Cassazione Civile, sez. II, sentenza 27/03/2015 n° 6299
La Corte di cassazione ha avuto modo di ribadire il proprio orientamento in merito all'opponibilità a tutti i condomini delle clausole contenute nel regolamento condominiale che limitino il diritto di proprietà di ciascuno di essi.
Nel caso di specie era avvenuto che una serie di condomini avesse proposto un'azione nei confronti di altro condomino finalizzata ad ottenere la cessazione dell'attività alberghiera da quest'ultimo svolta in violazione di una specifica previsione del regolamento condominiale. Previsione che, espressamente, limitava alla sola destinazione abitativa tutte le unità immobiliari presenti nel condominio.
Sia il primo grado di giudizio che il secondo si concludevano con una pronuncia favorevole per gli originari attori, statuendosi l'illiceità dell'esercizio dell'attività alberghiera nell'ambito dell'edificio in questione.
Avvero la pronuncia di secondo grado la società esercente tale attività proponeva ricorso per cassazione, così consentendo alla Corte di esprimersi sulla questione.
Il ricorso era articolato in una serie di motivi di ricorso, e tuttavia quello che ha dato spunto all'enunciazione di principio più rilevante riguardava una censura inerente la circostanza secondo cui la Corte di appello non avrebbe chiarito le ragioni per le quali avrebbe ritenuto che la destinazione ad uso abitativo (espressamente prevista dalla clausola regolamentare) non potesse risultare derogata dal generico richiamo all'indistinto contenuto di pregressi atti inter vivos ivi contenuto.
In particolare, secondo la ricorrente, la Corte non avrebbe adeguatamente chiarito le ragioni in forza delle quali non si dovesse dare prevalenza, rispetto al regolamento, alle previsioni di una convenzione di lottizzazione, dalla quale emergeva la possibilità di adibire l'immobile ad una diversa destinazione.
Al riguardo, la pronuncia – al di là di evidenziare l'inammissibilità del motivo in quanto inerente questioni mai sollevate nei precedenti gradi di giudizio – ha sconfessato la tesi del ricorrente ricordando il proprio orientamento secondo cui “le clausole del regolamento condominiale di natura contrattuale, possono imporre limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà purché siano enunciate in modo chiaro ed esplicito, e sono vincolanti per gli acquirenti dei singoli appartamenti qualora, indipendentemente dalla trascrizione, nell'atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - deve ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto”.
Ebbene, nel caso di specie era stato chiarito dalla Corte d'appello che sia la destinazione abitativa degli immobili, sia l'obbligatorietà per le parti del regolamento condominiale erano state specificamente stabilite nei rogiti di vendita.
Da tale circostanza risultavano quindi chiare le limitazioni al diritto di proprietà dell'acquirente derivante dalla clausola del regolamento condominiale.
In considerazione di tali affermazioni la Corte ha dunque rigettato il motivo dedotto, così confermando che già il mero richiamo al regolamento condominiale contenuto nell'atto di compravendita fa sì che le previsioni ivi contenute siano applicabili all'acquirente, ancorché il regolamento non sia materialmente allegato al contratto.
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