La Corte e stata chiamata a pronunciarsi sulla invocata responsabilità di una società che gestiva un immobile, all'interno del quale uno studente, scendendo le scale e non vedendo l'ultimo gradino, cadeva a terra riportando la distorsione della caviglia. Tale responsabilità veniva negata in primo e secondo grado, in particolare la Corte d'Appello riteneva non provato il nesso causale sotto il profilo dell'obiettiva situazione di pericolosità tra la cosa in custodia e la caduta.
La sentenza della Cassazione chiarisce che, "se la cosa in custodia è di per sé statica e inerte e richiede che l'agire di chi la utilizza si unisca al suo modo d'essere, è necessario, per ottenere il risarcimento dei danni, che lo stato dei luoghi sia tale da rendere potenzialmente dannosa l'utilizzazione della stessa".
La responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia è oggettivamente configurabile solo qualora la cosa custodita sia di per sé idonea a sprigionare un'energia o una dinamica interna alla sua struttura, tale da provocare il danno.
Per la Suprema Corte dunque, solo fornendo la prova del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, diventa onere del custode tentare di esonerarsi da responsabilità dimostrando l'eventuale caso fortuito. Nel caso di caduta da una scala va quindi dimostrato (a carico del danneggiato) che la stessa è scivolosa o presenta altre irregolarità, con la precisazione che anche il verbo "scivolare" non implica necessariamente che ad essere scivoloso sia il supporto, essendo ben possibile che la causa della caduta sia rinvenuta nella scivolosità delle scarpe. In tale ultimo caso la responsabilità della caduta rimarrebbe in capo al danneggiato.
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