mercoledì 9 dicembre 2015

L’installazione di nuovo impianto termico a seguito di distacco dal riscaldamento centralizzato nel contesto del contenimento dei consumi energetici

Articolo 1118 comma IV Codice Civile

“Il condomino può rinunciare all’utilizzo dell’impianto centralizzato di riscaldamento o di condizionamento, se dal suo distacco non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini. In tal caso il rinunziante resta tenuto a concorrere al pagamento delle sole spese per la manutenzione straordinaria dell’impianto e per la sua conservazione e messa a norma”.

IMPIANTO TERMICO

E’ opportuno delineare i contorni del contesto impiantistico nel quale si interviene. L’impianto di riscaldamento incide sia sui consumi energetici sia sull’emissione in atmosfera dei prodotti (inquinanti) della combustione. Nelle norme che disciplinano queste materie è possibile rinvenire la definizione che ci interessa. Nell’articolo 2 comma 1 lettera l-tricies del D. Lgs. 19 agosto 2005 n. 192 recante disposizioni in materia di rendimento energetico nell’edilizia, si legge quanto segue: “«impianto termico» impianto tecnologico destinato ai servizi di climatizzazione invernale o estiva degli ambienti, con o senza produzione di acqua calda sanitaria, indipendentemente dal vettore energetico utilizzato, comprendente eventuali sistemi di produzione, distribuzione e utilizzazione del calore nonché gli organi di regolazione e controllo. Sono compresi negli impianti termici gli impianti individuali di riscaldamento. Non sono considerati impianti termici apparecchi quali: stufe, caminetti, apparecchi di riscaldamento localizzato ad energia radiante; tali apparecchi, se fissi, sono tuttavia assimilati agli impianti termici quando la somma delle potenze nominali del focolare degli apparecchi al servizio della singola unità immobiliare è maggiore o uguale a 5 kW. Non sono considerati impianti termici i sistemi dedicati esclusivamente alla produzione di acqua calda sanitaria al servizio di singole unità immobiliari ad uso residenziale ed assimilate” (Lettera aggiunta dall’art. 2, comma 1, Decreto Legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla Legge 3 agosto 2013, n. 90). Da quanto sopra si desume che l’impianto è composto da 4 sottosistemi: produzione, distribuzione, regolazione ed emissione. Il primo e buona parte del secondo sono beni comuni ai sensi
dell’articolo 1117 comma 1 n. 3 Codice Civile. La parte terminale della distribuzione, ovvero dal punto di diramazione ai locali di proprietà individuale dei singoli condomini, la regolazione del calore e l’emissione dello stesso sono, invece, di proprietà individuale.
L’impianto in esame, dunque, non termina nell’unità immobiliare. Il fluido termovettore, dal tratto terminale della distribuzione comune (colonna montante), si immette nella singola unità immobiliare (parte privata) per alimentare il corpo scaldante (di proprietà individuale), rilascia il calore, e utilizzando la distribuzione comune sopra citata, ritorna (in tubazione comune) verso la fonte della produzione per essere nuovamente riscaldato. I quattro sottosistemi sono legati alle stesse sorti. Non a caso l’articolo 26 comma 5 Legge 10/1991, assegna all’assemblea attribuzioni in materia che va ad interessare una parte compresa nelle unità private. D’altro canto, con il nuovo comma IV articolo 1118 codice civile viene indicato un limite all’utilizzo del bene privato atteso il coinvolgimento di parti comuni (la rinunzia al servizio si esplica attraverso un intervento impiantistico di isolamento dalle tubazioni comuni). E’ forse questo l’”impianto unitario” indicato nel n. 3 dell’articolo 1117 Codice Civile che è comune fino “al punto di utenza”, tipologia sconosciuta prima della Riforma del Condominio.

TRASFORMAZIONE DELL’IMPIANTO CENTRALIZZATO IN IMPIANTI AUTONOMI

Appare opportuno verificare come il Legislatore ha previsto e disciplinato altri casi di interventi sull’impianto di riscaldamento nel contesto del contenimento dei consumi energetici. L’impianto di riscaldamento, se esistente dalla costruzione del condominio e salvo che il titolo non disponga diversamente, è oggetto di proprietà comune ai sensi dell’articolo 1117 del codice civile. Ne consegue che la soppressione del medesimo è di per sé preclusa, se non con il consenso di tutti i condomini, in ragione della espressa previsione di cui all’art. 1120, comma ultimo, codice civile, che vieta le innovazioni che rendano talune parti comuni inservibili all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
Una delibera di soppressione configurerebbe, infatti, non una semplice modifica, bensì una radicale trasformazione della cosa comune nella sua destinazione strutturale ed economica, obiettivamente pregiudizievole per tutte le unità immobiliari già allacciate all’impianto centralizzato (Trib. Bari Sez. III Sent., 11-11-2008; Cass. civ. Sez. II, 10-06- 1991, n. 6565). In questo panorama legislativo era intervenuta la Legge 9 gennaio 1991 n. 10 il cui articolo 26 comma 2 prevede una maggioranza speciale al fine di favorire gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento dei consumi energetici. La formulazione originaria della norma citata prevedeva una maggioranza agevolata per gli interventi indicati all’articolo 8 della stessa Legge. Tra gli interventi di cui al richiamato articolo 8, la lettera g) prevede (ancora oggi) espressamente la “trasformazione di impianti centralizzati di riscaldamento in impianti unifamiliari a gas per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria dotati di sistema automatico di regolazione della temperatura, inseriti in edifici composti da più unità immobiliari, con determinazione dei consumi per le singole unità immobiliari, escluse quelle situate nelle aree individuate dalle regioni e dalle province autonome di Trento e di Bolzano ai sensi dell’art. 6 ove siano presenti reti di teleriscaldamento”. Pertanto, sussistendo i requisiti richiesti, la legge speciale autorizzava quegli interventi che l’articolo 1120 codice civile ultimo comma vieta. Successivamente, il Legislatore, con l’articolo 7 del Decreto Legislativo 311 del 29 dicembre 2006, modificava l’articolo 26 comma 2 della Legge 10/1991 il quale così risultava: “Per gli interventi sugli edifici e sugli impianti volti al contenimento del consumo energetico ed all’utilizzazione delle fonti di energia di cui all’articolo 1, individuati attraverso un attestato di certificazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato, le pertinenti decisioni condominiali sono valide se adottate con la maggioranza semplice delle quote millesimali”.
La maggioranza è stata ulteriormente modificata, in ultimo, con la Riforma del Condominio. Oggi, per gli interventi di cui al citato articolo 26 comma 2, occorre la maggioranza degli intervenuti ed almeno un terzo del valore dell’edificio. Tornando all’articolo 26 comma 2 nella formulazione conseguente all’intervento del Legislatore nel 2006, appaiono subito evidenti le seguenti importanti modifiche apportate:
  1. non vi è più alcun riferimento agli interventi indicati nell’articolo 8 (tra i quali, si ricorda, la trasformazione di impianti di riscaldamento centralizzato in impianti unifamiliari a gas per il riscaldamento e la produzione di acqua calda sanitaria); Quindi, a seguito della soppressione del richiamo all’articolo 8, il quale, però, non è stato né abrogato né modificato sul punto, ci si chiede se sia o meno ancora possibile sopprimere il riscaldamento centralizzato e prevedere l’installazione di impianti autonomi. Lo stesso legislatore del 2006 che ha modificato il richiamo all’articolo 8, non ha però modificato le definizioni contenute nel D. Lgs. 192/2005. Infatti, all’allegato A, numero 43, viene considerata ristrutturazione di un impianto termico l’insieme di opere che comportano la modifica sostanziale sia dei sistemi di produzione che di distribuzione ed emissione del calore, precisando che rientrano in questa categoria anche la trasformazione di un impianto termico centralizzato in impianti termici individuali. Lo stesso allegato è stato oggetto di ulteriori interventi legislativi, ma tale definizione non è mai stata modificata. Si consideri anche che il D. Lgs. 115/2008, all’allegato II, punto 4, comma 2, nel dettare disposizioni in materia di Contratto di Servizio Energia, vieta espressamente la trasformazione di un impianto di climatizzazione centralizzato in impianti di climatizzazione individuali. Verrebbe da leggere l’ultima disposizione riportata nel senso che, nel caso esaminato, viene vietato ciò che è consentito, diversamente non avrebbe avuto senso prevedere tale disposizione laddove già non fosse stato possibile procedere in questo modo. Dall’esame di quanto sopra e dalla mancata abrogazione dell’articolo 8 della legge 10/1991 (il quale prevede contributi in conto capitale a sostegno dell’utilizzo delle fonti rinnovabili di energia nell’edilizia, riferiti ad interventi possibili), viene da ritenere che non sia vietata la trasformazione dell’impianto centralizzato in impianti autonomi. La stessa, però, deve essere supportata da una diagnosi energetica o da un attestato di prestazione energetica ai sensi del più volte richiamato articolo 26 comma 2 legge 10/1991. Nel caso in cui i predetti documenti dovessero dimostrare che l’intervento vada a contenere i consumi energetici, si ritiene che lo stesso potrà essere validamente deliberato dall’assemblea con la maggioranza prevista dalla Riforma (maggioranza degli intervenuti ed almeno 1/3 del valore dell’edificio). In questo senso si è pronunciato anche il Tribunale Palermo, Sez. II con sentenza del 29.03.2012.
  2. gli interventi sugli edifici e sugli impianti, per godere della maggioranza agevolata, devono essere individuati attraverso un attestato di prestazione energetica o una diagnosi energetica realizzata da un tecnico abilitato. Non pare vi sia quindi un divieto assoluto di trasformazione, ma la possibilità viene subordinata alla produzione di una perizia tecnica che ne attesti l’impossibilità della conservazione. I documenti citati, se corretta fosse la lettura sopra riportata, dovrebbero dimostrare che il miglior impianto centralizzato progettato per consentire al massimo, in base allo stato della scienza e della tecnica, il contenimento dei consumi energetici, consumerebbe maggior energia dell’insieme dei migliori impianti autonomi a parità di funzionamento (massimo delle ore giornaliere consentite per una temperatura di 20 gradi). In epoca antecedente alla modifica del 2006, infatti, l’elencazione tassativa agli interventi di cui all’articolo 8, era resa necessaria dalla mancanza di altro strumento che individuasse le attività che effettivamente avrebbero perseguito gli obbiettivi della Legge 10/1991. Gli strumenti utili (Diagnosi Energetica e Attestato di Certificazione Energetica, poi divenuto Attestato di Prestazione Energetica) sono però stati introdotti dal D.Lgs. 192/2005. Si rendeva pertanto inutile il richiamo all’articolo 8 per l’individuazione delle opere “premiate” dalla maggioranza agevolata. Infatti, con uno dei due documenti era possibile sapere se e quanto l’intervento previsto avrebbe effettivamente permesso il risparmio energetico. In ultimo, prima di tornare alla trattazione oggetto del presente studio, è il caso di sottolineare che la possibilità di intervenire sull’impianto centralizzato del riscaldamento in modo così importante, è stato disciplinato in una Legge avente ad oggetto il contenimento dei consumi energetici. In questo contesto (e non nel codice civile), pertanto, il Legislatore è intervenuto

IL CONTESTO EUROPEO AL MOMENTO DELL’APPROVAZIONE DELLA LEGGE 220/2012

L’impianto di riscaldamento pone sulla bilancia, quale contrappeso al comfort generato dal calore, il conseguente consumo energetico e l’emissione in atmosfera dei prodotti (inquinanti) della combustione. Al momento dell’approvazione della Legge 220 del 2012, il panorama europeo e nazionale vedeva un forte impegno per la riduzione del consumo energetico e dell’emissione di gas responsabili del così detto effetto serra. In questo senso venivano emanate, tra le altre, la Direttiva 2010/31/UE del 19 maggio 2010 del Parlamento Europeo e del Consiglio e la Direttiva 2012/27/UE del 25 ottobre 2012 del Parlamento e del Consiglio. Oltre a ciò, il Consiglio Europeo dell’8 e del 9 marzo 2007, ha sottolineato la necessità di aumentare l’efficienza energetica nell’Unione per conseguire l’obiettivo di ridurre del 20% il consumo energetico dell’Unione entro il 2020. A tal fine il Parlamento Europeo, nella risoluzione del 3 febbraio 2009, ha chiesto di rendere vincolante tale obiettivo di miglioramento dell’efficienza energetica.
Anche sul fronte delle emissioni in atmosfera sono state prese ferme posizioni. Infatti, la decisione n. 406/2009/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 aprile 2009, concernente gli sforzi degli
Stati membri per ridurre le emissioni dei gas a effetto serra al fine di adempiere agli impegni della Comunità in materia di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra entro il 2020, fissa obiettivi nazionali vincolanti di riduzione delle emissioni di CO2 per i quali l’efficienza energetica nel settore edilizio riveste importanza cruciale. Inoltre, l’Unione si trova di fronte a sfide senza precedenti determinate da una maggiore dipendenza dalle importazioni di energia, dalla scarsità di risorse energetiche, nonché dalla necessità di limitare i cambiamenti climatici e di superare la crisi economica. L’efficienza energetica è stata riconosciuta quale valido strumento per affrontare tali sfide. Le conclusioni del Consiglio Europeo del 4 febbraio 2011 hanno riconosciuto che l’obiettivo di
efficienza energetica dell’Unione non è in via di realizzazione e che sono necessari interventi decisi per cogliere le notevoli possibilità di risparmio energetico anche nel settore dell’edilizia. L’8 marzo 2011 la Commissione ha confermato che l’Unione non è sulla buona strada per conseguire il proprio obiettivo di efficienza energetica. Le conclusioni del Consiglio del 10 giugno 2011 sul piano di efficienza energetica 2011, hanno sottolineato che gli immobili rappresentano il 40% del consumo finale di energia dell’Unione. Inoltre, gli edifici sono stati ritenuti fondamentali per conseguire l’obiettivo dell’Unione di ridurre dell’80-95% le emissioni di gas serra entro il 2050 rispetto al 1990.
Pertanto, la riduzione del consumo energetico nel settore dell’edilizia costituisce una misura importante e necessaria per ridurre la dipendenza energetica dell’Unione e le emissioni di gas a effetto serra. Le misure adottate consentirebbero all’Unione di conformarsi al protocollo di Kyoto (del quale l’Italia è Paese sottoscrittore) allegato alla convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) e di rispettare sia l’impegno a lungo termine di mantenere l’aumento della temperatura globale al di sotto di 2 °C, sia l’impegno di ridurre entro il 2020 le emissioni globali di gas a effetto serra di almeno il 20% di cui si è fatto cenno. Un’utilizzazione efficace, accorta, razionale e sostenibile dell’energia riguarda, tra l’altro, i prodotti petroliferi, il gas naturale e i combustibili solidi, che, pur costituendo fonti essenziali di energia, sono anche le principali sorgenti delle emissioni di biossido di carbonio.
Appare necessario accennare al fatto che il Decreto Legislativo 192/2005 sull’efficienza energetica nell’edilizia è stato modificato successivamente all’entrata in vigore della Riforma, con la Legge 90/2013 (che ha convertito in legge il Decreto Legge 63/2013) proprio in recepimento della Direttiva 2010/31/UE. Inoltre, il D. Lgs. 4 luglio 2014 n. 102 (in recepimento della Direttiva 2012/27/UE, già pubblicata al momento dell’approvazione della Legge 220/2012, che vuole perseguire quegli obbiettivi sopra citati), costituisce un ulteriore intervento legislativo in materia.

IL DISTACCO NELLA RIFORMA DEL CONDOMINIO

Nel contesto normativo Europeo e Nazionale sopra riportato, non può sfuggire all’attenzione dell’interprete che il legislatore italiano, nell’introdurre il comma IV all’articolo 1118 del Codice Civile, autorizzando di fatto l’installazione nell’edificio di un ulteriore impianto di riscaldamento in aggiunta a quello centralizzato, ha posto quali condizioni unicamente l’assenza di notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini, senza porre attenzione alla questione dei consumi energetici ed all’emissione in atmosfera dei prodotti della combustione.
A differenza dalla trasformazione dall’impianto centralizzato in impianti autonomi, in questo caso, pur intervenendo sull’impianto centralizzato, il Legislatore ha ritenuto di intervenire modificando il Codice Civile e non inserendo tale norma nelle leggi aventi ad oggetto il contenimento dei consumi energetici che, tra l’altro, tanta attenzione pongono sull’impianto di riscaldamento per le motivazioni sopra riportate.

Ristrutturazione

Prima di addentrarsi nell’esame della questione, occorre ricordare che le norme di riferimento definiscono quale “ristrutturazione” il distacco dall’impianto centralizzato: Allegato A n. 43, D.Lgs. 192/2005 per «ristrutturazione di un impianto termico», deve intendersi “l’insieme di opere che comportano la modifica sostanziale sia dei sistemi di produzione che di distribuzione ed emissione del calore; rientrano in questa categoria anche la trasformazione di un impianto termico centralizzato in impianti termici individuali nonché la risistemazione impiantistica nelle singole unità immobiliari, o parti di edificio, in caso di installazione di un impianto termico individuale previo distacco dall’impianto termico centralizzato”. Dalla definizione emerge l’importanza che il Legislatore riconosce a tale intervento.

Il notevole squilibrio

Accertato che è diritto del condomino di procedere al distacco dal riscaldamento centralizzato, la nuova norma indica quali sono le condizioni affinché tale diritto possa essere esercitato:
a) l’assenza di notevoli squilibri di funzionamento,
b) l’assenza di aggravi di spesa per gli altri condomini.
In presenza anche di uno solo dei casi sopra prospettati, il distacco non potrà avere luogo. L’aggettivo “notevole” lascia però indeterminato il limite della prima condizione. Si è portati a ritenere che lo squilibrio non sia quello termico, cioè la differenza di calore tra unità immobiliari (Cassazione Civile, Sez. II, 27.05.2011 n. 11857), ma quello impiantistico. Non vi sono elementi per pensare che lo “squilibrio” sia riferito ai consumi energetici (anche perché, se così fosse, ci si troverebbe di fronte ad una Legge che ammetterebbe un notevole peggioramento dei consumi, il che potrebbe portare anche a profili di incostituzionalità).

Dimensionamento dell’impianto

E’ opportuno richiamare in questa sede l’articolo 26 comma 3 della Legge 10/1991 secondo il quale “gli edifici pubblici e privati, qualunque ne sia la destinazione d’uso, e gli impianti non di processo ad essi associati (l’impianto di riscaldamento è un impianto “non di processo” -ndr-) devono essere progettati e messi in opera in modo tale da contenere al massimo, in relazione al progresso della tecnica, i consumi di energia termica ed elettrica”. La norma, quindi, prevede non solo l’obbligatorietà del progetto ma, soprattutto, che lo stesso sia realizzato in modo tale da raggiungere l’obbiettivo di contenere al massimo i consumi sulla base di quanto la scienza e la tecnica, al momento della progettazione, consentono. Il distacco dall’impianto comporta un sovradimensionamento nel senso che, progettato con una potenza tale da servire un certo numero di unità immobiliari, successivamente ne deve servire una o due o tre (o più ancora) in meno. Riducendo il numero delle unità servite, potrebbe essere sufficiente un impianto meno potente e, quindi, di presumibile minor consumo energetico. Tale possibilità, però, è preclusa in quanto il distaccato conserva la proprietà dell’impianto e la possibilità di riallacciarsi in qualunque momento. Se i condomini procedessero a ridurre la potenza dell’impianto, in caso di riallaccio non sarebbe possibile garantire lo stesso comfort a tutti in quanto non idoneo. Oltre che sovradimensionato, l’impianto avrà anche, presumibilmente, un calo di rendimento. Il Parlamento Europeo ha dedicato particolare attenzione al rendimento ed al dimensionamento. Infatti, l’articolo 14 della Direttiva 2010/31/UE prevede che gli Stati membri debbano adottare le misure necessarie per prescrivere ispezioni periodiche che devono includere una valutazione del rendimento della caldaia e del suo dimensionamento rispetto al fabbisogno termico dell’edificio. La valutazione del dimensionamento della caldaia non dev’essere ripetuta se nel frattempo non sono state apportate modifiche all’impianto di riscaldamento in questione o con riguardo al fabbisogno termico dell’edificio. Si ricorda che il  distacco è equiparato ad una “ristrutturazione” e, pertanto, rientrerebbe nel caso previsto dalla Direttiva citata.

REQUISITI MINIMI PRESTAZIONALI AI FINI DEL CONTENIMENTO DEL CONSUMO ENERGETICO

Premesso quanto sopra, è ora possibile entrare nel merito di quanto ha occupato il Centro Studi Nazionale: il distacco, così come disciplinato dal Codice Civile, nel contesto delle Leggi in materia di contenimento dei consumi energetici. Il D. Lgs. 192/2005 prevede, ai fini del contenimento dei consumi energetici, per quanto riguarda i requisiti minimi prestazionali, un’applicazione graduale in relazione al tipo di intervento. L’articolo 3 dello stesso decreto, ai commi 1 e 2, prevede che nel caso di ristrutturazione di edifici esistenti, e per quanto riguarda i requisiti minimi prestazionali di cui all’articolo 4 dello stesso Decreto, è prevista un’applicazione graduale in relazione al tipo di intervento. A tale fine, è prevista una applicazione limitata al rispetto di specifici parametri, livelli prestazionali e prescrizioni, nel caso di interventi su edifici esistenti, quali, tra gli altri, la nuova installazione di impianti termici in edifici esistenti o ristrutturazione degli stessi impianti quale è, nel caso che interessa, il distacco dall’impianto centralizzato di riscaldamento e conseguente installazione di impianto autonomo (Articolo 3 comma 2 lettera c numero 2 D. Lgs. 192/2005).
Conseguentemente, l’articolo 4 comma 5 D.P.R. 59/2009 (oggi abrogato e non più in vigore dal 1 ottobre 2015), in attuazione del D. Lgs. 192/2005, prevedeva, tra l’altro, che in caso di ristrutturazione di impianti termici o sostituzione di generatori di calore, previsti all’articolo 3, comma 2, lettera c), numeri 2) e 3), del D. Lgs. 192/2005 (secondo il quale, come detto, in questi casi è obbligatorio il rispetto di specifici parametri, livelli prestazionali e prescrizioni), occorreva procedere al calcolo del rendimento globale medio stagionale dell’impianto termico e alla verifica che lo stesso risultasse superiore al valore limite riportato al punto 5 dell’allegato C al Decreto Legislativo. Tuttavia, successivamente all’installazione del nuovo impianto termico a seguito di ristrutturazione di impianto esistente a seguito di distacco, nell’edificio vi sono più impianti termici. Il calcolo, invece, andava effettuato solo in riferimento al nuovo impianto termico e non su tutti gli impianti termici compresi nell’edificio.
IL DPR 59/2009 è stato abrogato dall’articolo 16 comma 4-bis del D. Lgs. 192/2005, Comma aggiunto dall’articolo 13, comma 1, Decreto Legge 4 giugno 2013, n. 63, convertito, con modificazioni, dalla Legge 3 agosto 2013, n. 90. In data 1 ottobre 2015 è quindi entrato in vigore il
Decreto del Ministero dello Sviluppo Economico del 26 giugno 2015 recante “Applicazione delle metodologie di calcolo delle prestazioni energetiche e definizione delle prescrizioni e dei requisiti minimi degli edifici”, funzionale alla piena attuazione della direttiva 2010/31/UE, e in particolare degli articoli 3 e 4. Il citato D.M. è emanato ai sensi dell’articolo 4, comma 1, D.Lgs. 192/2005 che prevede che con uno o più decreti siano definite le modalità di applicazione della metodologia di calcolo delle prestazioni energetiche e l’utilizzo delle fonti rinnovabili negli edifici, delle prescrizioni e dei requisiti, in relazione ai paragrafi 1 e 2 dell’allegato I della predetta direttiva 2010/31/UE sulla prestazione energetica nell’edilizia, tenendo conto dei criteri generali riportati allo stesso art. 4, comma 1, lettere a) e b) del Decreto Legislativo citato. Ai sensi dell’articolo 1 del D.M. citato e, in particolare, il riferimento alle ristrutturazioni di cui al comma 2, il contenuto dello stesso trova applicazione al caso che ci occupa:
“Comma 1: Il presente decreto definisce le modalità di applicazione della metodologia di calcolo delle prestazioni energetiche degli edifici, ivi incluso l’utilizzo delle fonti rinnovabili, nonché le prescrizioni e i requisiti minimi in materia di prestazioni energetiche degli edifici e unità immobiliari, nel rispetto dei criteri generali di cui all’art. 4, comma 1, del decreto legislativo 19 agosto 2005, n.192, come riportati nell’Allegato 1.
Comma 2: I criteri generali di cui al comma 1 si applicano agli edifici pubblici e privati, siano essi edifici di nuova costruzione o edifici esistenti sottoposti a ristrutturazione.” Il capitolo 5 dell’Allegato 1 del riportato Decreto Ministeriale, trova applicazione al caso oggetto di studio in quanto ha ad oggetto requisiti e prescrizioni specifici per gli edifici esistenti sottoposti a riqualificazione energetica come definita all’articolo 2, comma 1, lettere l-vicies ter) del decreto legislativo 192/2005, appartenenti alle categorie definite in base alla destinazione d’uso di cui al paragrafo 1.2 del Capitolo 1, fatte salve le eccezioni espressamente indicate.

Viene qui di seguito riportata la definizione di «riqualificazione energetica di un edificio»: 

un edificio esistente è sottoposto a riqualificazione energetica quando i lavori in qualunque modo denominati, a titolo indicativo e non esaustivo: manutenzione ordinaria o straordinaria, ristrutturazione e risanamento conservativo, ricadono in tipologie diverse da quelle indicate alla lettera l-vicies quater) (la frase è quella riportata nel testo di Legge – ndr -) Per comodità di lettura si riporta la definizione richiamata: (l-vicies quater) «ristrutturazione importante di un edificio»: un edificio esistente è sottoposto a ristrutturazione importante quando i lavori in qualunque modo denominati (a titolo indicativo e non esaustivo: manutenzione ordinaria o straordinaria, ristrutturazione e risanamento conservativo) insistono su oltre il 25 per cento della superficie dell’involucro dell’intero edificio, comprensivo di tutte le unità immobiliari che lo costituiscono, e consistono, a titolo esemplificativo e non esaustivo, nel rifacimento di pareti esterne, di intonaci esterni, del tetto o dell’impermeabilizzazione delle coperture). Il capitolo 5.3 avente ad oggetto “Requisiti e prescrizioni per la riqualificazione degli impianti tecnici” prevede quanto segue:
  1. Nel caso di ristrutturazione o di nuova installazione di impianti termici di potenza termica nominale del generatore maggiore o uguale a 100 kW, ivi compreso il distacco dall’impianto centralizzato anche di un solo utente/condomino, deve essere realizzata una diagnosi energetica dell’edificio e dell’impianto che metta a confronto le diverse soluzioni impiantistiche compatibili e la loro efficacia sotto il profilo dei costi complessivi (investimento, esercizio e manutenzione). La soluzione progettuale prescelta deve essere motivata nella relazione tecnica di cui al paragrafo 2.2, sulla base dei risultati della diagnosi. La diagnosi energetica deve considerare, in modo vincolante ma non esaustivo, almeno le seguenti opzioni:
a) impianto centralizzato dotato di caldaia a condensazione con contabilizzazione e termoregolazione
del calore per singola unità abitativa;
b) impianto centralizzato dotato di pompa di calore elettrica o a gas con contabilizzazione e termoregolazione del calore per singola unità abitativa;
c) le possibili integrazioni dei suddetti impianti con impianti solari termici;
d) impianto centralizzato di cogenerazione;
e) stazione di teleriscaldamento collegata a una rete efficiente come definita al decreto legislativo n. 102 del 2014;
f) per gli edifici non residenziali, l’installazione di un sistema di gestione automatica degli edifici e degli impianti conforme al livello B della norma EN15232.

Poichè la nuova installazione a seguito di distacco è considerata “ristrutturazione di un impianto termico”, verrebbe da intendere che il limite di 100 kW sia riferito all’impianto centralizzato e non al
nuovo impianto a seguito del distacco. Deve però essere precisato che la Diagnosi Energetica non è un requisito per poter procedere al distacco. La stessa, infatti, riguarda solo la successiva installazione di nuovo impianto termico. Infatti, i requisiti sono quelli indicati nell’articolo 1118 comma IV codice civile e non possono essere integrati da altra norma di rango inferiore. Ne consegue che in caso di mancata realizzazione della diagnosi, l’operazione di installazione potrà comunque essere effettuata ma il progettista incorrerà nella sanzione amministrativa di cui all’articolo 15 commi 1 e 2 del D. Lgs. 192/2005. La nuova installazione di impianto termico conseguente al distacco, potrà avere luogo anche se la diagnosi energetica dovesse dimostrare la non convenienza sotto il profilo del risparmio energetico. Il successivo punto 5.3.1 prevede quanto segue:
5.3.1 Impianti di climatizzazione invernale 1. Fermo restando il rispetto dei requisiti minimi definiti dai regolamenti comunitari emanati ai sensi della direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE, nel caso di nuova installazione di impianti termici di climatizzazione invernale in edifici esistenti, o ristrutturazione dei medesimi impianti o di sostituzione dei generatori di calore, compresi gli impianti a sistemi ibridi, si applica quanto previsto di seguito:
a) calcolo dell’efficienza media stagionale dell’impianto termico di riscaldamento e verifica che la stessa risulti superiore al valore limite calcolato utilizzando i valori delle efficienze fornite in Appendice A per l’edificio di riferimento;
b) installazione di sistemi di regolazione per singolo ambiente o per singola unità immobiliare, assistita da compensazione climatica;
c) nel caso degli impianti a servizio di più unità immobiliari, installazione di un sistema di contabilizzazione diretta o indiretta del calore che permetta la ripartizione dei consumi per singola unità immobiliare; (omissis)”
Da quanto sopra emerge che, in caso di installazione di nuovo impianto termico conseguente al distacco, devono essere rispettati i requisiti minimi definiti dai regolamenti comunitari emanati ai sensi della direttive 2009/125/CE e 2010/30/UE. La formulazione della norma, però, sembra faccia riferimento al nuovo impianto sorto a seguito del distacco dall’impianto centralizzato e non ai risultati che potrebbero emergere considerando l’impianto centralizzato e tutti gli impianti autonomi conseguenti al distacco.

LE CONCLUSIONI DEL CENTRO STUDI NAZIONALE

Il distacco è stato inserito nel Codice Civile e non, a differenza della trasformazione da centralizzato in impianti autonomi, nella legge avente ad oggetto il contenimento dei consumi energetici. Le conseguenze dell’installazione di nuovo impianto termico successivamente al distacco di cui all’articolo 1118 comma IV codice civile, ai fini del contenimento dei consumi energetici e delle emissioni in atmosfera dei prodotti inquinanti (gas effetto serra) va quindi effettuata ricorrendo alla normativa di settore. Tale attività rientra nella definizione di “ristrutturazione dell’impianto termico”, con tutte le conseguenze che da ciò ne deriva. Dall’interpretazione della norma, sembrerebbe che il rispetto dei requisiti minimi sia riferito al nuovo impianto senza considerare lo stesso in aggiunta all’impianto centralizzato esistente. Parrebbe quindi di ritenere che il Legislatore non abbia fatto riferimento al consumo energetico dell’edificio. Quest’ultimo prima era servito da un solo impianto centralizzato. Successivamente al distaccoristrutturazione, nell’edificio vi potrebbero essere molti altri impianti che si sono aggiunti. Il rispetto dei requisiti minimi sarebbe riferito a ciascuno di essi e non a tutti nel loro insieme. Si potrebbe quindi avere il caso in cui successivamente all’installazione dei nuovi impianti conseguentemente al distacco, per riscaldare lo stesso edificio possa occorrere un maggior consumo energetico e una maggiore emissione in atmosfera dei prodotti inquinanti. Questa circostanza, però, non verrebbe rilevata posto che il rispetto dei requisiti minimi, se fosse corretta la lettura delle norme, è riferito ai singoli impianti. Poichè, teoricamente, i distacchi potrebbero essere superiori rispetto a quelli ancora allacciati, non vi sarebbe mai un momento di verifica. Nel caso della trasformazione dell’impianto centralizzato in impianti autonomi, il legislatore, che aveva introdotto questa disciplina in una legge avente ad oggetto il contenimento dei consumi energetici, aveva subordinato la fattibilità dell’intervento ad una diagnosi energetica o a un Attestato di Prestazione Energetica. In caso di nuova installazione successiva al distacco, invece, viene a mancare la visione di insieme dei consumi energetici e delle emissioni in atmosfera dell’edificio che, successivamente alle nuove installazioni, potrebbe essere maggiore rispetto a prima. Oltre a quanto sopra, vi potrebbe essere un sovradimensionamento dell’impianto centralizzato con conseguente maggior dispendio di energia. Anche quest’ultima, con l’attuale normativa, non verrebbe considerata nel bilancio complessivo dell’intero edificio.


Fonte: Amministrare Immobili

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