CONSIGLIO DI STATO 15 OTTOBRE 2015, N. 4770
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale (Sezione Quinta)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 2105 del 2015, proposto dalla s.r.l. Al., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati A.C. ed altri, con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato A.C. in Roma, via (…);
contro
La s.p.a. Gr., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dagli avvocati D.G. e D.G., con domicilio eletto presso lo studio dell’avvocato Do.Ga. in Roma, via (…);
nei confronti di
La Ac. Scpa – As., in proprio e quale capogruppo mandataria dell’Ati Ac. Scpa, la s.p.a. Ta., la s.p.a. Ed. Costruzioni Generali, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’avvocato Ro.Co., con domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
per la riforma della sentenza del T.A.R. Abruzzo – Sede di l’Aquila, n. 882/2014, resa tra le parti;
Visti il ricorso in appello ed i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della s.p.a. La Gr. e di Ac. Scpa -Ass. Coop. M. ed affini Ravenna, in proprio e quale capogruppo mandataria Ati;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 74 e 120, co. 10, cod. proc. amm.;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 16 luglio 2015 il Cons. Sabato Guadagno e uditi per le parti gli avvocati A.C. ed altri;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO e DIRITTO
1.- La s.r.l. Al. partecipava alla procedura aperta per l’affidamento della progettazione esecutiva e della realizzazione dei lavori di ricostruzione delle infrastrutture nell’ambito urbano del centro storico della città dell’Aquila, primo stralcio, di cui la s.p.a. Gr. è la stazione appaltante.
2. – La medesima s.r.l. Al. impugnava avanti al TAR Abruzzo – L’Aquila, unitamente a tutti gli atti di gara, la determina del dirigente amministrativo n. 26 del 20 settembre 2013, che disponeva l’aggiudicazione definitiva della gara a favore dell’Ac. S. Ravenna (in proprio e quale Capogruppo Mandataria dell’At. S., Ta. Spa, ed. C. G. Spa), prima in graduatoria per aver presentato l’offerta ritenuta economicamente più vantaggiosa, con un punteggio complessivo di punti 86,859, mentre la s.r.l. Al. si classificava seconda con un punteggio di 75,789.
3.- La s.r.l. Al. chiedeva l’annullamento della determina di aggiudicazione, di tutti i verbali di gara, della verifica svolta della commissione circa il possesso dei requisiti in capo all’ATI aggiudicataria, con la conseguente dichiarazione d’inefficacia del contratto, eventualmente stipulato.
4.- L’ATI aggiudicataria si costituiva in giudizio, proponendo un ricorso incidentale, deducendo che società ricorrente in via principale doveva essere esclusa dalla gara, per la mancanza dei requisiti di partecipazione.
5.- Con sentenza la n. 882/2014, il TAR accoglieva il ricorso incidentale e per l’effetto dichiarava inammissibile sia il ricorso principale che i successivi motivi aggiunti .
3.- L’odierna appellante ha impugnato la sentenza di primo grado, prospettando le seguenti censure:
a) erroneità della sentenza per aver accolto il motivo n. 2.3 del ricorso incidentale proposto dall’aggiudicataria;
b) erroneità della sentenza per la mancata disamina del primo motivo del ricorso introduttivo, con cui si deduceva la violazione del disciplinare di gara e degli artt. 24 e ss. del D.P.R. n. 207/2010, nonché dei principi di imparzialità e della par condicio tra i concorrenti ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione;
c) erroneità della sentenza per la mancata disamina del secondo motivo del ricorso introduttivo, con cui si deduceva la violazione la violazione del disciplinare di gara e dell’art. 26 del D.P.R. n. 207/2010, nonché dei principi di imparzialità e della par condicio tra i concorrenti ed eccesso di potere per difetto di istruttoria e di motivazione;
d) erroneità della sentenza per la mancata disamina dei motivi aggiunti, ritenuti inammissibili.
4.- Si sono costituite in giudizio la s.p.a. Gr., stazione appaltante, e l’aggiudicataria Ac. Scpa, in proprio e quale capogruppo mandataria dell’Ati Ac. Scpa, Ta. Spa, Ed. Costruzioni, chiedendo il rigetto dell’appello. In prossimità dell’udienza di discussione, le parti hanno depositato memorie difensive.
5. – All’udienza pubblica del 16 luglio 2015, la causa è stata trattenuta in decisione.
6.- Ritiene la Sezione che l’appello è infondato e va respinto.
6.1- Con il primo motivo, parte appellante ha dedotto l’erroneità della sentenza di primo grado per aver dichiarato inammissibile sia il ricorso principale che i motivi aggiunti, a seguito dell’accoglimento del ricorso incidentale proposto dall’aggiudicataria. In particolare con il motivo 2.3 del ricorso incidentale, accolto dal TAR, l’ATI AC. aveva dedotto la violazione delle previsioni di cui all’Allegato n. 4 della delibera del 4 febbraio 1977 del Comitato interministeriale per la tutela delle acque dall’inquinamento e delle connesse regole generali di progettazione. Infatti l’elaborato denominato “Quaderno profili altimetrici servizi di progetto”, concernente l’offerta progettuale dell’Al., prevedeva l’ubicazione della fognatura delle acque reflue al di sopra delle canalizzazioni relative ai restanti servizi oggetto dell’appalto, ivi compresi quelli relativi alla canalizzazione dell’acqua potabile in violazione del suddetto allegato n. 4, che, per gli impianti di fognatura, sancisce, al punto 8, che nel sottosuolo le reti fognarie vanno realizzate in modo tale da evitare “interferenze” con le reti di altri sottoservizi e che la loro canalizzazione deve essere tenuta debitamente distante ed al di sotto delle condotte di acqua potabile: una regola corrispondente di buona amministrazione è contenuta anche nel capitolo III, punto IV, della circolare del Ministero dei Lavori Pubblici n. 11633 del 7 gennaio 1974. L’odierna appellante deduce invece che la citata deliberazione del Comitato Interministeriale del 4 febbraio 1977 non sarebbe più in vigore, in quanto va considerata attuativa dell’art. 2 della L. 319/1976, abrogata dal D.lgs. n. 152/1999, a sua volta abrogato dall’art. 175 del D.lgs. n. 152/2006, e che in ogni caso anche nel caso di sua integrale applicazione non si sarebbe dovuta disporre la sua esclusione dalla gara.
6.2. Tale prospettazione non risulta fondata. Infatti, le norme tecniche previste dalla suindicata delibera continuano ad applicarsi anche dopo l’abrogazione della L. n. 319/1976, per effetto del D.lgs. n. 152/1999, il cui art. 62, comma 7, sancisce testualmente che, “per quanto non espressamente disciplinato dal presente decreto, continuano ad applicarsi le norme tecniche di cui alla suddetta delibera del Comitato interministeriale per la tutela delle acque del 4 febbraio 1977”. Né il quadro normativo è stato modificato dal D.lgs. n. 152/2006, che ha abrogato il D.lgs. n. 152/99, in quanto nel suddetto D.Lgs. n. 156 non è sancita alcuna testuale abrogazione delle disposizioni tecniche di dettaglio, le quali, essendo finalizzate a rendere operative la normativa di garanzia e di salvaguardia di beni fondamentali dell’ordinamento, nel cui ambito rientra anche la tutela delle acque dall’inquinamento e del territorio, non possono ritenersi tacitamente travolte dall’entrata in vigore della nuova disciplina del medesimo d.lg. n. 152 del 2006, salvi i casi, che non ricorrono nella fattispecie in esame, in cui lo jus superveniens non introduca altre norme tecniche afferenti alla medesima fattispecie. Ritiene al riguardo la Sezione che la perdurante vigenza delle sopra richiamate disposizioni di natura tecnica – sulla buona progettazione e sulla sicurezza nel posizionamento delle canalizzazione fognaria – si possa desumere dalla assenza di una chiara ed espressa loro successiva abrogazione e dalla mancata introduzione di statuizioni tecniche sostitutive in materia: accedendo alla prospettazione della società appellante, si dovrebbe ravvisare una vera e propria lacuna normativa, con conseguente inadeguata tutela del diritto alla salute, costituzionalmente tutelato, con una soluzione in contrasto anche con la ratio del nuovo quadro normativo di tutela delle acque e dell’ambiente (d.lgs. 252/2006, d.lgs. n.121/2011, la direttiva comunitaria n. 2008/99, le fattispecie penali di cui agli artt. 438-439-440-452-632-635 cod. pen.). In altri termini, una interpretazione secundum Constitutionem dell’attuale quadro normativo induce a ritenere che siano ancora vigenti le disposizioni tecniche in questione.
6.3. Per completare la disamina della prima censura, resta infine da esaminare il profilo più suggestivo, secondo cui, anche a voler ritenere in vigore le regole desumibili dalla suindicata delibera del 1977, quest’ultima, per gli impianti di fognatura, prevede non solo la statuizione del punto 8), secondo cui le canalizzazioni fognarie devono essere tenute debitamente distanti ed al di sotto delle condotte di acqua potabile, ma anche la statuizione del successivo punto 9, che, come evidenziato dalla stessa appellante nel ricorso in appello (pag. 18), sancisce che “quando per ragioni plano-altrimetriche non fosse possibile (tenere le condotte al di sopra di quelle dell’acqua potabile), devono essere adottati particolari accorgimenti al fine di evitare la possibilità di interferenze reciproche”. Ad avviso dell’appellante, una lettura coordinata dei due paragrafi renderebbe il divieto superabile con “l’adozione di particolari accorgimenti”, che la società Al. deduce di aver adottato. Ritiene la Sezione che, sotto il profilo normativo, tale premessa deduzione è di per sé pienamente condivisibile, ma non può comunque comportare l’accoglimento della censura, dovendosi dare rilevanza al contenuto del progetto presentato ed alle valutazioni formulate al riguardo dall’Amministrazione, che non possono in quanto tali essere sostituite da opposte valutazioni del Collegio. Al riguardo, rileva il dato testuale del richiamato punto 9, che attribuisce al posizionamento in deroga delle canalizzazioni fognarie – al di sopra le altre condotte – un carattere eccezionale e cioè soltanto “per ragioni plano-altimetriche”, evidenziate in grassetto dalla stessa difesa dell’appellante nel ricorso in appello. Il punto 9 pertanto ha un contenuto specifico di carattere oggettivo e preclusivo, nel senso che non può essere invocato unilateralmente (in sede amministrativa o giurisdizionale) dal concorrente partecipante alla gara, che ritenga – per una propria valutazione – di presentare un’offerta progettuale con tali caratteristiche in deroga: le “ragioni plano-altimetriche” possono essere ravvisate solo ove siano prospettate all’amministrazione e questa le abbia considerate effettivamente sussistenti. Viceversa, l’appellante solo in giudizio – e per saltum – ha rilevato la sussistenza di “difficoltà” plano altimetriche per sostenere l’applicabilità della disposizione derogatoria, senza però allegare nella sua progettazione tecnica, in sede amministrativa, alcuna prova concreta della sussistenza di ragioni obiettivamente ostative tali da legittimare la collocazione delle condotte dell’acqua fognaria ad un’altezza inferiore rispetto a quelle dell’acqua potabile, tanto che l’amministrazione non ne ha neppure ravvisato la sussistenza. Inoltre, la riprova dell’insussistenza di tali “ragioni plano-altimetriche” in senso oggettivo è data dal fatto che l’aggiudicataria ha presentato un’offerta progettuale senza necessità di avvalersi della deroga e che la stessa appellante, oltre a non averne fatto alcun cenno in sede di offerta progettuale, non ha neanche indicato alcuna altra offerta di concorrenti, partecipanti alla gara, che avessero presentato un progetto in deroga. Sotto tale profilo, neppure risulta plausibile la sussistenza di obiettive “ragioni plano-altimetriche”, tali da giustificare la presentazione di un progetto basato su una regola diversa da quella generale, disposta dal punto 8 della delibera del 1977.
6.4. Conclusivamente, il principio secondo cui le canalizzazioni fognarie devono essere tenute distanti ed al di sotto delle condotte di acqua potabile rappresenta a tutt’oggi una indiscussa regola generale della buona progettazione (la cui finalità è preordinata a scongiurare che, in caso di rottura o di perdita delle tubazioni, i reflui fognari possano raggiungere le condotte contenenti gli altri sottoservizi poste a quote inferiori) e quindi si tratta della precauzione in grado di evitare in radice il grave pericolo di contaminazioni fognarie della rete idrica, peraltro per opere da realizzare – nella specie – in zona altamente sismica, trattandosi delle infrastrutture nell’ambito urbano del centro storico della città di L’Aquila a seguito dei gravi danni subiti a seguito del devastante terremoto del 2009.
7. Per le ragioni che precedono, va confermata la declaratoria di inammissibilità del ricorso principale di primo grado, statuita dal TAR Abruzzo. La conferma della declaratoria di inammissibilità dell’appello comporta l’assorbimento anche della seconda della seconda e della terza censura dell’atto di appello. Va altresì rigettata la quarta censura, con cui l’appellante deduce l’erroneità della sentenza di primo grado per la mancata disamina dei motivi aggiunti, articolati in due profili, concernenti la gara per l’affidamento del secondo lotto dei lavori, ritenuti inammissibili dal giudice di primo grado. Al riguardo, va pure confermata l’ulteriore statuizione con cui il TAR ha dichiarato inammissibili le deduzioni, poiché si tratta di una distinta procedura di affidamento di lavori, aventi ad oggetto un altro e diverso lotto di lavori (lotto 2), in ordine al quale parte appellante non ha nè presentato domanda di partecipazione alla gara né ha proceduto ad un’autonoma impugnazione.
8.- In base alle suesposte considerazioni, l’appello va pertanto respinto. Il rigetto dell’appello comporta anche la reiezione della domanda risarcitoria, riproposta in questa sede.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 2105 del 2015, come in epigrafe proposto, lo respinge e, per l’effetto, conferma la sentenza appellata.
Condanna l’appellante s.r.l. Al. a pagare alla s.p.a. La Gr. ed all’Ati Ac. Scpa ed altri l’importo complessivo di Euro 8.000,00 (ottomila euro), da ripartire in parti uguali (quattromila euro per ciascuna), per spese ed onorari del presente grado di giudizio, oltre accessori di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 16 luglio 2015 con l’intervento dei magistrati:
Luigi Maruotti – Presidente Paolo
Giovanni Nicolo’ Lotti – Consigliere
Antonio Amicuzzi – Consigliere
Luigi Massimiliano Tarantino – Consigliere
Sabato Guadagno – Consigliere, Estensore
Depositata in Segreteria il 15 ottobre 2015
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