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giovedì 27 aprile 2017

MOLESTIE OLFATTIVE, PER LA CASSAZIONE C’E’ REATO

La Cassazione ha confermato le decisioni dei primi due gradi di giudizio sostenendo che quanto previsto dall’art. 674 del codice penale è configurabile anche nel caso di molestie olfattive. La peculiarità della sentenza sta nel chiarimento da parte della Cassazione di aver chiarito che nel reato di getto pericoloso di cose possono essere ricomprese anche le emissioni di odori da cucina che superano la soglia di tollerabilità.

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CASSAZIONE 24 MARZO 2017, N. 14467: MOLESTIE OLFATTIVE, E' REATO



CASSAZIONE 24 MARZO 2017, N. 14467

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
[SEZIONE TERZA PENALE


Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:   
Dott. SAVANI   Piero  -  Presidente   -                    
Dott. CERRONI  Claudio  -  Consigliere  -                    
Dott. LIBERATI Giovanni  -  Consigliere  -                    
Dott. MACRI’   Ubalda -  rel. Consigliere  -                    
Dott. ANDRONIO Alessandro Maria -  Consigliere  -                    

ha pronunciato la seguente:   
                                       
SENTENZA

sul ricorso proposto da: 
V.R., nato a (OMISSIS) e  P.M., nata a (OMISSIS); 

avverso la sentenza 1.4.2014 della Corte d'Appello di Trieste; 

visti gli atti, il provvedimento impugnato ed il ricorso; 
udita la relazione svolta dal consigliere Ubalda Macrì; 
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale, Dott. MAZZOTTA Gabriele, che ha concluso chiedendo l'inammissibilità del ricorso con la conferma delle statuizioni civili.

RITENUTO IN FATTO

1. La Corte d'Appello di Trieste con sentenza in data 1.4.2014, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Gorizia in data 20.7.2011, appellata dagli odierni ricorrenti ed in via incidentale dal Procuratore generale della Repubblica di Trieste, ha dichiarato di non doversi procedere nei confronti degli imputati in ordine al reato loro ascritto, [anaci] per essere il medesimo estinto per intervenuta prescrizione; ha confermato nel resto l'impugnata decisione; ha condannato gli appellanti alla refusione delle spese alla costituita parte civile. I coniugi V. sono stati chiamati a rispondere della contravvenzione di cui all'art. 674 c.p., perchè, nella qualità di proprietari dell'appartamento al piano terra del fabbricato in (OMISSIS), provocavano continue immissioni di fumi, odori e rumori nel sovrastante appartamento del terzo piano di proprietà di Pa.Vi. e H.W., così molestandoli ed imbrattando l'alloggio da loro occupato, in (OMISSIS).
2. Con un unico motivo di ricorso, gli imputati lamentano la violazione dell'art. 606 c.p.p., comma 1, lett. b), in riferimento all'art. 674 c.p., e art. 1 c.p., nonchè art. 25 Cost.. Sostengono che l'art. 674 c.p., non è estensibile analogicamente alle emissioni di odori e che, secondo la dottrina maggioritaria, è necessario che le emissioni siano atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che siano vietate dalla legge, mentre nella fattispecie si trattava di emissioni di odori di cucina che, per loro natura, non erano atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone e che certamente non erano vietate dalla legge. Precisano che la giurisprudenza di legittimità che si era occupata dell'art. 674 c.p., con riguardo agli odori si era riferita alle "molestie olfattive" derivanti da attività industriali e solo agli odori che avevano superato il cosiddetto limite della stretta tollerabilità, che comunque avrebbe dovuto essere accertato a mezzo perizia. Chiedono quindi l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e l'assoluzione dal reato di cui all'art. 674 c.p., perchè il fatto non sussiste.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso è inammissibile.
La Corte d'Appello di Trieste, con motivazione ampia ed accurata, ha escluso la possibilità di pronunciare l'assoluzione per insussistenza del fatto ed ha dichiarato invece la prescrizione, perchè, non solo ha ritenuto correttamente sussunta la fattispecie concreta sotto la previsione dell'art. 674 c.p., che comprende anche le emissioni olfattive moleste come spiegato da questa Sezione con sentenza n. 45230/2014, Rv 260980, ma ha anche valutato in modo congruo la prova dei fatti raggiunta in primo grado attraverso le testimonianze delle persone offese, definite come chiare, precise, logicamente strutturate, ribadite in sede dibattimentale senza alcuna contraddizione ed esposte senza inutili enfatizzazioni, marcature o sottolineature di qualche aspetto della vicenda oltre il necessario e l'essenziale. Il fatto che tra le parti vi fossero contrasti di vicinato non poteva di per sè solo infirmare la complessiva attendibilità delle persone offese, in particolare dallo H., che aveva dichiarato che quando gli imputati cucinavano, oltre ai rumori molesti dell'estrattore, "s'impregna l'appartamento dell'odore...del sugo, fritti eccetera, mi pareva di avere la cucina loro in casa mia". In particolare, la Corte territoriale ha valorizzato come riscontro esterno alla denuncia, la deposizione del teste C.C., il quale chiamato ad ispezionare professionalmente, a spese delle persone offese, la canna fumaria, aveva accertato che presentava una fessurazione verticale, che, a suo dire, era "certamente" la causa della fuoriuscita di odori, vapori, e finanche dei rumori e residui di combustione.
La doglianza dei ricorrenti, quantunque ricondotta nel vizio di motivazione ex art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), a ben vedere si risolve in una censura meramente fattuale, del tutto disancorata dalle emergenze probatorie che risultano dal testo del provvedimento impugnato, e si fonda su deduzioni di carattere assertivo smentite dagli esiti dell'istruttoria dibattimentale riportati nella sentenza impugnata.
Come precisato dal precedente giurisprudenziale citato, la contravvenzione prevista dall'art. 674 c.p., è configurabile anche nel caso di "molestie olfattive" a prescindere dal soggetto emittente (nella fattispecie la Cassazione si era occupata di odori da stalla; in motivazione numerosi riferimenti ai precedenti giurisprudenziali), con la specificazione che quando non esiste una predeterminazione normativa dei limiti delle emissioni, si deve avere riguardo, condizione nella specie sussistente, al criterio della normale tollerabilità di cui all'art. 844 c.c., (Sez. 3, n. 34896 del 14/07/2011, Ferrara, Rv. 250868), che comunque costituisce un referente normativo, per il cui accertamento non è necessario disporre perizia tecnica, potendo il giudice fondare il suo convincimento, come avvenuto nel caso di specie, su elementi probatori di diversa natura e dunque sulle dichiarazioni delle persone offese e del tecnico di loro fiducia.

P.Q.M.

Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso in Roma, il 22 novembre 2016.
Depositato in Cancelleria il 24 marzo 2017
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martedì 29 novembre 2016

QUANDO IL RISTORANTE EMETTE ODORI NAUSEABONDI

Il ristorante che emette odori nauseabondi risponde del reato di “getto pericoloso di cose”


L’imputato, nell’esercizio dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, aveva provocato l’emissione nell’atmosfera di “fumi e vapori nauseabondi”, al punto da determinare estremo disagio in tutti i condomini dello stabile, che erano costretti a tenere le finestre chiuse.

Le immissioni intollerabili (di varie specie) all’interno dell’edificio urbano occupano da sempre i primi posti nella hit parade delle cause condominiali.
Se gli inconvenienti correlati a fumi, calori, odori, vapori, e quant’altro, trovano la loro tutela civilistica nell’àmbito del disposto dell’art. 844 c.c., il versante penale ha coinvolto soprattutto il reato di cui all’art. 674 c.p., rubricato “getto pericoloso di cose” (che, prima facie, richiama l’idea di un qualcosa che cala dall’alto, laddove curiosamente le suddette emissioni tendono nella maggior parte … a salire).
Ad ogni buon conto, tale reato, inquadrato nelle contravvenzioni concernenti “l’incolumità pubblica”, punisce, con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda di euro 206,00, “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti”.
In termini generali, si è avuto modo di precisare che, ai fini della configurabilità del suddetto reato, non si richiede che la condotta contestata abbia cagionato un “effettivo nocumento”, essendo sufficiente che essa sia idonea ad offendere, imbrattare o molestare le persone (v. Cass. pen. 13 gennaio 2015 n. 971; Cass. pen. 22 dicembre 2005 n. 46846); al contempo, però, non costituisce molestia, idonea ad integrare lo stesso reato, la mera circostanza di arrecare alle persone “preoccupazione generalizzata ed allarme” circa eventuali danni alla salute da esposizione ad emissioni inquinanti. Inoltre, tra le emissioni di gas, vapori o fumo atte ad offendere o imbrattare o molestare persone rientrano “tutte le sostanze volatili” che emanano odori provocanti disturbo, disagio o fastidio alle persone (v. Cass. pen. 20 gennaio n. 2377).
La contravvenzione di cui sopra, poi, non è configurabile quando l’offesa, l’imbrattamento o la molestia abbiano ad oggetto esclusivamente cose e non “persone” (v. Cass. pen. 10 giugno 2010 n. 22032: nella specie, lo sversamento di liquami, provocato dal cattivo funzionamento di un depuratore consortile, aveva causato danni solo a colture private, senza riverberi negativi sui consorziati).
Infine, il reato previsto dall’art. 674 c.p. non prevede due distinte ed autonome ipotesi di reato ma un reato unico, in quanto la condotta consistente nel provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta una species del più ampio genus costituito dal “gettare” o “versare” cose atte ad offendere, imbrattare o molestare persone (v. Cass. pen. 17 ottobre 2011 n. 37495).
La fattispecie concreta recentemente decisa da Cass. pen. 1° luglio 2015 n. 27562, attinente proprio alla realtà condominiale, ci offre lo spunto per affrontare funditus tali tematiche.
I giudici di merito avevano confermato la condanna alla pena (ritenuta congrua ed adeguata) di 10 giorni di arresto, nonché al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, essendo emerso dalle risultanze processuali che l’imputato, nell’esercizio dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, aveva provocato l’emissione nell’atmosfera di “fumi e vapori nauseabondi”, al punto da determinare estremo disagio (nausea e senso di vomito) in tutti i condomini dello stabile, che erano costretti a tenere le finestre chiuse.
L’imputato ricorreva per cassazione - per quel che qui rileva - denunciando, con il primo motivo, la violazione dell’art. 649 c.p.p.: il ricorrente era stato tratto a giudizio per aver provocato, nell’esercizio di un’attività di ristorazione (bar-pizzeria), emissioni di vapori e fumo, come accertato in una determinata data; peraltro, le date indicate nel capo di imputazione non corrispondevano all’effettivo tempus commissi delicti, riferendosi esse al controllo operato dagli agenti di Polizia; tali fatti erano stati già giudicati con una precedente sentenza irrevocabile, per cui si era violato il principio del ne bis in idem; trattandosi di una pizzeria funzionante ininterrottamente, l’illegittima emissione di gas, vapori, fumi, connessa all’esercizio di attività economiche e legata al ciclo produttivo, si configurava come reato permanente, non potendosi ravvisare la commissione di distinti reati per ogni singola emissione.
Con il secondo motivo, il ricorrente denunciava la violazione degli artt. 81 e 674 c.p.:
invero, da tutti gli accertamenti disposti dall’Arpa era emerso il buon funzionamento delle attrezzature poste in essere per la riduzione e prevenzione degli odori e dei fumi (impianto di areazione e deodorizzazione dei fumi prodotti); l’attività di ristorazione ricadeva, ai sensi dell’art. 272 del d.lgs. n. 156/2006, nell’elenco delle attività in deroga che non necessitavano di autorizzazione; peraltro, uniformandosi all’attestato protocollo rilasciato dalla Regione, era disponibile all’installazione di una canna fumaria, con superamento di almeno un metro il colmo di tetti, ma dai condomini dello stabile era stato impedito di realizzare detto accorgimento, sicché non poteva attribuirsi al ricorrente alcuna responsabilità in ordine al reato ascritto.
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto il suddetto ricorso “manifestamente infondato”.
Quanto all’eccepita violazione del principio del ne bis in idem, non c’è dubbio che - come più volte ribadito dalla magistratura di vertice - la contravvenzione prevista e punita dall’art. 674 c.p., quando abbia per oggetto l’illegittima emissione di gas, vapori, fumi atti ad offendere o imbrattare o molestare le persone, connessa all’esercizio di attività economiche e legata al ciclo produttivo, assuma il carattere della “permanenza”, non potendosi ravvisare la consumazione di definiti episodi in ogni singola emissione di durata temporale non sempre individuabile.
Peraltro - ad avviso di Cass. pen. 24 maggio 2012 n. 19637 - il carattere continuativo del reato di getto pericoloso di cose, che ha natura permanente, non si identifica con la “ripetitività giornaliera” delle emissioni moleste, essendo sufficiente che esse si protraggano, senza interruzioni di rilevante entità, per un apprezzabile lasso di tempo a cagione della duratura condotta colpevole del soggetto agente. Ne consegue che, se la sentenza di primo grado abbia accertato la permanente attualità dell’attività produttiva in termini non diversi da quelli del momento della contestazione, quanto a strumenti di produzione, la permanenza nel reato deve ritenersi cessata con la pronuncia di detta sentenza (v., ex multis, Cass. pen. 10 agosto 1995 n. 9293).
Il ricorrente ha omesso, però, di considerare che la sentenza passata in giudicato aveva ad oggetto fatti commessi fino ad una certa data; trattandosi di contestazione “chiusa”, la permanenza doveva ritenersi, quindi, cessata (già prima della sentenza) alla data indicata nell’imputazione, mentre i fatti per cui si procede risultano accertati in un secondo momento; siamo, quindi, in presenza, di una condotta successiva che, come tale, non può essere coperta dal precedente giudicato.
In ordine al secondo motivo, si è ricordato che, per il reato di cui all’art. 674 c.p., l’evento di “molestia” provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità ex art. 844 c.c. (v. Cass. pen. 26 settembre 2012 n. 37037; Cass. pen. 27 settembre 2011 n. 34896; cui adde, più di recente, Cass. pen. 3 novembre 2014 n. 45230, in materia di emissioni moleste “olfattive”: nella specie, è stata ritenuta penalmente rilevante la condotta dell’imputato che, non provvedendo ad adeguata pulizia dei recinti in cui custodiva i propri cani e del cortile circostante, mantenendovi a lungo le deiezioni degli animali, aveva provocato “esalazioni maleodoranti” in grado di arrecare molestie ai condomini confinanti; d’altronde, il reato di getto pericoloso di cose è configurabile anche in presenza di una condotta omissiva che può essere integrata dall’omessa custodia di animali qualora sia derivato il versamento di feci animali atte ad offendere, imbrattare o molestare persone, v. Cass. pen. 31 luglio 2008 n. 32063: fattispecie nella quale gli escrementi liquidi di alcuni cani, lasciati incustoditi dal proprietario sul balcone, si riversavano nell’appartamento sottostante).
È comunque necessario - aggiungono gli ermellini - che venga accertato, in modo rigoroso, il limite in questione, e sul punto i giudici di merito hanno ampiamente argomentato in ordine al superamento di siffatta normale tollerabilità, essendosi accertato che l’imputato, nell’esercizio dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, avesse provocato l’emissione di fumi e vapori nauseabondi; che l’emissione fosse “nauseabonda” ed atta a molestare era stato direttamente constatato anche dagli agenti della Polizia municipale (uno dei quali, addirittura, nel corso del sopralluogo, veniva colto da un attacco di nausea).
In argomento, si è affermato che, ai fini della configurabilità della contravvenzione di cui all’art. 674 c.p., in tema di getto pericoloso di cose, la sussistenza dell’emissione di gas, vapori e fumi derivanti da una canna fumaria, atti ad offendere, molestare o imbrattare i vicini, dipende dal superamento dei limiti della normale tollerabilità, con conseguente pericolo per la salute pubblica, la cui tutela costituisce la ratio dell’incriminazione (v. Cass. pen. 21 dicembre 2006 n. 42213, relativamente ad una pizzeria).
Orbene, il ricorrente, anziché censurare siffatte argomentazioni, ha riproposto doglianze in fatto (in ordine al buon funzionamento dell’impianto di areazione e deodorizzazione), oppure irrilevanti (quanto al mancato consenso da parte dei condomini all’installazione di una canna fumaria).
In particolare, sotto il primo aspetto, anche di recente Cass. pen. 23 marzo 2015 n. 12019 ha ribadito che il reato di getto pericoloso di cose è configurabile anche in presenza di immissioni olfattive provenienti da un impianto “munito di autorizzazione” per le emissioni in atmosfera, essendo sufficiente il superamento del limite della normale tollerabilità previsto dall’art. 844 c.c.
In senso contrario, va registrato, però, un altro indirizzo giurisprudenziale, secondo cui il reato di getto pericoloso di cose non è configurabile qualora le emissioni provengano da un’attività regolarmente autorizzata o da un’attività prevista e disciplinata da atti normativi speciali, e siano contenute nei limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici provvedimenti amministrativi che le riguardano, il cui rispetto implica una presunzione di legittimità del comportamento (v. Cass. pen. 18 novembre 2010 n. 40849; Cass. pen. 15 aprile 2009 n. 15707) In proposito, si è puntualizzando che, all’inciso “nei casi non consentiti dalla legge”, deve riconoscersi un valore rigido e decisivo, tale da costituire una sorta di spartiacque tra il versante dell’illecito penale, da un lato, e dell’illecito civile, dall’altro; in particolare, la clausola “nei casi non consentiti dalla legge”, contemplata nell’art. 674 c.p., non è riferibile alla condotta di getto o versamento pericoloso di cose di cui alla prima parte della norma citata, ma esclude il reato solo per le emissioni di gas, vapori o fumo che sono specificamente consentite attraverso limiti tabellari o altre determinate disposizioni amministrative (v. Cass. pen. 17 aprile 2009 n. 16286).
Relativamente ai confini rispetto alla fattispecie civilistica, la stessa Corte regolatrice - v. Cass. pen. 9 marzo 2006 n. 8299 - ha puntualizzato che, ai fini della configurabilità del suddetto reato, l’espressione “nei casi non consentiti dalla legge” costituisce una precisa indicazione circa la necessità che tale emissione avvenga in violazione delle norme che regolano l’inquinamento atmosferico; allorché, pur essendo le emissioni contenute nei limiti di legge, abbiano arrecato e arrechino fastidio alle persone, superando la normale tollerabilità, si applicheranno le norme di carattere civilistico contenute nell’art. 844 c.c.; non è, pertanto, configurabile il reato di cui all’art. 674 c.p. quando le emissioni provengano da un’attività regolarmente autorizzata e siano inferiori ai limiti previsti dalle leggi speciali in materia di inquinamento atmosferico.
Appare comunque preferibile l’orientamento più rigoroso - di cui sono espressione, tra le altre, Cass. pen. 15 aprile 2009 n. 15734; Cass. pen. 19 giugno 2007 n. 23796 - per il quale il reato di getto pericoloso di cose è integrabile indipendentemente dal superamento dei valori limite di emissione eventualmente stabiliti dalla legge, in quanto anche un’attività produttiva autorizzata può procurare molestie alle persone, “per la mancata attuazione dei possibili accorgimenti tecnici” idonei ad eliminarle o contenerle.
Resta il fatto che, in tema di getto pericoloso di cose, qualora trattasi di emissioni di fumi, gas o vapori atti ad offendere o molestare le persone, la prova del superamento del limite di tollerabilità deve essere determinata di volta in volta dal giudice, anche mediante dichiarazioni testimoniali, con riguardo sia alle condizioni dei luoghi e alle attività normalmente svolte in un determinato contesto produttivo, sia al sistema di vita e alle correnti abitudini della popolazione nell’attuale momento storico (v. Cass. pen. 13 ottobre 2007 n. 38073, in una fattispecie in cui l’emissione di fumi, promananti dalla canna fumaria e prodotti dall’impianto di riscaldamento dell’imputato, investiva l’abitazione di alcuni vicini di casa provocando loro molestia; Cass. pen. 28 settembre 2007 n. 35489, in un’ipotesi concreta di emissioni di monossido di carbonio e fumi provocati da un impianto termico centralizzato condominiale, di cui era stata accertata la presenza all’interno dell’appartamento di un condomino).
Riguardo alle turbative provenienti dalla canna fumaria poste a servizio di esercizi commerciali ubicati nello stabile condominiale, si può riportare quanto notato dai supremi giudici penali - v. Cass. pen. 26 maggio 2005 n. 19898 - secondo i quali, ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 674 c.p., è sufficiente che il fatto commesso sia idoneo alla produzione degli eventi negativi previsti dalla norma; d’altronde, si richiede che tali effetti siano cagionati contra legem, e pertanto il parametro di legalità va individuato nel contenuto del provvedimento amministrativo all’esercizio di una determinata attività lavorativa, ma laddove l’autorizzazione non sia richiesta, si deve avere come punto di riferimento il criterio della “stretta tollerabilità” piuttosto che quello contenuto nella disposizione civilistica dell’art. 844 c.c., che consente immissione entro i limiti della “normale tollerabilità”.
Come è agevole notare, al pari del disposto di cui all’art. 844 c.p.c. (“immissioni”), il quale, con il tempo, ha ricevuto un’applicazione alquanto difforme rispetto agli obiettivi prefissati al momento della sua entrata in vigore (1942), limitati essenzialmente alla tutela della proprietà fondiaria ma poi estesi a dirimere i conflitti sui temi della tutela ambientale e del diritto alla salute, così anche l’art. 674 c.p. (“getto pericoloso di cose”), concepito nel 1930 per punire chi gettava o versava in luogo pubblico cose idonee a sporcare o colpire i passanti, è divenuto successivamente, a fronte della lacuna normativa al riguardo, uno dei più importanti strumenti giuridici per la lotta contro l’inquinamento atmosferico inteso lato sensu, odori sgradevoli inclusi.

di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione
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