qualità spetterà al creditore procedente, ed in mancanza il precetto dovrà essere dichiarato inefficace per l'intero; nel secondo caso sarà lo stesso opponente a dover dimostrare l'effettiva misura della propria quota condominiale; se tale dimostrazione venga fornita, l'atto di precetto dovrà essere dichiarato inefficace per l'eccedenza, ma resterà valido per la minor quota parte dell'obbligazione effettivamente gravante sul singolo condomino; in mancanza di tale dimostrazione, l'opposizione non potrà invece essere accolta, l'atto di precetto non potrà essere dichiarato inefficace e resterà quindi efficace per l'intera quota di cui il creditore ha intimato il pagamento".
4. Sono rigettati i primi quattro motivi del ricorso; sono accolti il quinto ed il sesto motivo.
La sentenza impugnata è cassata in relazione, con rinvio al alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte:
- rigetta i primi quattro motivi del ricorso; accoglie il quinto ed il sesto, cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio alla Corte di Appello di Napoli, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, il 18 luglio 2017.
Depositato in Cancelleria il 29 settembre 2017
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CASSAZIONE: Recupero del credito nei confronti del condomino nei limiti della quota millesimale - 29 SETTEMBRE 2017, N. 22856



L'esecuzione nei confronti di un singolo condomino, sulla base di titolo esecutivo ottenuto nei confronti del condominio, per le obbligazioni contratte dall'amministratore, può avere legittimamente luogo esclusivamente nei limiti della quota millesimale del singolo condomino esecutato, che il creditore può limitarsi ad allegare; nel caso in cui il creditore ne ometta la specificazione e/o proceda per il totale dell'importo portato dal titolo nei confronti di un solo condomino, implicitamente allegando una responsabilità dell'intimato per l'intero ammontare dell'obbligazione, quest'ultimo potrà opporsi all'esecuzione deducendo di non essere affatto condomino, ovvero deducendo che la sua quota millesimale è inferiore a quella esplicitamente o implicitamente allegata dal creditore.

Nel primo caso, l'onere di provare il fatto costitutivo di detta qualità spetterà al creditore procedente, ed in mancanza il precetto dovrà essere dichiarato inefficace per l'intero;

Nel secondo caso sarà lo stesso opponente a dover dimostrare l'effettiva misura della propria quota condominiale; se tale dimostrazione venga fornita, l'atto di precetto dovrà essere dichiarato inefficace per l'eccedenza, ma resterà valido per la minor quota parte dell'obbligazione effettivamente gravante sul singolo condomino; in mancanza di tale dimostrazione, l'opposizione non potrà invece essere accolta, l'atto di precetto non potrà essere dichiarato inefficace e resterà quindi efficace per l'intera quota di cui il creditore ha intimato il pagamento.

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martedì 10 ottobre 2017

Perplessità sulla notifica via Pec

Le ricevute di “accettazione” e di “avvenuta consegna” sono essenziali per provare la rituale notificazione della cartella via Pec. Ed infatti, qualora il contribuente eccepisca in giudizio la illegittimità della procedura prevista, l’Ufficio dovrà versare in atti copie conformi agli originali delle ricevute, pena l’accoglimento del ricorso del contribuente.
Il decreto fiscale D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modifiche con L. 1° dicembre 2016, n. 225 ha aggiunto all’art. 60, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 il nuovo comma 7 il quale prevede che, in deroga all’art. 149-bis del Codice di procedura civile, la notifica degli avvisi di accertamento e degli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato, potrà essere effettuata direttamente dal competente ufficio a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), con le modalità previste dal regolamento di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68.
Ciò significa, che a decorrere dal 1° luglio 2017 anche gli uffici dell’agenzia delle Entrate potranno notificare gli avvisi di accertamento e gli altri atti impositivi direttamente all’indirizzo di Pec dei contribuenti laddove la notifica si intenderà perfezionata:
  • per l’Ufficio-mittente, nel momento in cui il gestore della casella di posta elettronica certificata gli trasmette automaticamente la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio;
  • er il destinatario, alla data di avvenuta consegna contenuta nella ricevuta che il gestore della casella di pec del destinatario trasmette all’ufficio o, nel caso di casella di posta elettronica satura o di indirizzo di posta elettronica del destinatario non valido o attivo, nel quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione dell’avviso nel sito internet di InfoCamere così come già accade per le cartelle esattoriali.
Ebbene, tale modalità che rappresenta una facoltà e non un obbligo, non è certamente una novità  per il processo tributario giacchè è già in uso da parte di Equitalia per le notifiche delle cartelle esattoriali e di altri atti di riscossione.
Ed è proprio a questo proposito, che non si può fare a meno di evidenziare che le recenti decisioni delle commissioni tributarie di merito muovono nella direzione di una invalidità della notifica delle cartelle esattoriali per un serie di motivi di cui di qui a breve.
Orbene, la nullità della cartella di pagamento notificata con posta elettronica certificata deriva dal fatto che il messaggio email non contiene l’originale dell’atto di Equitalia ma solo una copia priva di attestazione di conformità. Ciò significa, che la posta elettronica certificata, non offre le garanzie tipiche della raccomandata tradizionale, in quanto non contiene l’originale della cartella, ma solo una copia informatica, priva peraltro di alcuna attestazione di conformità. Detta copia, quindi, non può assumere alcun valore giuridico perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico, in tutto e per tutto, all’originale che, in questo caso, resta nelle mani di Equitalia. Invece, con la notifica a mezzo di raccomandata a.r., l’originale finisce sempre nelle mani del contribuente. (Ctp Latina n. 992/01/16).
Ecco che, le ricevute di <accettazione> e di <avvenuta consegna> sono essenziali per provare la rituale notificazione della cartella via Pec. Ed infatti, qualora il contribuente eccepisca in giudizio la illegittimità della procedura prevista, l’Ufficio dovrà versare in atti copie conformi agli originali delle ricevute di <accettazione> e di <avvenuta consegna> del messaggio contenente l’atto notificando, pena l’accoglimento del ricorso del contribuente. (Ctp Roma n. 1715 del 26 gennaio 2017).
Secondo l’art. 26, co. 2, D.P.R. 602/1973, come modificato dall’art. 14, D.Lgs. 25.9.2015, n. 159, dall’ 1.6.2016, in virtù di quanto previsto originariamente dall’art. 38, co. 4, lett. b), D.L. 31.5.2010, n. 78, la notifica degli atti di riscossione destinati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi ed elenchi, deve avvenire esclusivamente via Pec.

Nonostante la previsione di legge, non è affatto pacifica la possibilità di notificare la cartella di pagamento tramite Pec, in quanto vi sono delle questioni di legittimità costituzionale che sono emerse da diverse pronunce dalla combinata lettura degli artt. 20, co. 1 e 2 e 53, co. 2, D.Lgs. 546/1992, come pure dalla circ. 12.5.2016, n. 2/D (Ctr Lombardia (Milano), sent. 1711/34/2016, Ctr Lazio (Roma), sent. 54/10/2010, Ctr Emilia Romagna (Bologna), sent. 2065/1/2015 e Ctr Campania (Benevento, sent. 395/1/13). Altresì, la notifica tramite Pec non consente al destinatario di scegliere modalità, tempi e dinamica di ricezione – vista la scomparsa dell’irreperibilità relativa e assoluta - né di opporre un legittimo rifiuto. Si pensi al caso della mancata possibilità di visione della email a causa dello smarrimento della password di accesso all’account di Pec o al caso di degenza ospedaliera del destinatario. Importanti sentenze (Corte Cost., sent. 14.1.2010, n. 3; Corte Cost., 26.11.2002, n. 477; Cass., SS.UU., ord. 21.10.2004, n. 458) sono state poste a sostegno di una eccezione della illegittimità in sede giudiziale della operatività della notifica via Pec.
Oltretutto va detto che, dirigenti, funzionari e dipendenti di Equitalia non sono pubblici ufficiali e, pertanto, non spetterebbe ad essi apporre l’autentica sulle copie delle cartelle di Equitalia. Ciò significa che una semplice copia non può mai assumere un valore giuridico, poiché abbisogna dell’attestazione di un pubblico ufficiale autorizzato per essere ritenuti conformi all’originale, potere che non spetta ai funzionari di Equitalia (Cass. 27.4.2015, n. 8446; contra Ctr Calabria (Catanzaro), sent. 1674/2014) come pure non spetta ai postini (Cass. 6395/2014; Cass. 8333/2015; Ctr Lazio (Roma) sent. 3711/2014).

Il sistema Pec non può garantire infatti che il documento allegato sia effettivamente l’originale.
Non solo, è nulla la cartella notificata via pec con l’allegato in estensione <<.pdf>> e non <<.p7m>> che rappresenta l’equivalente del primo ma firmato digitalmente (Ctp Milano sentenza 1023/1/17 del 3 febbraio 2017) giacchè ai sensi di quanto previsto dall’articolo 26 Dpr 602/73, articoli 20 e 71 Dlgs 82/05, Dpcm 22 febbraio 2013, il <<.pdf>> non soddisfa da solo i requisiti di integrità dell’allegato. Ed ancora, è nulla la cartella di pagamento via Pec, in quanto il documento allegato in <<.pdf>> non può essere considerato un valido documento informatico, bensì una semplice copia informatica e come tale priva di qualsivoglia valore probatorio. (Ctp Savona sentenze n. 100/2017 e n. 101/201 del 10 febbraio 2017).

di Iolanda Pansardi
Avvocato Tributarista in Lecce

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