Il ristorante che emette odori nauseabondi risponde del reato di “getto pericoloso di cose”
L’imputato, nell’esercizio dell’attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, aveva provocato l’emissione nell’atmosfera di “fumi e vapori nauseabondi”, al punto da determinare estremo disagio in tutti i condomini dello stabile, che erano costretti a tenere le finestre chiuse.
Le immissioni intollerabili (di varie specie)
all’interno dell’edificio urbano occupano da
sempre i primi posti nella hit parade delle cause
condominiali.
Se gli inconvenienti correlati a fumi, calori, odori,
vapori, e quant’altro, trovano la loro tutela civilistica
nell’àmbito del disposto dell’art. 844 c.c., il
versante penale ha coinvolto soprattutto il reato
di cui all’art. 674 c.p., rubricato “getto pericoloso
di cose” (che, prima facie, richiama l’idea di un
qualcosa che cala dall’alto, laddove curiosamente
le suddette emissioni tendono nella maggior parte
… a salire).
Ad ogni buon conto, tale reato, inquadrato nelle
contravvenzioni concernenti “l’incolumità pubblica”,
punisce, con l’arresto fino a un mese o con
l’ammenda di euro 206,00, “chiunque getta o versa,
in un luogo di pubblico transito o in un luogo
privato ma di comune o di altrui uso, cose atte
ad offendere o imbrattare o molestare persone,
ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca
emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a
cagionare tali effetti”.
In termini generali, si è avuto modo di precisare
che, ai fini della configurabilità del suddetto reato,
non si richiede che la condotta contestata abbia
cagionato un “effettivo nocumento”, essendo
sufficiente che essa sia idonea ad offendere, imbrattare
o molestare le persone (v. Cass. pen. 13
gennaio 2015 n. 971; Cass. pen. 22 dicembre 2005
n. 46846); al contempo, però, non costituisce molestia,
idonea ad integrare lo stesso reato, la mera
circostanza di arrecare alle persone “preoccupazione
generalizzata ed allarme” circa eventuali danni
alla salute da esposizione ad emissioni inquinanti.
Inoltre, tra le emissioni di gas, vapori o fumo atte
ad offendere o imbrattare o molestare persone rientrano “tutte le sostanze volatili” che emanano
odori provocanti disturbo, disagio o fastidio alle
persone (v. Cass. pen. 20 gennaio n. 2377).
La contravvenzione di cui sopra, poi, non è configurabile
quando l’offesa, l’imbrattamento o la molestia
abbiano ad oggetto esclusivamente cose e non
“persone” (v. Cass. pen. 10 giugno 2010 n. 22032:
nella specie, lo sversamento di liquami, provocato
dal cattivo funzionamento di un depuratore consortile,
aveva causato danni solo a colture private,
senza riverberi negativi sui consorziati).
Infine, il reato previsto dall’art. 674 c.p. non prevede
due distinte ed autonome ipotesi di reato ma
un reato unico, in quanto la condotta consistente
nel provocare emissioni di gas, vapori o fumo rappresenta
una species del più ampio genus costituito
dal “gettare” o “versare” cose atte ad offendere,
imbrattare o molestare persone (v. Cass. pen. 17
ottobre 2011 n. 37495).
La fattispecie concreta recentemente decisa da
Cass. pen. 1° luglio 2015 n. 27562, attinente proprio
alla realtà condominiale, ci offre lo spunto per
affrontare funditus tali tematiche.
I giudici di merito avevano confermato la condanna
alla pena (ritenuta congrua ed adeguata)
di 10 giorni di arresto, nonché al risarcimento
dei danni in favore della costituita parte civile,
essendo emerso dalle risultanze processuali che
l’imputato, nell’esercizio dell’attività di somministrazione
al pubblico di alimenti e bevande, aveva
provocato l’emissione nell’atmosfera di “fumi
e vapori nauseabondi”, al punto da determinare
estremo disagio (nausea e senso di vomito) in
tutti i condomini dello stabile, che erano costretti
a tenere le finestre chiuse.
L’imputato ricorreva per cassazione - per quel che
qui rileva - denunciando, con il primo motivo, la
violazione dell’art. 649 c.p.p.: il ricorrente era stato
tratto a giudizio per aver provocato, nell’esercizio di
un’attività di ristorazione (bar-pizzeria), emissioni
di vapori e fumo, come accertato in una determinata
data; peraltro, le date indicate nel capo di imputazione
non corrispondevano all’effettivo tempus
commissi delicti, riferendosi esse al controllo operato
dagli agenti di Polizia; tali fatti erano stati già
giudicati con una precedente sentenza irrevocabile,
per cui si era violato il principio del ne bis in idem;
trattandosi di una pizzeria funzionante ininterrottamente,
l’illegittima emissione di gas, vapori, fumi,
connessa all’esercizio di attività economiche e legata al ciclo produttivo, si configurava come reato permanente,
non potendosi ravvisare la commissione di
distinti reati per ogni singola emissione.
Con il secondo motivo, il ricorrente denunciava la
violazione degli artt. 81 e 674 c.p.:
invero, da tutti gli accertamenti disposti dall’Arpa
era emerso il buon funzionamento delle attrezzature
poste in essere per la riduzione e prevenzione
degli odori e dei fumi (impianto di areazione e deodorizzazione
dei fumi prodotti); l’attività di ristorazione
ricadeva, ai sensi dell’art. 272 del d.lgs. n.
156/2006, nell’elenco delle attività in deroga che
non necessitavano di autorizzazione; peraltro, uniformandosi
all’attestato protocollo rilasciato dalla
Regione, era disponibile all’installazione di una
canna fumaria, con superamento di almeno un metro
il colmo di tetti, ma dai condomini dello stabile
era stato impedito di realizzare detto accorgimento,
sicché non poteva attribuirsi al ricorrente alcuna
responsabilità in ordine al reato ascritto.
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto il suddetto
ricorso “manifestamente infondato”.
Quanto all’eccepita violazione del principio del ne
bis in idem, non c’è dubbio che - come più volte
ribadito dalla magistratura di vertice - la contravvenzione
prevista e punita dall’art. 674 c.p., quando
abbia per oggetto l’illegittima emissione di gas,
vapori, fumi atti ad offendere o imbrattare o molestare
le persone, connessa all’esercizio di attività
economiche e legata al ciclo produttivo, assuma il
carattere della “permanenza”, non potendosi ravvisare
la consumazione di definiti episodi in ogni
singola emissione di durata temporale non sempre
individuabile.
Peraltro - ad avviso di Cass. pen. 24 maggio 2012 n.
19637 - il carattere continuativo del reato di getto
pericoloso di cose, che ha natura permanente, non
si identifica con la “ripetitività giornaliera” delle
emissioni moleste, essendo sufficiente che esse si
protraggano, senza interruzioni di rilevante entità,
per un apprezzabile lasso di tempo a cagione della
duratura condotta colpevole del soggetto agente.
Ne consegue che, se la sentenza di primo grado abbia
accertato la permanente attualità dell’attività
produttiva in termini non diversi da quelli del momento
della contestazione, quanto a strumenti di
produzione, la permanenza nel reato deve ritenersi
cessata con la pronuncia di detta sentenza (v., ex
multis, Cass. pen. 10 agosto 1995 n. 9293).
Il ricorrente ha omesso, però, di considerare che
la sentenza passata in giudicato aveva ad oggetto
fatti commessi fino ad una certa data; trattandosi
di contestazione “chiusa”, la permanenza doveva
ritenersi, quindi, cessata (già prima della sentenza)
alla data indicata nell’imputazione, mentre i fatti
per cui si procede risultano accertati in un secondo
momento; siamo, quindi, in presenza, di una condotta successiva che, come tale, non può essere
coperta dal precedente giudicato.
In ordine al secondo motivo, si è ricordato che, per
il reato di cui all’art. 674 c.p., l’evento di “molestia”
provocato dalle emissioni di gas, fumi o vapori è
apprezzabile a prescindere dal superamento di eventuali
limiti previsti dalla legge, essendo sufficiente
il superamento del limite della normale tollerabilità
ex art. 844 c.c. (v. Cass. pen. 26 settembre 2012 n.
37037; Cass. pen. 27 settembre 2011 n. 34896; cui
adde, più di recente, Cass. pen. 3 novembre 2014 n.
45230, in materia di emissioni moleste “olfattive”:
nella specie, è stata ritenuta penalmente rilevante
la condotta dell’imputato che, non provvedendo ad
adeguata pulizia dei recinti in cui custodiva i propri
cani e del cortile circostante, mantenendovi a
lungo le deiezioni degli animali, aveva provocato
“esalazioni maleodoranti” in grado di arrecare molestie
ai condomini confinanti; d’altronde, il reato
di getto pericoloso di cose è configurabile anche in
presenza di una condotta omissiva che può essere
integrata dall’omessa custodia di animali qualora
sia derivato il versamento di feci animali atte ad
offendere, imbrattare o molestare persone, v. Cass.
pen. 31 luglio 2008 n. 32063: fattispecie nella quale
gli escrementi liquidi di alcuni cani, lasciati incustoditi
dal proprietario sul balcone, si riversavano
nell’appartamento sottostante).
È comunque necessario - aggiungono gli ermellini
- che venga accertato, in modo rigoroso, il limite
in questione, e sul punto i giudici di merito hanno
ampiamente argomentato in ordine al superamento
di siffatta normale tollerabilità, essendosi accertato
che l’imputato, nell’esercizio dell’attività di somministrazione
al pubblico di alimenti e bevande,
avesse provocato l’emissione di fumi e vapori nauseabondi;
che l’emissione fosse “nauseabonda” ed
atta a molestare era stato direttamente constatato
anche dagli agenti della Polizia municipale (uno dei
quali, addirittura, nel corso del sopralluogo, veniva
colto da un attacco di nausea).
In argomento, si è affermato che, ai fini della configurabilità
della contravvenzione di cui all’art. 674
c.p., in tema di getto pericoloso di cose, la sussistenza
dell’emissione di gas, vapori e fumi derivanti da
una canna fumaria, atti ad offendere, molestare o imbrattare
i vicini, dipende dal superamento dei limiti
della normale tollerabilità, con conseguente pericolo
per la salute pubblica, la cui tutela costituisce la ratio
dell’incriminazione (v. Cass. pen. 21 dicembre 2006 n.
42213, relativamente ad una pizzeria).
Orbene, il ricorrente, anziché censurare siffatte argomentazioni,
ha riproposto doglianze in fatto (in
ordine al buon funzionamento dell’impianto di areazione
e deodorizzazione), oppure irrilevanti (quanto
al mancato consenso da parte dei condomini
all’installazione di una canna fumaria).
In particolare, sotto il primo aspetto, anche di recente
Cass. pen. 23 marzo 2015 n. 12019 ha ribadito
che il reato di getto pericoloso di cose è
configurabile anche in presenza di immissioni olfattive
provenienti da un impianto “munito di autorizzazione”
per le emissioni in atmosfera, essendo
sufficiente il superamento del limite della normale
tollerabilità previsto dall’art. 844 c.c.
In senso contrario, va registrato, però, un altro
indirizzo giurisprudenziale, secondo cui il reato di
getto pericoloso di cose non è configurabile qualora
le emissioni provengano da un’attività regolarmente
autorizzata o da un’attività prevista e disciplinata
da atti normativi speciali, e siano contenute nei
limiti previsti dalle leggi di settore o dagli specifici
provvedimenti amministrativi che le riguardano, il
cui rispetto implica una presunzione di legittimità
del comportamento (v. Cass. pen. 18 novembre
2010 n. 40849; Cass. pen. 15 aprile 2009 n. 15707)
In proposito, si è puntualizzando che, all’inciso
“nei casi non consentiti dalla legge”, deve riconoscersi
un valore rigido e decisivo, tale da costituire
una sorta di spartiacque tra il versante dell’illecito
penale, da un lato, e dell’illecito civile, dall’altro;
in particolare, la clausola “nei casi non consentiti
dalla legge”, contemplata nell’art. 674 c.p., non è
riferibile alla condotta di getto o versamento pericoloso
di cose di cui alla prima parte della norma
citata, ma esclude il reato solo per le emissioni di
gas, vapori o fumo che sono specificamente consentite
attraverso limiti tabellari o altre determinate
disposizioni amministrative (v. Cass. pen. 17
aprile 2009 n. 16286).
Relativamente ai confini rispetto alla fattispecie civilistica,
la stessa Corte regolatrice - v. Cass. pen. 9
marzo 2006 n. 8299 - ha puntualizzato che, ai fini
della configurabilità del suddetto reato, l’espressione
“nei casi non consentiti dalla legge” costituisce
una precisa indicazione circa la necessità che tale
emissione avvenga in violazione delle norme che
regolano l’inquinamento atmosferico; allorché, pur
essendo le emissioni contenute nei limiti di legge,
abbiano arrecato e arrechino fastidio alle persone,
superando la normale tollerabilità, si applicheranno
le norme di carattere civilistico contenute nell’art.
844 c.c.; non è, pertanto, configurabile il reato di
cui all’art. 674 c.p. quando le emissioni provengano
da un’attività regolarmente autorizzata e siano
inferiori ai limiti previsti dalle leggi speciali in materia
di inquinamento atmosferico.
Appare comunque preferibile l’orientamento più rigoroso
- di cui sono espressione, tra le altre, Cass.
pen. 15 aprile 2009 n. 15734; Cass. pen. 19 giugno
2007 n. 23796 - per il quale il reato di getto
pericoloso di cose è integrabile indipendentemente
dal superamento dei valori limite di emissione
eventualmente stabiliti dalla legge, in quanto anche un’attività produttiva autorizzata può procurare
molestie alle persone, “per la mancata attuazione
dei possibili accorgimenti tecnici” idonei ad eliminarle
o contenerle.
Resta il fatto che, in tema di getto pericoloso di
cose, qualora trattasi di emissioni di fumi, gas o
vapori atti ad offendere o molestare le persone, la
prova del superamento del limite di tollerabilità
deve essere determinata di volta in volta dal giudice,
anche mediante dichiarazioni testimoniali, con
riguardo sia alle condizioni dei luoghi e alle attività
normalmente svolte in un determinato contesto
produttivo, sia al sistema di vita e alle correnti
abitudini della popolazione nell’attuale momento
storico (v. Cass. pen. 13 ottobre 2007 n. 38073, in
una fattispecie in cui l’emissione di fumi, promananti
dalla canna fumaria e prodotti dall’impianto di
riscaldamento dell’imputato, investiva l’abitazione
di alcuni vicini di casa provocando loro molestia;
Cass. pen. 28 settembre 2007 n. 35489, in un’ipotesi
concreta di emissioni di monossido di carbonio e
fumi provocati da un impianto termico centralizzato
condominiale, di cui era stata accertata la presenza
all’interno dell’appartamento di un condomino).
Riguardo alle turbative provenienti dalla canna fumaria
poste a servizio di esercizi commerciali ubicati
nello stabile condominiale, si può riportare
quanto notato dai supremi giudici penali - v. Cass.
pen. 26 maggio 2005 n. 19898 - secondo i quali,
ai fini della sussistenza del reato di cui all’art. 674
c.p., è sufficiente che il fatto commesso sia idoneo
alla produzione degli eventi negativi previsti dalla
norma; d’altronde, si richiede che tali effetti siano
cagionati contra legem, e pertanto il parametro di
legalità va individuato nel contenuto del provvedimento
amministrativo all’esercizio di una determinata
attività lavorativa, ma laddove l’autorizzazione
non sia richiesta, si deve avere come punto
di riferimento il criterio della “stretta tollerabilità”
piuttosto che quello contenuto nella disposizione
civilistica dell’art. 844 c.c., che consente immissione
entro i limiti della “normale tollerabilità”.
Come è agevole notare, al pari del disposto di cui
all’art. 844 c.p.c. (“immissioni”), il quale, con il
tempo, ha ricevuto un’applicazione alquanto difforme
rispetto agli obiettivi prefissati al momento della
sua entrata in vigore (1942), limitati essenzialmente
alla tutela della proprietà fondiaria ma poi estesi
a dirimere i conflitti sui temi della tutela ambientale
e del diritto alla salute, così anche l’art. 674 c.p.
(“getto pericoloso di cose”), concepito nel 1930 per
punire chi gettava o versava in luogo pubblico cose
idonee a sporcare o colpire i passanti, è divenuto
successivamente, a fronte della lacuna normativa al
riguardo, uno dei più importanti strumenti giuridici
per la lotta contro l’inquinamento atmosferico inteso
lato sensu, odori sgradevoli inclusi.
di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione
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