sabato 28 novembre 2015

Il fondamento e l’applicazione del criterio di ripartizione delle spese condominiali in base all’uso ex art. 1123 comma 2 c.c.


Il fondamento e l’applicazione del criterio di ripartizione delle spese condominiali in base all’uso ex art. 1123 comma 2 c.c. Come è noto l’art. 1123 c.c. è la norma destinata a disciplinare i criteri generali di ripartizione delle spese nel condominio degli edifici.
L’articolo è formato da tre commi, ciascuno dei quali contiene un criterio specifico di suddivisione delle spese dovuto al diverso fondamento delle tre ipotesi individuate.
Dedichiamo in questo scritto un approfondimento particolare al secondo comma dell’art. 1123 c.c. che nella prassi appare applicato in modo non sempre uniforme e corretto.
Anche la giurisprudenza talvolta non sembra essere coerente nell’identificarne il preciso fondamento.
La norma dispone che “Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione dell’uso che ciascuno può farne”.
Prima di esaminare in quali fattispecie si verifica che un bene sia destinato a servire i condomini in modo diverso e come questa diversità si possa eventualmente misurare, bisogna prima comprendere quale è il fondamento della disposizione e quale è l’elemento che differenzia il comma due dai commi uno e tre.
Secondo una teoria, frutto di un pluriennale studio logico sistematico, accolto anche dall’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, come vedremo in seguito, (Corona: “Proprietà e Maggioranza nel Condominio negli edifici” Università di Cagliari Giappichelli e sempre Corona “Il Regime della ripartizione delle spese in condominio”), le spese cui fa riferimento il comma due sono del tutto diverse da quelle elencate nel comma uno.
Le spese individuate nel comma uno sono quelle necessarie per la conservazione e per il godimento (obiettivo) delle parti comuni dell’edificio, per la prestazione dei servizi nell’interesse comune e per le innovazioni.
Le spese cui fa riferimento il comma due, invece, secondo la teoria di cui sopra, sono le sole spese che concerno l’uso o il godimento personale dei condomini.
La diversità delle spese è anche l’elemento che distingue in modo netto il comma due dagli altri.
Questa conclusione secondo Corona sarebbe desumibile dall’art. 1123 comma tre c.c. il quale contempla solo i contributi per la manutenzione, il che confermerebbe che implicitamente il comma precedente concerne esclusivamente le spese per l’uso.
Se infatti il legislatore non avesse ravvisato la necessità di distinguere nettamente le due specie di contributi (spese per la conservazione e spese per l’uso), nel comma tre non avrebbe fatto menzione solo delle spese di conservazione. Se per contro il comma tre avesse voluto fare riferimento anche alle spese per l’uso, sarebbe stato superfluo ed una inutile ripetizione del comma due.
Tale teoria va ulteriormente spiegata per comprenderne appieno le ragioni.
Secondo Corona la disciplina difforme , cui sono soggette le spese per la conservazione e quelle per l’uso delle cose, degli impianti e dei servizi comuni, si riconduce alla distinta funzione ed al diverso fondamento delle due specie di obbligazioni.
L’obbligazione inerente le spese per la conservazione è diretta a preservare la consistenza della cosa comune e la sua integrità, nonché il valore capitale. Per questa ragione il Legislatore ha stabilito che dette spese si ripartiscano in proporzione con le quote di partecipazione dei condomini alla cosa comune (commi uno e tre).
Il quantum di tali spese, qualsiasi sia l’opera diretta alla conservazione, è sempre commisurato alla proporzione espressa dalla quota che in virtù della determinazione fissata dalla norma (art. 68 disp. att. c.c.) esprime la misura della appartenenza di ogni singolo condomino ai beni comuni.
L’obbligazione di concorrere alle spese per l’uso, invece scaturisce dall’uso, cioè da un comportamento soggettivo, personale e mutevole, ed è indipendente dalla quota di appartenenza del condomino alla cosa oggetto di godimento. L’ordinamento, quanto alle spese di conservazione della cosa, attribuisce rilevanza esclusiva al rapporto di diritto, mentre, quanto alle spese di godimento personale, attribuisce rilevanza alla relazione di fatto con la cosa. Corona sottolinea che , in proporzione all’uso, si ripartiscono solo le spese per l’uso; non anche quelle per la conservazione. Talune parti comuni, per la loro struttura e fondazione, sono suscettibili però solo di una utilizzazione obiettiva e non diversa e personale.
Cosi il suolo, le fondazioni, i muri maestri e perimetrali, la facciata, i tetti, i cortili, ecc. rendono una utilità statica indipendente dalla attività personale dei singoli proprietari.
Rispetto a questi beni non esiste un uso personale dei condomini che possa essere misurato diversamente tra essi.
L’utilità che tali beni arrecano è in relazione alla connessione materiale e funzionale con le proprietà esclusive e non può che essere misurata in ragione del valore proporzionale delle singole unità immobiliari, posto che essi non danno luogo a spese per l’uso. I muri maestri, ad esempio sono capaci solo di una utilizzazione obiettiva, non cosi l’ascensore il cui godimento personale e soggettivo si giustifica in ragione del fatto che esso fornisce ai piani una diversa utilità in funzione dell’altezza dei medesimi.
Per i muri maestri viceversa cercare di distinguere una utilità soggettiva non ha senso, perché essi, appunto non sono capaci di un diverso uso soggettivo per i condomini, vista la loro caratteristica strutturale di contorno dell’intero edificio. Quanto all’ascensore, si comprende invece la diversità della funzione in quanto obiettivamente la corsa dell’impianto è più lunga per i piani superiori che per i piani inferiori dell’edificio e dunque è evidente che l’impianto venga usato in modo differente dai singoli proprietari.
Questa teoria non è condivisa dagli altri studiosi (Branca: Comunione.Condominio negli edifici; Salis Il Condominio negli edifici; e così Scaduto, Guidi, Peretti Griva, Terzago) tra cui anche Triola secondo il quale se il Legislatore avesse inteso, con il comma 2 e 3 dell’art. 1123 c.c. disciplinare le spese rispettivamente per il godimento e per la conservazione, non si comprenderebbe perché avrebbe formulato la seconda disposizione (comma 3) senza precisare che essa si riferiva alle sole spese per il godimento.
Ed ancora ritiene Triola che la mancata menzione dell’art. 1123 comma 3 c.c. delle spese di godimento avrebbe una sua spiegazione logica in quanto se determinate parti comuni sono di per sé destinate a servire solo ad alcuni condomini e non ad altri, il legislatore non avrebbe avuto bisogno di prevedere l’esenzione per le spese di godimento, una volta precisato che i condomini non serviti non sono neppure tenuti al pagamento delle spese di manutenzione. Infine secondo Triola la imputazione dei commi 2 e 3 a spese di natura diversa non sembra equa poiché la necessità di manutenzione dipende dall’uso per cui ritiene che sia giusto che i condomini contribuiscano alle spese sempre in funzione dell’uso individuale.
Tale tesi, pur maggioritaria, a me pare non condivisibile perché non spiega il fondamento delle diverse spese condominiali e presenta anche una indubbia estrema difficoltà pratica nel distinguere di volta in volta quando sia possibile ed in che modo misurare per le spese di conservazione un diverso uso soggettivo da parte dei condomini. La giurisprudenza della Cassazione, come detto, pare aver accolto la tesi minoritaria di Corona. Secondo Cassazione civile, sez. II, 19/06/2000, n. 8292 “In tema di oneri condominiali, la funzione ed il fondamento delle spese occorrenti per la conservazione dell’immobile si distinguono dalle esigenze che presiedono alle spese per il godimento dello stesso, come è dato evincere, in via di principio generale, dal disposto dell’art. 1104 c.c. - dettato in tema di comunione - e, “sub specie” dei rapporti di condominio, dalla norma di cui all’art. 1123 stesso codice, a mente della quale i contributi per la conservazione del bene sono dovuti in ragione della appartenenza e si dividono in proporzione alle quote (indipendentemente dal vantaggio soggettivo espresso dalla destinazione delle parti comuni a servire in misura diversa i singoli piani o porzioni di piano), mentre le spese d’uso (che traggono origine dal godimento soggettivo e personale) si suddividono in proporzione alla concreta misura di esso, indipendentemente dalla misura proporzionale dell’appartenenza (e possono, conseguentemente, mutare, del tutto legittimamente, in modo affatto autonomo rispetto al valore della quota)”.
Tale principio convince oltre che per l’acutezza del raffronto tra i vari Istituti, anche perché ha la forza di dirimere in modo chiaro qualsiasi dubbio in materia di spese, una volta che esse siano distinte tra spese di conservazione per le quali si applicano i commi 1 e 3 e quelle d’uso per le quali sole si applica il comma 2.
Quanto espresso dalla decisione di cui sopra risulta ulteriormente specificato in Cassazione civile, sez. II, 27/01/2004, n. 1420 ove trovasi affermato che “In tema di oneri condominiali, non è applicabile alle spese di conservazione (art. 1123, comma 1, c.c.), qual è quella per la sostituzione della caldaia, il criterio di ripartizione in proporzione dell’uso (art. 1123, comma 2, c.c.).
Ne consegue che la ripartizione delle spese per la sostituzione della caldaia va effettuata secondo i millesimi di proprietà e non secondo i millesimi del riscaldamento. Riportiamo alcune decisioni su spese specifiche per le quali la Suprema Corte ha fatto applicazione del principio di cui sopra. Secondo Cassazione civile, sez. II, 04/05/1999, n. 4403 “Le spese per la difesa delle parti comuni dell’edificio, dagli agenti atmosferici, sono ripartite in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive ai sensi dell’art. 1123, comma 1, c.c. e non rientrano - invece - fra le spese di cui ai commi 2 e 3 della medesima norma, le quali riguardano le cose comuni suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa, ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri”.
“In tema di condominio negli edifici, l’art. 1123, secondo comma, cod. civ. si applica per le spese attinenti alle parti e ai servizi che, per loro natura, sono destinati a fornire utilità diverse ai singoli condomini, sicché esso non trova applicazione per la spesa di messa a norma dell’impianto elettrico condominiale, il quale, ai sensi dell’art. 1117, n. 3, cod. civ., in mancanza di titolo contrario, è comune a tutti i condomini (Cassazione civile, sez. II, 12/08/2014, n. 17880). Secondo Cassazione civile, sez. II, 16/01/2014, n. 820 “Le spese d’uso e manutenzione dello spazio condominiale destinato al parcheggio dei veicoli devono collocarsi nell’ambito del godimento della cosa comune; ne discende che le spese stesse rientrano fra quelle generali, per cui è applicabile il criterio di riparto stabilito dall’art. 1123, comma 1, c.c., con riferimento al valore della proprietà di ciascun condomino, e non a quello dell’uso differenziato dettato dal comma 2, che appunto non opera per le spese generali”. “Le spese per la costruzione di nuovi canali di scarico e di nuova fognatura, necessari per sostituire il preesistente sistema di scarico, a pozzi perdenti, con altro collegato direttamente alla fogna comunale, vanno ripartite tra i condomini, non in proporzione all’uso che ciascuno di essi può farne, secondo la previsione di cui al comma 2 art. 1123 c.c., bensì in misura proporzionale ai valori di proprietà individuale espressi in millesimi,  a norma del comma 1 stesso articolo, purché i relativi condotti costituiscano un impianto unico non suscettibile di frazionamenti, quali parti integranti del medesimo condotto principale nel quale confluiscono e senza del quale non potrebbero funzionare” (Cassazione civile, sez. II, 12/10/1979, n. 5331). Secondo Cassazione civile, sez. II, 27/11/1990, n. 11423 “In tema di condominio negli edifici le parti dell’edificio - muri e tetti (art. 1117 n. 1 c.c.) - ovvero le opere ed i manufatti - fognature, canali di scarico e simili (art. 1117 n. 3 c.c.) - deputati a preservare l’edificio condominiale dagli agenti atmosferici e dalle infiltrazioni d’acqua, piovana o sotterranea, rientrano, per la loro funzione, fra le cose comuni, le spese per la cui conservazione sono assoggettate alla ripartizione in misura proporzionale al valore delle singole proprietà esclusive ai sensi della prima parte dell’art. 1123 c.c., e non rientrano, per contro, fra quelle parti suscettibili di destinazione al servizio dei condomini in misura diversa ovvero al godimento di alcuni condomini e non di altri (art. 1123, comma 2 e 3 c.c.)”.
Non mancano tuttavia precedenti assai discutibili che hanno fatto applicazione del comma 2 dell’art. 1123 c.c. anche in ordine alle spese di conservazione in applicazione della tesi sostenuta dalla dottrina maggioritaria. Così, secondo Cassazione civile, sez. II, 23/12/1992, n. 13655 “ Il criterio di ripartizione delle spese di cui all’art. 1123 c.c., con riguardo all’ipotesi di cui al comma 2, può trovare applicazione in concrete circostanze, con riguardo a qualunque parte comune dell’edificio e quindi anche alla facciata, in guisa che i condomini siano obbligati a contribuire alle spese di manutenzione e riparazione, non in base ai valori millesimali, ma in ragione dell’utilità che la cosa comune sia obbiettivamente destinata ad arrecare a ciascuna delle proprietà esclusive, laddove la spesa potrebbe gravare indistintamente su tutti i partecipanti alla comunione secondo il criterio generale di cui all’art. 1104 c.c. solo se la cosa comune in relazione alla sua consistenza ed alla sua funzione fosse destinata a servire ugualmente ed indiscriminatamente i diversi piani o le singole proprietà. (Nella specie la S.C. ha ritenuto correttamente applicato il principio surriportato con riguardo alla ripartizione delle spese di riparazione della pannellatura della facciata di un edificio, sul rilievo che essa assolve ad una duplice funzione, l’una di protezione verso l’esterno dei balconi di proprietà esclusiva dei singoli condomini e di riparo dagli agenti atmosferici, l’altra di abbellimento
della facciata del fabbricato)”. Secondo Cassazione civile, sez. II, 19/07/2011, n. 15841 “Nel caso in cui il solaio di copertura di autorimesse (o di altri locali interrati) in proprietà singola svolga anche la funzione di consentire l’accesso all’edificio condominiale, non si ha una utilizzazione particolare da parte di un condomino rispetto agli altri, ma una utilizzazione conforme alla destinazione tipica (anche se non esclusiva) di tale manufatto da parte di tutti i condomini. Ove, poi, il solaio funga da cortile e su di esso vengano consentiti il transito o la sosta degli autoveicoli, è evidente che a ciò è imputabile in maniera preponderante il degrado della pavimentazione, per cui sarebbe illogico accollare per un terzo le spese relative alle necessarie riparazioni, ai condomini dei locali sottostanti. Sussistono allora le condizioni per una applicazione analogica dell’art. 1125 c.c.., che stabilisce che le spese per la manutenzione e la ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono sostenute, in via generale, in parti eguali dai proprietari dei due piani l’uno all’altro sovrastanti, restando a carico del proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore l’intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto: tale disposizione, infatti, accolla per intero le spese relative alla manutenzione di una parte di una struttura complessa (il pavimento del piano superiore) a chi con l’uso esclusivo della stessa determina la necessità di tale manutenzione, per cui sì può dire che costituisce una applicazione particolare del principio dettato dall’art.1123, 2 comma, c.c. Ancora più discutibile ed assolutamente fuori dal contesto normativo appare Cassazione civile sez.II, 2 agosto 1969 n. 2916 secondo la quale, ove si tratti di spesa destinata a servire in parti uguali i condomini, come nel caso di spesa per l’installazione di un’antenna televisiva centralizzata, la divisione va fatta in parti uguali” Si riporta anche decr. Corte di Appello di Brescia n. 1237/2015 che ha rigettato in sede di reclamo il ricorso di un condomino ex art. 1105 c.c. volto ad ottenere in volontaria giurisdizione un provvedimento di amministrazione del bene comune, nella specie l’esecuzione a spese comuni di un cappotto necessario a sopperire alle carenze originarie dei muri perimetrali non in grado di assolvere alla funzione di protezione dagli agenti atmosferici, sul presupposto che in assemblea non si erano formate le relative maggioranze. Ebbene la Corte, pur affermando che i muri perimetrali interessati sono comuni, ha ritenuto, discutibilmente, che spettasse solo al condomino interessato procedere a sue esclusive spese all’isolamento dei beni trattandosi di opere che giovano solo a lui. In concreto la giurisprudenza ha fatto invece una giusta applicazione del comma 2 dell’art. 1123 c.c. relativamente ad alcune specifiche spese d’uso di cui si riportano le massime: Secondo Cassazione civile, sez. II, 03/10/1996, n. 8657 In tema di ripartizione di oneri condominiali, le spese per la illuminazione e la pulizia delle scale non configurano spese per la conservazione delle parti comuni, tendenti cioè a preservare l’integrità e a mantenere il valore capitale delle cose (art. 1123, comma 1, e 1124, comma 1, c.c.), bensì spese utili a permettere ai condomini un più confortevole uso o godimento delle cose comuni e di quelle proprie; con la conseguenza che ad esse i condomini sono tenuti a contribuire, non già in base ai valori millesimali di comproprietà, ma in base all’uso che ciascuno di essi può fare delle parti comuni (scale) in questione.
secondo il criterio fissato dall’art. 1123, comma 2, c.c.. Cassazione civile, sez. II, 12/01/2007, n. 432 ha tuttavia corretto l’indirizzo sopra indicato affermando che “La ripartizione delle spese per la pulizia e l’illuminazione delle scale di un condominio va fatta, in analogia con la norma speciale dell’art. 1124 c.c., con l’applicazione, però, integrale del criterio dell’altezza di piano - cioè in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo - in quanto la disposizione contenuta nell’art. 1124 c.c. comma 1, secondo la quale la metà delle spese per la ricostruzione e manutenzione delle scale va effettuata in base ai millesimi, deroga, infatti, in parte a tale criterio che è applicativo del principio generale di cui all’art. 1123 comma 2 c.c. e, quindi, non può trovare applicazione analogica con riferimento a spese diverse da quelle espressamente considerate”. In tema di riscaldamento, quando non vigeva la normativa sulla termoregolazione e contabilizzazione del calore, si era stabilito che “In tema di condominio, ai fini della ripartizione delle spese di riscaldamento, l’unico criterio base che fosse conforme al principio generale di cui all’art. 1123, comma 2, c.c. era quello della superficie radiante (Cassazione civile, sez. II, 26/01/1995, n. 946). Ora l’applicazione di cui al comma 2 dell’art. 1123 c.c., quanto al riscaldamento, viene fatta con riferimento al consumo effettivo secondo i criteri dettati dalla norma tecnica uni 10200 in forza al Dlgs 102/2014. Su un concetto tutta la Dottrina è concorde. Il comma 2 dell’art. 1123 c.c. è applicabile quando la diversità dell’uso sia in concreto misurabile. Secondo Triola va precisato che il criterio della ripartizione in base all’uso viene ad essere superato ove sia – in concreto – possibile misurare tale uso. Corona sostiene che quando il godimento personale e soggettivo non è misurabile, non resta che presumerlo corrispondente al valore delle cosiddette quote e ripartire la spesa in proporzione all’uso ragguagliato alle quote. Dello stesso avviso di questo Autore è la giurisprudenza. Secondo Cassazione civile, sez. II, 01/08/2014, n. 17557 “In tema di condominio negli edifici, salva diversa convenzione, la ripartizione delle spese della bolletta dell’acqua, in mancanza di contatori di sottrazione installati in ogni singola unità immobiliare, deve essere effettuata, ai sensi dell’art. 1123, primo comma, cod. civ., in base ai valori millesimali, sicché è viziata, per intrinseca irragionevolezza, la delibera assembleare, assunta a maggioranza, che, adottato il diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare, esenti dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno”. Tale decisione appare correggere un pregresso orientamento non condivisibile secondo il quale se l’impianto originario dell’acqua non è dotato di contatori individuali spetta all’assemblea di condominio adottarli. Ha precisato al riguardo Cassazione civile, sez. II, 17/09/1998, n. 9263 che “Il contributo alla spesa per un servizio comune destinato ad esser fruito in misura diversa dai singoli condomini, se possibile e non eccessivamente costoso, deve esser ripartito in proporzione all’utilizzazione di esso e non ai millesimi - come invece avviene per il riscaldamento, per impossibilità di accertarne l’effettiva utilità per ciascun condomino - al fine di evitare un indebito arricchimento rispettivamente a favore e a discapito dei singoli condomini. (Nella specie la corte ha previsto l’installazione di contatori individuali per accertare il consumo effettivo dell’energia elettrica della rete condominiale). La prima decisone ha il pregio di valutare la deliberazione di approvazione della ripartizione di spesa in relazione allo stato dell’impianto esistente
al momento della deliberazione stessa senza entrare nel merito del libero arbitrio assembleare tema sul quale il sindacato dell’Autorità Giudiziaria non ha competenza. Si segnala in linea con quanto appena detto Cassazione civile, sez. II, 03/12/2008, n. 28734 secondo la quale “Il sindacato dell’autorità giurisdizionale sulle decisioni condominiali non può estendersi al controllo del potere discrezionale che l’assemblea esercita quale organo sovrano della volontà dei condomini, ma deve limitarsi al riscontro della legittimità che, oltre ad avere riguardo alle norme di legge o del regolamento condominiale, deve comprendere anche l’eccesso di potere, ravvisabile quando la decisione sia deviata dal suo modo di essere, perché in tal caso il giudice non è chiamato a controllare l’opportunità o la convenienza della soluzione adottata dalla delibera impugnata, ma deve stabilire solo che essa sia o meno il risultato del legittimo esercizio del potere discrezionale dell’organo deliberante”. Non sempre tuttavia i Giudici di merito hanno fatto una corretta applicazione di questo limite. In un condominio avente un impianto elettrico unitario con un unico contatore che serve l’illuminazione dei cortili e dei viali principali e secondari, ed un vano scale di un corpo di fabbrica, è stata annullata la deliberazione che aveva approvato di suddividere la spesa della fornitura di energia in ragione dei millesimi di proprietà di tutti i condomini in assenza appunto di contatori divisionali che potessero misurare i diversi consumi per le singole porzioni condominiali interessate. Trib. Brescia n. 769/2015 ha annullato la deliberazione di ripartire la spesa in base ai millesimi di proprietà “allorchè non vi sia separazione tra i consumi delle porzioni immobiliari comuni a tutti i condomini come l’illuminazione del viale di ingresso principale, mentre i viali, comuni solo ad alcuni condomini sono ugualmente calcolati dal contatore generale e ripartite tra tutti i condomini, compresi coloro che non hanno accesso a detti viali secondari”. Trattasi di decisione errata che non tiene conto della situazione di fatto dell’impianto, oltre a non essere neppure applicabile al caso concreto. Come è possibile infatti per le spese pregresse risuddividerle con il principio ivi affermato se il contatore è uno solo? La decisone evidentemente potrà servire da monito all’assemblea per deliberare in futuro l’adozione di sottocontatori divisionali in modo da potersi applicare il comma 2 dell’art. 1123 c.c., ma essa si rivela assolutamente inutile per le spese pregresse che non potranno mai trovare una diversa misurazione rispetto a quella presuntiva dei millesimi di proprietà.

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