giovedì 10 dicembre 2015

Supercondominio: come si configura in giurisprudenza?


L'assetto giurisprudenziale

Nella disciplina anteriore al 18 giugno 2013 (data di entrata in vigore della riforma ex legge n. 220/2012) era consolidato l'orientamento della giurisprudenza nel senso che la situazione di c.d. supercondominio si costituiva di diritto in virtù del fatto obiettivo che singoli edifici, costituiti in altrettanti condominii, avevano in comune taluni beni od impianti legati, attraverso la relazione di accessorio a principale, con gli edifici medesimi e perciò appartenenti, pro quota, ai proprietari delle singole unità immobiliari comprese nei diversi fabbricati, non era, quindi, necessaria, per la nascita del supercondominio, alcuna manifestazione di volontà, da parte dell'originario costruttore o di tutti i proprietari o dell'assemblea (Case., II, 14 novembre 2012, n. 19939, Arc. Loc., 2013, 165, Case., II, 17 agosto 2011, n. 17332, Case., II, 31 gennaio 2008, n. 2305, Riv. Not., 2008, II, 863, con nota di Musolino, Riv. Giur. Edil., 2008, I, 1003, con nota di De Tilla; Nuova Giur.Civ., 2008, I, 797, con nota di Esposito). In altri termini, era l'architettura a fare il supercondominio piuttosto che la volontà espressa dai proprietari.
Si sono, quindi, configurati supercondominii in relazione ad una pluralità di edifici, ciascuno con una propria autonomia strutturale e funzionale, ma aventi in comune taluni beni, impianti e relativi servizi, come l'impianto centrale di riscaldamento, il sistema di scarico delle acque, l'alloggio del portiere, il cortile, i viali di accesso, l'area di parcheggio ecc... La gestione dl tali beni condivisi è stata ritenuta soggetta alla stessa disciplina prevista per il condominio, con riconoscimento della veste di partecipante a ciascun titolare della proprietà di unità immobiliari inserite in ogni edificio, ll supercondominio era, quindi, una situazione di Speciale comunione fra tutti i condomini e non tra condominii, tra tutti i proprietari e non tra edifici, al punto che la Cassazione escludeva che, sia pure all'unanimità ed in sede contrattuale, i condomini di ogni edificio potessero prevedere di farsi rappresentare in assemblea dall'amministratore.
(secondo, infatti, Case., II, 6 dicembre 2001, n. 15476, Riv. Gaur. Edil., 2002, I, 310, Vita Not, 2002, I, 314, Foro it., I, 2002, I, 1066, è nulla la clausola del regolamento di condominio, pur avente natura contrattuale, che deleghi all'amministratore la rappresentanza in assemblea supercondominiale).
Una diversa considerazione era riservata a quei beni, come le attrezzature sportive, gli spazi d'intrattenimento, i locali di centri commerciali inclusi nel comprensorio comune (Cats., II, 18 aprile 2005, n. 8066, Giust. Civ., 2006, I, 915, Case., II, 3 ottobre 2003, n. 14791, Foro it., 2004, I, 487, in conformità a quanto sostenuto, in dottrina, da Corona) sulla base della considerazione che tali beni avessero una loro autonomia, strutturale e funzionale, tale da escludere quel nesso di accessorietà necessaria, rispetto alle unità immobiliari in proprietà esclusiva, che giustificava l'applicazione del regime proprio del condominio, per tali beni, quindi, si configurava una situazione di comunione ordinaria, non di condominio (c.d. teoria del doppio regime).



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