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lunedì 8 gennaio 2018

Edilizia e Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio

L'Italia è il 60% del patrimonio artistico mondiale. Abbiamo una concezione diversa da chiunque altro grazie alla nostra storia. L'italiano medio ha una cultura umanistica alla pari di un laureato in altri paesi. Anche se a livello di conoscenza scientifiche non brilliamo, siamo i primi a livello umanistico. Con il mondo tecnologico di oggi non serve a molto conoscere a memoria la Divina Commedia, anche se il più ignorante di noi usa modi di dire che derivano dal Sommo testo (come 'stai fresco' ad esempio).

Come ingegnere sono convinto che nelle scuole dovrebbe essere lasciato più spazio per insegnare matematica, informatica e scienza in generale, invece di insegnare il latino, la filosofo e le poesie a memoria, o perdere ore a fare ricreazione chiamandola educazione fisica. Nel mondo del lavoro non serve a molto conoscere il 5 maggio a memoria (opera stupenda che leggo tutti i giorni), ma serve saper usare il computer alla perfezione, ma non voglio parlare di questo, sono miei pensieri. Voglio parlare di un discorso tecnico.

Noi italiani, abbiamo una sensibilità particolare verso la cultura, una sensibilità che dopo anni e anni di abusi sui nostri centri storici, sul nostro bel paesaggio, ci ha portato a legiferare severe leggi contro chi abusa di loro, e oggi siamo atterriti quando vediamo che qualcuno viene preso per abuso in un centro storico o perché ha costruito senza l'autorizzazione paesaggistica (che non si può sanare).

Vi racconto un fatto accaduto a un mio amico: in un comune italiano, il Signor Rossi da il compito al geometra Pinco di costruire una casa. Il geometra prepara il progetto, va in comune, verifica tutto quello che c'è da verificare, il tecnico del comune verifica tutto, se i vincoli ambientali e paesaggistici sono rispettati, ecc... ecc... e dopo mesi, rilascia il PDC, il Permesso di Costruire. Iniziano i lavori. Qualche lieve modifiche, si sposta qualche finestra, ma niente di eccezionale. Finiscono i lavori. Il Geometra prepara il documento di Fine Lavori, che porta in Comune tranquillo che sarebbe stato tutto a posto. Invece lo chiamano. Si presenta. Il tecnico del Comune, che non era più quello di prima, gli dice che vicino c'è un rio, che questo rio ha un vincolo, che per avere il nullaosta per questo vincolo serviva prima l'Autorizzazione Paesaggistica, così come previsto dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio. Visto che l'autorizzazione paesaggistica non può essere lasciata in sanatoria, la casa deve essere demolita.

Ora. Se chi legge è un tecnico, sa che questi casini sono all'ordine del giorno. Se chi legge non è un tecnico, si domanda com'è possibile che ci siano palazzi costruiti dentro i fiumi e non si dice nulla, mentre per un ammanco burocratico si deve demolire una casa (magari costruita con i risparmi di una vita?)?!

Il caso di Norcia - Roba di pochi giorni fa. Il Sindaco ha ricevuto un avviso di Garanzia perché avrebbe fatto passare una struttura normale come una struttura di emergenza. Per la magistratura ciò non poteva essere fatto. Nella fattispecie si tratta di un edificio donato da un'azienda a un'associazione con funzione di servizio alla comunità... una comunità che con le disgrazie che sono successe è riuscita ancora a sopravvivere. Nel particolare, in caso di emergenza si può fare a meno di alcune prassi burocratiche, nella fattispecie quella paesaggistica. Ma per la magistratura la struttura era ordinaria e quindi la paesaggistica obbligatoria. Quindi il rischio concreto ora, è che la struttura debba essere abbattuta. Ora mi domando com'è possibile che la magistratura indaghi perché viene costruita una struttura del genere, e non vada a indagare come mai sono state consegnate casette inabitabili? Che in un posto dove la natura ha cancellato secoli di vita si debba applicare leggi così severe sulla tutela paesaggistica?

La signora Giuseppina - Chi se la può dimenticare? Le figlie gli comprano una casa prefabbricata, di 45 mq visto che la sua era stata distrutta dal terremoto. Ma per i tecnici comunali, mancava l'autorizzazione paesaggistica, pertanto la casa è considerata abusiva e doveva essere abbattuta. Solo l'intervento del Ministro e del Parlamento ha permesso che ciò non accadesse. Perché, in una situazione di emergenza, lo Stato permette che l'emergenza si aggravi.

E' evidente come lo Stato abbia fatto leggi che non tengono conto di determinate situazioni. Sono diventate quasi assurde queste richieste. E se da una parte si premia il lavoro fatto dalla Soprintendenza, che blocca lavori imbecilli e tutela il patrimonio storico, dall'altra ci sentiamo atterriti quando abbiamo questa freddezza e questa mancanza di interpretazione della norma.

Vi faccio vedere cosa succedere in un Paese vicino, la Gran Bretagna, uno stato che ha un centesimo del nostro patrimonio. Questo è l'ex-ospedale di St. Elizabeth, struttura ottocentesca, di una certa rilevanza storica e testimone di un tempo che fu. Difatti, a differenza nostra, in paesi come UK e Spagna, non si tiene in particolare conto di conservare la tecnologia edilizia, per noi fondamentale. In Italia si richiede spesso di usare le stesse materie prime e le stesse tecnologie dell'epoca edilizia, anche per lavori semplici. Questo per me è stupendo, conservare non solo l'estetica ma anche la tecnologia usata, che altrimenti rischiamo di perdere per sempre. Stupendo.


Questa prassi edilizia permette di mantenere integri gli esterni, ma nello stesso tempo di realizzare interni con un confort moderno, in piena sicurezza sismica e con alti standard energetici, risparmiando notevolmente i costi.

Però, c'è sempre un però. Se è bellissimo conservare la tecnologia edilizia oltre che l'estetica, questo è assai costoso e ha tempi lunghi. Qual'é il limite che si dovrebbe avere?Qual'é il limite tra autorizzazione burocratica e buon senso? Quali sono quegli edifici dove questo deve essere applicato obbligatoriamente, o solo consigliato, oppure evitato? Non lo sappiamo bene. C'è una legge nazionale, poi alcune regionali, provinciali, locali... ecc... Che per fortuna degli avvocati, sono libere di interpretazioni da parte dei giudici.

Gli edifici crollano. La forza di gravità nel tempo ha sempre la meglio. Ma per alcune decine di anni possiamo combatterla, e se siamo bravi anche per secoli, o anche millenni (Romani docet!). Ora una riflessione che chi legge potrà pensare di crocifiggermi.

Vi dico un segreto: abbiamo troppo patrimonio storico e non abbiamo i soldi per tenere tutto in piedi. Allontaniamo gli investitori, anche piccoli, per le lunghezze burocratiche e gli alti costi. Questo deve essere cambiato. Serve una netta distinzione tra centri storici importanti, minori, secondari. Serve una scelta importante tra edifici sismo-resistenti, con alta standard energetici o edifici storici. Perché in un centro storico non si può intervenire demolendo completamente un edificio e ricostruirlo con le più moderne tecnologie in tempi brevi e non giurassici? Perché si deve aspettare due mesi per avere l'autorizzazione di cambiare due lastre di ardesia sulla scala esterna? Perché dobbiamo scegliere tra edifici sicuri ed edifici storici? Perché non possiamo permettere che in caso di emergenza si mettano da parte tutte le autorizzazione paesaggistiche e ambientali e si metta al primo posto la vita delle persone? Perché il legislatore o il Governo, non è intervenuto dicendo che i proprietari di casa terremotata, potevano costruire una nuova casa avente le stesse metrature e sanando il tutto entro un anno dalla fine dei lavori? Perché lo Stato mette per strada persone come la signora Giuseppina, che il terremoto le ha levato la casa e lo Stato gliela leva di nuovo.

Tutte domande che mi auguro il prossimo Parlamento e Governo possano rispondere, per alleviare la sofferenza di noi tecnici, dei nostri clienti e per poter far ripartire ancora meglio l'economia edilizia (che resta sempre ai minimi).





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venerdì 15 settembre 2017

TRIBUNALE BOLOGNA 12 GIUGNO 2017, N. 1010 - limiti all'articolo 1102 c.c.



REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE  ORDINARIO DI BOLOGNA       
TERZA SEZIONE CIVILE

Il Tribunale, nella persona del Giudice dott.ssa Alessandra Arceri ha pronunciato la seguente                                              
                               
SENTENZA
                        
nella  causa civile di I Grado iscritta al n. r,g. 9505/2016 promossa da:                                                                  
E. B. C. C. S. C.
--omissis--),   con   il   patrocinio  dell'avv.  L.  N..
--omissis--)  elettivamente  domiciliato  in presso il difensore avv. L. N.                                
                                                              ATTRICE

CONTRO
CONDOMINIO, con il patrocinio  nell'avv.  M. M., elettivamente domiciliato in RASTIGNANO (BO) presso il difensore avv. M. M.                                                              
CONVENUTO

CONCLUSIONI
Le  parti hanno concluso all'udienza del 2 marzo 2017 rispettivamente l'attrice  EMILBANCA  come  da  atto di citazione e seconda memoria ex art.  183,  comma 6, c.p.c.; il convenuto CONDOMINIO come da comparsa di  risposta  e  seconda  memoria  ex  art.  183.  comma 6, c.p.c. Le conclusioni si riportano di seguito.                                 
Per parte attrice:                                                   
Voglia   l'Ill.mo  Tribunale  intestato,  ogni  contraria  istanza ed eccezione   disattesa,   con   sentenza  provvisoriamente  eseguibile nonostante gravame,                                                  

IN VIA PRINCIPALE                                                    
Accertare  e  dichiarare  che  la  Emil  Banca  - Credito Cooperativo Società  Cooperativa,  e  per  essa  la  sua conduttrice In S Mercato S.p.a.  ed  i  clienti  di  questa,  ha  il  diritto di utilizzare il corse/lo facente parte dei beni comuni del Condominio di Alfa nn. 5 - 7  Via  Beta  nn.  1  -  3,  meglio  descritto nel presente alto, per l'accesso  tramite autoveicoli al parcheggia da realizzare nel locale posta  al  piano  interrata  dell'edificio  condominiale, di proprietà esclusiva  della  Banca stessa, facente parte della porzione distinta al  Catasto Fabbricati del Comune di Bologna al foglio 242, part. 38, sub. 83, piano T -S1, e per l'effetto Accertare e dichiarare la nullità della delibera condominiale assunta all'esito  dell'assemblea del Condominio tenutasi in data 15 febbraio 2016, comunicata alla Banca attrice il 18 successivo, perché comprime e  viola  illegittimamente il diritto individuale della Emil Banca di utilizzare e fare utilizzare alla sua conduttrice In 'S Mercato S, p. a.   ed   ai   clienti  di  questa  il  corsello  stesso,  quale bene condominiale,  nonché   perché  supera  i  limiti  della  competenza  dell'assemblea condominiale stessa,                                                 

IN VIA SUBORDINATA                                                   
Accertare   e   dichiarare   che  la  delibera  assembleare  stessa è annullabile  per  i  medesimi  motivi,  nonché  ed  in ogni caso, per difetta di valida costituzione.                                      

IN TUTTI I CASI                                                      
Condannare il Condominio, in persona dell'Amministratore pro tempore, attualmente  Dott.  G. S., al risarcimento in favore delta Emil Banca dei  danni  tutti  da  questa subiti e subendi per i motivi di cui al presente  atto, nella misura di E 96.000,00 annui dal I° gennaio 2016 sino  alla  decisione  definitiva, ovvero in quella da determinarsi in esito  all'esperenda  istruttoria  ovvero  e se del caso anche in via equitativa  a  sensi  dell'art.  1226  c.c.,  con maggiorazione degli accessori di legge.                                                  
Con vittoria di spese e compensi.                                    

IN VIA ISTRUTTORIA                                                   
AMMETTERE, se del caso, Consulenza Tecnica d'Ufficio con formulazione del  seguente quesito: il C. T. U., esaminati gli atti e documenti di causa nonché eventualmente, previo consenso delle parti, documenti non prodotti  in  giudizio, a sensi dell'art. 198, 2° comma c.p.c. nonché assunte - se del casa con autorizzazione a sensi dell'art. 213 c.p.c.
-  informazioni presso tutte le competenti Pubbliche Amministrazioni,  *accerti se ed in quale misura dall'utilizzo del corsello condominiale di  cui  è  causa  anche da parte dei futuri clienti del supermercato possa  conseguire  un  aumento  del flusso delle autovetture lungo il corsello  condominiale:  stesso,  * stabilisca se da tale aumento del flusso   possa   derivare   un  pregiudizio  che  superi  la  normale tollerabilità  tale  da  risultare  incompatibile  con il diritto dei condomini di utilizzare il ridetto corsello, che impedisca o comunque comprima tale diritto,                                               
AMMETTERE prova per testi sulle seguenti circostanze.                
1)  Vero  che la In S Mercato, tramite il Dott. B, in data 27 gennaio2016,  presso Io Studio dell'Amministratore del Condominio convenuta, allorquando  i condomini dello stabile avevano manifestato contrarietà alla  richiesta  che  il  corsello  condominiale  di cui è causa fosse utilizzato  anche  dai clienti del futuro supermercato da realizzarsi nella   proprietà   esclusiva   della   Emil   Banca,  si  offriva di regolamentare  l'ingresso dei clienti al parcheggio del punto vendita con  un sistema di chiamata con apertura direttamente dall'interno del punto  vendita stesso, operante solo durante gli orari di esercizio ed assicurando  la  costante  presenza  di  un addetto, con il compito di aprire e chiudere telematicamente il cancello di entrata al corsello; 
2)  Vero  che la In S Mercato, tramite il Dott. B, in data 27 gennaio 2016,  pressa lo Studio dell'Amministratore del Condominio convenuto, allorquando  i condomini dello stabile avevano manifestato contrarietà alla  richiesta  che  il  corsello  condominiale  di cui è causa fosse utilizzato  anche  dai clienti del futuro supermercato da realizzarsi nella  proprietà  esclusiva  della Emil Banca, faceva presente la sua disponibilità  ad  impegnarsi  a  fare  in  modo che il parcheggio al sotterraneo  dello  stabile di Via Levante-BETA non fosse accessibile negli orari di chiusura del supermercato;                            
3)  Vero  che la In S Mercato, tramite il Dott. B, in data 27 gennaio 2016,  presso lo Studio dell'Amministratore del Condominio convenuto, allorquando  i condomini dello stabile avevano manifestato contrarietà alla  richiesta  che  il  corsello  condominiale  di cui è causa fosse utilizzato  anche  dai clienti del futuro supermercato da realizzarsi nella  proprietà esclusiva della Emil Banca, si offriva di installare a  proprie  spese  un  circuito  di  telecamere  ad  infrarossi per la sorveglianza  e la sicurezza delle vetture dei condomini parcheggiale lungo tutto il corsello;                                             
4)  Vero  che la In S Mercato, tramite il Dott. B, in data 27 gennaio 2016,  presso lo Studia dell'Amministratore del Condominio convenuto, allorquando  i condomini dello stabile avevano manifestato contrarietà alla  richiesta  che  il  corsello  condominiale  di cui é causa fosse utilizzato  anche  dai clienti del futuro supermercato da realizzarsi nella proprietà esclusiva della Emil Banca, si offriva di contribuire al  pagamento  delle  spese condominiali in misura maggiore di quella prevista secondo le tabelle millesimali, e da definirsi ira le parti, anche versando una cifra una tantum sempre da definirsi tra le parti, o   alternativamente,   di   realizzare   a  proprie  spese  opere di manutenzione   straordinaria  che  il  Condominio,  sulla  base delle proprie  necessità, avesse inteso richiedere, sempre da definirsi tra le parti:                                                             
5)  Vero  che la In S Mercato, tramite il Dott. B. in data 27 gennaio 2016,  presso lo Studio dell'Amministratore del Condominio convenuto, allorquando  i condomini dello stabile avevano manifestato contrarietà alla  richiesta  che  il  corsello  condominiale  di cui e causa fosse utilizzato  anche  dai clienti del futuro supermercato da realizzarsi nella proprietà esclusiva della Emil Banca, si dichiarava disponibile a  rinunciare  ad utilizzare quei posti auto condominiali posti lungo il  corsello  che  le sarebbero spettati in forza del godimento della porzione di proprietà della Banca;                                   
6)  Vero  che  la In S Mercato, sulla base di stime relative ad altri suoi  punti  vendita  situati anch'essi in zone semicentrali di altre città,  ha  stimato  che  i 29 posti auto previsti dal parcheggio del negozio   stesso   risulteranno  più  che  sufficienti  rispetto alla prevista affluenza della clientela che ivi si recherà in automobile; 
7)  Vero  che  per la zona in cui il supermercato aprirà al pubblico, situata  nella prima periferia di Bologna, intensamente edificata con grandi  palazzi  abitati per lo più da famiglie, che nel suo ambito si spostano prevalentemente a piedi. per il contesto in generale. Nonché per  come  sarà  strutturato il locale stesso, si può ragionevolmente supporre   che   il  negozio  sarà  raggiunto  dalla  clientela nella stragrande maggioranza dei casi a piedi.                             
Si  indica  a  teste: - Dott. B, residente in (omissis) (Padova), via (omissis) n. (omissis), su lutti i capitoli.                         
Per parte convenuta:                                                 
Piaccia  all'Ill.mo  Tribunale adito, contrariis rejectis, respingere per  i motivi dedotti tutte le domande attorce in quanto in/Ondate in fotto e diritto. Vinte le spese di lite.                                              
In  via  istruttoria,  senza  con  questo  volere  comunque invertire l'onere  della  prova, si chiede ammettersi la prova testimoniale dei sigg.  R. R. e A. C., entrambi residenti in via Trotti n.1 a Bologna, i quali non sono condomini, sui seguenti capitoli:                   
1) Vero che il cortile del fabbricato di Alfa nn. 5-7 e Via Prudi nn. 1-3  in  Bologna  condominiale  viene utilizzato per il passeggio dei condomini con animali e per il gioco dei bambini ivi residenti;       
2)   Dica  il  teste  con  che  frequenza  l'utilizzo  predetto viene esercitato;                                                          
3)  Vero  che  il  cortile condominiale viene utilizzato anche per il transito pedonale dei condomini verso l'adiacente area verde.



FATTO

Concisa esposizione delle ragioni di fatto e di diritto della decisione

Nel presente giudizio E. B. S. C., in qualità di condomino proprietario di immobile in Alfa n. 7 (DOC. 2 atto di citazione), conveniva in giudizio il CONDOMINIO, in primo luogo al fine di veder accertato ed affermato il proprio diritto d'uso del corsello condominiale ai sensi dell'art. 1102 c.c., secondo le modalità partitamente indicate in atto introduttivo, ed in secondo luogo al fine di ottenere declaratoria di nullità o in subordine l'annullamento della delibera assembleare a data 15 febbraio 2016 (DOC. 5 atto di citazione) nella quale i condomini, all'unanimità, avevano negato a parte attrice la facoltà di utilizzare il corsello condominiale così come richiesto. Si domandava, inoltre, la condanna del Condominio al risarcimento dei danni subiti per effetto di quello che, ad avviso di parte attrice, era un diniego espresso illegittimamente, ovvero in violazione di un proprio diritto soggettivo a fare del corsello di cui si tratta un uso più intenso, ma ricompreso entro le facoltà delineate dall'art. 1102 c.c.. da cui era conseguita l'impossibilità di stipulare il contratto di locazione con l'aspirante conduttore, ed il mancato incasso dei relativi canoni: infatti EMILBANCA aveva intrapreso trattative con IN S SUPERMERCATI volte a stipulare un contratto di locazione dell'immobile di proprietà in favore dell'esercente commerciale allo scopo di stabilire un punto vendita IN S nei relativi locali (DOC. 3 atto di citazione), e si lamentava che il contratto di locazione, allo stadio di semplice puntuazione, non si era potuto perfezionare proprio a causa del perdurante dissenso espresso dai condominio all'utilizzo del torsello condominiale da parte del conduttore e dei suoi clienti e fornitori che, tramite tale via d'accesso, avrebbero potuto parcheggiare i loro veicoli nello spazio sottostante l'immobile - punto vendita, adibito a parcheggio.
In particolare, netto diniego alle richieste in tal senso dell'Istituto di credito era stato espresso con delibera in data 15 febbraio 2016, che veniva pertanto impugnata da quest'ultimo deducendosene, al contempo, vizi di nullità e di annullabilità, come meglio si esplicherà in prosieguo.
Nel giudizio cosa radicato, si costituito il Condominio convenuto, chiedendo respingersi ogni domanda ex adverso proposta, e rilevando, in particolare, che l'uso del corsello condominiale come prospettato dall'istituto di credito non rispettava i limiti disegnati dall'art. 1102 c.c., in quanto, di fatto, esso si sarebbe tradotto in una inammissibile (ove non deliberata con le maggioranze richieste per le innovazioni ex art. 1120 c.c.) modificazione della destinazione d'uso del bene comune, ed in quanto, date le circostanze concrete del caso, ed in particolare, in considerazione del fatto che l'apertura del corsello all'utilizzo di tutti i terzi clienti e fornitori del supermercato avrebbe determinato un intenso transito sul medesimo, di fatto impeditivo dell'utilizzo che in precedenza di esso veniva fatto dai condomini (area di svago e parcheggio per veicoli dei condomini), si sarebbe realizzata in violazione patente del diritto al pari uso da parte dei restanti condomini.

Il Tribunale ha invitato le parti a precisare le conclusioni non ritenendo la causa abbisognevole di istruttoria.

Pertanto, deve rilevarsi nel merito:
A) Il preliminare motivo circa l'illegittima costituzione del consesso assembleare del 15 febbraio 2016, vizio determinato dall'eccesso di deleghe in capo ad un solo condomino 5 deleghe segnate al condomino sig. R., contrariamente a quanto disposto dal Regolamento Condominiale (DOC. 13 atto di citazione), nel quale è prevista la possibilità di assegnare un numero massimo di 3 deleghe a ciascun condomino presente - non è in questa sede esaminabile in quanto l'impugnazione in punto, concernente vizio di inammissibilità, è stata proposta oltre il termine perentorio di 30 giorni previsto ex art. 1.137 c.c.: in particolare, la delibera è stata donata in data 15.02.16, comunicata in data 18.02.16, il termine di 30 giorni per l'impugnativa giurisdizionale veniva pertanto a scadere il 20.03.16. L'atto introduttivo del presente giudizio è stato notificato al CONDOMINO soltanto il 20.06.16, pertanto, oltre il termine perentorio previsto dalla legge con effetto di decadenza dalla relativa impugnativa, alla quale, comunque, il Condominio convenuto si era opposto in ragione degli esiti della cd prova di resistenza;

B) Con riferimento, poi, all'ulteriore motivo di doglianza sollevato da parte attrice, secondo il quale la delibera impugnata sarebbe da reputarsi viziata per impossibilità dell'oggetto, in quanto l'assemblea non avrebbe potuto deliberare la sua personale limitazione del diritto di godimento di un bene comune, rientrante nella sfera dei diritti inviolabili del comproprietario, vi è da rilevare preliminarmente che tale vizio, se sussistente, determinerebbe la nullità della delibera assembleare, deducibile senza limiti di tempo. Si ritiene, tuttavia, per quanto si dirà oltre, che la domanda di nullità della delibera sia infondata poiché il diritto all'utilizzo del corsello,. come richiesto dalla BANCA, non rientra nella facoltà del condomino di uso particolare della parte comune ex art. 1102 c.c. ma costituisce un vero c proprio mutamento della destinazione d'uso dell'area, in senso limitativo, se non ablativo, del diritto al pari uso da parte degli altri condomini, traducendosi, in sintesi, nell'imposizione di servitù di passaggio a favore dei locali di proprietà dell'istituto di credito. Un simile mutamento di destinazione, con imposizione, quale effetto ultimo, di servitù a favore di un singolo condomino, avrebbe invero richiesto una delibera espressa all'unanimità dei condòmini ex art. 1108, comma 3, c.c.; ciò motivandosi, dunque, anche in riferimento alla ulteriore domanda di accertamento formulata dall'impugnante, non può non osservarsi e concludersi, infatti, come la modalità d'uso del corsello proposta dalla banca quale oggetto di specifica autorizzazione da parte del Condominio non rientri affatto, al contrario di quanto dalla stessa sostenuto, nell'ambito della facoltà di uso più intenso della parte comune, consentita sì al singolo condomino ex art. 1102 c.c., ma solo nel rispetto del duplice limite di non mutamento della destinazione d'uso della parte comune e del diritto di 'pari uso' degli altri condomini (Cass. 21256 del 05.10.2009 sul limite del diritto di uso particolare del condomino qualora sia prevedibile che tale uso diverso limiti il simultaneo 'pari uso' degli altri condomini. Conforme Casa. 15203 del 11.07.2011). Ed invero, in materia condominiale, non si può prescindere dall'analisi del caso concreto per stabilire se vi sia o meno il rispetto dei limiti previsti dall'art. 1102 c.c. in caso di uso particolare del bene comune da parte di un solo condomino. E nel caso di specie, é evidente che la richiesta apertura del corsello condominiale al transito, continuo e pressoché indiscriminato, se non per modeste limitazioni di tempo e modi, di veicoli di soggetti terzi rispetto ai condomini (clienti e fornitori del potenziale conduttore) viola i limiti previsti ex art. 1102 c.c., norma dettala per la comproprietà ma applicabile pacificamente anche in materia condominiale, poiché, in primo luogo, costituisce illegittima modifica di destinazione di uso del corsello, da 'privato' a 'pubblico', senza previo consenso degli altri condomini, ed inoltre, risulta chiaro che il passaggio di veicoli di soggetti terzi limiterebbe sensibilmente l'uso normale del passaggio, carrabile e pedonale, svolto da parte degli altri condomini, ciò implicando la trasformazione di un accesso riservato in un ingresso aperto al pubblico (Cass. 17279 del 23.07.2009 "L'area di parcheggio destinata agli utenti di un ipermercato - ancorché sia di proprietà privata, sia inclusa per intero in uno stabile di proprietà privata (nella specie, al piano interrato del! 'edificio ove aveva sede l'ipermercato,) e sia delimitata da strutture destinate a regolare l'accesso dei veicoli (sbarra di ingresso) - è da ritenere aperta all'uso da parte del pubblico e ordinariamente adibita al traffico veicolare, considerato che chiunque ha la possibilità di accedervi"). Peraltro, la particolare condizione in cui il corsello in oggetto verrebbe a trovarsi (continuamente usufruito da clienti diretti al supermercato, ovvero dai fornitori di esso, per le operazioni di carico e scarico), per effetto del ridetto mutamento di destinazione, implicherebbe in definitiva l'imposizione, sul medesimo, di una servitù a vantaggio esclusivo del fondo di proprietà attorca (la giurisprudenza, in ambito condominiale, ha ritenuto che la modifica di destinazione d'uso di una parte comune realizzata da un condomino a vantaggio della sua proprietà esclusiva, c non a favore della collettività condominiale, comporti la costituzione di una servitù imposta sulla proprietà comune a vantaggio della sola proprietà esclusiva e la valida costituzione della servitù implica, per ciò solo, il consenso unanime di tutti i condomini 1108, comma 3, c.c.: cfr. Cass. n. 25775 del 14.12.2016).

In definitiva, per le motivazioni suesposte, sono infondate e non meritano accoglimento tanto l'impugnazione della delibera assembleare in data 15 febbraio 2016, quanto la domanda di accertamento proposta da parte attrice nel Merito, e di conseguenza, si rende superflua la motivazione in ordine alla domanda risarcitoria di parte attrice, proposta sul presupposto della ritenuta illegittimità del diniego espresso dal Condominio, illegittimità esclusa sulla base delle superiori motivazioni.

Le ragioni della decisione includono ovviamente anche la valutazione già espressa di superfluità delle istanze istruttorie avanzate dalle parti, che non avrebbero apportato, ove anche accolte e concretamente espletate, elementi ulteriori utili alla decisione, cui si è potuti pervenire sulla scorta di quanto già presente e valutabile in atti.

Le spese di lite seguono la regola della soccombenza e sono liquidate in dispositivo ex d.m. 55/2014; alla causa è stato attribuito dall'attore valore indeterminabile con la conseguenza che, per la liquidazione delle spese, ai sensi del medesimo decreto, dovrà essere considerato uno scaglione di valore non inferiore a 26.000 euro né superiore a 260.000 euro. Lo scagliane utilizzato nel caso di specie è quello da 26.000 a 52.000 euro data la non particolare difficoltà delle questioni trattate.

P.Q.M.

Il Tribunale, definitivamente pronunciando, ogni diversa istanza ed eccezione disattesa o assorbita, così dispone:
- Rigetta tutte le domande di parte attrice e, per l'effetto,
- Condanna la parte attrice E. BANCA SOC. COOP. a rimborsare alla parte convenuta CONDOMINIO VIA ALFA 5-7 VIA BETA 1-3 le spese di lite, che si liquidano in E 7.254 per spese, oltre i.v.a., c.p.a. e 15% per spese generali, come per legge.
Bologna, 8 marzo 2017
Depositata in Cancelleria il 12/06/2017

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Termovalvole: attento a chi non è ancora in regola!

Quando arriva il freddo si torna a parlare di riscaldamento e quindi di come ridurre i consumi. L'intervento da parte dello Stato importante è quello di imporre le termovalvole: lo scorso 30 giugno scadeva l'obbligo di mettersi in regola con l'installazione di valvole e contabilizzatori per gli impianti a impianto di riscaldamento centralizzato. Non è stato predisposto un censimento degli impianti (questo per fortuna, almeno un attimo di burocrazia evitata), ma le associazioni di categoria stimano che almeno il 20% degli condomini non abbia ancora aggiornato i propri impianti.

Da dove arriva l'obbligo
L'obbligo di predisporre questi strumenti di regolazione, si è reso necessario a livello europeo onde evitare sprechi energetici: con questi strumenti possiamo agevolmente predisporre la potenza del calore e le ore in cui ha bisogno di usarlo, conteggiare i consumi. Grazie alla Direttiva Comunitaria 2012/27/CE, che ha imposto anche sanzioni efficaci ed esaustive. L'Italia, come altri paese europei, ha recepito questa norma e legiferato con i Decreti 102/2014 e 141/2016.

Un trimestre con molto lavoro
Ora arrivando l'inverno, ed essendoci l'obbligo di installazione, si avrà un trimestre caldo per chi non è ancora in regola, si dovrà progettare, installare e occupare tutta la filiera del settore della termoregolazione. Purtroppo, come accade sempre, solo quando se ne ha bisogno si fanno i lavori, e difficilmente si pensa al lungo periodo: invece di fare queste installazioni nel periodo primaverile ed estivo, a impianti spenti, si è atteso l'arrivo del freddo. C'è da attendersi che non prima di un quinquennio i condomini saranno tutti a norma.

Le senzioni
Chi non è ancora a norma, cioè i condomini che non ancora deliberato l'installazione e fatto eseguire i lavori per tempo, rischia di ricevere un'ammenda dai 500 ai 2'500 € per OGNI unità immobiliare. La responsabilità non è da imputarsi all'amministratore ma è dei singoli cittadini. Le ispezioni scattano per ogni singola regione e sono a campione: le regioni dotate di un catasto degli impianti, che non hanno ricevuto l'adeguato aggiornamento dei loro archivi, avranno maggiore facilità di trovare gli non è ancora in regola.

Le società
C'è da valutare la possibilità per niente bassa, che quando si arriverà ad accendere le caldaia, le società di manutenzione degli impianti potranno chiedere esse stesse, la risoluzione dei contratti con quei condomini che non si sono messi in regola, visto che queste società hanno il ruolo di terzo responsabile, cioè responsabile per la collettività dei condomini, di fronte alla legge.

La scappatoia
C'è la possibilità data dalla norma, di attestare da parte di un professionista, che l'installazione di questi elementi sia controproducente o non conveniente per il proprio palazzo. Tuttavia queste sono soggette a controlli, e anche i tecnici che sono chiamate ad attestare questo, non possono farlo tanto alla leggere, essendo le loro relazioni soggette a controlli. “Occorre che un tecnico abilitato verifichi e garantisca la mancanza di convenienza dell’installazione dei dispositivi per la termoregolazione.” Vuol dire che se il costo delle valvole, anche in termini di energia usata a crearla, crea un effetto controproducente sul lungo periodo, allora si possono non installare, ma questo è altamente instabile e non sempre sicuro. 











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giovedì 15 giugno 2017

La responsabilità giuridica dell’amministratore condominiale per l’insidia non tutelata

Nel caso di danno di cose in custodia, particolarmente ricorrente nei casi giurisprudenziali avvenuti all’interno del condominio, l’articolo 2051 del codice civile stabilisce che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.

- Il profilo civilistico di responsabilità da insidia.
Il fondamento della responsabilità extracontrattuale è quello dell’articolo 2043 del codice civile il quale, in ossequio ad una tradizione giuridica trimillenaria, stabilisce la responsabilità civilistica e l’obbligo di risarcire il danno per colui che ha cagionato con dolo o colpa ad altri un danno ingiusto. Tale regime, sia pur rispondente ad un alto principio di civiltà ovvero quello della responsabilità individuale, espone il danneggiato ad una serie di oneri probatori spesso di difficile attuazione: vale a dire che, al fine di vedersi riconoscere il diritto al risarcimento del danno, deve provare:
  • il danno;
  • il nesso di causalità tra il danno e l’operato dell’agente;
  • l’ingiustizia del danno;
  • la sussistenza dell’elemento soggettivo doloso o colposo nella condotta dell’agente.
La dottrina stabilisce che il legislatore, nelle ipotesi di responsabilità aggravata, per avvantaggiare la persona danneggiata, disciplina in maniera diversa e più grave per i soggetti che creano dei rischi, la problematica inerente l’individuazione del responsabile del danno. Nel caso di danno di cose in custodia, particolarmente ricorrente nei casi giurisprudenziali avvenuti all’interno del condominio, l’articolo 2051 del codice civile stabilisce che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. In tali casi il legislatore presume che se fossero state adottate tutte le precauzioni, previste in particolare dalla norma tiva specialistica di sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro, idonee ad evitare il danno, quest’ultimo non si sarebbe verificato. Pertanto è ritenuto responsabile chi aveva in custodia la cosa che ha provocato il danno, a meno che non venga provato il fatto di un terzo o uno specifico evento imprevedibile e inevitabile, estraneo alla cosa o al custode (Vedasi Manuale di diritto privato, Andrea Torrente e Piero Schlesinger, Milano, Giuffrè Editore, pagine 670 - 671).

La giurisprudenza ha così ridotto il margine della prova liberatoria per il danneggiante al punto di consentire l’affermazione per cui vige un regime di responsabilità oggettiva; a tal riguardo è sufficiente esaminare le seguenti massime.
  1. «La responsabilità da cose in custodia ex art. 2015 c.c. sussiste quando ricorrano due presupposti: un’alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche determina la configurazione nel caso concreto della cosiddetta insidia o trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità di tale alterazione per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno. (Nel caso trattato la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni riportati da un’inquilina di un edificio a seguito di una caduta causata da acqua piovana infiltratasi dalla finestra, ritenendo prevedibile l’evento, in quanto lo stesso si era verificato in un condominio e aveva coinvolto un’inquilina ivi abitante da anni e, quindi, a conoscenza di tutte le caratteristiche dell’immobile). (C. Cass. civ, Sez. 3, Sent. n. 11592 del 13.5.2010, Rv. 613371)».
  2. « Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie, affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all’art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini (nella specie, infiltrazioni d’acqua provenienti dal muro di contenimento di proprietà condominiale), ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile.” (C.Cass. Civ., Sez. 2, Sent. n. 15291 del 12.7.2011, Rv. 618637)»
  3.  « In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non rileva in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno. Ne consegue che il vizio di costruzione della cosa in custodia, anche se è ascrivibile al terzo costruttore, non esclude la responsabilità del custode nei confronti del terzo danneggiato, non costituendo caso fortuito che interrompe il nesso eziologico, salva l’azione di rivalsa del danneggiante – custode nei confronti dello stesso costruttore. (Nel caso trattato la Suprema Corte, pur ribadendo il suddetto principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa la responsabilità del condominio custode per i danni assunti come arrecati dal cattivo funzionamento della rete fognaria condominiale, essendo rimasto accertato che lo stesso aveva dimostrato che l’evento dannoso si era verificato, in via esclusiva, per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente alla società costruttrice che, nel caso specifico, si identificava con la stessa parte attrice quale proprietaria di alcuni immobili siti nel condominio convenuto in giudizio, da ritenersi, perciò, essa stessa responsabile nei confronti del condominio medesimo.). (C.Cass. Civ., Sez. 3, Sent. n. 26051 del 30.10.2008, Rv. 605339). »
- La ricostruzione penale dell’obbligo di garanzia del condominio per gli infortuni.
Il fondamento dottrinario che attesta il dovere del datore di lavoro di tutelare l’integrità psico – fisica del lavoratore si trova in due articoli del codice civile e rispettivamente:

- l’art. 2086 (direzione e gerarchia nelle imprese) per cui: “L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”. - l’art. 2087 (tutela delle condizioni di lavoro) per cui: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”

Pertanto che il legislatore ritiene che all’interno dell’impresa esista un rapporto corrispettivo per il quale se il datore di lavoro può ordinare l’esecuzione di prestazioni lavorative ai propri dipendenti, nell’ambito delle mansioni previste dal contratto, d’altra parte deve tutelare la loro sicurezza e salute secondo la migliore tecnica ed esperienza vigenti e validate dal modo tecnico e scientifico. Questo è il fondamento giuridico della costruzione dottrinaria la quale individua nel datore di lavoro la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori dipendenti, che costituisca tre le due parti una posizione sinallagmatica di sicurezza, ovvero una relazione corrispettiva tra l’ordine gerarchico impartito dall’imprenditore e la sicurezza del dipendente, la quale è stata riconosciuta dalla giurisprudenza quale suo addebito fondamentale di responsabilità in caso di infortunio del dipendente.

A tal proposito si afferma:

- “Gli articoli 2086 e 2104 del codice civile che prevedono il potere gerarchico del datore di lavoro sul lavoratore devono essere interpretati alla luce del generale principio secondo cui ciascuna parte contrattuale può pretendere e deve fornire soltanto le prestazioni previste nel contratto. Ne consegue che, da un lato, i superiori gerarchici non possono richiedere prestazioni che siano chiaramente escluse dal contratto medesimo e che, dall’altro, il lavoratore, che non voglia attendere l’esito del giudizio in sede sindacale o giudiziaria, ha diritto di rifiutare prestazioni di tale tipo, correndo il rischio, conseguente a tale comportamento, di essere successivamente ritenuto responsabile di inadempimento qualora venga eventualmente accertata la legittimità dell’ordine disatteso. (C.Cass. Civ, sez. l, sent. n. 5463 del 8/6/1999)»;
La responsabilità penale dell’amministratore condominiale per gli infortuni incorsi ai lavoratori dipendenti è stata stabilita dalle seguenti pronunce giurisprudenziali:
  1. “La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va considerata e risolta nell’ambito del capoverso dell’art. 40 c.p. che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (C.Cass., Sez. 3, sent. n. 332 del 11.5.1967, ud. 24.2.1967 – C.Cass., Sez. 3, sent. N. 4676 del 14.3.1975, dep. il 14.4.1976).
  2. “L’amministratore di uno stabile, sia che operi per conto di un solo proprietario (persona fisica o giuridica), sia che agisca per conto di un condominio ha la titolarità dei poteri attinenti alla conservazione e alla gestione delle cose e dei servizi comuni fra i quali rientra anche quello di attivarsi per l’eliminazione di situazioni che possono potenzialmente causare la violazione del principio del “neminem laedere” e di provvedere o, quantomeno, riferirne al proprietario ; l’identificazione dei singoli obblighi in concreto incombenti sull’amministratore deve essere effettuata, sulla base delle norme legislative, statutarie o regolamentari, nelle singole fattispecie. (v C.Cass., sez. 4, sent. n. 6757 del 6.5.1983, dep. Il 14.7.1983).
  3. “La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va ricondotta nell’ambito della disposizione (art. 40, secondo comma, c.p.) per la quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto configurabile a carico dell’amministratore di condominio un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni, in una fattispecie di incendio riconducibile ad un difetto di installazione di una canna fumaria di proprietà di un terzo estraneo al condominio che attraversava le parti comuni dell’edificio”. (C.Cass., Sez. 4, sent. n. 39959 del 23.9.2009, dep. Il 13.10.2009).
Per quanto riguarda la responsabilità penale dell’amministratore di condominio nel caso di infortunio avvenuto all’interno dello stesso ci si chiede se anche in materia penale possa valere una sorta di responsabilità oggettiva ed a tal riguardo deve osservarsi quanto segue.
Allorquando si commenta la responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni incorsi al suo lavoratore dipendenti si afferma che il primo deve dare concreta attuazione al suo dovere, sancito dall’art. 2087 del codice civile, di assicurare al secondo ogni protezione la quale ne tuteli l’equilibrio psico – fisico. Pertanto deve formarlo ed informarlo sulla sua attività e sui rischi a cui è sottoposto e deve dotarlo di attrezzature e di dispostivi di protezione individuale rispondenti alle norme di legge. Tuttavia ci si chiede fino a qual punto il datore di lavoro sia responsabile delle condotta del lavoratore dipendente specialmente allorquando quest’ultimo compia attività imprudenti. E’ questo il tema riguardante l’attività abnorme del lavoratore di cui si è recentemente occupata la giurisprudenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, sent. n. 3983, ud 1.12.2011, dep. il 31.1.2012).
Il caso trattato riguardava l’infortunio incorso ad un operaio, in servizio presso una cava ed addetto ad un impianto di frantumazione, il quale mentre svolgeva l’attività di pulizia e di rimozione dei detriti nel locale sottostante il frantoio, in prossimità di un nastro trasportatore, scivolava a causa del terreno viscido e cadeva incastrando il braccio sinistro tra gli apparati del nastro e subiva l’amputazione dell’arto. Gli imputati, il direttore tecnico e responsabile delle sicurezza ed il preposto, venivano condannati dalle Corti di merito, in quanto veniva loro mosso l’addebito di non avere informato correttamente il lavoratore sui rischi e di non avergli fornito indicazioni scritte e direttive in ordine alla corretta e sicura esecuzione dell’incarico e di avere consentito l’esecuzione dell’operazione in assenza di una griglia di protezione e di una fune per il blocco di emergenza dell’impianto.
Avanti alla Corte di legittimità la principale difesa degli imputati consisteva nell’affermare che la responsabilità dell’incidente era da ricercarsi esclusivamente nella condotta imprudente del lavoratore, il quale aveva svolto un’operazione di pulizia del nastro compiuta con il rullo in movimento e con l’ausilio di una pala e quindi del tutto abnorme, vietata e posta in essere arbitrariamente e volontariamente dall’esperto lavoratore, attività assolutamente imprudente che interrompeva il nesso causale.
La Corte di Cassazione respingeva l’assunto difensivo affermando quanto segue.
“Il ricorso è infondato. I gravami tentano in larga misura di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione nel merito. Per ciò che attiene alle questioni rilevanti nelle presente sede di legittimità, rileva che la pronunzia impugnata ritiene provato, alla luce delle dichiarazioni delle persona offesa e dello stato dei luoghi, che il lavoratore, mentre si occupava delle operazioni di pulizia del nastro trasportatore, riposizionando il materiale sullo stesso nastro scivolava sul terreno sdrucciolevole e cadeva sull’apparato in movimento che gli amputava l’arto superiore all’altezza dell’avambraccio. Si considera altresì che il dispositivo di sicurezza consistente in una fune, utile per bloccare l’impianto, era disattivato; e che inoltre il carter di protezione del nastro era stato rimosso e posto in un angolo con collocate sopra delle lattine di vernice. Si aggiunge che il lavoratore ha categoricamente escluso che fossero presenti cartelli che ponevano il divieto di effettuare le operazioni di pulizia con gli ingranaggi dell’impianto in movimento e di non aver ricevuto alcuna specifica istruzione in tal senso.
La sentenza richiama la giurisprudenza che pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare il lavoratore anche in relazione ai suoi eventuali comportamenti negligenti. Se ne inferisce che anche nel caso in cui il lavoratore sia esperto e ponga in essere un’azione avventata, forse fidandosi della sua esperienza, si configura la responsabilità del garante (vale a dire che ricorre il principio di imputabilità del datore di lavoro negligente della cosiddetta “doppia colpa”). Invero nel caso di specie, anche a voler accedere alla tesi difensiva secondo cui la vittima provvedeva alla pulizia del frantoio in movimento utilizzando una pala di legno, si ritiene che l’infortunio determinato da errore del lavoratore che abbia prestato il consenso ad operare in condizioni di pericolo non esclude la responsabilità del garante. D’altra parte si pone in luce che il dispositivo di blocco di sicurezza era disattivato e si è dunque in presenza della mancata doverosa predisposizione di misure di sicurezza volte a prevenire l’evento.”
Alla luce di tali argomentazioni appare evidente che il datore di lavoro allorquando, ai sensi dell’art. 17, comma primo lettera a), del d.lvo n. 81/2008, valuti tutti i rischi ed elabori il documento previsto dal successivo art. 28 deve prevedere adeguati rimedi atti a prevenire l’attività abnorme del proprio dipendente. Inoltre, secondo quanto prescritto dall’art. 18, comma primo lettera z), del d.lvo n. 81/2008 deve “aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza sul lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e delle protezione.” Tali osservazioni valgono a stabilire la natura estremamente dinamica della valutazione del rischio, prevista dagli articoli 28 e 29 del d.lvo n. 81/2008, la quale non può essere definita una volta per sempre, ma segue necessariamente la natura e l’evoluzione tecnologica dell’attività svolta dal dipendente, in modo da prevenire gli infortuni con una visione assai vasta la quale deve anche prevedere, in termini sia pure ragionevoli e adeguati alla mansione svolta, l’atto imprudente del proprio dipendente. Tale ricostruzione giuridica è confermata dalla più recente giurisprudenza.
Invero è stata riconosciuta (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n. 21223 del 3.5.2012, dep. il 31.5.2012) la responsabilità penale (ai sensi dell’art. 590 c.p .) per il reato di lesioni colpose gravi in danno di un minore dell’amministratore del condominio che aveva omesso di delimitare e segnalare opportunamente un lucernario che si trovava al centro del condominio ed era ricoperto di neve su cui il minore, a bordo di uno slittino, era andato a finire. Il lucernario si era frantumato facendo cadere il minore nelle sottostanti scale con conseguenti lesioni diagnosticate come politrauma con prognosi riservata.
La Suprema Corte riconosceva la responsabilità penale dell’amministratore poiché da un lato ravvisava la sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta omissiva del primo e l’evento lesivo e dall’altro la sussistenza della “corrispondenza causale tra la violazione della regola cautelare a carico del prevenuto e la produzione del risultato offensivo ; in altre parole, secondo il criterio della cosiddetta “concretizzazione del rischio”, risulta nella vicenda in esame, che l’evento lesivo verificatosi rappresenta la realizzazione del rischio che la norma cautelare violata dell’imputato doveva prevenire.”
Altra sentenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n. 34147 del 12.1.2012, dep. il 6.9.2012) dichiara la penale responsabilità di un amministratore di condomino per lesioni colpose gravi nei confronti di una condomina la quale era caduta, provocandosi una frattura omerale giudicata guaribile in oltre 40 giorni di prognosi, su di un avallamento esistente tra il pavimento ed il tombino di raccolta delle acque reflue condominiali posto sul marciapiedi che dava accesso alla farmacia sita al piano terra dello stesso fabbricato condominiale. Il profilo di responsabilità dell’amministratore era consistito nella sua imprudenza, imperizia e negligenza nell’eseguire i lavori di ripristino di tale avallamento. In particolare la sentenza afferma quanto segue:
“L’unico responsabile del fatto doveva ritenersi l’imputato in veste di amministratore del condominio per avere colposamente omesso di sistemare il passaggio pedonale in corrispondenza dell’accesso al marciapiedi antistante il tombino, mediante apposto scivolo al fine di eliminare le sconnessioni del piano di calpestio o quanto meno di contenerne la pericolosità con idonee delimitazioni atte ad evitare che esse costituissero una vera e propria insidia ; ciò sul rilievo decisivo che in ogni caso anche le sconnessioni esistenti nella parte in proprietà esclusiva dei……. (ovvero nell’area diversa da quella occupata dal tombino) sono del tutto funzionali allo scolo delle acque piovane convogliate dalla strutture condominiali.
Non può quindi mettersi in discussione che l’amministratore del condominio rivesta una specifica posizione di garanzia, su di lui gravando l’obbligo ex art. 40 capoverso c.p. di attivarsi al fine di rimuovere, nel caso di specie, la situazione di pericolo per l ‘incolumità di terzi, integrata dagli accertati avallamenti / sconnessioni della pavimentazione in prossimità del tombino predisposto al fine dell’esercizio di fatto della servitù di scolo delle acque meteoriche a vantaggio del condominio, ciò costituendo una vera e propria insidia e trabocchetto, fonte di pericolo per i passanti ed inevitabile con l’impiego della normale diligenza; massime per una persona anziana di 75 anni di età (cfr. Sez. 3 n. 4676 del 1975 rv. 133249). Né l’obbligo di attivarsi onde eliminare la riferita situazione id pericolo doveva ritenersi subordinato, come erroneamente sostenuto dal ricorrente, alla preventiva deliberazione dell’assemblea condominiale ovvero ad apposita segnalazione id pericolo tale da indurre un intervento di urgenza. Il disposto dell’art. 1130 n. 4 c.c. viene invero interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che sull’amministratore grava il dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, a prescindere da specifica autorizzazione dei condomini ed a prescindere che si versi nel caso di atti cautelativi ed urgenti (cfr Sez. 4 n. 3959 del 2009; Sez. 4 n. 6757 del 1983). Dalla lettera dell’art. 1135, ultimo comma, c.c. si evince peraltro a contrario che l‘amministratore ha facoltà di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria, in caso rivestano carattere di urgenza, dovendo in seguito informare l’assemblea. E’ indubitabile che l’eliminazione di un’insidia o trabocchetto derivante dall’omesso livellamento della pavimentazione in corrispondenza di un tombino deputato all’esercizio di una servitù di scolo a vantaggio – ovviamente – dell’edificio condominiale rappresenti intervento sia conservativo del diritto sia manutentivo di ordine urgente anche a tutela della incolumità dei passanti e quindi determinante dell’obbligo di agire ex art. 40 comma secondo c.p..”
Sulla base dei principi stabiliti nella citata sentenza deve concludersi che il fondamento della responsabilità penale dell’amministratore, secondo quanto stabilito dall’art. 40, secondo comma, c.p., è sostanzialmente costituto dal suo potere di gestione e di amministrazione dal contenuto così ampio da consentirgli di compiere qualsiasi lavoro straordinario, indipendentemente dalla previa autorizzazione assembleare, purchè urgente e finalizzato alla tutela ed alla salvaguardia dell’incolumità di tutti i cittadini.

di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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venerdì 31 marzo 2017

IMPUGNAZIONE DELIBERA E POTERI DELL’AMMINISTRAORE E IL “NO” AL DISSENSO ALLE LITI

L'amministratore può resistere all'impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, giacché l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso. Pertanto, la difesa in giudizio delle delibere dell'assemblea impugnate da un condomino rientra nelle attribuzioni dell'amministratore, indipendentemente dal loro oggetto, ai sensi dell'art. 1131 c.c.. La Suprema Corte affronta anche l’ipotesi in cui il condomino voglia applicare gli effetti del 1132 del c.c. che consente al singolo condomino dissenziente di separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in caso di lite giudiziaria, in modo da deviare da sè le conseguenze dannose di un'eventuale soccombenza. Dunque, ove non sia stata l'assemblea a deliberare la lite attiva o passiva ai sensi del predetto art. 1132 c.c., il condomino dissenziente soggiace alla regola maggioritaria. In tal caso egli può solo ricorrere all'assemblea contro i provvedimenti dell'amministratore, in base all'art. 1133 c.c., ovvero al giudice contro il successivo deliberato dell'assemblea stessa (nei limiti temporali, è da ritenere, previsti dall'art. 1137 c.c., richiamato dall'art. 1133 c.c.)..

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CASSAZIONE 20 MARZO 2017, N. 7095:



CASSAZIONE 20 MARZO 2017, N. 7095

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

                           
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. MIGLIUCCI Emilio -  Presidente   - 
Dott. MATERA   Lina  -  Consigliere  - 
Dott. MANNA  Felice  -  rel. Consigliere  - 
Dott. ORILIA  Lorenzo  -  Consigliere  - 
Dott. CORRENTI  Vincenzo   -  Consigliere  - 

ha pronunciato la seguente:  
                                        
SENTENZA

sul ricorso 1178/2012 proposto da: 
D.G.P.R.,, elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato F. C., che la rappresenta e difende con procura speciale notarile rep. 3707 del 15/6/2016; 
- ricorrente - 
CONTRO
R.R.; 
- intimato - 

avverso la sentenza n. 22599/2010 del TRIBUNALE di ROMA, depositata il 16/11/2010; 
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 06/07/2016 dal Consigliere Dott. FELICE MANNA; 
udito l'Avvocato C. F., difensore della ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; 
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l'accoglimento del primo motivo di ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Accogliendo l'impugnazione di N.S., partecipante al condominio di viale (OMISSIS), il locale Tribunale con sentenza n. 1167/02 annullava la delibera adottata dall'assemblea condominiale il 14.5.1999, condannando il condominio alle spese di giudizio. Spese che, in seguito ad atto di precetto notificatole e in virtù del vincolo di solidarietà passiva, la condomina B.B. pagava sia per la quota propria che per quella di spettanza di un'altra condomina, D.G.P.R.. A sua volta, subita l'azione di regresso, quest'ultima adiva il giudice di pace di Roma affinchè condannasse al risarcimento dei danni l'amministratore del condominio, R.R., cui addebitava di non aver provveduto alle rituali convocazioni dell'assemblea del 14.5.1999 e di non aver dato comunicazione della pendenza della lite.
Resistendo il convenuto, il giudice di pace accoglieva la domanda condannando il R. a pagare all'attrice la somma di Euro 238,21, oltre spese.
Appellata da R.R., tale decisione era riformata dal Tribunale di Roma, con sentenza n. 22599/10. Osservava il Tribunale che la doglianza dell'attrice era infondata perchè erano state prodotte le distinte delle lettere raccomandate di convocazione dei condomini per l'assemblea del 14.5.1999 spedite dal R.; che non era chiaro quali altre formalità di legge l'amministratore avrebbe disatteso, secondo la tesi attorea; e che quanto all'omessa comunicazione della pendenza della lite, si trattava di controversia non esorbitante dalle attribuzioni dell'amministratore previste dall'art. 1131 c.c., per cui l'attrice non poteva dolersi del fatto di non aver potuto manifestare la propria volontà di estraniazione dalla lite, potere, questo, non esercitabile legittimamente in mancanza di una specifica decisione dell'assemblea.
Per la cassazione di detta sentenza D.G.P.R. propone ricorso, affidato a due motivi.
R.R. è rimasto intimato.
Provocato ex art. 101 c.p.c., e art. 384 c.p.c., comma 3, il contraddittorio sulla questione, rilevata d'ufficio, dell'appellabilità della sentenza di primo grado, rientrando il valore apparente della controversia nell'ambito dell'equità c.d. necessaria ex art. 113, cpv. c.p.c., prima ipotesi, la ricorrente ha depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. - Sull'appellabilità delle sentenze pronunciate dal giudice di pace questa Corte ha avuto modo di affermare che per stabilire se la sentenza sia stata pronunciata secondo equità, e sia quindi appellabile solo nei limiti di cui all'art. 339 c.p.c., comma 3, occorre avere riguardo non già al contenuto della decisione, ma al valore della causa, da determinarsi secondo i principi di cui all'art. 10 c.p.c. e ss., e senza tenere conto del valore indicato dall'attore ai fini del pagamento del contributo unificato. Pertanto, ove l'attore abbia formulato dinanzi al giudice di pace una domanda di condanna al pagamento di una somma di denaro inferiore a millecento Euro (e cioè al limite dei giudizi di equità c.d. "necessaria", ai sensi dell'art. 113 c.p.c., comma 2), accompagnandola però con la richiesta della diversa ed eventualmente maggior somma che "sarà ritenuta di giustizia", la causa deve ritenersi - in difetto di tempestiva contestazione ai sensi dell'art. 14 c.p.c. - di valore indeterminato, e la sentenza che la conclude sarà appellabile senza i limiti prescritti dall'art. 339 c.p.c. (Cass. n. 9432/12; v. anche, non massimata, Cass. n. 10921/13).
In altra occasione, invece, è stato ritenuto che qualora l'attore, oltre a richiedere una somma specifica non superiore a Euro 1.032,91, abbia anche concluso, in via alternativa o subordinata, per la condanna del convenuto al pagamento di una somma maggiore o minore da determinarsi nel corso del giudizio, siffatta ultima indicazione, pur non potendosi reputare mera clausola di stile, non può, tuttavia, ritenersi di per sè sola sufficiente a dimostrare la volontà dello stesso attore di chiedere una somma maggiore - ed ancor meno una somma superiore ad Euro 1032,91 - in assenza di ogni altro indice interpretativo idoneo ad ingenerare quanto meno il dubbio che le circostanze dedotte siano potenzialmente idonee a superare il valore espressamente menzionato e, in particolare, quello entro il quale è ammessa la decisione secondo equità (Cass. n. 24153/10).
1.1. - Nelle specie, come si ricava dalla memoria depositata e dall'esame diretto degli atti, cui questa Corte ha accesso in rapporto a questioni di carattere processuale, l'odierna parte ricorrente ebbe a domandare la condanna del convenuto "al pagamento in favore dell'attrice della somma di Euro 238,21 per il risarcimento dei danni; e/o comunque, anche diversamente qualificata la domanda, (la condanna del) convenuto al pagamento della somma maggiore o minore che sarà ritenuta di giustizia oltre interessi come per legge ivi compresi quelli sugli interessi scaduti ex art. 1283 c.c., e svalutazione oltre al risarcimento di tutti i danni e/o le spese a qualsiasi titolo dovute, patrimoniali, dirette o indirette, presenti e future, nessuno escluso nella misura che verrà provata in corso in causa e/o equitativamente liquidata nei limiti della competenza del giudice adito".
L'ampia latitudine della pretesa risarcitoria, dichiaratamente aggiuntiva rispetto al solo importo di Euro 238,21, e l'espressa volontà di ottenere anche quanto eccedente tale somma purchè entro il limite della competenza generale del giudice adito, lasciano intendere che nel caso in esame la parte attrice abbia inteso superare consapevolmente i limiti del giudizio di equità c.d. necessaria del giudice di pace. Con la conseguenza che, non essendo stato contestato il valore così dichiarato, la causa deve ritenersi di valore indeterminato fino al limite della competenza per valore del giudice di pace (a nulla rilevando, per il premesso riferimento alla domanda e non al decisum, che la sentenza del primo giudice avesse riconosciuto in favore dell'attrice il solo importo di Euro 238,21).
2. - Il primo motivo deduce l'insufficiente e contraddittoria motivazione e la violazione dell'art. 1136 c.c., comma 6, artt. 2909 e 2697 c.c., art. 66 disp. att. c.c., comma 3, e art. 25, commi 1, 3 e 5, del regolamento condominiale, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Sostiene parte ricorrente che il Tribunale di Roma (con la sentenza n. 1167/02) ha dichiarato la delibera del 14.5.1999 invalida per difetto di convocazione di tutti gli aventi diritto a partecipare all'assemblea, e che di questo dato di fatto la sentenza impugnata avrebbe dovuto tenere conto. Invece il giudice d'appello, senza valutare nello specifico se la notizia della convocazione potesse comunque evincersi da circostanze univoche, si è attenuto alla sola documentazione attestante l'invio delle convocazioni, nè ha preteso dal R., che vi era onerato, la prova dell'avvenuta ricezione dell'avviso di convocazione alla N.. Inoltre, l'art. 25 del regolamento condominiale prevede che la convocazione dell'assemblea debba essere comunicata ai condomini con ritiro di dichiarazione di ricevuta ovvero con raccomandata a.r.. Pertanto, come nella causa proposta dalla N., così in quella in oggetto il R. non ha provato l'adempimento del proprio obbligo di comunicazione. Nè egli ha dimostrato di aver provveduto a verificare la regolare costituzione dell'assemblea, violando l'art. 1136 disp. att. c.c., comma 6, art. 66 disp. att. c.c., comma 3, e art. 25 del regolamento condominiale, sì da provocare un danno risarcibile alla parte odierna ricorrente.
3. - Il secondo mezzo denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 1131 c.c., comma 2, e art. 1132 c.c., nonchè dell'art. 20, commi 1 e 2, del regolamento condominiale, in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5. Contrariamente a quanto ha ritenuto il giudice d'appello, la controversia presupposta, avendo ad oggetto l'impugnazione di una delibera sul regolamento e la ripartizione delle spese di un locale condominiale, non rientrava tra quelle di cui all'art. 1131 c.c., comma 2. Richiama a sostegno Cass. nn. 15684/06 e 2170/95, per poi concludere che l'amministratore avrebbe dovuto essere investito dei poteri rappresentativi con apposito mandato dell'assemblea condominiale. Di riflesso, l'odierna ricorrente avrebbe potuto in tale sede assembleare manifestare il proprio dissenso.
4. - Entrambi i motivi, da esaminare congiuntamente, sono infondati.
Premesso che le richiamate Cass. nn. 15684/06 e 2170/95 (cui adde Cass. n. 4209/14) sono del tutto non pertinenti alla fattispecie, riguardando l'amministrazione di una comunione ordinaria ex art. 1100 c.c. e ss., lì dove nella specie si tratta di condominio negli edifici, va osservato che l'amministratore può resistere all'impugnazione della delibera assembleare e può gravare la relativa decisione del giudice, senza necessità di autorizzazione o ratifica dell'assemblea, giacchè l'esecuzione e la difesa delle deliberazioni assembleari rientra fra le attribuzioni proprie dello stesso (Cass. n. 1451/14). Pertanto, la difesa in giudizio delle delibere dell'assemblea impugnate da un condomino rientra nelle attribuzioni dell'amministratore, indipendentemente dal loro oggetto, ai sensi dell'art. 1131 c.c..
Per contro, non si versa nell'ipotesi dell'art. 1132 c.c., comma 1. Com'è noto, tale ultima disposizione, tesa a mitigare gli effetti della regola maggioritaria che informa la vita del condominio, consente al singolo condomino dissenziente di separare la propria responsabilità da quella degli altri condomini in caso di lite giudiziaria, in modo da deviare da sè le conseguenze dannose di un'eventuale soccombenza. Dunque, ove non sia stata l'assemblea a deliberare la lite attiva o passiva ai sensi del predetto art. 1132 c.c., il condomino dissenziente soggiace alla regola maggioritaria. In tal caso egli può solo ricorrere all'assemblea contro i provvedimenti dell'amministratore, in base all'art. 1133 c.c., ovvero al giudice contro il successivo deliberato dell'assemblea stessa (nei limiti temporali, è da ritenere, previsti dall'art. 1137 c.c., richiamato dall'art. 1133 c.c.).
E in ogni caso il condomino dissenziente può far valere le proprie doglianze sulla gestione dell'amministratore in sede di rendiconto condominiale, la cui approvazione è, però, anch'essa rimessa all'assemblea e non al singolo condomino.
Se ne deve ricavare che questi, al di fuori dei descritti percorsi legali, non ha la facoltà di agire in proprio contro l'amministratore (salvo il ben diverso caso dell'iniziativa di revoca giudiziale ex art. 1129 c.c.) ogni qual volta ritenga la condotta di lui non consona ai propri interessi, perchè ciò contrasta con la natura collettiva del mandato ex lege che compete all'amministratore.
4. - Il ricorso va, pertanto, respinto.
5. - Nulla per le spese, non avendo la parte intimata svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 17 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 20 marzo 2017
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