La sentenza C .Cass. n. 7960/2015
Occorre notare che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli
incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia
Il condominio vive di contratti di appalto i quali, con lo sviluppo scientifico, hanno un contenuto esecutivo e tecnologico sempre più complesso e coinvolgono varie figure professionali, diverse dall’amministratore, per le quali concorrono diverse responsabilità giuridiche.
- Premessa generale sulla normativa di sicurezza nel contratto di appalto.
L’applicazione dei principi di sicurezza sul lavoro e sui luoghi di vita è assai attuale negli edifici che contengono impianti tecnologici i quali hanno la finalità di renderli più funzionali alle esigenze quotidiane di vita : appare evidente che la sempre maggiore complessità tecnologica delle strumentazioni di servizio degli immobili , qualunque sia il servizio a cui siano adibiti, se da un lato ne aumentano il valore economico, dall’altro espongono l’incolumità degli abitanti a rischi significativi. Occorre notare che la necessità della tutela dei lavoratori dipendenti e autonomi i quali eseguano gli appalti con contenuto tecnologico è stata ribadita dalla direttiva 92/57/CEE del Consiglio europeo del 24/6/1992, riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei e mobili e recepita nel diritto nazionale con il D.lgs. 14/8/1996 n. 494, dove si afferma che: “ il rispetto delle prescrizioni minime atte a garantire un migliore livello di sicurezza e di salute nei cantieri temporanei o mobili costituisce un imperativo al fine di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori”. Occorre aggiungere che inoltre la direttiva afferma:
- “ i cantieri temporanei o mobili costituiscono un settore di attività che espone i lavoratori a rischi particolarmente elevati”;
- “ le scelte architettoniche e/o organizzative non adeguate o una carente pianificazione dei lavori all’atto della progettazione dell’opera hanno influito su più della metà degli infortuni del lavoro nei cantieri nella Comunità”.Ne consegue che tutti gli operatori del settore (amministratori di condominio, progettisti, installatori, direttori e responsabili dei lavori , architetti, geometri, periti industriali, committenti, manutentori) sono tenuti a conoscere ed applicare una congerie di norme in continua evoluzione quali:
- le norme tecnologiche relative alla sicurezza degli impianti elettrici e a gas (legge 5/3/1990 n. 46, legge 6/12/1971 n. 1083, D.P.R. 22/10/2001 n. 462 a legge 5/3/1990 n. 46) e le norme tecnologiche CEI, UNI , UNI - EN;
- le nuove norme edilizie e sulla sicurezza degli impianti contenute nel testo unico sull’edilizia (il D.P.R. 6/6/2001 n. 380);
- le norme inerenti alla sicurezza, previste anche nelle deliberazioni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, e finalizzate alla tutela della pubblica incolumità nell’utilizzo degli apparecchi alimentati a gas all’interno dei luoghi di vita e di lavoro.
Tali norme di sicurezza sono spesso ignote alla platea di soggetti interessati i quali sono spesso ritenuti responsabili , civilmente e penalmente di luttuosi incidenti sul lavoro ed in ambienti di vita e quindi è necessario accertare e descrivere i vincoli che inevitabilmente la nuova normativa, la quale indubbiamente privilegia la sicurezza degli utenti rispetto ai criteri di economia d’impresa, appone alla libertà di mercato ed all’organizzazione imprenditoriale.
- I principi di diritto civile della sicurezza sul lavoro.
Il fondamento della disciplina della sicurezza sul lavoro è tuttora dettato dall’articolo 2087 del codice civile il quale obbliga l’imprenditore “ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Detta norma trova il suo fondamento nel potere gerarchico dell’imprenditore sui propri dipendenti, contemplato dall’articolo 2086 del codice civile, ed è una norma di chiusura del sistema antinfortunistico estensibile a situazioni non ancora espressamente considerate e quindi l’imprenditore deve adottare e mantenere non soltanto misure di tipo igienico – sanitario ed antinfortunistico, ma anche misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione della propria integrità fisiopsichica nell’ambiente o in costanza di lavoro in relazione ad attività non collegate al medesimo. In tali attività devono essere ricompresse anche le aggressioni conseguenti all’attività criminoso di terzi in quanto tali eventi non sono coperti dalla tutela antinfortunistica prevista dal D.P.R. 30/6/1965 n. 1124 e l’interpretazione estensiva dell’articolo 2087 del codice civile è giustificata sia del rilievo costituzionale del diritto alla salute (art. 32 Cost.), sia dei principi di correttezza e di buona fede (articoli 1175 e 1375 del codice civile) ai quali deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro.
L’articolo 2087 del codice civile è interpretato favorevolmente nei confronti del lavoratore specie quando questi sia di giovane età ed inesperto e sia addetto a lavorazioni di particolare pericolosità nel
corso dell’effettuazione delle quali abbia compiuto condotte volontarie e contrarie alla normale prudenza: anche in tali casi sussiste per il datore di lavoro il dovere di un adeguato ed intenso controllo giustificato dalla sua condizione di inesperienza.
Inoltre il carattere contrattuale dell’illecito e l’operatività della presunzione di colpa stabilita dall’articolo 1218 del codice civile non escludono che la responsabilità dell’imprenditore (ex. art. 2087 del codice civile) in tanto possa essere affermata in quanto sussista una lesione del bene tutelato che derivi casualmente dalla violazione di determinati obblighi di comportamento, imposti dalla legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche. Ne consegue che la verificazione del sinistro non è di per sé sufficiente per far scattare a carico dell’imprenditore l’onere probatorio di avere adottato una sorta di misura idonea ad evitare l’evento, atteso che la prova liberatoria a suo carico presuppone sempre la dimostrazione, da parte dell’attore, che vi è stato omissione nel predisporre le misure di sicurezza (suggerite dalla particolarità del lavoro, dall’esperienza e dalla tecnica) necessarie ad evitare il danno e non può essere estesa ad ogni ipotetica misura di prevenzione a pena di fare scadere a una responsabilità per colpa in una responsabilità oggettiva. Invero la prova liberatoria da parte dell’imprenditore presuppone, da parte del lavoratore, sia del danno subito che del rapporto di causalità fra la mancata adozione di determinate misure di sicurezza (specifiche o generiche) e il danno predetto. Gli obblighi dell’imprenditore in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro non si esauriscono nell’apprestamento delle attrezzature necessarie a detto scopo, ma si estendono alla costante vigilanza volta a prevenire e, in ogni caso, a far tempestivamente cessare eventuali manomissioni da parte dei dipendenti e quindi è sufficiente l’accertata violazione di una norma antinfortunistica a configurare la colpa del datore di lavoro. Inoltre la responsabilità datoriale per l’infortunio occorso ad un proprio dipendente addetto ad una macchina pericolosa non si arresta alla comune protezione del soggetto e non è esclusa per l ‘avvenuta osservanza delle specifiche prescrizioni contenute nella normativa antinfortunistica, allorquando l’infortunio stesso sia derivato non già dal verificarsi del pericolo previsto dalla normativa medesima e contro il quale erano dirette le prescrizioni tecniche in essa contenute, ma si sia verificato per effetto dell’intrinseca pericolosità della macchina operatrice , richiedente la predisposizione di adeguata protezione o l’applicazione di più specifiche e idonee misure di sicurezza.
Il datore di lavoro deve ispirare la sua condotta alle acquisizioni della migliore scienza ed esperienza per fare in modo che il lavoratore sia posto nelle condizioni di operare con assoluta sicurezza. Pertanto non è sufficiente che una macchina sia munita degli accorgimenti previsti dalla legge in un certo momento storico se il processo tecnologico cresce in modo tale da suggerire ulteriori e più sofisticati presidi per rendere la stessa più sicura.
L’articolo 2087 del codice civile infatti, nell’affermare che l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa misure che , secondo le particolarità del lavoro , l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale del lavoratore, stimola obbligatoriamente il datore di lavoro ad aprirsi alle nuove acquisizioni tecnologiche. La circostanza che in occasione di visite ispettive non siano stati messi rilievi in ordine alla sicurezza della macchina non può essere invocata per escludere la responsabilità del datore di lavoro, atteso che la punibilità dei reati colposi non è esclusa da un qualsiasi errore sul fatto che costituisce reato, ma (per i reati colposi) solo dall’errore non determinato da colpa ai sensi dell’articolo 47 del codice penale.
Per quanto riguarda la realizzazione di opere su ponteggio o in cantiere qualora vengano eseguite operazioni di montaggio di smontaggio delle impalcature trovano applicazione:
- la norma generale dell’art. 10 del D.P.R. n. 164/1956 che , in riferimento a qualsiasi opera che esponga i lavoratori a rischi di caduta dall’alto impone l’utilizzazione della cintura di sicurezza debitamente agganciata qualora non sia possibile disporre di impalcati di protezione o parapetti
- l’articolo 2087 del codice civile che impone l’adozione delle opportune misure antinfortunistiche in caso di situazioni non direttamente contemplate dalla normativa antinfortunistica, ogni volta in cui non sia accertata l’impossibilità di caduta degli operai da qualunque punto del piano di lavoro per effetto di specifici apprestamenti (collocazione a seconda dei casi di tavole sopra le orditure e di sottopalchi) previsti dall’articolo 70 del predetto D.P.R. n. 164/1956 per i lavori da eseguirsi sui su lucernai, tetti, coperture e simili;
- l’articolo 17 del D.P.R. n. 164/1956 che impone all’imprenditore o alla persona dal medesimo nominata di provvedere alla diretta sorveglianza dei lavori di montaggio e smontaggio delle opere provvisionali e quindi di impedire , quale destinatario delle norme antinfortunistiche , che i lavoratori operino prima che siano state predisposti adeguati sistemi per garantire la loro sicurezza.
Inoltre l’art. 1 del D.P.R. 27/4/1955 n. 547, richiamato dal capo primo del D.P.R. 7/1/1956 n.164, allorquando parla di lavoratori subordinati e di soggetti ad essi equiparati non intende individuare in costoro i beneficiari della normativa antinfortunistica, ma ha solo la finalità di definire l’ambito di applicazione di detta normativa, ossia di stabilire in via generale , quali siano le attività assoggettate all’osservanza di essa: ne consegue che, ove un infortunio si sia verificato per inosservanza degli obblighi di sicurezza normativamente imposti, tale inosservanza dovrà fare carico, a titolo di colpa specifica ex art. 43 del codice penale su chi (appaltatore o direttore dei lavori) detti obblighi avrebbe dovuto rispettare, a nulla rilevando che ad infortunarsi sia stato un lavoratore dipendente, un soggetto ad esso equiparato od una persona estranea all’ambito imprenditoriale, purchè sia ravvisabile il nesso causale tra l’infortunio e l’accertata violazione.
D’altra parte in mancanza di un responsabile della sicurezza il direttore dell’impresa è il destinatario degli obblighi di sicurezza previsti dall’articolo 3 del D.lgs. n. 626/1994 secondo la previsione dell’articolo 2 dello stesso decreto e quindi può essere ritenuto responsabile, a prescindere dall’essere al contempo responsabile legale della società, in caso di un infortunio subito da uno degli operai sul luogo di lavoro , per avere omesso di predisporre sulla macchina specifici mezzi di protezione atti ad impedire anche involontari contatti con gli organi in movimento.
Occorre notare che l’articolo 2050 del codice civile impone a chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa , per sua natura o per la natura dell’attività dei mezzi adoperati, deve risarcire il danno se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitarlo. A tal proposito la giurisprudenza ha allargato notevolmente il concetto di attività pericolosa nella quale rientrano non soltanto le attività che sono qualificate pericolose dalle leggi di pubblica sicurezza o dalle leggi speciali, ma anche le diverse attività che comportino la rilevante probabilità del verificarsi
del danno, per la loro stessa natura e per le caratteristiche dei mezzi usati , non solo nel caso di danno che sia conseguenza di un’azione, ma anche nell’ipotesi di danno derivato da omissione di cautele che in concreto sia stato necessario adottare in relazione alla natura dell’attività esercitata alla stregua delle norme di comune diligenza e prudenza: pertanto costituisce attività pericolosa quella edilizia, specialmente quando comporti rilevanti opere di trasformazione o di rivolgimento o di spostamento di masse terrose e scavi profondi ed interessanti vaste aree. In relazione a quanto disposto dall’articolo 19 del D.P.R. 27/4/1955 n. 547, contenente norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, che, in caso di uso di scale, prescrive che le stesse devono essere adeguatamente assicurate o trattenute la piede da latra persona” quando il loro uso comporti il pericolo di sbandamento per la loro altezza o per altra causa, si sottrae al sindacato di legittimità la decisione del giudice di merito che con motivazione logica ed adeguata abbia ritenuto che l’evento si sia cagionato per cause imprevedibili, non imputabili a responsabilità del datore di lavoro, e non per carenza di dotazione di mezzi di sicurezza.
- La certificazione di qualità e la sicurezza.
Nei tempi più recenti si è affermato che la certificazione di qualità di sicurezza aziendale possa supplire o integrare la normativa di sicurezza: sul punto la giurisprudenza di legittimità non si è ancora pronunciata, ma comunque in detta materia esistono due sentenze della giurisprudenza di merito. Nella prima (Tribunale di Mondovì , giudice monocratico Dott. Mauro Anetrini , n. 257/2001, n. 2/99 RGP, RGNR 2181/97, emessa il 24/4/2001 e depositata il 23/7/2001, commentata da Giulio Benedetti in Condominio e Sicurezza, Santarcangelo di Romagna, marzo 2004, pagine 184 –186) il giudice enuncia il principio secondo il quale la previsione della realizzazione di procedure produttive in occasione della richiesta di certificazione è un primo significativo passo verso il conseguimento di una quota di sicurezza adeguata. La sentenza è sicuramente innovativa poiché per la prima volta viene esaminata la rilevanza della procedura di certificazione di qualità aziendale, anche se nella stessa si afferma , sia pure riduttivamente, che il suo contenuto è essenzialmente economico. Vale a dire che l’avvenuta ottemperanza da parte della società alle procedure della certificazione aziendale è “condizione necessaria , anche se non sufficiente, a dimostrare che qualche cosa si è fatto e che il corretto procedimento produttivo non può non passare attraverso adeguate misure di sicurezza che ne garantiscano un efficace e proficuo svolgimento”. Inoltre l’enunciazione del principio per cui la certificazione è condizione necessaria, ma non sufficiente, a garantire la sicurezza sul lavoro, trovai il suo fondamento nella constatazione che non può essere a priori esclusa la certificazione corretta di un’impresa la quale, tuttavia, non sia in regola con la normativa di sicurezza. Invero i giudice a tal riguardo commenta : “ a ben vedere, se così fosse, la certificazione sarebbe stata concessa sulla scorta di valutazioni errate, perché avrebbe avallato un processo produttivo rischioso per gli addetti e, dunque, contrario ai precetti di legge.”Conseguentemente la sentenza conclude rilevando che attualmente la certificazione di qualità persegue scopi che non intersecano la strada della sicurezza: “altrettanto vero, però, è che non c’è qualità senza sicurezza.”
Nella seconda (Sentenza del Tribunale di Monza, Sez. IV Civile,Sent. N. 431/2004 del 3/2/2004, Giudice Unico Dott. Piero Calabrò) viene enunciato il principio che l’attività di ispezione e la certificazione di qualità non costituiscono obbligazioni di risultato e che la causa del contratto è quella di ottenere, dal soggetto che svolge un’attività di ispezione e di certificazione in assoluta indipendenza e con caratteristiche di terzietà , una prestazione
utilizzabile ai fini di una migliore presentazione sul mercato della attività o del prodotto del richiedente .Inoltre il giudice afferma che lo scopo della certificazione di qualità è garantire o quantomeno facilitare l’affidamento dei terzi sull’attività del produttore e sui prodotti certificati e quindi il contratto sottoscritto tra le parti rientra nei negozi atipici previsti dall’articolo 1322 del codice civile, in quanto meritevole di tutela e non contrastante con la legge, l’ordine pubblico ed il buon costume, e quindi lo schema negoziale intercorso tra le parti non rientra nella disciplina codicistica prevista in materia di appalto di servizi. Il predetto contratto innominato invero non può portare sempre ad un risultato prestabilito , poiché non è comunque predeterminanabile la prestazione pattuita (ovvero la certificazione) quale ineludibile corrispettivo del pagamento della prestazione in quanto non è può essere esclusa a priori l’ipotesi del diniego della certificazione all’esito degli accertamenti autonomamente compiuti dal certificatore. Sempre in tema di certificazione di qualità occorre distinguere le tre fondamentali documentazioni che possono accompagnare i prodotti tecnologici:
- la dichiarazione di conformità del prodotto: consiste nella dichiarazione di un venditore o di un fornitore, redatta sotto la sua personale responsabilità, che un prodotto , un processo o un servizio sono conformi ad una specifica norma o ad una altro documento normativo e per la sua redazione non è previsto l’intervento di lacuna parte terza (Ente di certificazione o Laboratorio di prova);
- l’attestato di conformità del prodotto : è l’atto con il quale una terza parte indipendente attesta che un determinato campione, previamente sottoposto a prova, è conforme ad una specifica norma o ad un altro documento normativo; in particolare l’attestato di conformità ha maggiore valore se il laboratorio che lo rilascia ha ottenuto l’accreditamento SINAL per il tipo di prova per il quale viene rilasciato l’attestato;
- la certificazione di conformità: è l’atto con il quale una terza parte indipendente (Ente certificatore) dichiara che, con ragionevole attendibilità, un determinato prodotto , processo o servizio è conforme ad una specifica norma o ad una latro documento normativo; il certificato viene emesso su tutta la produzione di quel determinato prodotto e, inoltre, l’Ente certificatore opera il controllo sul prodotto anche mediante ispezioni esterne condotte sul mercato.
- Le norme di sicurezza penalmente sanzionate.
Occorre notare che le norme dettate in tema di prevenzione degli infortuni sul lavoro, tese ad impedire l’insorgenza di situazioni pericolose, sono dirette a tutelare il lavoratore non solo dagli incidenti derivanti dalla sua disattenzione, ma anche da quelli ascrivibili ad imperizia, negligenza ed imprudenza del medesimo. In particolare la sentenza afferma che l’imprenditore è esonerato da responsabilità solo quando il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell’abnormità, in opinabilità e esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive ricevute , come pure dell’atipicità ed eccezionalità, così da porsi come causa esclusiva dell’evento . Invero il datore di lavoro in caso di violazione delle norme poste a tutela dell’integrità fisica del lavoratore è interamente responsabile dell’infortunio che ne sia conseguito e non può invocare il concorso di colpa del danneggiato, avendo egli il dovere di proteggere l’incolumità di quest’ultimo nonostante la sua imprudenza o negligenza: ne consegue che , in tutte le ipotesi in cui la condotta del lavoratore dipendente finisca per configurarsi nell’eziologia dell’evento dannoso come mera modalità dell’iter produttivo del danno, tale condotta, proprio perché imposta in ragione della situazione di subordinazione in cui il lavoratore versa, va addebitata al datore di lavoro, il cui comportamento, concretizzatesi invece nella violazione di specifiche norme antinfortunistiche (o di regole di comune prudenza) e nell’ordine di eseguire incombenze lavorative pericolose, funge da unico efficiente fattore causale dell’evento dannoso. A tal riguardo osservasi che il comportamento del lavoratore può definirsi abnorme e pertanto imprevedibile quando si risolve in un atto assolutamente incompatibile con la natura e gli scopi della macchina come , ad esempio , nel caso in cui si serva della macchina per gioco. Rientra invece nella natura delle cose, ed è pertanto prevedibile, che un pulsante collocato vicino ad un altro possa essere pigiato per errore o per distrazione durante la lavorazione. In tal caso il datore di lavoro è tenuto a munire la macchina di idonei dispositivi di protezione o segregazione, o, nel caso ciò non sia possibile, a modificarla non essendo concepibile che una macchina sia riconosciuta pericolosa e che la si lasci lavorare confidando che non si verifichino incidenti.
Invero in forza della disposizione generale dell’articolo 2087 del codice civile e delle norme di sicurezza sul lavoro il datore di lavoro è costituito garante dell’incolumità fisica e della personalità morale dei prestatori di lavoro, con l’ovvia conseguenza che, ove egli non ottemperi agli obblighi di tutela, l’evento lesivo correttamente gli viene imputato in forza del meccanismo reattivo previsto dall’articolo 40, secondo comma , del codice penale. Ne consegue che il datore di lavoro , seppure in
una situazione di illegittimità (nel caso giudicato derivante dalla sua posizione di subappaltante di pura mano d’opera), ha il dovere di accertarsi che l’ambiente di lavoro (ovvero il cantiere edile apprestato dall’imprenditore appaltante) abbia i requisiti di affidabilità e di legalità quanto ai presidi antinfortunistici, idonei a realizzare la tutela del lavoratore, e di vigilare costantemente affinché le condizioni di sicurezza diano mantenute per tutto il tempo in cui è prestata l’opera. Aggiungasi che la giurisprudenza è particolarmente rigorosa poiché l’obbligo di attuare le misure di sicurezza prescritte e di riporre ed esigere che siano rispettate si assume automaticamente in relazione all’acquisto delle mansioni esercitate e della posizione di preminenza rispetto ai lavoratori sin dall’inizio dell’impiego di macchinari ed impianti senza che rilevi la legittima assenza per ferie dell’obbligato. Al fine di istituire una posizione di garanzia individuale nella qualità di preposto non è sufficiente che il lavoratore abbia una qualifica superiore a quella degli altri dipendenti , ma è necessario che gli siano attributi, anche di fatto, poteri di sovraordinazione sugli altri dipendenti operanti in undeterminato settore. Ne consegue che, laddove al dipendente sia attribuito esclusivamente il compito di trasmettere gli ordini formulati da altri preposti o da un dirigente o dal datore di lavoro, non può egli divenire titolare della posizione di garante della salute e della sicurezza degli altri dipendenti. Invero risponde della violazione delle norme antinfortunistiche non solo colui che non le osservi o non le faccia osservare essendovi istituzionalmente tenuto, ma anche chi, pur non avendo nell’impresa una veste istituzionale formalmente riconosciuta, si comporti di fatto come se l’avesse e impartisca ordini dell’esecuzione dei quali il lavoratore subisca danni per il mancato rispetto della normativa a presidio della sua sicurezza. L’esistenza sul cantiere di un preposto, salvo che non vi sia la prova rigorosa di una delega espressamente e formalmente conferitagli, con pienezza di poteri ed autonomia decisionale e di una sua particolare competenza, non comporta in capo allo stesso degli obblighi e delle responsabilità incombenti sul datore di lavoro, essendo a suo carico (peraltro, neppure in maniera esclusiva quando l’impresa sia di dimensioni molto modesta) soltanto il dovere di vigilare affinchè i lavoratori osservino le misure e usino i dispositivi di sicurezza e gli altri mezzi di protezione, comportandosi in modo da non creare pericolo per sé e gli altri . D’altra parte chiunque, in qualsiasi modo, abbia assunto posizione di preminenza rispetto ad altri lavoratori, così da poter loro impartire ordini, istruzioni o direttive sul lavoro da eseguire, deve essere considerato automaticamente tenuto, ai sensi dell’articolo 4 del D.P.R. n. 547/1955, ad attuare le prescritte misure
di sicurezza e a disporre e ad esigere che esse siano rispettate, a nulla rilevando che vi siano altri soggetti contemporaneamente gravati dallo stesso obbligo per un diverso e autonomo titolo.
Il preposto è inoltre responsabile degli obblighi di vigilare sull’attuazione delle misure di sicurezza e di verificare la conformità dei macchinari alle prescrizioni di legge e di impedire l’utilizzazione di quelli che per qualsiasi causa (ovvero inidoneità originaria o sopravvenuta), siano pericolosi per l’incolumità del lavoratore che li manovra. Infatti il D.lgs. n. 626/1994 se da un lato prevede anche un obbligo di diligenza del lavoratore, configurando addirittura una previsione sanzionatoria a suo carico, non esime il datore di lavoro e le altre figure ivi istituzionalizzate, ed, in mancanza, il soggetto preposto alla responsabilità ed al controllo della fase lavorativa specifica, del debito di sicurezza nei confronti dei subordinati. Questo consiste, oltre che in un dovere generico di formazione e di informazione, anche in forme di controllo idonee a prevenire i rischi della lavorazione che tali soggetti, in quanto più esperti e tecnicamente competenti e capaci, debbono adoperare al fine di prevenire i rischi, ponendo in essere la necessaria diligenza, perizia e prudenza, anche in considerazione della disposizione generale di cui all’articolo 2087 del codice civile, norma di chiusura del sistema, da ritenersi operante nella parte in cui non è espressamente derogata da specifiche norme di prevenzione infortuni.
Il contratto di appalto tecnologico riguarda anche l’uso di macchine nel cantiere e a tal riguardo la contravvenzione prevista dall’articolo 6, comma secondo, del D.lgs. n. 626/1994 vieta la concessione
in uso di macchine , attrezzature di lavoro ed impianti solo se non rispondenti alle disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza e non anche in materia di igiene del lavoro.
Tale affermazione si fonda sulla constatazione che la normativa in materia di sicurezza non comprende, quale genus, sia la species delle normative antinfortunistiche sia quella delle norme in materia di igiene di lavoro. Infatti le categorie della sicurezza e d’igiene del lavoro sono ontologicamente distinte e separate. Peraltro le espressioni “legislazione vigente” prevista dall’articolo 6 del D.lgs. n. 626/1994 ha lasciato il posto ad una diversa e specifica formulazione con l’articolo 4 del D.lgs. n. 242/1996 ovvero “disposizioni legislative e regolamentari vigenti in materia di sicurezza”. Per di più il divieto di vendita di macchine non conformi alle norme antinfortunistiche non può ritenersi limitato soltanto agli industriali o ai commercianti che abitualmente forniscono le macchine, attrezzature o impianti , ma deve sere esteso a qualsiasi soggetto che esegua anche una sola vendita o rivendita. Per quanto riguarda la mancata fornitura ai lavoratori dei mezzi di difesa per la tutela di alcune parti del corpo il reato (contemplato dagli articoli 385 e 389 del D.P.R. n. 547 del 27/4/1955) si realizza con la semplice omissione di tale fornitura al lavoratore dipendente, atteso che la norma incriminatrice non esige anche che ne derivi una situazione di pericolo per l ‘incolumità. Appunto il datore di lavoro è tenuto a garantire la sicurezza del lavoratore sul luogo del lavoro, informandolo e formandolo sui rischi dell’attività svolta e fornendogli tutti i dispositivi necessari per la sua protezione. La prassi secondo cui il lavoratore esperto e pratico non utilizza i dispositivi di protezione individuale perché a suo parere non idonei o addirittura ingombranti, non solleva il datore di lavoro da responsabilità per comportamento omissivo, in quanto non abbia adottato provvedimenti nei confronti del comportamento negligente del lavoratore e non abbia predisposto qualche altro dispositivo di sicurezza più adatto allo scopo. L’obbligo di formare ed informare il dipendente sui rischi connessi all’attività dell’impresa in generale e alle specifiche funzioni di tutti i lavoratori, non può considerarsi assoluto quando il datore di lavoro abbia fatto partecipare i suoi dipendenti ad lacune lezioni di un corso di formazione organizzata da una società terza, delegando quest’ultima a supplire alle proprie carenze organizzative. In ogni caso l’idoneità dei mezzi di protezione individuale, che il datore di lavoro deve mettere a disposizione dei lavoratori, deve sussistere non solo nel momento della consegna degli indumenti stessi, ma anche durante l’intero periodo di esecuzione della prestazione lavorativa. Le norme di sicurezza (articoli 379 del D.P.R. n. 547/1955 e 40 e 43 del D.lgs. n. 626/1994) , finalizzate alla tutela del soggetto quale oggetto di un autonomo diritto primario assoluto (art. 32 della Costituzione) , solo nel suddetto modo conseguono il loro specifico scopo che, nel caso concreto, è di prevenire l’insorgenza e la diffusione di infezioni. Ne consegue che qualora il lavaggio sia indispensabile per mantenere gli indumenti in stato di efficienza esso non può essere a carico del datore di lavoro, quale destinatario dell’obbligo previsto dalle citate disposizioni.
- La redazione ed il contenuto minimo del piano di sicurezza e di coordinamento nei cantieri temporanei o mobili.
La giurisprudenza (C.Cass. Sez. 4, Sent. 988 del 14/1/2003, ud. 11/7/2002 ) ha esaminato il problema
costituito dalla compagine societaria che assuma il carattere di datore di lavoro e afferma che nel caso di imprese gestite da società di capitali gli obblighi concernenti l’igiene e la sicurezza del lavoro gravano su tutti i componenti del consiglio di amministrazione. In particolare la delega di gestione in proposito conferita ad uno o più amministratori, se specifica e comprensiva dei poteri di eliberazione e spesa , può ridurre la portata della posizione di garanzia attribuita agli ulteriori componenti del consiglio, ma non escluderla interamente, poiché non possono comunque essere trasferiti i doveri di controllo sul generale andamento della gestione e di intervento sostitutivo nel caso mancato esercizio della delega. Qualora (C.Cass. , Sez. 4, sent. 10043 del 22/9/1994 , ud. 8/7/1994 , n. Ced. Cassazione
200149) un’impresa edile incaricata dell’esecuzione di opere concernenti uno stabile si rivolga per l’allestimento della necessaria impalcatura ad una ditta che invii sul posto operai i specializzati, gli obblighi imposti dalle norme antinfortunistiche a tutela dei lavoratori incombono anche sul datore di lavoro di detti operai, pur se momentaneamente distaccati presso il cantiere di altra impresa. Ne’ i poteri – doveri del datore di lavoro potrebbero essere validamente trasferiti ad altro imprenditore, in quanto eventuali accordi sarebbero privi di efficacia, appartenendo le norme antinfortunistiche al diritto pubblico ed essendo le stesse inderogabili in forza di atti privati.
Per quanto riguarda direttamente il contratto di appalto tecnologico l’articolo 7 del D.lgs. n. 626/1994 impone al datore di lavoro, in caso di affidamento di lavori all’interno dell’azienda, di verificare l’idoneità tecnico – professionale delle imprese appaltatrici e dei lavoratori autonomi, fornisce a tal i soggetti dettagliate informazioni sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro. Invece i datori di lavoro delle imprese appaltatrici cooperano nell’attuazione delle misure di prevenzione e di protezione dai rischi sul lavoro incidenti sull’attività lavorativa, coordinano gli interventi di protezione e di prevenzione dai rischi informandosi reciprocamente ed il datore di lavoro committente promuove la cooperazione e di coordinamento tra le imprese esecutrici. L’art. 6 del D.lgs. n. 494/1996, applicabile nei cantieri temporanei o mobili, afferma che il committente è esonerato dalle responsabilità connesse all’adempimento degli obblighi limitatamente all’incarico conferito al responsabile dei lavori. In ogni caso la designazione del coordinatore per la progettazione
e del coordinatore per l’esecuzione non esonera il committente o il responsabile dei lavori dalle responsabilità connesse alla verifica dell’adempimento degli obblighi previsti dall’articolo 4, comma
primo (redazione del piano di sicurezza e di coordinamento e predisposizione del fascicolo contenente le informazioni utili ai fini della prevenzione e della protezione dai rischi) e 5, comma primo lettera a (verifica concreta dell’attuazione del piano di sicurezza e di coordinamento e della corretta applicazione delle procedure di lavoro). L’esame di tali disposizioni consente di concludere che il datore di lavoro nell’affidamento del contratto di appalto all’appaltatore a seguito della mera sottoscrizione del contratto non è liberato dalle responsabilità previste a suo carico dagli articoli 3 e 4 del D.lgs. n. 626/1994. Invero quando manchi (C.Cass., Sez. 4, sent. 35823 del 3/10/2001, ud. 17/11/2001, n.Ced. Cassazione 220265) l’appaltatore unico incaricato della realizzazione di tutte le opere edili le quali, invece, siano affidate a molte piccole imprese individuali, di fatto prive dei requisiti minimi per l‘attuazione delle misure di sicurezza del cantiere, sussiste la responsabilità della committenza o di chi la rappresenta , circa l’obbligo di provvedere ad apprestare dette misure antinfortunistiche e di verificare le modalità di esecuzione dei lavori.
Inoltre (C.Cass, Sez. 4, Sent. 31459 del 20/9/2002, ud. 3/7/2002, n. Ced. Cassazione 222341) nel caso
di affidamento in appalto di lavori all’interno di un’azienda la cui esecuzione sia di natura tale da porre in pericolo l’incolumità non solo dei dipendenti dell’appaltatore, ma anche di quelli delle committente, l’art. 7 del D.lgs. n. 626/1994 impone a quest’ultimo non solo di fornire dettagliate informazioni sui rischi specifici ogni qualvolta affidi un determinato lavoro all’appaltatore (a nulla rilevando che abbia fornito quelle informazioni in precedenza), ma anche di cooperare con l’appaltatore nell’apprestamento delle misure di sicurezza a favore di tutti i lavoratori , a qualunque impresa essi appartengano tuttavia la cooperazione non può intendersi come obbligo del committente di intervenire in supplenza dell’appaltatore tutte le volte in cu costui ometta , per qualsiasi ragione, di
adottare misure di prevenzione prescritte non solo a tutela dei suoi lavoratori , risolvendosi in un’inammissibile ingerenza del committente nell’attività propria dell’appaltatore. Ne consegue che l’obbligo di cooperazione imposto al committente è limitato all’attuazione di quelle misure rivolte ad
eliminare i pericoli che , per effetto dell’esecuzione delle opere appaltate, vanno ad incidere sia sui dipendenti dell’appaltante sia su quelli dell’appaltatore, mentre per il resto ciascun datore di lavoro deve provvedere autonomamente alla tutela dei propri prestatori d’opera subordinati , assumendone la relativa responsabilità. Altra sentenza (Sentenza del Pretore di Tolmezzo del 28/8/1998, pubblicata su Responsabilità civile e previdenza, anno 1999, pag. 793) sostiene che sia responsabile del reato di cui all’articolo 590 c.p. e 7 D.lgs. n.626/1994 il soggetto che, senza essere investito di delega volontaria da parte del datore di lavoro, svolga le funzioni di preposto ed abbia assunto in concreto il compito di accompagnare un lavoratore autonomo in un sopralluogo al fine di predisporre un preventivo di spesa. L’informazione verbale ai lavoratori dei rischi specifici esistenti nell’ambiente è un obbligo di sicurezza che, benché posto a carico del datore di lavoro dall’articolo 7 del D.lgs.n. 626/1994 si svolge liberamente a livello meramente esecutivo – attuativo , per cui la sua concreta esecuzione, in relazione alla complessità e grandezza dell’impresa , spetta a coloro che in concreto operino a contatto con i lavoratori autonomi e quindi anche al preposto. Occorre aggiungere che il D.lgs. n. 626/1994 attribuisce un ruolo centrale agli obblighi non delegabili del datore di lavoro tra i quali primeggiano la valutazione dei rischi per la sicurezza e per la salute e la redazione del documento di sicurezza che devono essere completi e non solo formali e astratti, per cui è ravvisabile la specifica inosservanza delle norme prevenzionali nel comportamento del datore di lavoro che volesse adempierli in tal modo.
Infine (Sentenza del Tribunale di Milano del 27/9/2002, pubblicata su D&L, Rivista Critica di Diritto del Lavoro, anno 2002, pagina 1026) costituisce violazione dell’obbligo di informazione sui rischi specifici esistenti nell’ambiente di lavoro non solo non trasmettere le informazioni di cui si è in possesso , ma anche omettere d’informarsi circa l’esistenza, la natura e la collocazione dei rischi specifici relativi all’ambiente di lavoro. L’applicazione dei principi di sicurezza sul lavoro previsti dal D.lgs. n. 626/1994 soprattutto con riferimento alle misure generali di tutela ed alla redazione del documento di valutazione dei rischi è stata assai carente per quanto riguarda le attività compiute all’interno dei cantieri temporanei o mobili specialmente utilizzati nel campo edilizio. Invero l’esperienza insegna che spesso, ad avviso di tanti imprenditori, la precarietà e la velocità di esecuzione delle attività proprie di tali opere non si conciliano con gli adempimenti della sicurezza sul lavoro, vissuti in definitiva come inutili e costosi adempimenti burocratici. In tale materia gli interventi del legislatori si sono succeduti attraverso le seguenti fonti normative:
- l’articolo 31 , comma primo, della legge 11/2/1994 n. 109 delega i governo ad emanare entro sei mesi un regolamento in materia dei piani di sicurezza nei cantieri edili in conformità alle direttive n. 89/391/CEE del Consiglio, del 12/6/1989, n. 92/57/CEE del Consiglio, del 24/6/1992 e alla relativa normativa nazionale di recepimento;
- il D.lgs. 14/8/1996 n. 494 ( attuazione della direttiva 92/57/CEE concernente le prescrizioni minime di sicurezza e salute da attuare nei cantieri temporanei o mobili) il quale prevede (art.12) un piano di sicurezza e di coordinamento nei cantieri temporanei o mobili;
- l’articolo 22 del D.lgs. 19/11/1998 n. 528 il quale demanda ad un regolamento la definizione del contenuto minimo del piano di sicurezza e di coordinamento specificato, infine, dal D.P.R. 3/7/2003 n. 222 (pubblicato su G.U. n. 193 del 21/8/2003). Osservasi che in relazione al D.P.R. n . 222/2003 ed alla direttiva n. 2004/35/CE del Parlamento europeo e del Consiglio (pubblicata su GUCE L 143/56 del 30/4/2004 sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale) attualmente ricorre un aspro dibattito dottrinario relativo alla necessità che la nostra Costituzione contempli espressamente una definizione di ambiente, laddove il richiamo operato dall’articolo 117, comma secondo, lettera s, allacompetenza legislativa statale esclusiva per la “tutela dell’ambiente , dell’ecosistema e dei beni culturali”, appare riduttivo; alla luce di tali contestazioni la definizione di danno ambientale, contenuto nella predetta direttiva, appare foriero, almeno nella legislazione italiana ordinaria di recepimento della direttiva , di una definizione di ambiente a lungo attesa.
Il D.P.R. n. 222/2003 prevede (capo II , Piano di sicurezza e di coordinamento , articolo 2) che il piano di sicurezza e di coordinamento presenti le seguenti caratteristiche salienti:
- sia specifico per ogni singolo cantiere temporaneo o mobile e di concreta fattibilità ed il suo contenuto deve corrispondere alle misure generali di tutela previste dall’articolo 3 del D.lgs n.626/1994;
- contenga l’identificazione e la descrizione dell’opera mediante l’indicazione dei seguenti elementi: l’indirizzo del cantiere, la descrizione del contesto in cui è collocata l’area lavorativa, la descrizione sintetica dell’opera, l’individuazione dei soggetti preposti con compiti di sicurezza, del responsabile dei lavori, del coordinatore per la sicurezza in fase di progettazione e di esecuzione, dei nominativi dei datori di lavoro delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi;
- preveda una relazione che individui, analizzi e valuti i rischi concreti lavorativi riferibili all’area e all’organizzazione del cantiere , alle lavorazioni ed alle loro interferenze;
- contenga le scelte progettuali ed organizzative con riferimento all’area del cantiere ed alla relativa organizzazione, alle lavorazioni, alle prescrizioni operative, alle misure preventive e protettive ed ai dispositivi di protezione;
- contempli le modalità organizzative della cooperazione e del coordinamento e della reciproca informazione fra i datori di lavoro e tra questi ed i lavoratori autonomi;
- includa l’organizzazione per i servizi di pronto soccorso, antincendio e di evacuazione dei lavoratori, la durata prevista delle lavorazioni e la stima dei costi della sicurezza;
- consideri , a cura del coordinatore per la progettazione, laddove sia necessario, il tipo di procedure complementari e di dettaglio connesse alle scelte autonome dell’impresa esecutrice;
- sia corredato da tavole esplicative di progetto relative agli aspetti della sicurezza e che consistono almeno in una planimetria e, quando l’opera lo richieda (si pensi ai cantieri su edifici a più piani o in luoghi siti su altezze diverse) un profilo altimetrico e una breve descrizione delle caratteristiche idrogeologiche del terreno , qualora non vi sia una relazione specifica redatta in precedenza ed alla quale può essere fatto rinvio.
Il piano di sicurezza e di coordinamento dell’area di cantiere , dell’organizzazione del cantiere e delle lavorazioni, perché abbia un contenuto concreto, deve contenere (art.3) le seguenti analisi:
- delle caratteristiche dell’area di cantiere , dell’eventuale presenza di fattori esterni che comportano rischi per il cantiere, degli eventuali rischi che le lavorazioni possono comportare all’area circostante;
- degli elementi previsti nella redazione del piano di sicurezza e di coordinamento previsto dall’articolo 12 del D.lgs. n. 494/1996, nonché delle modalità di accesso dei mezzi di fornitura dei materiali, della dislocazione degli impianti di cantiere e delle zone di carico e di scarico, delle zone di deposito dei materiali con pericolo d’incendio o di esplosione e delle zone di deposito delle attrezzature e di stoccaggio dei materiali e dei rifiuti.
Per redigere il piano con riferimento alle lavorazioni svolte, il coordinatore per la progettazione suddivide le singole lavorazioni in fasi di lavoro e, quando l’opera sia complessa, in sottofasi di lavoro e compie l’analisi dei rischi contemplando, oltre a quelli indicati dall’articolo 12 del D.lgs n.494/1996, anche quelli inerenti ai seguenti rischi specifici: di investimento dei veicoli circolanti nel
cantiere, di ellettrocuzione, del rumore, dell’uso di sostanze chimiche. Tale precisazione è assai importante perché permette al piano di essere operativo con diretto riferimento a quei rischi che statisticamente sono maggiormente ricorrenti nei cantieri temporanei e mobili e causano la maggior parte degli incidenti sul lavoro. La ricerca di concretezza è accentuata dalle previsioni secondo le quali (art. 3, comma quarto lettere a e b) per ogni elemento dell’analisi sopra citata il piano deve contenere le scelte progettuali ed organizzative, le procedure, le misure preventive e protettive per eliminare o ridurre al minimo i rischi di lavoro, e qualora sia necessario la produzione di tavole e di disegni tecnici esplicativi e le relative misure di coordinamento. Inoltre il coordinatore per la progettazione è tenuto (art.4) ad analizzare le interferenze tra le varie lavorazioni compiute nel cantiere e a tal fine predispone il programma cronologico dei lavori in integrazione a quello previsto dall’articolo 42 del D.P.R. 21/12/1999 n. 554 ; l’analisi, qualora permangano rischi di interferenza dei lavori, deve indicare le misure preventive e protettive ed i dispositivi di protezione individuale per ridurre al minimo tali rischi. Affinché il piano non rimanga una puro esercizio teorico ed avulso dalla realtà il coordinatore per la progettazione deve:
- durante il periodo di maggiore rischio causato dalle interferenze di lavoro, verificare periodicamente, previa la consultazione della direzione dei lavori e delle imprese esecutori e dei lavoratori autonomi, la compatibilità del piano con le lavorazioni concretamente eseguite;
- aggiornare il piano e il piano cronologico dei lavori, qualora sia necessario;
- indicare le misure di coordinamento relative all’uso comune delle lavorazioni (compiute mediante apprestamenti, attrezzature, infrastrutture, mezzi e servizi di protezione collettiva) mediante l’analisi del loro uso comune da parte di più imprese e di lavoratori autonomi;
- integrare il piano con l’indicazione dei nominativi delle imprese esecutrici e dei lavoratori autonomi e, previa la consultazione dei predetti soggetti, indica la cronologia di attuazione e le modalità di verifica. Il piano di sicurezza sostitutivo e il piano operativo di sicurezza redatti dall’appaltatore o dal concessionario hanno (Capo III , Piano di sicurezza sostitutivo e piano operativo di sicurezza, art. 5) lo stesso contenuto del piano di sicurezza e di coordinamento sopra indicato (dall’articolo 2 comma secondo) con la sola esclusione dell’indicazione della stima dei costi della sicurezza.
- i dati identificativi dell’impresa esecutrice comprendenti il nominativo del datori di lavoro e i relativi indirizzi e i riferimenti telefonici della sede legale;
- l’indicazione della specifica attività e delle singole lavorazioni nel cantiere dall’impresa esecutrice e dai lavoratori autonomi;
- i nominativi degli addetti al pronto soccorso, ai servizi antincendio e di evacuazione dei lavoratori;
- il nominativo del medico competente quando previsto;
- il nominativi del responsabile del servizio di prevenzione e di protezione, del direttore tecnico di cantiere, del capocantiere;
- il numero e le relative qualifiche dei lavoratori competenti e l’indicazione delle mansioni inerenti la sicurezza svolte in cantiere da ogni soggetto nominato a tal fine dall’impresa esecutrice;
- la descrizione dell’attività di cantiere e delle modalità organizzative e dei turni di lavoro, l’elenco dei ponteggi e delle opere provvisionali di notevole importanza;
- l’elenco delle sostanze e dei preparati pericolosi utilizzati nel corso delle lavorazioni con le relative schede di sicurezza;
- l’individuazione delle misure preventive e protettive integrative al piano di sicurezza e di coordinamento e le procedure complementari e di dettaglio del piano, qualora siano necessarie;
- l’elenco dei dispositivi di protezione individuale forniti ai lavoratori occupati nel cantiere e la documentazione inerente all’informazione ed alla formazione fornite ai lavoratori occupati nel cantiere. Rientrano (Capo IV, Stima dei costi della sicurezza, art. 7) nei costi per la sicurezza del piano di sicurezza e coordinamento previsto dal D.lgs. n. 494/1996 quelli inerenti agli apprestamenti del piano, alle misure preventive e protettive e ai dispositivi di protezione individuale, agli impianti di terra e di protezione contro le scariche atmosferiche, agli impianti antincendio agli impianti di evacuazione dei fumi, ai mezzi e servizi di protezione collettiva, alle procedure per motivi di sicurezza e contenute nel piano, alle misure di coordinamento relative all’uso comune di apprestamenti, attrezzature, infrastrutture, mezzi e servizi. Per le opere che rientrano nel campo di applicazione della legge 11/2/1994 n. 109 e per le quali il D.lgs. n. 494/1996 non prevede la redazione del piano di sicurezza e di coordinamento le amministrazioni appaltanti stimano tra i costi della sicurezza, per tutta la durata delle lavorazioni previste nel cantiere, i costi delle misure preventive e protettive finalizzate alla sicurezza e alla salute dei lavoratori.
Tale previsione è assai importante poiché anche per le grandi opere pubbliche viene assicurato un apporto economico concreto a tutte le cautele tecniche finalizzate alla protezione dei lavoratori. Tanto è vero che (art. 7, comma sesto) il direttore dei lavori deve liquidare l’importo relativo ai costi della sicurezza, previsti in base allo stato di avanzamento dei lavori, sentito il coordinatore per l’esecuzione dei lavori (qualora tale figura sia prevista).
Infine a commento del D.P.R. n. 222/2003 occorre osservare che, seppure le finalità delle norme in esso contenuto siano encomiabili e necessarie per adeguare il nostro ordinamento giuridico alle direttive europee, con notevole realismo occorrerà vigilare perché venga concretamente applicato. Si intende fare riferimento non tanto ed esclusivamente ad un’opera repressiva da parte delle competenti
autorità di vigilanza, quanto e soprattutto alla necessità di una crescita culturale italiana, perché la sicurezza sul lavoro venga riconosciuta un bene primario , almeno quanto l’interesse economico inerente all’opera realizzata. Infatti in una nazione quale la nostra nella quale assai spesso si constatano diffuse, tremende e purtroppo luttuose condizioni di lavoro nero, effettuato anche mediante l’opera di manodopera priva di permesso di soggiorno e di qualsiasi tutela lavorativa (sopratutto nei cantieri temporanei o mobili, poiché la precarietà e la facile rimozione dei ponteggi del cantiere consentono facili elusioni delle normesulla sicurezza del lavoro), il precetto normativo resta sempre inoperoso sulla carta se non è accompagnato da un deciso cambio di mentalità presso la pubblica opinione, alla quale, in definitiva, è sempre inutile imporre ciò in cui non crede.
- La responsabilità del coordinatore per la sicurezza: la sentenza C. Cass. n. 7960/2015.
Il caso trattato dalla C. Cass. ( Sez. Quarta penale, sent. n. 7960 del 5.12.2014, dep. il 23.2.2015) riguardava il caso di un coordinatore per la sicurezza e per l’esecuzione di lavori edili accusato di avere, in concorso con altri soggetti, cagionato colposamente la morte di un operaio. La sentenza stabilisce la non ipotizzabilità di un obbligo di controllo e di vigilanza concretamente attivato in capo al coordinatore per la sicurezza: ne consegue l’affermazione del non riconducibilità di una responsabilità oggettiva (comunque non consentita dal nostro ordinamento giuridico nel diritto penale) a detta figura professionale. La sentenza esamina la disciplina del d.lvo n. 494/1996 che ha disciplinato la figura e i compiti del coordinatore per la sicurezza nei cantieri edili ed al proposito enuncia quanto segue . “Tale disciplina conferma che la funzione di vigilanza è alta e non si confonde con quella operativa demandata al datore di lavoro ed alle figure che da esso ricevono poteri e doveri: il dirigente ed il preposto. Tanto è vero che il coordinatore articola le sue funzioni in modo formalizzato: contestazione scritta alle imprese delle irregolarità riscontrate per ciò che riguarda la violazione dei lori doveri tipici, e di quelle afferenti all’inosservanza del piano di sicurezza e di coordinamento: indi segnalazione al committente delle irregolarità riscontrate. Solo in caso di imminente e grave pericolo direttamente riscontrato è consentita la immediata sospensione dei lavori. Appare dunque chiara la marcata diversità di ruolo rispetto la datore di lavoro delle imprese esecutrici: un ruolo di vigilanza che riguarda la generale configurazione delle lavorazioni e la non puntuale stringente vigilanza, momento per momento, demandata alle figure operative (datore di lavoro, dirigente, preposto).
Si tratta, inoltre di un compito di vigilanza che presuppone che il programma di lavori sia in fase di esecuzione o comunque prossimo all’avvio: non si spiegherebbe altrimenti il riferimento alla verifica, evidentemente sul campo, della corretta applicazione delle procedure di lavori, dell’idoneità del P.O.S. e al necessario adeguamento del piano di sicurezza e coordinamento alla evoluzione dei lavori. Tali obblighi, invero, presuppongono l’avvio o comunque una programmazione dei lavori tale da rendere attuale, da un lato, l’obbligo per le imprese di adempiere agli obblighi prevenzionistici loro imposti e, dall’altro, quello del coordinatore per la sicurezza di controllare il corretto e funzionale adempimento di tali obblighi, in relazione alla previsione del piano; per contro una verifica in una situazione di sospensione indeterminata dei lavori non avrebbe significato, né riconoscibile scopo pratico. Per converso, una estemporanea e non programmata ripresa dei lavori si pone essa quale evenienza non prevedibile da parte del coordinatore per la sicurezza, certamente non tenuto a una vigilanza di cantiere e tale comunque da non poter essere dallo stesso impedita o prevenuta, in mancanza di poteri impeditivi o coercitivi specifici, diversi da quelli predetti di mera segnalazione formale delle inadempienze”.
di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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