martedì 1 dicembre 2015

Amministratore garante della sicurezza sul lavoro e sistema sanzionatorio penale


La norma tutela la pubblica incolumità con specifico riferimento all’ambiente di lavoro e, in particolare, la sicurezza sul lavoro di una comunità ristretta di lavoratori o di singoli lavoratori, in quanto incrimina espressamente la rimozione o l’omissione dolosa di cautele destinate a prevenire infortuni

In termini generali, si consideri che l’amministratore, in forza della c.d. clausola di equivalenza di cui all’art. 40, comma 2, c.p. -che equipara il non impedire un evento al cagionarlo- potrebbe essere incriminato del reato di omicidio o lesioni colpose di cui agli artt. 589 e 590 c.p., qualora, dall’inosservanza degli obblighi a lui gravanti in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, derivi la morte o il ferimento del dipendente; accanto a questi reati di omesso impedimento dell’evento, esistono, poi, reati di pura omissione, quali gli artt. 437 e 451 c.p., aventi ad oggetto, rispettivamente, l’omissione dolosa o colposa di cautele contro gli infortuni sul lavoro (per una recente fattispecie, v. Cass. pen., 5 maggio 2011, n. 22239).
In altri termini, la responsabilità penale, per la violazione degli obblighi derivanti dalla posizione giuridica di garanzia dei responsabili per la sicurezza, può assumere una duplice fisionomia, che si realizza o con l’integrazione di un reato di omesso impedimento dell’evento, ai sensi del combinato disposto di una fattispecie incriminatrice di parte speciale, con l’art. 40, comma 2, c.p., qualora dall’inosservanza derivino l’omicidio o le lesioni colpose (artt. 589 e 590 c.p.), oppure un reato di pura omissione, nei casi previsti dagli artt. 437 c.p. (omissione dolosa di cautele contro gli infortuni) e 451 c.p. (omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro) con la fattispecie incriminatrice disciplinata dalla normativa di settore. In particolare, i reati di omicidio colposo (art. 589 c.p.) e di lesioni personali colpose (art. 590 c.p.) sono imputabili all’amministratore di condominio, esclusivamente a titolo di colpa, ove, in qualità di titolare di una posizione di garanzia (datore di lavoro o committente ex d.lgs. n.81/2008), abbia omesso di impedire un evento che aveva l’obbligo giuridico di impedire.
Si sottolinea in proposito che, trattandosi di reati colposi omissivi c.d. impropri, le omissioni devono costituire l’antecedente causale dell’evento: invero, nei reati colposi (art. 43 c.p.), la condotta è attribuibile all’agente, anche in presenza di un evento non voluto da quest’ultimo, neppure in modo indiretto, per cui il fatto deve essere ascrivibile all’agente per negligenza o imprudenza o imperizia, oppure per inosservanza di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Nella prima ipotesi, sussiste una colpa generica e, nella seconda, si registra una colpa specifica; segnatamente, si ha “imprudenza” quando si viola una regola cautelare di non tenere una certa condotta o di tenerla con modalità diverse, “negligenza” quando si viola una regola di condotta che richiede un’attività positiva, e “imperizia” in relazione ad attività che chiedono cognizioni tecniche, per cui si tratta di una forma di imprudenza o negligenza qualificate; nella nozione di “leggi” rientrano sia le fonti normative ordinarie in senso stretto, sia gli atti ed i provvedimenti governativi a questa formalmente equiparati, i “regolamenti” sono gli atti amministrativi di carattere normativo, gli “ordini” sono prescrizioni più specifiche, in quanto rivolte a determinati destinatari o ad una ristretta cerchia di soggetti, e la categoria delle “discipline” fa riferimento a quelle norme emanate da soggetti muniti di poteri autoritativi, sia pubblici che privati, dirette a regolamentare l’esercizio di un’attività in un contesto specifico. L’imputazione a titolo di colpa è riconducibile, quindi, all’inosservanza di regole cautelari che, se rispettate, avrebbero evitato l’evento dannoso; tali precetti hanno valenza generale e, pertanto,
efficacia diffusa, in quanto si rivolgono indistintamente a tutti i soggetti che svolgono una determinata attività pericolosa, della quale si vogliono prevenire potenziali eventi lesivi. Tuttavia, affinché sussista una responsabilità per colpa, è necessario non solo l’oggettiva inosservanza delle regole cautelari (misura oggettiva della colpa), ma anche che la stessa sia attribuibile, dal punto di vista psicologico, all’agente, sotto forma di un’omissione dell’esercizio dei poteri di controllo sul decorso causale del fatto (misura soggettiva della colpa). Un’ulteriore distinzione va disposta riguardo all’attribuibilità della colpa generica o specifica.
Nel primo caso (colpa generica), il fondamento risiede nella prevedibilità e nell’evitabilità dell’evento; la “prevedibilità” si sostanzia nella possibilità per l’agente di rappresentarsi l’evento dannoso, come conseguenza certa di un’azione o di un’omissione, mentre la “evitabilità” consiste nella possibilità di scongiurare l’evento il cui verificarsi è stato previsto; se il fatto-reato era imprevedibile o inevitabile, nessuna colpa è ravvisabile nei confronti dell’agente (v., ex multis, Cass. pen., 25 febbraio 2009, n. 21513).
Nel secondo caso (colpa specifica), si ritiene sufficiente la violazione di una delle regole poste dall’autorità, la cui inosservanza costituisce, di per sé, imprudenza, essendo poste per impedire eventi per i quali il relativo giudizio di prevedibilità ed evitabilità è già stato valutato dal legislatore; comunque, la colpa non si estende a tutti gli eventi che ne siano derivati, ma solo a quelli che la norma voleva prevenire, anche se il rispetto delle suddette regole potrebbe non essere sufficiente ad escludere la responsabilità, in quanto l’osservanza della norma scritta può non esaurire i doveri di diligenza e di prudenza del soggetto. Nello specifico, può essere incolpato del reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p., “chiunque cagiona per colpa la morte di una persona”: in tal caso, è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni, e, qualora il fatto sia commesso con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la pena è della reclusione da 2 a 7 anni. Il bene giuridico tutelato dalla norma de qua è l’incolumità individuale che, nel rispetto dei principi costituzionali, non è di esclusiva pertinenza del singolo, ma appartiene alla collettività intera, quale espressione di un rilevante interesse statale, che si traduce nell’assoluta indisponibilità della vita umana, quale base essenziale della convivenza civile. L’elemento soggettivo del reato è la colpa: essa sussiste se, “valutata la condotta in concreto con riferimento alla posizione di garanzia assunta dall’agente, risulta che questi si sia rappresentato come conseguenza certa, o anche solo probabile, della sua azione od omissione proprio l’evento in concreto verificatasi, pur prescindendo dalle concrete modalità di verificazione” (così Cass. pen., 5 dicembre 2008, n. 4675). Commette, poi, il reato di lesioni colpose ai sensi dell’art. 590 c.p., “chiunque cagiona ad altri per colpa una lesione personale”: la pena contemplata è la reclusione fino a 3 mesi o con la multa fino a euro 309,00, con progressivi aggravamenti a secondo del tipo di lesione, mentre, se tali fatti sono commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, la pena è ulteriormente aumentata; giova ricordare, in proposito, che le lesioni personali, in relazione alla prognosi, si distinguono in lievissime (malattia o incapacità di svolgere attività della vita quotidiana per un tempo non superiore ai 20 giorni), lievi (tra 21 e 40 giorni), gravi (superiori ai 40 giorni) e gravissime (se portano a una malattia insanabile). Peraltro, la nozione di malattia giuridicamente rilevante non comprende tutte le alterazioni di natura anatomica, che possono in realtà anche mancare, bensì solo quelle alterazioni da cui deriva una limitazione funzionale o un significativo processo patologico oppure “una compromissione delle funzioni dell’organismo, anche non definitiva, ma comunque significativa” (così Cass. pen., 11 giugno 2009, n. 40428). 
Rilevante in questa sede è, altresì, il reato di “rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro”, previsto dall’art. 437 c.p.:

  1. Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da 6 mesi a 5 anni.
  2. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da 3 a 10 dieci anni”. Tale delitto è, nell’ipotesi del comma 1, un reato di pericolo presunto, avente ad oggetto specifico il bene giuridico dell’incolumità pubblica, che può essere esposto a pericolo dalla mancata collocazione di impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro oppure dalla rimozione o dal danneggiamento di essi.
L’omissione riveste carattere delittuoso quando è riconducibile in capo a chi ha l’obbligo giuridico di collocare gli impianti, apparecchi o segnali (o da parte di chi avrebbe dovuti collocarli per incarico della persona giuridicamente obbligata) e quando si rinvengano la volontà cosciente e libera nonché l’intenzione di violare il proprio obbligo giuridicamente imposto, essendo al riguardo sufficiente la semplice consapevolezza (dolo) dell’omissione e la rappresentazione del pericolo per la sicurezza dell’ambiente, mentre non è richiesta l’intenzione di arrecare danno alle persone.
La norma tutela la pubblica incolumità con specifico riferimento all’ambiente di lavoro e, in particolare, la sicurezza sul lavoro di una comunità ristretta di lavoratori o di singoli lavoratori, in quanto incrimina espressamente la rimozione o l’omissione dolosa di cautele destinate a prevenire infortuni sul lavoro, le quali riguardano, di solito, singoli soggetti e non indistinte collettività di persone, ossia unicamente le persone inserite nell’ambiente di lavoro, con conseguente esclusione degli estranei.
La condotta può essere omissiva o commissiva, e si integra omettendo di collocare o rimuovere (o danneggiare) le apparecchiature prese in considerazione. Il soggetto attivo del reato, nella fattispecie commissiva, può essere chiunque mentre, in quella omissiva, deve essere individuato nell’àmbito dei soggetti, garanti dell’incolumità dei lavoratori, previsti dalla legislazione antinfortunistica; la realizzazione in forma omissiva, pertanto, presume la violazione dell’obbligo giuridico di collocare gli strumenti imposti dalla normativa prevenzionistica, nonché “il mancato, consapevole, ripristino di
apparecchiature antinfortunistiche che, a causa di precedente manomissione, abbiano perduto la loro efficacia di prevenzione degli infortuni sul lavoro” (così Cass. pen., 11 giugno 2009, n. 28850).
L’elemento soggettivo è il dolo, consistente nella consapevolezza dell’esistenza di una situazione di pericolo discendente dal funzionamento di un’apparecchiatura, segnale o impianto destinato a prevenire l’infortunio e privo della cautela imposta, e nella volontà di accettare il rischio di quest’ultimo, consentendo il funzionamento senza la cautela stessa.
Integra, poi, il reato di “omissione colposa di cautele o difese contro disastri o infortuni sul lavoro”, ai sensi dell’art. 451 c.p.: “Chiunque, per colpa, omette di collocare, ovvero rimuove o rende inservibili apparecchi o altri mezzi destinati all’estinzione di un incendio, o al salvataggio o al soccorso contro disastri o infortuni sul lavoro, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da euro 103 a euro 516”.
Il summenzionato delitto è strettamente collegato al reato precedente, ed è ravvisabile quando le omissioni, rimozioni o inservibilità attengono a mezzi di soccorso utili per infortuni già verificatesi; l’elemento differenziale consiste nel fatto che, mentre con il delitto di cui all’art. 437 c.p. il legislatore ha inteso prevenire disastri o infortuni sul lavoro, con quello ex art. 451 c.p. si è posto il fine di limitare le ulteriori conseguenze.
Trattasi di un reato di pericolo, configurabile indipendentemente dal verificarsi degli eventi previsti dalla norma (v. Cass. pen., 10 giugno 2011, n. 33294), e riferibile ad un numero indeterminato di persone; l’indeterminatezza, però, non sta a significare che occorre la presenza di una collettività di lavoratori, tale da rendere possibile una diffusa estensione del pericolo, ma che devono essere salvaguardati dal pericolo di infortuni i lavoratori momentaneamente e casualmente in servizio, i quali sono per definizione indeterminati. La condotta punibile consiste esclusivamente nell’omessa collocazione o nella rimozione, oppure nella resa inidoneità allo scopo degli apparecchi e degli altri mezzi predisposti all’estinzione dell’incendio nonché al salvataggio o al soccorso delle persone, mentre l’elemento soggettivo del reato è la colpa.
Resta inteso che tutte le citate norme potrebbero essere contestate in concorso tra loro quando, ad esempio, a seguito dell’inosservanza delle norme sugli infortuni sul lavoro, si verifichino il delitto di omicidio colposo e quello di cui all’art. 437, comma 2 c.p. (rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro); infatti, le condotte, le rispettive oggettività giuridiche (la pubblica incolumità e la vita umana) e l’elemento soggettivo (colpa e dolo) sono diverse; più specificatamente,
si è in presenza di elementi strutturali diversi sotto l’aspetto sia obiettivo sia soggettivo che non danno luogo a conflitti di norme e, quindi, possono concorrere tra loro.
In proposito, con particolare riguardo all’obbligo di informazione, rispetto al sistema precedente, la novità del d.lgs. n. 81/2008 è che l’art. 55, comma 4, punisce con l’arresto da 2 a 4 mesi o con l’ammenda da euro 800,00 a euro 3.000,00 il datore di lavoro (e, quindi, anche l’amministratore del condominio) che ometta di fornire al lavoratore le suddette informazioni, per cui nulla esclude che sia configurabile il concorso tra le contravvenzioni previste dal d.lgs. n. 81/2008 ed il reato di rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro di cui al summenzionato art. 437 c.p. Deve evidenziarsi, sul punto, che l’art. 301 del d.lgs. n. 81/2008 mantiene il sistema previsto dal d.lgs. n.758/1994, per cui l’organo di vigilanza emette nei confronti del datore di lavoro, che abbia violato la normativa di sicurezza, un verbale che impone la prescrizione da compiersi, di solito, entro 60 giorni: se il soggetto ingiunto adempie alla prescrizione nei termini previsti è ammesso a pagare, in un termine stabilito a pena di decadenza dal beneficio, l’ammenda nella misura di un quarto del massimo previsto e, se paga tale sanzione, la contravvenzione è estinta.
E’ da segnalare, infine, che l’art. 299 del d.lgs. n. 81/2008 ha equiparato “l’esercizio di fatto” dei connessi poteri giuridici alle posizioni di garanzia normativamente previste (datore di lavoro, dirigente, preposto, ecc.); anche in tale ipotesi - che richiama quella fantomatica figura della “persona che svolge funzioni analoghe a quelle dell’amministratore”, contemplata nel novellato art. 1129, comma 6, c.c. - si dovrà verificare che il soggetto titolare della posizione di garanzia “di fatto” abbia poteri giuridici impeditivi perché, diversamente, potrà ravvisarsi un mero obbligo di attivarsi o un obbligo di sorveglianza, entrambi irrilevanti per aversi una responsabilità ex art. 40, comma 2, c.p.


di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore presso la Corte di Cassazione

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