martedì 26 dicembre 2017

Architettura ed impianti: Due mondi separati

Si impone la “riscoperta” di un approccio all’architettura che, facendo salvi i presupposti della imprescindibile ricerca estetica, associ ed integri nell’approccio al progetto tutto il complesso di conoscenze scientifiche maturate in campo energetico, ambientale, gestionale, manutentivo, ecc. denominate “tecnologia dell’architettura”.


Dai primordi fino allo sviluppo dell’impiantistica moderna (che inizia con l’affermazione del sistema di riscaldamento centralizzato), che possiamo datare per i paesi più sviluppati intorno alla fine del XIX secolo, l’uomo ha realizzato delle abitazioni la cui architettura esprimeva una forte capacità di controllo dei fattori climatici esterni.
Durante questa lunga fase, obiettivo della costruzione è stato prioritariamente quello di affrontare i problemi posti dal clima.
L’architettura montana di tutto l’arco alpino può costituire un esempio estremamente rappresentativo di queste circostanze assiomatiche. In realtà i riferimenti possibili sarebbero molteplici: dalla capanna tropicale all’abitazione tipica mediorientale, per arrivare alla casa del grande nord europeo, ecc.
Il riferimento all’architettura montana è però più vicino alla sensibilità dell’autore e con la sua struttura ben definita e costante nel tempo si impone alla nostra attenzione come un esempio straordinario di architettura bioclimatica.
Gli edifici dell’architettura montana sono frequentemente caratterizzati nella parte bassa da murature portanti di pietra che pareggiano la pendenza del terreno e nella parte superiore da una struttura di legno. Le falde inclinate presentano ampie sporgenze su tutti e quattro i lati dell’edificio che ha sistematicamente la parte anteriore (l’ingresso) esposta a sud con una balconata realizzata con struttura lignea.


La copertura del tetto è generalmente realizzata in lastre di pietra, mentre il camino, anch’esso realizzato in pietrame, il vero e proprio cuore della casa, è collocato nella parte centrale dell’edificio che si articola in un ambiente cucina-soggiorno che costituisce lo spazio comune più vissuto dell’abitazione. Il riparo della parete nord è assicurato dalla sua limitata altezza determinata dalla pendenza del terreno e dall’estensione della falda del tetto, mentre sul fronte sud, sotto la balconata lignea e addossata alla parete, è accatastata in bell’ordine la legna da ardere che offre in tal modo un ulteriore schermo funzionale all’isolamento termico dell’edificio.
La falda del tetto ha una moderata inclinazione per una precisa scelta energetica, infatti, un eventuale strato di neve che si potrà depositare senza scivolare durante la stagione invernale offrirà un ottimo isolamento termico aggiuntivo rispetto alla copertura realizzata in pietrame.
Un manto di neve dello spessore di circa 50 cm è in grado di ridurre il coefficiente di dispersione termica di un normale tetto ligneo di circa il 50%.
In questo modello, che risulta una costante costruttiva e distributiva dell’architettura montana di tutto l’arco alpino, è facile riconoscere le ragioni della razionalità energetica: massimo recupero delle fonti di energia e grande attenzione al tema dell’isolamento termico, esposizione ottimale e volume dell’edificio estremamente compatto.
Guardare e studiare le architetture del passato e le soluzioni in esse collaudate per centinaia di anni costituisce una fonte di riflessione molto importante per affrontare le sfide del presente con una maggiore attenzione alle problematiche energetiche ed ambientali oggi emergenti e per evitare impostazioni e concezioni che provochino gravi disfunzioni e problemi nei nostri edifici. Valutare i problemi e le principali prestazioni dei nostri edifici è quindi il primo passo per modificare ed innovare i modelli di riferimento progettuali del nostro tempo, uscendo da stilemi ripetitivi ancorché diffusi a livello internazionale, che non appaiono in grado di offrire risposta alle sempre più pressanti domande, non solo in tema ambientale, ma anche di ottimizzazione economica degli investimenti immobiliari.

Con lo sviluppo della moderna impiantistica, si assiste ad una sorta di separazione tra architettura e compiti ed obiettivi bioclimatici, questi ultimi diventano terreno pressoché esclusivo dei sistemi impiantistici cui è assegnato il compito di garantire un adeguato ed ottimale comfort termico.
L’architettura nel passaggio tra la fine dell’‘800 e gli inizi del nuovo secolo abbandona i suoi tradizionali ed anzi millenari obiettivi e strategie bioclimatiche in funzione di nuove idee e orizzonti culturali.

“La rivoluzione industriale ha modificato radicalmente le tecniche costruttive, adeguando i materiali tradizionali a tecniche di lavorazione e di esecuzione più agevoli e proponendo nuovi materiali, di maggiore resistenza e più aderenti ai comportamenti statici già bene individuati dalla teoria delle costruzioni. [...] stranamente, però, la critica architettonica anche se ha analizzato questa situazione da tutta una serie di angolazioni per poterne cogliere i modi e le cause delle successive trasformazioni, ha sempre omesso di considerare un aspetto che invece a ragione può essere ritenuto fondamentale per la trasformazione in senso moderno della città e dell’edificio.

L’impiego del supporto energetico ha infatti condizionato in maniera determinante tanto il momento progettuale che quello costruttivo dell’edificio, provocando così una decisa trasformazione. I modelli critici adottati saltano a piè pari l’esame di tale episodio, dato che hanno eseguito sull’oggetto architettonico prevalentemente una analisi di tipo formale e solo a volte hanno esteso la lettura ad aspetti di tipo tecnologico, ma fermando in ogni caso l’attenzione soltanto su elementi più tipicamente costruttivi.”
Liberata dai “banali compiti tradizionali”, grazie alle nuove soluzioni strutturali (struttura portante a telaio in calcestruzzo armato o acciaio), con una grande disponibilità di nuovi materiali, in una fase storica di straordinaria crescita scientifica ed economico-sociale della gran parte del mondo occidentale, l’architettura esplora le nuove strade della ricerca puramente formale.
“In questo periodo, inoltre, si costruisce molto e più in fretta, dato che i tempi di esecuzione sono di gran lunga accorciati, grazie alla larga disponibilità di attrezzature e di tecniche che derivano dalla stessa produzione industriale.
Anche l’edificio comincia a modificarsi, sotto la spinta di una evoluzione costruttiva suggerita dall’introduzione di nuovi materiali e tecniche il cui impiego trova il fondamento teorico nella scienza delle costruzioni che l’Ecole Politecnique di Parigi, affrancatasi ormai quasi da mezzo secolo alla Académie des Beaux Arts, ha già sufficientemente definito attraverso una mirabile sistematizzazione delle ricerche teoriche e sperimentali sviluppate dal Seicento in avanti. [...]
Ma a dare origine a problemi del tutto nuovi non fu solamente il volume dell’edificio da ventilare, riscaldare e illuminare; anche la forma e le tecniche di costruzione adoperate comportavano delle conseguenze ambientali. In particolare i grattacieli destinati ad uffici introdussero nuovi disagi e difficoltà, che chiedevano urgenti soluzioni.
Questi argomenti ricevono una trattazione insufficiente nella critica storica, la quale di solito ritiene che l’impiego della struttura in acciaio e dell’ascensore furono sufficienti a consentire la realizzazione degli edifici alti per uffici. Burchard e Bush-Brown hanno giustamente evidenziato una serie di altri elementi, come l’illuminazione elettrica ed il telefono, che furono egualmente necessari perché gli affari potessero procedere – e senza l’abilità di mandare avanti gli affari i grattacieli non sarebbero mai stati costruiti.

Eppure neanche questi autori menzionano il W.C. o l’acqua corrente, per esempio, senza i quali non sarebbe stato possibile usare questi edifici a torre; come non citano i vari dispositivi atti ad affrontare i problemi termici e di ventilazione specifici dei grattacieli costruiti a Chicago e a New York intorno al 1900.
Dal punto di vista degli ambientalisti, molti di questi grattacieli erano intrinsecamente insoddisfacenti e i loro aspetti negativi furono ancora maggiormente posti in evidenza, dato che si erano generate certe aspettative, sia da parte degli utenti che dai proprietari degli edifici. Così Konrad Meier scrive: “Le esigenze sono continuamente aumentate, sia per quanto riguarda il valore assoluto delle temperature, sia per le variazioni tollerate [...] e questo con condizioni strutturali sempre più avverse. Certe sgradevoli esperienze in alcuni degli edifici sottili, alti, leggeri, eretti di recente e non ancora adatti al loro scopo, serviranno ad illustrare queste difficoltà”.
È difficile oggi pensare che i primi grattacieli con strutture intelaiate, “sottili, alti, leggeri” e famosi lavori di architettura, come il Reliance Building di Burnham e Root, appartengano alla categoria di edifici di cui si lamenta Meier e, quindi, sarà bene spiegarne il perché. Paragonati alle massicce strutture in muratura dei primi decenni, essi appaiono veramente abbastanza leggeri da introdurre nuove “sgradevoli esperienze”; i loro difetti sono riassunti meglio da Bushnell e Orr nel loro manuale sul riscaldamento di quartiere.

Essi parlano di: “[...] uno scheletro o un telaio di pilastri e travi maestre in acciaio, tamponato da pareti in mattone e rifinito all’esterno con mattonelle o piastrelle in terra-cotta. Per questi edifici alti è necessario usare i materiali più leggeri a disposizione, per poter diminuire il peso proprio sugli elementi di acciaio e sulle fondazioni. Naturalmente, la conseguente diminuzione dello spessore delle pareti comincia a fare sentire i suoi effetti nel dimensionamento del riscaldamento. Queste costruzioni hanno poca capacità di immagazzinare e trattenere il calore, a differenza delle massicce costruzioni in muratura. Nel primo caso – l’edificio moderno – si deve fornire calore per un periodo del giorno più lungo che nel secondo caso, a causa del più rapido effetto di raffreddamento. Inoltre, gli edifici moderni vengono progettati in modo da lasciare sulle facciate uno spazio quanto più possibile ampio per le finestre, e migliorare così le condizioni di illuminazione. Infatti, alcuni edifici hanno dal 40% al 45% della loro superficie esterna in vetro, e le perdite di calore sono proporzionalmente alte [...]”.
Non mancano tra i grandi maestri del movimento moderno straordinarie espressioni e contributi nella direzione dei compiti sociali dell’architettura e del suo ruolo nella definizione della forma urbana ma è indubbio che il focus della ricerca di gran parte di quello che verrà definito come “il movimento moderno dell’architettura” ha come obiettivo la delineazione di una nuova forma, di un nuovo stile dell’architettura.
Una ricerca che approderà nel giro di pochi decenni ad un approccio formale che verrà definito come “International Style” proprio per la sua straordinaria diffusione a livello internazionale. Secondo l’impostazione culturale dei principali esponenti dell’International Style, l’architettura affronta i problemi della composizione dello spazio in una proiezione estetica e formale del tutto libera da obiettivi di funzionalità, efficienza, manutenibilità e risparmio energetico dell’organismo edilizio.
Compiti questi ultimi che vengono delegati agli impianti visti come un utile ma secondario elemento nella realizzazione dell’organismo edilizio. Questa impostazione culturale, che separa il momento della progettazione architettonica dal sistema impiantistico che determina le prestazioni energetico-ambientali di un edificio, è ancora oggi particolarmente diffusa tra gli architetti e nelle scuole di architettura dove, in molti casi, esiste purtroppo ancora una netta divaricazione tra insegnamenti compositivi, ritenuti centrali ed egemonici, che affrontano i problemi progettuali in una dimensione prevalentemente formale, compositiva appunto, e le materie tecnologiche e tecniche come tecnologia dell’architettura, fisica tecnica ed impianti, progettazione esecutiva, materiali e componenti, tecnica delle costruzioni, viste come un necessario seppur secondario elemento di completamento e precisazione tecnica del progetto.
“Così il potenziale tecnologico ha continuamente preceduto il momento architettonico. Dentro questo intervallo si realizzano esperienze ambientali in campi che di solito non vengono considerati architettura – serre, fabbriche, trasporti. Quasi quattro decadi separano i primi usi industriali del condizionamento dell’aria dalla sua piena utilizzazione da parte di architetti famosi, ed in questi lunghi intervalli si realizzano non solo esperimenti fisici ma anche intensi dibattiti e ricerche e si generano idee tali da rendere accettabile l’eventuale utilizzazione architettonica di nuove particolari tecnologie.”
Questa riflessione di Banham ha un valore generale e si applica non solo agli impianti tecnologici termici ma anche agli altri settori-campi applicativi della tecnologia per gli edifici quale, ad esempio, quello molto rilevante dell’illuminazione.
“L’illuminazione elettrica risolse di colpo i due problemi ambientali derivati dall’uso del gas, poiché produceva meno calore e non dava luogo a fuliggine. Inoltre, rispetto al gas richiedeva minore manutenzione e minore lavoro per la pulizia e l’impianto poteva essere installato in uno spazio ristretto, dove a stento poteva essere collocato quello a gas, a causa del calore che generava e dell’aria di cui aveva bisogno.
Con questi vantaggi, l’illuminazione elettrica fu vincente, anche se all’inizio doveva risultare molto più cara del gas in termini di costo di installazione e di consumi correnti.”

“[...] la rivoluzione si deve soprattutto all’invenzione dell’illuminazione a incandescenza [...] una sorgente stabile ed invariabile di luce, a differenza della lampada ad arco, dove il materiale risplendente è continuamente disaggregato e bruciato. [...] il valore economico dei nuovi mezzi di illuminazione, è stato sottovalutato. La facilità con cui i bulbi a incandescenza si prestano per realizzare qualsiasi schema di decorazione costituisce una delle loro principali caratteristiche positive. Non sarebbe auspicabile rifare gli stessi percorsi della rete dell’illuminazione a gas, visto che le condizioni sono completamente cambiate; i punti di luce possono essere collocati dovunque si desidera, e senza paura che i soffitti si anneriscano o che i materiali più facilmente infiammabili prendano fuoco. Lo sviluppo si questo sistema d’illuminazione è stato così rapido che gli architetti non hanno avuto ancora il tempo di dedicare la loro attenzione alle sue potenziali capacità decorative, ma se l’avessero fatto avrebbero potuto soddisfare ogni esigenza di perfetta illuminazione.”
Oggi però i tempi storici per il mondo occidentale sono profondamente diversi dal passato: al dominio incontrastato del mondo si sostituisce una sempre più apprensiva concorrenza dei paesi emergenti, una a volte imprevista carenza di materie prime, una sempre maggior attenzione alle risorse energetiche ed alle problematiche ambientali, mentre d’altra parte si assiste ad una stasi economica ed al preoccupante e trascurato fenomeno dell’invecchiamento della popolazione dei paesi occidentali si contrappone un prorompente sviluppo dei paesi emergenti (BRIC: Brasile, Russia, India e Cina) e più in generale dell’est asiatico e del medioriente, cui si associa un andamento demografico molto diverso dai trend europei ed americani.

Nel nuovo scenario, che assegna ai paesi del mondo occidentale nuovi compiti e responsabilità in campo energetico ed ambientale associate a molte incertezze sulle prospettive economiche ed occupazionali, si impone la “riscoperta” di un approccio all’architettura che, facendo salvi i presupposti della imprescindibile ricerca estetica, associ ed integri nell’approccio al progetto tutto il complesso di conoscenze scientifiche maturate in campo energetico, ambientale, gestionale, manutentivo, ecc. che va sotto la denominazione di “tecnologia dell’architettura”.
Solo attraverso questa via potremo avere edifici belli, funzionali, più facilmente manutenibili, con costi di gestione inferiori ed energeticamente ed ambientalmente sostenibili.
Edifici per il nuovo mondo che ci aspetta, che si preannuncia ricco di problemi e di sfide per l’Europa, un mondo che per essere affrontato richiede di utilizzare in forma integrata tutte le nostre conoscenze che costituiscono la vera e più importante ricchezza di cui il vecchio continente dispone.

di Oliviero Tronconi
Professore Ordinario Politecnico di Milano Dip. BEST

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