Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza
28 aprile – 10 maggio 2016, n. 9449
Presidente Rovelli – Relatore Petitti
Un contrasto giurisprudenziale sul quale, da molti
mesi, si attendeva una pronuncia che lo appianasse.
Sul punto le Sezioni Unite si erano già pronunciate
nell’ormai lontano 1997, con sentenza n.2672, ove si affermava: “poiché il lastrico solare
dell’edificio (soggetto al regime del condominio)
svolge la funzione di copertura del fabbricato anche
se appartiene in proprietà superficiaria o se è
attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini,
all’obbligo di provvedere alla sua riparazione o
alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini,
in concorso con il proprietario superficiario o
con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto,
dei danni cagionati all’appartamento sottostante
per le infiltrazioni d’acqua provenienti dal
lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione,
rispondono tutti gli obbligati inadempienti alla
funzione di conservazione, secondo le proporzioni
stabilite dal citato art. 1126, vale a dire, i condomini
ai quali il lastrico serve da copertura, in
proporzione dei due terzi, e il titolare della proprietà
superficiaria o dell’uso esclusivo, in ragione
delle altre utilità, nella misura del terzo residuo”.
Per molti anni gli operatori del diritto e gli amministratori
si erano attenuti a tale indirizzo, anche
se la giurisprudenza e la dottrina degli anni
successivi, aveva individuato comunque soluzioni
contrastanti: “La sentenza ora richiamata non ha
uniformato la giurisprudenza successiva, essendosi
registrate decisioni (Cass. n. 6376 del 2006;
Cass. n. 642 del 2003; Cass. n. 15131 del 2001;
Cass. n. 7727 del 2000) che hanno ricondotto
la vicenda in esame all’ambito di applicazione
dell’art. 2051 cod. civ.. Si è, infatti, sostenuto
che il condominio di un edificio, quale custode
dei beni e dei servizi comuni, essendo obbligato
ad adottare tutte la misure necessarie affinché le
cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno,
risponde, in base al disposto dell’art. 2051 cod.
civ., dei danni da queste cagionati alla porzione
di proprietà esclusiva di uno dei condomini. Secondo
questo indirizzo, dunque, la legittimazione
passiva del condominio sussiste anche per quanto
riguarda i danni subiti dai singoli condomini
(Cass. n. 6849 del 2001; Cass. n. 643 del 2003),
in quanto, a tal fine, i criteri di ripartizione delle
spese necessarie (ex art. 1126 cod. civ.) non incidono
sulla legittimazione del condominio nella
sua interezza e del suo amministratore, comunque
tenuto a provvedere alla conservazione dei diritti
inerenti alle parti comuni dell’edificio ai sensi
dell’art. 1130 cod. civ. (Cass. n. 3676 del 2006;
Cass. n. 5848 del 2007; Cass. n. 4596 del 2012).”
La Seconda Sezione civile della Corte, con la ordinanza
interlocutoria n. 13526 del 2014, ha rimesso
la questione alle Sezioni Unite, sollevando
diverse perplessità e in particolare: “Il Collegio
ha condiviso gli orientamenti critici della dottrina
e della giurisprudenza discordante e ha ritenuto
condivisibile la tesi che sostiene la responsabilità
ex art. 2051 cod. civ., sottolineando, in particolare,
l’indebita applicazione degli artt. 1123 e 1126
cod. civ., che vengono interpretati dalla sentenza
del 1997, non più come norme che disciplinano
la ripartizione delle spese interne, ma come fonti
da cui scaturiscono le obbligazioni propter rem.
Nell’ordinanza interlocutoria vengono individuati
i seguenti passaggi qualificanti dell’orientamento
criticato delle S.U. del 1997: 1. l’esclusione, in
via di principio, che la responsabilità per danni
prodotti nell’appartamento sottostante dalle infiltrazioni
d’acqua provenienti dal lastrico solare
per difetto di manutenzione si ricolleghi al disposto
dell’art. 2051 cod. civ.; 2. l’affermazione che
“dall’art. 1123 e dall’art. 1126 cod. civ. discendono
obbligazioni poste dalla legge a carico ed a
favore dei condomini dell’edificio, da qualificare
come obbligazioni propter rem di cui i partecipanti
al condominio sono ad un tempo soggetti attivi
e soggetti passivi”; 3. la deduzione da tali premesse
che “le obbligazioni reali di conservazione
riguarderebbero tutti i rapporti reali inerenti, con
la conseguenza che la susseguente responsabilità
per inadempimento concerne i danni arrecati ai
beni costituenti il fabbricato”; 4. l’assimilazione
delle “condizioni materiali di dissesto e di degrado
del lastrico” come species dell’unico concetto
tecnico “di difetto di manutenzione” e quale
coincidente conseguenza “dell’inadempimento
delle obbligazioni propter rem”; 5. la conclusione
per cui la responsabilità e il risarcimento dei
danni sono regolati secondo gli stessi criteri di
imputazione e di ripartizione, cioè quelli prescritti
dall’art. 1126 cod. civ.”
Nel provvedimento di remissione si osserva che “il
fatto costitutivo dell’illecito risale alla condotta
omissiva o commissiva dei condomini, che fonda
una responsabilità aquiliana, la quale deve essere
scrutinata secondo le rispettive colpe dei condomini
e, in caso di responsabilità condominiale,
secondo i criteri millesimali, senza utilizzare la
normativa coniata ad altro fine”.
In sostanza, afferma la sezione che ha sollevato
il contrasto, se vi è stata omessa manutenzione
del lastrico dal quale deriva danno, tale omessa
manutenzione deve essere ricondotta all’obbligo
di custodia che grava su tutti i condomini ex art.
2051 cod.civ., le conseguenze che ne derivano
devono essere ascritte alla categoria del fatto
illecito relativo ad una parte comune e di tale illecito dovranno rispondere tutti i condomini
che ne sono responsabili per i propri millesimi,
prescindendo dalla minore o maggior utilità che
il bene possa arrecare nello specifico, atteso che
- secondo tale giudice - la norma specifica di cui
all’art. 1126 cod.civ. non è volta a disciplinare
la responsabilità dei condomini ma unicamente a
determinare il loro contributo alla spesa.
Le Sezioni Unite non mutano orientamento rispetto
al 1997 quanto alla soluzione finale, cui
tuttavia pervengono con un articolato logico del
tutto differente. Allora la Corte aveva fondato la
responsabilità dei condomini sullo schema delle
obbligazioni propter rem ritenendo che “la responsabilità
per danni prodotti all’appartamento
sottostante dalle infiltrazioni d’acqua provenienti
dal lastrico solare (lastrico condominiale o in proprietà
o uso esclusivo), per difetto di manutenzione,
si ricollegasse, piuttosto che al disposto
dell’art. 2051 cod. civ., ed al generale principio
del neminem laedere, direttamente alla titolarità
del diritto reale e, perciò, dovesse considerarsi
come conseguenza dell’inadempimento delle obbligazioni
di conservare le parti comuni, poste a
carico dei condomini (art. 1123, primo comma,
cod. civ.) e del titolare della proprietà superficiaria
o dell’uso esclusivo (art. 1126 cod. civ.).”
Quella particolare obbligazione - secondo la pronuncia
degli anni 90 - era declinata secondo le
regole previste dagli artt. 1123 e 1126 cod. civ.,
con la conseguenza che al risarcimento dei danni
cagionati all’appartamento sottostante per difetto
di manutenzione dovrebbero essere tenuti gli
obbligati inadempienti.
Le Sezioni Unite attuali virano di 90 gradi rispetto
a tale lettura ed affermano principio del tutto
diverso: “Tuttavia, la configurabilità di un siffatto
rapporto obbligatorio non sembra tenere conto
che il proprietario dell’appartamento danneggiato
dalla cosa comune, anche se in uso esclusivo, è
un terzo che subisce un danno per l’inadempimento
dell’obbligo di conservazione della cosa
comune (in tal senso, v., di recente, Cass. n. 1674
del 2015); il che implica la chiara natura extracontrattuale
della responsabilità da porre in capo
al titolare dell’uso esclusivo del lastrico e, per la
natura comune del bene, dello stesso condominio.
Nell’ambito di tale tipo di responsabilità, poi,
deve ritenersi che le fattispecie più adeguate di
imputazione del danno siano quella di cui all’art.
2051 cod. civ., per il rapporto intercorrente tra
soggetto responsabile e cosa che ha dato luogo
all’evento, ovvero quella di cui all’art. 2043 cod.
civ., per il comportamento inerte di chi comunque
fosse tenuto alla manutenzione del lastrico.
In tal senso deve quindi escludersi la natura obbligatoria,
sia pure nella specifica qualificazione di obbligazione propter rem, del danno cagionato
dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico solare o
dalla terrazza a livello, e deve affermarsi la riconducibilità
della detta responsabilità nell’ambito
dell’illecito aquiliano”.
Afferma la Suprema Corte quindi che “In quest’ambito,
come detto, non può essere posta in discussione
la specificità del lastrico solare, quando
questo sia anche solo in parte in uso esclusivo.
Esso, invero, per la parte apparente, e quindi per
la superficie, costituisce oggetto dell’uso esclusivo
di chi abbia il relativo diritto; per altra parte, e
segnatamente per la parte strutturale sottostante,
costituisce cosa comune, in quanto contribuisce
ad assicurare la copertura dell’edificio o di parte
di esso. Risultano allora chiare le diverse posizioni
del titolare dell’uso esclusivo e del condominio:
il primo è tenuto agli obblighi di custodia, ex
art. 2051 cod. civ., in quanto si trova in rapporto
diretto con il bene potenzialmente dannoso, ove
non sia sottoposto alla necessaria manutenzione;
il secondo è tenuto, ex artt. 1130, primo comma,
n. 4, e 1135, primo comma, n. 4, cod. civ. (nei
rispettivi testi originari), a compiere gli atti conservativi
e le opere di manutenzione straordinaria
relativi alle parti comuni dell’edificio”.
Non più dunque obbligazione propter rem ma responsabilità
extracontrattuale, per il cui riparto
- per la specifica natura del bene destinato a diverse
funzioni - si dovrà comunque mutuare un
criterio tratto dall’art. 1126 cod.civ. : “La naturale
interconnessione esistente tra la superficie
del lastrico e della terrazza a livello, sulla quale si
esercita la custodia del titolare del diritto di uso
in via esclusiva, e la struttura immediatamente
sottostante, che costituisce cosa comune - sulla
quale la custodia non può esercitarsi nelle medesime
forme ipotizzabili per la copertura esterna e
in relazione alla quale è invece operante il dovere
di controllo in capo all’amministratore del condominio
ai sensi del richiamato art. 1130, primo
comma n. 4, cod. civ. induce tuttavia ad individuare
una regola di ripartizione della responsabilità
mutuata dall’art. 1126 cod. civ. … il criterio
di riparto previsto per le spese di riparazione o
ricostruzione dalla citata disposizione costituisce
un parametro legale rappresentativo di una situazione
di fatto, correlata all’uso e alla custodia
della cosa nei termini in essa delineati, valevole
anche ai fini della ripartizione del danno cagionato
dalla cosa comune che, nella sua parte superficiale,
sia in uso esclusivo ovvero sia di proprietà
esclusiva, è comunque destinata a svolgere una
funzione anche nell’interesse dell’intero edificio o
della parte di questo ad essa sottostante”.
L’aver ricondotto la fattispecie alla ipotesi della
responsabilità extracontrattuale, e non più ad una ipotesi di obbligazione di altra natura, comporta
rilevanti conseguenze applicative che la Corte
sottolinea e a cui anche l’operatore sul campo
dovrà prestare adeguata attenzione: “Dalla attrazione
del danno da infiltrazioni nell’ambito della
responsabilità civile discendono conseguenze di
sicuro rilievo. Trovano, infatti, applicazione tutte
le disposizioni che disciplinano la responsabilità
extracontrattuale, prime fra tutte quelle relative
alla prescrizione e alla imputazione della responsabilità,
dovendosi affermare che del danno provocato
dalle infiltrazioni provenienti dal lastrico
solare o dalla terrazza a livello risponde il proprietario
o il titolare di diritto di uso esclusivo su
detti beni al momento del verificarsi del danno.
Una volta esclusa la applicabilità della disciplina
delle obbligazioni, deve infatti escludersi che
l’acquirente di una porzione condominiale possa
essere ritenuto gravato degli obblighi risarcitori
sorti in conseguenza di un fatto dannoso verificatosi
prima dell’acquisto, dovendo quindi dei
detti danni rispondere il proprietario della unità
immobiliare al momento del fatto. Trova applicazione
altresì la disposizione di cui all’art. 2055
cod. civ., ben potendo il danneggiato agire nei
confronti del singolo condomino, sia pure nei
limiti della quota imputabile al condominio. In
tal senso, del resto, si è già affermato che “il
risarcimento dei danni da cosa in custodia di proprietà
condominiale soggiace alla regola della responsabilità
solidale ex art. 2055, primo comma,
cod. civ., norma che opera un rafforzamento del
credito, evitando al creditore di dover agire coattivamente
contro tutti i debitori pro quota, anche
quando il danneggiato sia un condomino, equiparato
a tali effetti ad un terzo, sicché devono
individuarsi nei singoli condomini i soggetti solidalmente
responsabili, poiché la custodia, presupposta
dalla struttura della responsabilità per
danni prevista dall’art. 2051 cod. civ., non può
essere imputata né al condominio, quale ente di
sola gestione di beni comuni, né al suo amministratore,
quale mandatario dei condomini” (Cass.
n. 1674 del 2015). Trova, infine, applicazione l’intera
disciplina dell’art. 2051 cod. civ., anche per i
limiti alla esclusione della responsabilità del soggetto
che ha la custodia del bene da cui è stato
provocato il danno.”
Una sentenza lunga e complessa, di grande rilievo
interpretativo e di sicura incidenza pratica, di
cui è apparso utile riportare ampi stralci ma che
non sarà inopportuno che il soggetto che opera
professionalmente nel campo del diritto condominiale
legga per esteso.
Una sentenza, infine, che contribuisce a dare una
ulteriore spallata alla categoria delle obbligazioni
propter rem, che la migliore dottrina dell’ultimo decennio e parte della giurisprudenza - con
sempre maggior vigore - ritengono avere scarsa
cittadinanza nell’edificio in condominio, ove più
spesso prevalgono obblighi legati a parametri che
prescindono dalla mera titolarità del bene e sono
correlati unicamente alla funzione o utilità che lo
stesso bene rende ai condomini.
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