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martedì 10 ottobre 2017

Perplessità sulla notifica via Pec

Le ricevute di “accettazione” e di “avvenuta consegna” sono essenziali per provare la rituale notificazione della cartella via Pec. Ed infatti, qualora il contribuente eccepisca in giudizio la illegittimità della procedura prevista, l’Ufficio dovrà versare in atti copie conformi agli originali delle ricevute, pena l’accoglimento del ricorso del contribuente.
Il decreto fiscale D.L. 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modifiche con L. 1° dicembre 2016, n. 225 ha aggiunto all’art. 60, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 il nuovo comma 7 il quale prevede che, in deroga all’art. 149-bis del Codice di procedura civile, la notifica degli avvisi di accertamento e degli altri atti che per legge devono essere notificati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi o elenchi istituiti con legge dello Stato, potrà essere effettuata direttamente dal competente ufficio a mezzo posta elettronica certificata, all’indirizzo del destinatario risultante dall’indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata (INI-PEC), con le modalità previste dal regolamento di cui al D.P.R. 11 febbraio 2005, n. 68.
Ciò significa, che a decorrere dal 1° luglio 2017 anche gli uffici dell’agenzia delle Entrate potranno notificare gli avvisi di accertamento e gli altri atti impositivi direttamente all’indirizzo di Pec dei contribuenti laddove la notifica si intenderà perfezionata:
  • per l’Ufficio-mittente, nel momento in cui il gestore della casella di posta elettronica certificata gli trasmette automaticamente la ricevuta di accettazione con la relativa attestazione temporale che certifica l’avvenuta spedizione del messaggio;
  • er il destinatario, alla data di avvenuta consegna contenuta nella ricevuta che il gestore della casella di pec del destinatario trasmette all’ufficio o, nel caso di casella di posta elettronica satura o di indirizzo di posta elettronica del destinatario non valido o attivo, nel quindicesimo giorno successivo a quello della pubblicazione dell’avviso nel sito internet di InfoCamere così come già accade per le cartelle esattoriali.
Ebbene, tale modalità che rappresenta una facoltà e non un obbligo, non è certamente una novità  per il processo tributario giacchè è già in uso da parte di Equitalia per le notifiche delle cartelle esattoriali e di altri atti di riscossione.
Ed è proprio a questo proposito, che non si può fare a meno di evidenziare che le recenti decisioni delle commissioni tributarie di merito muovono nella direzione di una invalidità della notifica delle cartelle esattoriali per un serie di motivi di cui di qui a breve.
Orbene, la nullità della cartella di pagamento notificata con posta elettronica certificata deriva dal fatto che il messaggio email non contiene l’originale dell’atto di Equitalia ma solo una copia priva di attestazione di conformità. Ciò significa, che la posta elettronica certificata, non offre le garanzie tipiche della raccomandata tradizionale, in quanto non contiene l’originale della cartella, ma solo una copia informatica, priva peraltro di alcuna attestazione di conformità. Detta copia, quindi, non può assumere alcun valore giuridico perché non garantisce il fatto che il documento inoltrato sia identico, in tutto e per tutto, all’originale che, in questo caso, resta nelle mani di Equitalia. Invece, con la notifica a mezzo di raccomandata a.r., l’originale finisce sempre nelle mani del contribuente. (Ctp Latina n. 992/01/16).
Ecco che, le ricevute di <accettazione> e di <avvenuta consegna> sono essenziali per provare la rituale notificazione della cartella via Pec. Ed infatti, qualora il contribuente eccepisca in giudizio la illegittimità della procedura prevista, l’Ufficio dovrà versare in atti copie conformi agli originali delle ricevute di <accettazione> e di <avvenuta consegna> del messaggio contenente l’atto notificando, pena l’accoglimento del ricorso del contribuente. (Ctp Roma n. 1715 del 26 gennaio 2017).
Secondo l’art. 26, co. 2, D.P.R. 602/1973, come modificato dall’art. 14, D.Lgs. 25.9.2015, n. 159, dall’ 1.6.2016, in virtù di quanto previsto originariamente dall’art. 38, co. 4, lett. b), D.L. 31.5.2010, n. 78, la notifica degli atti di riscossione destinati alle imprese individuali o costituite in forma societaria e ai professionisti iscritti in albi ed elenchi, deve avvenire esclusivamente via Pec.

Nonostante la previsione di legge, non è affatto pacifica la possibilità di notificare la cartella di pagamento tramite Pec, in quanto vi sono delle questioni di legittimità costituzionale che sono emerse da diverse pronunce dalla combinata lettura degli artt. 20, co. 1 e 2 e 53, co. 2, D.Lgs. 546/1992, come pure dalla circ. 12.5.2016, n. 2/D (Ctr Lombardia (Milano), sent. 1711/34/2016, Ctr Lazio (Roma), sent. 54/10/2010, Ctr Emilia Romagna (Bologna), sent. 2065/1/2015 e Ctr Campania (Benevento, sent. 395/1/13). Altresì, la notifica tramite Pec non consente al destinatario di scegliere modalità, tempi e dinamica di ricezione – vista la scomparsa dell’irreperibilità relativa e assoluta - né di opporre un legittimo rifiuto. Si pensi al caso della mancata possibilità di visione della email a causa dello smarrimento della password di accesso all’account di Pec o al caso di degenza ospedaliera del destinatario. Importanti sentenze (Corte Cost., sent. 14.1.2010, n. 3; Corte Cost., 26.11.2002, n. 477; Cass., SS.UU., ord. 21.10.2004, n. 458) sono state poste a sostegno di una eccezione della illegittimità in sede giudiziale della operatività della notifica via Pec.
Oltretutto va detto che, dirigenti, funzionari e dipendenti di Equitalia non sono pubblici ufficiali e, pertanto, non spetterebbe ad essi apporre l’autentica sulle copie delle cartelle di Equitalia. Ciò significa che una semplice copia non può mai assumere un valore giuridico, poiché abbisogna dell’attestazione di un pubblico ufficiale autorizzato per essere ritenuti conformi all’originale, potere che non spetta ai funzionari di Equitalia (Cass. 27.4.2015, n. 8446; contra Ctr Calabria (Catanzaro), sent. 1674/2014) come pure non spetta ai postini (Cass. 6395/2014; Cass. 8333/2015; Ctr Lazio (Roma) sent. 3711/2014).

Il sistema Pec non può garantire infatti che il documento allegato sia effettivamente l’originale.
Non solo, è nulla la cartella notificata via pec con l’allegato in estensione <<.pdf>> e non <<.p7m>> che rappresenta l’equivalente del primo ma firmato digitalmente (Ctp Milano sentenza 1023/1/17 del 3 febbraio 2017) giacchè ai sensi di quanto previsto dall’articolo 26 Dpr 602/73, articoli 20 e 71 Dlgs 82/05, Dpcm 22 febbraio 2013, il <<.pdf>> non soddisfa da solo i requisiti di integrità dell’allegato. Ed ancora, è nulla la cartella di pagamento via Pec, in quanto il documento allegato in <<.pdf>> non può essere considerato un valido documento informatico, bensì una semplice copia informatica e come tale priva di qualsivoglia valore probatorio. (Ctp Savona sentenze n. 100/2017 e n. 101/201 del 10 febbraio 2017).

di Iolanda Pansardi
Avvocato Tributarista in Lecce

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martedì 5 settembre 2017

Il registro di anagrafe condominiale e l’autodiagnostica dei rischi

Nelle parti comuni e nelle unità immobiliari di proprietà individuale non possono essere realizzati o mantenuti impianti od opere che non rispettino la normativa sulla sicurezza degli edifici. Il mancato rispetto di detta normativa si considera situazione di pericolo imminente.
  • La legge di riforma del condominio e il registro di anagrafe condominiale.
La legge 11.12.2012 n. 220 ( pubblicata sulla Gu n. 293 del 17.12.2012) di riforma del condominio opera diretto riferimento alla problematica della sicurezza degli edifici e dei suoi abitanti in un numero notevole di norme. L’articolo 5, che riforma l’articolo 1120 del codice civile, al primo comma n. 2) sostiene che nel novero delle innovazioni deliberabili dall’assemblea vi sono anche:
“1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;” L’articolo 6, che riforma l’articolo 1122, ora rubricato come “ Opere su parti di proprietà o uso individuale” afferma: “Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea”.
Gli articoli 9 e 10, che sostituiscono gli articoli 1129 e 1130 del codice civile, affermano che è una grave irregolarità, la quale legittima i condomini a chiedere la convocazione dell’assemblea per fare cessare la violazione e revocare il mandato all’amministratore, l’omessa tenuta da parte di quest’ultimo del registro di anagrafe patrimoniale contenente ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza. Inoltre sempre l ‘articolo 9 afferma: “Alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e a eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto a ulteriori compensi”.
La lettura combinata di dette norme consente di affermare l’obbligo per l’amministratore di tenere di una sorta di “fascicolo del fabbricato “ idoneo a ricostruirne le sue vicende e le caratteristiche con riferimento non solo alla normativa di sicurezza, ma anche, inevitabilmente, a quella energetica.
  • Il contenuto del registro di anagrafe condominiale.
Il novellato articolo 1130 del codice civile afferma che il registro di anagrafe condominiale deve contenere:
* le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e dei diritti personali di godimento;
* il codice fiscale e la residenza o il domicilio dei sopra citati soggetti;
* i dati catastali di ciascuna unità immobiliare;
* ogni dato relativo alla sicurezza.

Il contenuto di tale atto deve essere compreso alla luce del testo, poi non approvato, dell’art. 1122 bis del codice civile che si intitola “ Interventi urgenti a tutela della sicurezza negli edifici” e che recita quanto segue: “Nelle parti comuni e nelle unità immobiliari di proprietà individuale non possono essere realizzati o mantenuti impianti od opere che non rispettino la normativa sulla sicurezza degli edifici. Il mancato rispetto di detta normativa si considera situazione di pericolo imminente per l ‘integrità delle parti comuni e delle unità immobiliari di proprietà individuale, nonché per l’integrità fisica delle persone che stabilmente occupano il condominio o che abitualmente vi accedono.
L’amministratore, su richiesta anche di un solo condomino o conduttore, nel caso in cui sussista il ragionevole sospetto che difettino le condizioni di sicurezza di cui al primo comma, accede alle parti comuni dell’edificio ovvero richiede l’accesso alle parti di proprietà o uso individuale al condomino o al conduttore delle stesse.
La semplice esibizione della documentazione relativa all’osservanza delle normative di sicurezza non è di ostacolo all’accesso.
L’amministratore esegue l’accesso alle parti comuni con un tecnico nominato d’accordo con il richiedente ed esegue l’accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale con un tecnico nominato di comune accordo tra il richiedente e l’interpellato. Il tecnico nominato, al termine dell’accesso, consegna una sintetica relazione al richiedente ed all’’amministratore, il quale la tiene a disposizione di chiunque vi abbia interesse. A seguito dell’accesso, qualora risulti la situazione di pericolo di cui al primo comma, l’amministratore convoca senza indugio l’assemblea per gli opportuni provvedimenti, salvo il ricorso di chiunque vi abbia interesse al tribunale per gli opportuni provvedimenti anche cautelari.
Nel caso in cui l’interpellato non consenta l‘accesso o non si raggiunga l’accordo sulla nomina del tecnico, previa, ove possibile, convocazione dell’assemblea, possono essere richiesti al tribunale gli opportuni provvedimenti anche in via d’urgenza. Il tribunale, valutata ogni circostanza e previo accertamento delle condizioni dei luoghi, può, anche in via provvisoria, porre le spese a carico di chi abbia immotivatamente negato il proprio consenso all’accesso.
Le spese delle operazioni di cui al presente articolo, qualora i sospetti si rivelino manifestamente infondati, sono a carico di chi ha richiesto l’intervento all’amministratore.
In tal caso, se vi è stato accesso alle proprietà individuali, il medesimo richiedente è tenuto, oltre che al risarcimento del danno, a versare al proprietario che ha subito l’accesso un’indennità di ammontare pari al 50 per cento della quota condominiale ordinaria dovuta dallo stesso proprietario in base all’ultimo rendiconto approvato dall’assemblea.”
Da quanto fin qui premesso si evince che sul punto la legge n. 220/2012 ha effettuato una scelta notevolmente riduttiva dei poteri dell’amministratore di condominio al quale sono sottratti poteri inquisitori sulla situazione di sicurezza del condominio all’interno delle abitazione dei singoli condomini.
Del resto appare evidente che detto professionista, ai sensi dell’articolo 1122 del codice civile, allorquando sarà stato informato del compimento da parte di un condominio, all’interno della sua unità immobiliare, di opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettino dell’edificio, ne riferisce all’assemblea. Pertanto nel registro di anagrafe condominiale sarà annotato il riferimento dei documenti (libretti di impianto, dichiarazioni di conformità, rapporti di visita tecnica da parte degli organi ispettivi, dichiarazioni di agibilità, permessi edilizi, progetti o schemi di impianti, certificati di prevenzione incendi, il documento di valutazione dei rischi del condomini o degli appalti in corso al suo interno, relativi alle parti comuni condominiali e redatti ai sensi degli articoli 18,28 ,26 del d.lvo n. 81/2008) o relativi agli impianti tecnologici o alle parti comuni del condominio ed in possesso dell’amministratore.
Sicuramente il registro di anagrafe condominiale non può contenere le autocertficazioni dei condomini relativi alla sicurezza degli impianti posti all’interno delle loro abitazioni, poichè, in primo luogo, detti atti non sono compatibili con il sistema giuridico di sicurezza degli impianti, secondo quanto previsto dal DM n. 37/2008 e dal d.lvo n. 81/2009, il quale prevede che la realizzazione, la manutenzione ed il funzionamento dei medesimi deve essere effettuato da tecnici abilitati i quali redigono registrazioni scritte delle operazioni compiute, espressamente dichiarate non sostituibili da innominate, e non consentite, autocertificazioni del privato.
Inoltre il termine “autocertificazione “ è assai ambiguo e non è suscettibile di amplia applicazione non giuridicamente prevista. In particolare giova notare che l’art. 483 del codice penale punisce con la reclusione fino a due anni chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.
L’art. 485 del codice penale punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o recare ad altri un danno, formi, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa, o altera una scrittura privata vera, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso. Sul punto la giurisprudenza è assai rigorosa:

- “ Integra il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico la falsa attestazione del legale rappresentante di una società circa il possesso, da parte di quest’ultima, di un requisito indispensabile per la partecipazione alla gara per l ‘aggiudicazione di un appalto pubblico, a nulla rilevando che tale attestazione sia contenuta in una autocertificazione con sottoscrizione non autenticata, ma ritualmente prodotta a corredo dell’istanza principale, unitamente alla fotocopia di un documento di identificazione, in conformità del modello legale vigente” (C.Cass. Pen., Sez. U, sent. n. 35488 del 28.6.2007, dep. il 24.9.2007, Rev. N. 236866).
- “Integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico e non quello di falso in atto pubblico per induzione la condotta del privato, parte di un contratto di compravendita immobiliare, che dichiari falsamente al notaio rogante la conformità urbanistica dell’immobile tacendo che lo stesso era stato oggetto di abusi edilizi”. (C.Cass. Pen, Sez. 5, sent. n. 11628 del 30.11.2011, dep. 26.3.201, rv. N. 252298).
- “Integra il reato di falsità in scrittura privata – art. 485 cod. pen. – la condotta di colui che forma falsamente e consegna al committente una dichiarazione di conformità di un impianto termoidraulico alla normativa vigente, obbligatoria per legge, facendola apparire come proveniente dal soggetto abilitato al suo rilascio.” (C.Cass. Pen., Sez. 5, sent n. 35441 del 3.7.2009, dep .il 11.9.2009, Rv. N. 245149).

di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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lunedì 14 agosto 2017

SE IL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO NON PREVEDE RESTRIZIONI LE ZANZARIERE SONO LEGITTIME - TRIBUNALE MILANO 17 MARZO 2017 N. 3222

Il Tribunale di Milano, ha rigettato la domanda del Condominio, che richiedeva ad una condomino di rimuovere una zanzariere dal proprio balcone. Nel caso specifico nel regolamento non sussisteva nè “un divieto specifico di apposizione di zanzariere … nelle proprietà private e sulla facciata”, né disposizione alcuna volta a dare una più rigorosa definizione del concetto di decoro architettonico ex art. 1120 c.c.. Pertanto il Tribunale ha valutato in concreto il difetto di qualsivoglia pregiudizio estetico del complesso edilizio.

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TRIBUNALE MILANO 17 MARZO 2017 N. 3222 - ZANZARIERE LEGITTIME SE NON CI SONO RESTRIZIONI SUL REGOLAMENTO


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TRIBUNALE MILANO 17 MARZO 2017 N. 3222

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
TREDICESIMA SEZIONE CIVILE


Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del giudice Dott. Pietro Paolo Pisani ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nella causa civile di I Grado iscritta al N. 55976/2015 R.G. promossa da:

OMISSIS con il patrocinio dell'avv. OMISSIS con elezione di domicilio in omissis presso l'avvocato suddetto 
ATTORE

CONTRO
OMISSIS con il patrocinio dell'avv. OMISSIS OMISSIS con elezione di domicilio in omissis presso lo studio dell'avvocato suddetto 
CONVENUTA

- OGGETTO: uso e tutela di beni in condominio.
- CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da verbale di causa del 18/11/2016

SVOLGIMENTO IN FATTO DEL PROCESSO
omissis ex art. 58 co. 2 L. 69/2009 e art. 132 c.p.c. novellato

Per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze, attesa la modificazione dell'articolo 132 n° 4 c.p.c, ad opera della legge 69/2009, che esclude una lunga e particolareggiata esposizione di tutte le vicende processuali anteriori alla decisione.
Incardinato ritualmente il giudizio e costituitasi la convenuta, all'esito della prima udienza di trattazione venivano assegnati alle parti i termini dí cui all'articolo 183 VI comma c.p.c.; depositate le  stesse, all'esito della successiva udienza, ritenuta la causa compiutamente istruita e matura per la decisione, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni alla udienza del 18/11/2016. In tale udienza le parti hanno precisato le conclusioni come da verbale in atti e la causa è stata rinviata alla odierna con termine per note illustrative e conclusionali; depositate le stesse nelle more, all'esito della odierna udienza, la causa è stata decisa con lettura, in udienza, del dispositivo e di sintetica motivazione, ai sensi dell'art.281 sexies c.p.c.. 

MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE

1) — La presente controversia prende le mosse dalla domanda formulata dal Condominio attore di condanna della condomina convenuta alla riduzione in pristino dell'aspetto della facciata condominiale sul presupposto della sua alterazione a seguito della apposizione di zanzariere con relativi supporti collocati in corrispondenza del terrazzino di proprietà esclusiva della stessa convenuta. Si costituiva la convenuta che si opponeva alle domande attoree, chiedendone il rigetto e per l'effetto, di autorizzarla al mantenimento della zanzariera perché non lesiva dello stile architettonico del condominio medesimo.
La domanda attorea non è fondata e va rigettata per i motivi di seguito evidenziati Osserva questo Giudice che, dall'esame degli atti di causa e dalla documentazione anche fotografica prodotta, risulta provato e documentato in atti e, comunque, pacifico ed incontestato tra le parti, tenuto conto dei principii dell'onere della prova e di quello di non contestazione, che: 
• esiste regolamento condominiale del 16/03/1995 (doc.4 convenuta) dal quale non rilevasi alcun divieto specifico di apposizione di zanzariere quali quella oggetto di causa nelle proprietà private e sulla facciata condominiale;
• parte convenuta ha istallato sul proprio balcone, al quale si accede dal suo locale cucina, una zanzariera perimetrale rimuovibile i cui montanti sono dello stesso colore bianco delle ringhiere dei balconi siti sulle facciate condominiale e ricoperta da tendaggi da sole di colore simile a quello delle altre tende da sole infisse sui balconi siti sulle facciate condominiale (doc. 3 e 4 parte convenuta).
Tenuto conto degli elementi di fatto sopra riassunti e accertati in atti, osserva questo Giudice che, come è noto, le norme di un regolamento di condominio, aventi natura contrattuale possono derogare od integrare la disciplina legale. Tali norme, in particolare, possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 c.c., sì da estendere il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva. In tali casi ne deriva l'illegittimità di tutte le opere che violino quanto disposto dal regolamento condominiale. (Cass. civ. Sez. II, 17/06/2015, n. 12582; Cass. civ., Sez. 11, 23/05/2012, n. 8174).
Tale più restrittiva regolamentazione non è emersa nel caso in esame per quanto sopra rilevato, con specifico riferimento a proprietà private quali il balcone in esame. 
Tanto evidenziato in punto di diritto, rileva questo Giudice che si è altresì precisato che in tema di condominio degli edifici, la tutela del decoro architettonico - di cui all'art. 1120, secondo comma, c.c. - è stata disciplinata in considerazione della apprezzabile alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell'edificio, od anche di sue singole parti o elementi dotati di sostanziale autonomia, e della consequenziale diminuzione del valore dell'intero edificio e, quindi, anche di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono. Ne consegue che il giudice, per un verso, deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata accertando anche se esso avesse originariamente ed in qual misura un'unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in giudizio, nonché se su di essa avessero o meno già inciso, menomandola, precedenti innovazioni. Per altro verso, deve accertare che l'alterazione sia appariscente e di non trascurabile entità e tale da provocare un pregiudizio estetico dell'insieme suscettibile di valutazione economica, mentre detta alterazione può affermare senza necessità di siffatta specifica indagine solo ove abbia riscontrato un danno estetico di rilevanza tale, per entità e/o che, quello economico possa ritenervisi insito. (Cass. 27/10/2003 n. 16098). 
Nel caso in esame, non rilevasi una alterazione avente le sopra richiamate caratteristiche evidenziate dalla giurisprudenza di legittimità e, comunque, tale da provocare un pregiudizio estetico dell'insieme suscettibile di valutazione economica, tenuto conto di quanto rilevato in fatto in ordine alle qualità intrinseche (rimuovibilità della struttura) ed estrinseche (i montanti ed í tendaggi) della zanzariera e che la stessa è apposta in una proprietà privata quale il balcone in esame; nonché di quanto appare dei luoghi condominiali rappresentati dalle fotografie in atti ed in mancanza di diversa prova che non si rinviene in atti. 
Ne consegue, infine, che deve rigettarsi la domanda di parte attrice, con assorbimento di ogni altra domanda e questione sollevata in giudizio tra le parti.
2) - Le spese e competenze del presente giudizio e della mediazione, secondo il principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c., vanno poste a carico del CONDOMINIO attore, in persona dell'amministratore pro-tempore e a favore della convenuta e, determinate sulla base dei parametri dettati del D.M. Giustizia 55 del 10/03/2014, vengono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

Il Tribunale, in composizione monocratica, ogni altra istanza disattesa, rigettata o assorbita, così provvede:
- Rigetta la domanda del Condominio attore, come in motivazione.
- Condanna il Condominio attore, in persona dell'amministratore pro-tempore, a corrispondere ín favore della convenuta, le spese e competenze di lite e di mediazione, liquidate in €. 2.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% dei compensi ed a cpa e Iva di legge. 
Sentenza immediatamente esecutiva come per legge, resa ex articolo 281 sexies c.p.c. e pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale, per l'immediato deposito in cancelleria.
Milano 17 marzo 2017.

Il Giudice
Dott. Pietro Paolo Pisani


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martedì 6 giugno 2017

MOVIMENTAZIONE SU CONTO CORRENTE DELL’AMMINISTRATORE. LE SOMME RISCHIANO DI DIVENTARE REDDITO - CASSAZIONE 24 MAGGIO 2017, N. 13075

La Suprema Corte ha affermato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti. Si determina un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili.
Nella specie la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di appello che aveva ritenuto sufficiente la generica giustificazione fornita dal contribuente, svolgente l'attività di amministratore di condominio, che i versamenti sui propri conti correnti fossero ricollegabili al pagamento da parte dei condomini degli oneri di gestione condominiale.

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CASSAZIONE 24 MAGGIO 2017, N. 13075 - movimenti su C/C amministratore diventa reddito



CASSAZIONE 24 MAGGIO 2017, N. 13075

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE 
SEZIONE TRIBUTARIA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:              
Dott. CANZIO  Giovanni  -  Presidente   
Dott. DAVIGO  Piercamillo  -  rel. Consigliere  
Dott. DIOTALLEVI Giovanni  -  Consigliere  
Dott. APRILE  Stefano -  Consigliere  
Dott. ARIOLLI  Giovanni  -  Consigliere  

ha pronunciato la seguente:   
                                       
ORDINANZA

sul ricorso 12012/2012 proposto da: 
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis; 
- ricorrente - 

CONTRO
C.M. domiciliato in Caserta via Roma P.co Europa, presso lo studio dell'A.. C. D. F. che lo rappresenta e difende; 
- controricorrente - 

avverso la sentenza n. 354/28/11 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE di Napoli del 14/11/2011, depositata il 15/11/2011, non notificata; 
udita la relazione della causa svolta dal Relatore Dr. Piercamillo Davigo

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Napoli, n. 354/28/11, pubblicata il 15 novembre 2011, con la quale era sta confermata la pronunzia della Commissione tributaria provinciale di Caserta, che aveva accolto il ricorso proposto da C.M. contro l'avviso di accertamento in materia di I.V.A., I.R.P.E.F. e addizionale regionale per l'anno d'imposta 2005 emesso dall'Agenzia delle Entrate, Ufficio di (OMISSIS), con il quale era stata rettificata la dichiarazione dei redditi accertando un reddito di Euro 245.044,00 a fronte di quello dichiarato di Euro 43.512,00.
Chiedeva la condanna del contribuente alla rifusione delle spese.
La Commissione Tributaria regionale rigettava l'appello sull'assunto che il contribuente avrebbe superato la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2, come modificata dalla L. n. 311 del 2004 (finanziaria 2005) alla luce dei nomi indicati e della contiguità parentale.
2. Con controricorso il contribuente deduceva che il ricorso è inammissibile per la mancata esposizione dei fatti e non autosufficiente.
Assumeva che la presunzione di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 era stata superata dalla indicazione dei beneficiari dei prelievi e rilevava che la C.T.R. si era attenuta alla giurisprudenza di legittimità.
Infine rilevava che non vi era vizio di motivazione.
Concludeva per il rigetto del ricorso con vittoria di spese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3 in quanto, la Commissione Tributaria Regionale di Napoli ha erroneamente ritenuto che sia sufficiente l'indicazione dei nomi dei beneficiari per superare la presunzione di cui all'indicata norma, mentre la giurisprudenza di legittimità ha affermato che è onere del contribuente dimostrare che gli elementi desumibili dalla documentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili. Col secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce insufficienza e contraddittorietà della motivazione su un fatto controverso in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 5 sulla ritenuta plausibilità della giustificazione fornita dal contribuente.
Col terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione dell'art. 2697 c.c. in combinato disposto con il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3.
2. Non è vero che nel ricorso manchi l'esposizione dei fatti in guisa da rendere inammissibile il ricorso, posto che nello stesso sono trascritte le motivazioni della sentenza impugnata.
3. Il primo motivo di ricorso è fondato.
Questa Corte ha affermato che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi, qualora l'accertamento effettuato dall'ufficio finanziario si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l'onere probatorio dell'Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, mentre si determina un'inversione dell'onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare che gli elementi desumibili dalla movimentazione bancaria non sono riferibili ad operazioni imponibili, fornendo, a tal fine, una prova non generica, ma analitica, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili.
(Cass. Sez. 5, Sentenza n. 18081 del 04/08/2010 Rv. 615112 - 01. In applicazione del principio, la S.C. ha cassato la sentenza del giudice di appello che aveva ritenuto sufficiente la generica giustificazione fornita dal contribuente, svolgente l'attività di amministratore di condominio, che i versamenti sui propri conti correnti fossero ricollegabili al pagamento da parte dei condomini degli oneri di gestione condominiale; conf. Sez. 5, Sentenza n. 15857 del 29/07/2016 Rv. 640618 - 01).
Il Collegio condivide tale assunto e ne consegue che non è sufficiente la indicazione dei beneficiari delle operazioni ma deve essere precisata la ragione delle operazioni in modo escluderne la riferibilità ad operazioni imponibili.
Sotto tale profilo sono fondati anche il secondo ed il terzo motivo di ricorso.
4. La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale di Napoli per nuovo giudizio.
Il giudice di rinvio si atterrà al principio di diritto sopra enunciato e provvederà sulle spese.

P.Q.M.

La Corte:
Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Commissione Tributaria Regionale di Napoli, che provvederà anche sulle spese del giudizio di Cassazione.
Motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Quinta Civile, il 11 maggio 2017.
Depositato in Cancelleria il 24 maggio 2017
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lunedì 29 maggio 2017

LA DOCUMENTAZIONE CONDOMINIALE A DISPOSIZIONE DEI CONDOMINI - CASSAZIONE 18 MAGGIO 2017, N. 12579

La Suprema Corte specifica come la richiesta mossa dalla ricorrente di vagliare la correttezza dell’interpretazione del giudice di appello rispetto alle norme regolamentali non è ammissibile in grado di Cassazione, deputato unicamente al vaglio di legittimità e non anche di merito.
In particolare secondo la Corte «le disposizioni contenute in un regolamento di condominio hanno natura regolamentare, organizzativa o contrattuale, sicché l’interpretazione o l’applicazione di esse fatta dal giudice del merito non può essere denunciata in sede di legittimità, come se si trattasse di violazione o falsa applicazione di norme di diritto».
Nel merito della questione, la Suprema Corte afferma la validità dell’operato dell’amministratore in quanto anche se la norma prevedeva l’invio di documentazione, questa era stata per un decennio interpretata piuttosto come una messa a disposizione della contabilità anche per evitare inutili intralci all’attività dell’amministratore.
Secondo la Corte, quindi, la tacita accettazione di tale condotta da parte dell’amministratore aveva rilievo ai sensi dell’art. 1362, comma 2, c.c. che prevede che «per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto».
In buona sostanza l’accettazione per dieci anni da parte dei condomini di tale comportamento da parte dell’amministratore aveva di fatto comportato la modificazione del regolamento condominiale, per lo meno riguardo alla sua interpretazione.

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CASSAZIONE 18 MAGGIO 2017, N. 12579 - Documentazione a disposizione dei condomini



CASSAZIONE 18 MAGGIO 2017, N. 12579

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE 
SESTA SEZIONE CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                           
Dott. PETITTI  Stefano  -  Presidente   
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni  -  Consigliere 
Dott. GIUSTI  Alberto -  Consigliere  
Dott. PICARONI Elisa  -  Consigliere 
Dott. SCARPA  Antonio  -  rel. Consigliere 
ha pronunciato la seguente:      
                                    
ORDINANZA

sul ricorso 4497/2016 proposto da: 
L.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato P. S., rappresentata e difesa dall'avvocato M. G.; 
- ricorrente - 

CONTRO
CONDOMINIO, rappresentato e difeso dall'avvocato F. P.; 
- controricorrente - 

avverso la sentenza n. 533/2015 della CORTE D'APPELLO di MESSINA, depositata il 24/09/2015; 
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.


FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La ricorrente L.R.M. impugna, articolando tre motivi di ricorso, la sentenza n. 533/2015 del 24 settembre 2015 della Corte d’Appello di Messina, che ha accolto l’appello proposto dal Condominio (omissis) , riformato la sentenza dell’8 maggio 2012 del Tribunale di Messina e perciò rigettato la domanda di impugnazione della deliberazione assembleare del 19 febbraio 2009. Il Tribunale aveva annullato questa deliberazione dell’assemblea del Condominio (omissis) , a causa del mancato rispetto dell’art. 16 del vigente regolamento condominiale, che imponeva all’amministratore di trasmettere copia dei preventivi e dei rendiconti ad ogni condomino almeno dieci giorni prima del giorno fissato per la riunione e di tenere per lo stesso periodo a disposizione dei condomini documenti e giustificativi di cassa. La Corte di Messina rilevava tuttavia che, dalla prodotta documentazione, si evincesse che tale disposizione sia stata interpretata dagli amministratori succedutisi nell’ultimo decennio nel Condominio (omissis), nel senso di fissare nell’avviso di convocazione dell’assemblea un giorno proprio per consentire la visione della contabilità, previa appuntamento con l’amministratore. Ciò l’amministratore nella specie aveva fatto, indicando nell’avviso di convocazione inoltrato il 7 febbraio 2009, relativo all’assemblea del 18/19 febbraio 2009, che il 16 febbraio 2009, dalle ore 16,30 alle ore 18,00, sarebbe stato possibile "visionare la documentazione relativa alla gestione 2008 presso la saletta, previo appuntamento telefonico".
Risultava, invece, per quanto accertato dalla Corte d’Appello, che la condomina L.R.M. avesse spedito il 17 febbraio 2009 una raccomandata, ricevuta dall’amministratore soltanto il 19 febbraio 2009 (giorno dell’assemblea), con cui chiedeva copia della documentazione. La Corte di Messina dichiarava, poi, di non affrontare la questione del conflitto di interessi, non avendo l’appellata riproposto espressamente tale questione, agli effetti dell’art. 346 c.p.c., nelle sue difese.
Il Condominio (omissis) , si difende con controricorso.
Ritenuto che il ricorso proposto potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Il primo motivo del ricorso di L.R.M. denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1129 e 1130 c.c., nonché dell’art. 16 del regolamento condominiale, difetto di motivazione, eccesso di potere e violazione dell’obbligo/diritto d’informazione. Si sostiene che la Corte d’Appello abbia fatto prevalere la prassi invalsa nel Condominio (omissis) , sulle norme del codice civile e del regolamento di condominio che obbligano l’amministratore a trasmettere copia dei consuntivi e dei preventivi prima dell’assemblea di approvazione.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1130 e 1130-bis c.c., essendo l’amministratore venuto meno all’obbligo di rendicontazione nelle modalità stabilite dalla disciplina del codice civile e dal regolamento di condominio; si censura anche la motivazione incongrua e contraddittoria e l’eccesso di potere da parte dell’amministratore, facendosi riferimento ai criteri adottati per la ripartizione delle spese di esercizio e di riparazione dell’autoclave e dell’impianto di adduzione dell’acqua.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi tra loro, e si rivelano in parte inammissibili e per il resto comunque manifestamente infondati.
Secondo quanto anche eccepito dal controricorrente, non si comprende dal ricorso quale fosse il contenuto della deliberazione assembleare del 19 febbraio 2009 impugnata ai sensi dell’art. 1137 c.c., quanto, in particolare, ai provvedimenti adottati, che si assumono illegittimi, nella ripartizione delle spese di autoclave e di "quote-acqua". È perciò violato l’onere, incombente a pena di inammissibilità del ricorso sul ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, e ciò con riferimento ai documenti "sui quali il ricorso si fonda", in quanto onere preordinato, appunto, a consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte.
Ancora, le disposizioni contenute in un regolamento di condominio hanno natura regolamentare, organizzativa o contrattuale, sicché l’interpretazione o l’applicazione di esse fatta dal giudice del merito non può essere denunciata in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., come se si trattasse di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per tali intendendosi soltanto quelle risultanti dal sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico. L’omesso o errato esame di una disposizione del regolamento di condominio da parte del giudice di merito è, piuttosto, sindacabile in sede di legittimità soltanto per inosservanza dei canoni di ermeneutica oppure per vizi logici sub specie dell’omesso esame di fatto storico decisivo e controverso ex art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1406 del 23/01/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9355 del 14/07/2000).
Il riferimento come norma violata all’art. 1130-bis c.p.c. non tiene conto che tale disposizione è stata introdotta dalla legge n. 220 del 2012 ed è perciò entrata il vigore il 18 giugno 2013, mentre qui è in discussione la validità di una deliberazione assembleare del febbraio 2009.
Le censure di difetto di motivazione, o di motivazione incongrua e contraddittoria, neppure tengono conto che trova applicazione il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, in base al quale non è più configurabile il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti. La nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. postula la deduzione dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Il primo motivo del ricorso di L.R.M. non rispetta le previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., in quanto il ricorrente non indica il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", limitandosi a denunciare l’omesso esame di elementi istruttori con riguardo a fatti storici comunque presi in considerazione dalla Corte d’Appello (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Venendo, peraltro, al merito delle questioni poste, circa l’interpretazione che la Corte di Messina ha prescelto dell’art. 16 del Regolamento di condominio, deve ancora osservarsi come l’interpretazione di un regolamento di condominio da parte del giudice del merito è insindacabile in sede di legittimità quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17893 del 31/07/2009).
Ora, a proposito di tale art. 16 del regolamento condominiale (che imponeva all’amministratore di trasmettere copia dei preventivi e dei rendiconti ad ogni condomino almeno dieci giorni prima del giorno fissato per la riunione e di tenere per lo stesso periodo a disposizione dei condomini documenti e giustificativi di cassa), la Corte di Messina ha accertato che lo stesso avesse avuto pratica attuazione da parte dagli amministratori succedutisi nel Condominio (omissis) nell’ultimo decennio nel senso di fissare nell’avviso di convocazione dell’assemblea una data, da concordare, finalizzata a consentire la visione della contabilità, prassi rispettata anche con riguardo all’assemblea del 18/19 febbraio 2009. Trattandosi di prescrizione di contenuto organizzativo, ovvero propriamente "regolamentare", del regolamento di condominio (e, non quindi, di contenuto contrattuale, ovvero incidente sulla proprietà dei beni comuni o esclusivi), ha certamente rilievo a fini interpretativi, ai sensi dell’art. 1362, comma 2, c.c., anche il comportamento posteriore al medesimo regolamento avuto dai condomini, così com’è ammissibile che la stessa norma regolamentare venga modificata per "facta concludentia", sulla base di un comportamento univoco.
D’altro canto, se è vero che l’art. 1129, comma 2, c.c., dopo la Riforma introdotta con la legge n. 220 del 2012, prevede ora espressamente che l’amministratore debba comunicare il locale dove si trovano i registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta, possa, appunto, prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata, è anche costante, e meritevole tuttora di conferma, l’orientamento di questa Corte secondo cui la vigilanza ed il controllo, esercitati dai partecipanti essenzialmente, ma non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea, non devono mai risolversi in un intralcio all’amministrazione, e quindi non possono porsi in contrasto con il principio della correttezza, ex art. 1175 c.c. (Cass. Sez. 2, 21 settembre 2011, n. 19210; Cass. Sez. 2, 29 novembre 2001, n. 15159; Cass. Sez. 2, 19 settembre 2014, n. 19799). In tal senso, l’interpretazione che la Corte di Messina ha adottato dell’art. 16 del Regolamento appare logicamente coerente con l’esigenza di obbligare l’amministratore a predisporre un’organizzazione che consenta ai condomini il diritto di accedere alla documentazione contabile in vista della consapevole partecipazione all’assemblea condominiale, senza però che l’esercizio di tale facoltà paralizzi il normale svolgersi dell’attività di gestione condominiale.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. e dell’art. 345 c.p.c., contestandosi che la questione del conflitto di interessi costituisse domanda o eccezione, perciò da riproporre; e poi aggiungendosi che le richieste istruttorie avanzate dal Condominio appellante a pagina 12 dell’atto di appello fossero inammissibili.
Anche questo motivo è infondato.
Il principio, sancito dall’art. 346 c.p.c., secondo cui le domande ed eccezioni non accolte o rimaste assorbite in primo grado debbono essere riproposte espressamente, a pena di esclusione dal tema del giudizio di appello, dalla parte pienamente vittoriosa, opera certamente allorché, come nel caso in esame, quest’ultima intendesse devolvere al giudice d’appello un motivo di invalidità della deliberazione dell’assemblea dei condomini diverso da quello accolto nel giudizio di primo grado, essendo ciascuna ragione di annullabilità della delibera basata su una diversa "causa petendi" (arg. da Cass. Sez. 2, 18 febbraio 1999, n. 1378).
È invece inammissibile la denuncia di violazione dell’art. 345 c.p.c., in quanto la ricorrente non indica quale siano le richieste istruttorie avanzate dal Condominio soltanto in appello (se non facendo rinvio per relationem a "pag. 12 atto di appello"), né lascia intendere in che misura tali prove nuove abbiano inciso sulla decisione della Corte d’Appello, laddove la violazione di norme processuali può costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione, ai sensi, peraltro, dell’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando abbia influito in modo determinante sul contenuto della pronuncia di merito, ovvero allorché quest’ultima - in assenza di tale vizio - non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata (cfr. Cass. Sez. 3, 11 novembre 2015, n. 22978).
Il ricorso va perciò rigettato e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
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martedì 18 aprile 2017

L’ASSEMBLEA NON APPROVA IL CONSUNTIVO MA DELIBERA DI RISCUOTERE I CONGUAGLI

Legittima la delibera assembleare che approvi il bilancio consuntivo senza prendere in esame la situazione finanziaria relativa al periodo precedente, atteso che i criteri di semplicità e snellezza che presidiano alle vicende dell'amministrazione condominiale consentono, senza concreti pregiudizi per la collettività dei comproprietari, la possibilità di regolarizzazione successiva delle eventuali omissioni nell'approvazione dei rendiconti.
Trattasi comunque di una approvazione di un rendiconto del 2015 di fatto anteriore all’entrata in vigore della legge 220/2012.
La Corte, nel decidere si riporta ad un principio già enunciato in precedenza (Cass. n. 11526/99 e n. 13100/97), secondo cui, in assenza di norme codicistiche che impongano una determinata successione temporale nell'approvazione dei rendiconti da parte dell'assemblea condominiale alla luce dei criteri di snellezza e semplicità che caratterizzano la materia della gestione condominiale, può legittimamente una delibera approvare la gestione relativa ad un determinato periodo senza o prima di prendere in considerazione la gestione di un periodo precedente; detto esame può infatti sopraggiungere anche dopo.

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CASSAZIONE 31 MARZO 2017, N. 8521 - no all'approvazione del consuntivo, si alla riscossione dei conguagli



CASSAZIONE 31 MARZO 2017, N. 8521

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE

                           
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:   
Dott. BIANCHINI Bruno -  Presidente  
Dott. LOMBARDO  Luigi Giovanni -  rel. Consigliere   
Dott. D’ASCOLA  Pasquale  -  Consigliere   
Dott. GRASSO  Giuseppe  -  Consigliere   
Dott. SCALISI  Antonino  -  Consigliere   

ha pronunciato la seguente:  
                                        
SENTENZA
                                        
sul ricorso 25343/2013 proposto da: 
L.D., elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato F. L. R., rappresentato e difeso dagli avvocati W. V., P. T.; 
- ricorrente - 

CONTRO
CONDOMINIO, in persona dell'Amministratore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato G. P., che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato G. F.; 
- controricorrente - 

avverso la sentenza n. 1802/2013 della CORTE D'APPELLO di MILANO, depositata il 24/04/2013; 
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/02/2017 dal Consigliere Dott. LUIGI GIOVANNI LOMBARDO; 
udito l'Avvocato T. P., difensore del ricorrente che ha chiesto l'accoglimento del ricorso; 
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1. - L.D. convenne in giudizio il Condominio dell'edificio di viale (OMISSIS), chiedendo l'annullamento delle deliberazioni assembleari del 21.3.2007, aventi ad oggetto l'approvazione del consuntivo delle spese di gestione per l'anno 2006 e l'approvazione del preventivo delle spese di gestione per l'esercizio 2007.
Nella resistenza del convenuto condominio, il Tribunale di Milano rigettò le domande attoree.
2. - Sul gravame proposto dal L., la Corte di Appello di Milano confermò la pronuncia di primo grado.
3. - Per la cassazione della sentenza di appello ricorre L.D. sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso il Condominio dell'edificio di viale (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. - Il primo motivo di ricorso, contrassegnato con la lettera a) (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, per non avere la Corte di Appello dichiarato la nullità delle delibere impugnate per violazione dell'art. 28 del regolamento condominiale, a tenore del quale l'esercizio condominiale si chiude il 30 giugno di ogni anno), non è fondato.
La Corte territoriale ha legittimamente ritenuto il carattere derogabile della detta previsione regolamentare. Non sussiste violazione dei canoni legali di interpretazione delle scritture negoziali; e, d'altra parte, la motivazione della sentenza impugnata sul punto (p. 7-8 della sentenza impugnata) risulta esente da vizi logici e giuridici.
2. - Anche il secondo motivo di ricorso, contrassegnato con la lettera b) (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, nonchè l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, per avere la Corte di Appello omesso di ritenere la nullità delle delibere relativamente alle spese per riscaldamento addebitate al L.), è infondato.
Il ricorrente lamenta innanzitutto che la Corte territoriale abbia ritenuto non provato l'asserito distacco dall'impianto di riscaldamento condominiale e, comunque, la ridotta fruizione di tale impianto.
Trattasi di censura inammissibile, in quanto pone in discussione l'accertamento dei fatti come compiuto dai giudici di merito sulla base delle prove acquisite, accertamento che è insindacabile in sede di legittimità, quando - come nella specie - la motivazione della sentenza impugnata sul punto esente da vizi logici e giuridici (cfr. Cass., Sez. U, n. 8053 del 07/04/2014).
Lamenta ancora il ricorrente che la Corte territoriale non abbia disposto la consulenza tecnica sollecitata da esso attore.
In proposito, va ricordato che il giudizio sulla necessità ed utilità di far ricorso allo strumento della consulenza tecnica rientra nel potere discrezionale del giudice del merito, la cui decisione è incensurabile in Cassazione, salvo che la decisione della controversia dipende unicamente dalla risoluzione di una questione tecnica e i fatti da porre a base del giudizio non possono essere altrimenti accertati (Cass., Sez. 1, n. 4853 del 01/03/2007).
Nella specie, non può ritenersi che la C.T.U. fosse l'unico strumento possibile per l'accertamento dei fatti. Invero, i lavori di distacco dall'impianto condominiale asseriti dal ricorrente avrebbero potuto essere provati sia con prove documentali che con prove testimoniali. Non risultando tali prove essere state dedotte, legittimamente il giudice di merito ha ritenuto di non disporre la C.T.U. e di non sanare l'inerzia probatoria della parte.
Tutti gli altri profili della censura (relativi alle modifiche apportate all'impianto di riscaldamento rispetto a quanto previsto nella tabella millesimale) rimangono assorbiti.
3. - Infine, il terzo motivo di ricorso, contrassegnato con la lettera c) (col quale si deduce la violazione e la falsa applicazione di norme di diritto, in relazione al fatto che il consuntivo approvato relativo all'anno 2006 includeva una posta a debito derivante dall'esercizio 2004, il cui consuntivo tuttavia non era stato ancora approvato), è anch'esso privo di fondamento.
La Corte territoriale ha spiegato che l'assemblea condominiale del 16.6.2005, pur non approvando il rendiconto relativo al 2004, ebbe ad autorizzare - all'unanimità - l'amministratore a richiedere ai condomini i conguagli da esso risultanti; che, non avendo il L. provveduto al pagamento del dovuto, l'amministratore - in ossequio al principio della continuità dei bilanci - ebbe a riportare a debito, nel consuntivo relativo al 2006, la somma non corrisposta; che, il consuntivo 2004 è stato poi comunque approvato nell'assemblea 27.3.2008 e la relativa deliberazione è stata impugnata dal L. e ha formato oggetto di separato giudizio.
Considerato che la deliberazione condominiale del 16.6.2005 ha autorizzato la riscossione delle somme calcolate dall'amministratore a titolo di conguaglio e che, nell'attesa dell'approvazione del consuntivo 2004, tale deliberazione era pienamente esecutiva nei confronti dell'attore (per non averla il medesimo impugnata), legittimamente il consuntivo relativo al 2006 ha riportato la somma non corrisposta dal L. in esecuzione della precedente delibera.
Non sussiste la violazione di alcuna delle norme invocate dal ricorrente; dovendosi peraltro ricordare il principio di diritto, dettato da questa Suprema Corte, secondo cui nessuna norma codicistica detta, in tema di approvazione dei bilanci consuntivi del condominio, il principio dell'osservanza di una rigorosa sequenza temporale nell'esame dei vari rendiconti presentati dall'amministratore e relativi ai singoli periodi di esercizio in essi considerati, cosicchè va ritenuta legittima la delibera assembleare che (in assenza di un esplicito divieto pattiziamente convenuto al momento della formazione del regolamento contrattuale) approvi il bilancio consuntivo senza prendere in esame la situazione finanziaria relativa al periodo precedente, atteso che i criteri di semplicità e snellezza che presidiano alle vicende dell'amministrazione condominiale consentono, senza concreti pregiudizi per la collettività dei comproprietari, finanche la possibilità di regolarizzazione successiva delle eventuali omissioni nell'approvazione dei rendiconti (Cass., Sez. 2, n. 11526 del 13/10/1999; Sez. 2, n. 13100 del 30/12/1997).
4. - Il ricorso deve pertanto essere rigettato, con conseguente condanna della parte ricorrente, risultata soccombente, al pagamento delle spese processuali, liquidate come in dispositivo.
5. - Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto dopo il 30 gennaio 2013), sussistono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte del ricorrente, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 (quattromila) per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Seconda Civile, il 16 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 31 marzo 2017
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