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lunedì 3 settembre 2018

SICUREZZA DELLE INFRASTRUTTURE: IL CNI INVIA UNA NOTA AL MINISTRO TONINELLI

Gli ingegneri italiani lamentano la tendenza a preoccuparsi della prevenzione solo in occasione di tragedie e lutti. E rilanciano un protocollo nazionale di valutazione e classificazione delle infrastrutture.


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Il Consiglio Nazionale Ingegneri ha inviato oggi una nota al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Danilo Toninelli, in merito al crollo del Ponte Morandi e alla questione della sicurezza del costruito, in particolare per le opere d’arte della rete infrastrutturale. Un tema, come sottolineano da sempre gli ingegneri italiani, che può essere affrontato solo partendo da una diagnostica attenta, mirata, e da conseguenti verifiche, anche analitiche, eseguite nel rispetto delle norme e delle conoscenze tecnico-scientifiche. “L’ansia mostrata da alcune strutture periferiche del Ministero o da Enti locali – si legge nella nota – nel richiedere in poco tempo agli enti proprietari/gestori informazioni sullo stato delle opere, conferma la tendenza a preoccuparsi della prevenzione solo nell’immediato evento di tragedie e lutti, finendo purtroppo per non ottenere i risultati necessari, ma anzi aumentando la sensazione di approssimazione e quindi di sfiducia nell’attività delle istituzioni. 


Secondo il parere del CNI, non servono provvedimenti urgenti e non organici: serve una piano di conoscenza su tutto il territorio, redatto da tecnici esperti e competenti nelle varie discipline coinvolte, con protocolli specifici in funzione delle tipologie, dei materiali, delle prestazioni. Servono le azioni coordinate che il CNI ha proposto, insieme ad altri soggetti, ben prima dell’ultimo drammatico crollo e che, subito dopo il tragico evento, ha riproposto all’attenzione delle massime istituzioni dello Stato e richiamate in una nota al Presidente del Consiglio di lunedì u.s.. 


Servono, inoltre, responsabilità ed azioni tecniche adeguate, e sarebbe sbagliato scambiare per emergenza quello che, al contrario, dovrebbe essere un impegno costante di ogni amministrazione centrale e periferica: conoscere, censire, mantenere, prevenire, stabilire criteri di intervento e priorità, ottimizzare le tipologie di intervento, acquisendo dati e informazioni omogenei utilizzabili a livello nazionale. “Stiamo anche assistendo – si legge ancora - a comportamenti criticabili, da parte di alcuni Enti o Amministrazioni, con i quali, da un lato si derubrica, di fatto, a veloce e formale azione di controllo visivo quello che, invece, dovrebbe essere un vero e proprio “progetto di conoscenza” e, dall’altro, si invoca la gratuità della prestazione professionale, come se, appunto, si dovesse mettere in campo la solidarietà e la volontarietà tipica dei momenti di emergenza e non la pianificazione di atti tecnici complessi da eseguire “in tempo di pace”. 


“Attività professionali a così alto tasso di specializzazione e complessità non possono essere svolte in tempi non consoni ne’ possono essere richieste in modo gratuito, richiedendosi ai professionisti impegno, competenza, e sopratutto responsabilità, peraltro a rischio di non copertura, nel caso di prestazioni gratuite, dall’assicurazione prevista per legge. Inoltre, esse abbisognano di indagini preliminari che necessitano di una programmazione e congrue disponibilità finanziarie.” Ci chiediamo, quindi, quale cultura della prevenzione e della manutenzione potrà mai crescere, in questo Paese, partendo da iniziative non ben ponderate come quelle avviate”. In questa ottica, il CNI attuerà tutte le iniziative atte a sostenere e tutelare i propri professionisti e, quindi, gli interessi e la sicurezza dei cittadini. Ma farà anche tutto quanto necessario per affermare e definire la necessità di un protocollo nazionale di valutazione e classificazione delle infrastrutture, per determinare le modalità di controllo ed intervento in maniera indicizzata, trasparente e condivisa dei dati su unica piattaforma nazionale
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lunedì 8 gennaio 2018

Profili giuridici della valutazione di sicurezza tecnologica e statica negli edifici condominiali

L’applicazione dei principi di sicurezza sul lavoro e sui luoghi di vita è assai attuale negli edifici che contengono impianti tecnologici i quali hanno la finalità di renderli più funzionali alle esigenze quotidiane di vita: la sempre maggiore complessità tecnologica delle strumentazioni di servizio degli immobili.

- La valutazione del rischio statico degli edifici
I crolli avvenuti negli edifici riportano l’attualità dell’annoso dibattito sul fascicolo del fabbricato ed a tal riguardo il Comune di Milano nel vigente regolamento edilizio (Deliberazione n. 9 – Seduta consiliare del 14.4.2014 – Deliberazione n. 27 –Seduta consiliare del 2.10.2014; pubblicate su BURL – Serie Avvisi e concorsi – n. 48 del 26.11.2014) nella voce “manutenzione e revisione periodica delle costruzioni (art. 11.6) prevede quanto segue:
  • tutti i fabbricati, entro cinquanta anni dalla loro fabbricazione o, in assenza di tale requisito, dalla loro ultimazione, devono essere sottoposti ad una verifica dell’idoneità statica di ogni loro parte secondo la normativa vigente alla data del collaudo, o in assenza di questo, alla data di ultimazione del fabbricato che dovrà essere certificata da un tecnico abilitato;
  • detta verifica interessa anche gli edifici interessati, per almeno metà della loro superficie da un cambio di destinazione d’uso, da interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione se non sussistono gli estremi di legge per un nuovo collaudo statico;
  • dette certificazioni devono essere allegate al fagiolo del fabbricato o alla documentazione dell’edificio e dovranno indicare la scadenza oltre la quale è necessaria la successiva verifica;
  • decorsi dieci anni dall’entrata in vigore del regolamento la predetta verifica deve interessare tutti i fabbricati esistenti con data di collaudo delle strutture superiori a 50 anni o che raggiungano i 50 anni nel predetto periodo;
  • il certificato di idoneità statica deve anche indicare gli elementi strutturali che potrebbero essere non idonei per le normative vigenti al momento della redazione del certificato stesso, pur non inficiandone la regolarità;
  • il certificato deve essere integrato da una relazione sullo stato di conservazione degli elementi strutturali secondari e degli elementi non strutturali dell’edificio (parapetti, facciate,, tamponamenti ..), ponendo particolare attenzione al rischio di crollo di elementi esterni e/o su zone comuni e alla presenza di lesioni e di cedimenti in atto;
  • nel caso del mancato rilascio di tale certificazione nei limiti temporali previsti viene meno l’agibilità dell’edifico o delle parti di questo non certificate;
  • in caso di compravendita i notai dovranno allegare tali certificazioni all’atto di vendita. Giova notare che il regolamento per l’effettuazione di dette operazioni richiama le norme tecniche per le costruzioni del D.M. 14 –01- 2008 che al punto 7.2.3.elenca i criteri di progettazione di elementi strutturali secondari e gli elementi non strutturali. Detto capitolo è inserito nel paragrafo 7 che riguarda la progettazione per azioni sismiche.
Occorre aggiungere che i principi fondamentali di tali norme sono i seguenti:
  • le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette a manutenzione in modo da consentirne la prevista utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle norme del decreto;
  • la sicurezza e le prestazioni di un’opera o di una parte di essa devono essere valutate in relazione agli stati limite che si possono verificare durante la vita nominale;
  • stato limite è la condizione superata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata;
  • il superamento di uno stato limite ultimo ha carattere irreversibile e si definisce collasso.
-Le qualifica giuridica delle norme tecniche
Il D.M. 14 –01 –2008 contiene le norme tecniche ed a tal riguardo si deve precisare la natura giuridica delle norme tecniche volontarie.
Si rileva una differenza concettuale tra regole dell’arte e le norme tecniche con differenti conseguenze giuridiche. Invero i due concetti trovano una netta distinzione nella legge n. 317 del 21/6/1986, attuazione della direttiva n. 83/189/ CEE relativa alla procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche che definisce:

- PRODOTTO: i prodotti di fabbricazione industriale e i prodotti agricoli; 

- SPECIFICA TECNICA: una specifica normativa contenuta in un documento che definisce le caratteristiche richieste a un prodotto, quali i livelli di qualità o di utilizzazione, la sicurezza, le dimensioni, nonché le prescrizioni applicabili al prodotto per quanto riguarda la denominazione di vendita, la terminologia, i simboli, le prove ed i metodi di prova, l’imballaggio, la marcatura e l’etichettatura e le procedure di valutazione della conformità;

- NORMA: una specifica tecnica approvata da un organismo riconosciuto ed abilitato ad emanare atti di normalizzazione, la cui osservanza non sia obbligatoria ed appartenente ad una delle categorie: norme internazionali, norme europee, norme nazionali. Sono norme internazionali europee o nazionali, le norme adottate e messe a disposizione del pubblico rispettivamente da un’organizzazione internazionale, da un organismo europeo o da un organismo nazionale di normalizzazione;

- REGOLA TECNICA: una delle specifiche tecniche o uno degli altri requisiti, comprese le disposizioni amministrative che ad esso si applicano, indicati al comma 2 e comunque ogni specifica tecnica o altro requisito, la cui osservanza è obbligatoria per la commercializzazione o l’utilizzazione di un prodotto sul territorio nazionale o in una parte importante di esso, nonché le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri intese a vietare la fabbricazione, la commercializzazione o l’utilizzazione di un prodotto ad eccezione di quelle indicate all’articolo 9, comma 6. Gli stessi concetti sono stati richiamati dalla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22/6/1998 (pubblicata su GUCE L 207/37 del 21/7/1998)che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche.

La peculiare importanza delle regola tecnica è stabilita:

- dall’articolo 9, comma primo, della legge 317/1986 per cui le regole tecniche non possono essere messe in vigore prima del termine di tre mesi dalla comunicazione del loro progetto alla Commissione delle Comunità europee. Tale previsione trova il suo fondamento (esplicato dall’articolo 9, comma secondo, della legge 317/1986)dalla necessità che entro tale termine la norma sia oggetto di un parere circostanziato della Commissione ovvero di un’osservazione da parte di uno Stato membro della Comunità in quanto la regola potrebbe creare ostacoli tecnici alla libera circolazione dei beni e in tali casi la sua entrata in vigore è differita di sei mesi.

Da quanto fin qui premesso si evince che l’equiparazione tra regola dell’arte e norma tecnica non è corretta in quanto tali istituti, oltre ad avere origini normative differenti, sono differenziati dal carattere obbligatorio della prima e da quello facoltativo della seconda. Invero la legislazione dell’Unione europea privilegia come fonte primaria la regola tecnica la cui violazione comporta l’incommerciabilità del bene all’interno del territorio dell’Unione europea in quanto il prodotto non corrispondente alla stessa è definito insicuro e comunque non corrispondente ai principi di costruzione che ne legittimino la libera circolazione europea. La norma tecnica è di rango inferiore non soltanto per la relativa facilità di emanazione allorquando è emanata da un organismo nazionale di normalizzazione, ma anche perché, in quanto espressione dello sviluppo tecnologico, il legislatore europeo non ha voluto che la ricerca e la scienza fossero vincolati da complessi normativi inderogabili e, in realtà, facilmente ed ineluttabilmente superabili dal progresso scientifico. Pertanto il legislatore in relazione alle norme tecniche ha adottato “un diritto leggero” che non solo non ne prevede un carattere obbligatorio ed inderogabile, ma non distingue tra l’origine nazionale o “unionistico” della medesima. Ne consegue che di fronte ad una norma tecnica chiunque ne abbia interesse può sempre cimentarsi, sempre che vi riesca, a provare l’esistenza un progetto tecnologico alternativo e dotato di un grado equivalente, se non superiore, di scientificità e di protezione degli interessi fondamentali sostenuti dalla norma tecnica preesistente. Tale prova non sempre è agevole ed obiettivamente è spesso ardua poiché, da un lato la nuova norma deve essere recepita almeno da un organismo nazionale di normalizzazione, dall’altro le norme tecniche esistenti, finchè non sono superate da nuove, sono dotate di una presunzione di legittimità e solitamente di un fondamento scientifico, ma detta prova comunque costituisce il fondamento del progresso scientifico secondo il metodo empirico del “provare e riprovare” di Galileo Galilei. Invece la regola tecnica è dotata di una valenza obbligatoria per la commercializzazione dei beni all’interno dell’Unione europea che presenta caratteristiche di inderogabilità e, pertanto, di prova legale di conformità la cui violazione comporta la nullità del contratto di vendita, secondo quanto previsto dall’articolo 1418, comma primo, del codice civile, per contrarietà a norme imperative.

- I principi di sicurezza nel condominio
L’applicazione dei principi di sicurezza sul lavoro e sui luoghi di vita è assai attuale negli edifici che contengono impianti tecnologici i quali hanno la finalità di renderli più funzionali alle esigenze quotidiane di vita: appare evidente che la sempre maggiore complessità tecnologica delle strumentazioni di servizio degli immobili, qualunque sia il servizio a cui siano adibiti, se da un lato ne aumentano il valore economico, dall’altro espongono l’incolumità degli abitanti a rischi significativi.
Occorre notare che la necessità della tutela dei lavoratori dipendenti e autonomi i quali eseguano gli appalti con contenuto tecnologico è stata ribadita dalla direttiva 92/57/CEE del Consiglio europeo del 24/6/1992, riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei e mobili e recepita nel diritto nazionale con il D.lgs. 14/8/1996 n. 494, oggi ripreso dal d.lvo n. 81/2008 ,dove si afferma che: “ il rispetto delle prescrizioni minime atte a garantire un migliore livello di sicurezza e di salute nei cantieri temporanei o mobili costituisce un imperativo al fine di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori”.
Occorre aggiungere che inoltre la direttiva afferma: 
- “ i cantieri temporanei o mobili costituiscono un settore di attività che espone i lavoratori a rischi particolarmente elevati”;
- “ le scelte architettoniche e/o organizzative non adeguate o una carente pianificazione dei lavori all’atto della progettazione dell’opera hanno influito su più della metà degli infortuni del lavoro nei cantieri nella Comunità”.

Ne consegue che tutti gli operatori del settore (amministratori di condominio, progettisti, installatori, direttori e responsabili dei lavori, architetti, geometri, periti industriali, committenti, manutentori)sono tenuti a conoscere ed applicare una congerie di norme in continua evoluzione quali:
- le norme tecnologiche relative alla sicurezza degli impianti elettrici e a gas (legge 6/12/1971 n. 1083, D.P.R. 22/10/2001 n. 462 a legge 5/3/1990 n. 46)e le norme tecnologiche CEI, UNI, UNI – EN, le norme del DM n. 37/2008 e del d.vlo n. 81/2008;
- le nuove norme edilizie e sulla sicurezza degli impianti contenute nel testo unico sull’edilizia (il D.P.R. 6/6/2001 n. 380);
- le norme inerenti alla sicurezza, previste anche nelle deliberazioni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, e finalizzate alla tutela della pubblica incolumità nell’utilizzo degli apparecchi alimentati a gas all’interno dei luoghi di vita e di lavoro.
Tali norme di sicurezza sono spesso ignote alla platea di soggetti interessati i quali sono spesso ritenuti responsabili, civilmente e penalmente di luttuosi incidenti sul lavoro ed in ambienti di vita e quindi è necessario accertare e descrivere i vincoli che inevitabilmente la nuova normativa, la quale indubbiamente privilegia la sicurezza degli utenti rispetto ai criteri di economia d’impresa, appone alla libertà di mercato ed all’organizzazione imprenditoriale.
La Corte di Cassazione (Sent n. 48812/2016)ha sviluppato il concetto di sicurezza elettrica stabilendo la responsabilità penale, per il reato di cui all’art. 449 c.p., di un soggetto che aveva cagionato l‘incendio di un edificio mediante la realizzazione di un impianto elettrico inadeguato in quanto privo del sistema di protezione da contatti diretti dei conduttori e da eventuali sovraccarichi e da corto circuiti e di un efficace impianto di messa a terra. Inoltre la Corte affermava che con tale condotta il soggetto aveva creato “le condizioni perché si sviluppasse un fuoco e si propagassero le fiamme e perché, in violazione dell’obbligo di assicurare la custodia e la guardiania del compendio, non predisponeva un’attrezzatura antincendio idonea rispetto alle numerose parti in legno della struttura ed un sistema di vigilanza adeguato ad evitare la propagazione del fuoco”.
Il fondamento della disciplina della sicurezza sul lavoro è tuttora dettato dall’articolo 2087 del codice civile il quale obbliga l’imprenditore “ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Occorre notare che l’articolo 2050 del codice civile impone a chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dell’attività dei mezzi adoperati, deve risarcire il danno se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitarlo.

In materia di sicurezza elettrica il D.M. n. 37/2008 prevede i documenti che accompagnano i prodotti tecnologici:
- a) la dichiarazione di conformità del prodotto: consiste nella dichiarazione di un venditore o di un fornitore, redatta sotto la sua personale responsabilità, che un prodotto, un processo o un servizio sono conformi ad una specifica norma o ad una altro documento normativo e per la sua redazione non è previsto l’intervento di alcuna parte terza (Ente di certificazione o Laboratorio di prova);
- b) l’attestato di conformità del prodotto: è l’atto con il quale una terza parte indipendente attesta che un determinato campione, previamente sottoposto a prova, è conforme ad una specifica norma o ad un altro documento normativo; in particolare l’attestato di conformità ha maggiore valore se il laboratorio che lo rilascia ha ottenuto l’accreditamento SINAL per il tipo di prova per il quale viene rilasciato l’attestato;
- c) la certificazione di conformità: è l’atto con il quale una terza parte indipendente (Ente certificatore)dichiara che, con ragionevole attendibilità, un determinato prodotto, processo o servizio è conforme ad una specifica norma o ad una latro documento normativo; il certificato viene emesso su tutta la produzione di quel determinato prodotto e, inoltre, l’Ente certificatore opera il controllo sul prodotto anche mediante ispezioni esterne condotte sul mercato.

- La definizione giuridica di regola d’arte nel condominio
Il ricorso ai concetti di norma tecnica e di regola d’arte è assai frequente nelle cause condominiali al punto di chiedersi quale sia il loro grado di obbligatorietà e se le stesse siano derogabili. Occorre notare che il giudice per valutare la diligenza dell’adempimento del debitore nelle obbligazioni deve, secondo quanto disposto dall’articolo 1176 del codice civile, valutare il suo comportamento soggettivo con riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia e, qualora il contenuto dell’obbligazione consista nello svolgimento di un’attività professionale, alla natura dell’attività esercitata. In tale ultima ipotesi il contenuto dell’obbligazione consiste nelle tecniche proprie della attività specializzata ed il grado di diligenza del debitore, esperto in un’attività professionale, appare più elevato della diligenza del buon padre di famiglia poiché, in questo caso, occorre operare il riferimento al risultato specifico che comporta l’obbligazione assunta. A tal proposito osservasi che l’appaltatore o il prestatore d’opera, incaricato della realizzazione di opere edilizie da eseguirsi su strutture o basamenti preparati dal committente o da terzi, viola il dovere di diligenza stabilito dall’articolo 1175 del codice civile (che impone al debitore ed al creditore di operare secondo le regole di correttezza)se non si accerta, nei limiti delle comuni regole dell’arte, dell’idoneità delle predette strutture a reggere l’ulteriore opera commessagli e ad assicurare la buona riuscita della medesima e viola, parimenti, i doveri di adempiere all’obbligazione con correttezza e buona fede se, avendo accertato l’inidoneità di tali strutture, proceda ugualmente all’esecuzione dell’opera. Inoltre il prestatore d’opera qualificato deve essere in grado di valutare le modalità di esecuzione del lavoro che gli viene affidato e di garantirne l’esecuzione con la professionalità e la diligenza che il caso richiede: ne consegue che l’accettazione, senza riserve di eventuali particolari difficoltà di eseguire la prestazione, fa sorgere a carico del prestatore l’obbligo di eseguirla a regola d’arte. Il riferimento all’adempimento della prestazione secondo la regola d’arte, la quale pertanto costituisce un ‘obbligazione di risultato e non di mezzi, è rilevante per:
- stabilire, ai sensi dell’articolo 1218 del codice civile, la responsabilità del debitore che è tenuto al risarcimento del danno se non esegue esattamente la prestazione dovuta laddove non provi che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa al medesimo non imputabile;
- permettere al creditore, secondo quanto stabilito dall’articolo 2224 del codice civile qualora il prestatore dell’opera non proceda all’esecuzione dell’opera secondo le condizioni del contratto e a regola d’arte, di stabilire un congruo termine entro il quale il debitore deve conformarsi a tali condizioni, che, se trascorre inutilmente, consente al creditore di recedere dal contratto, salvo il diritto al risarcimento del danno.

La Corte di Cassazione è intervenuta con più sentenze relative alla rilevanza della norma tecnica nel giudizio penale o civile e precisamente:
  • la sent. n. 1987/2015 (che richiama C.Cass. n. 16386/2010)afferma che l’uso della norma UNI 10802 (in materia di campionamento di rifiuti)non è obbligatorio e che la scelta sul metodo da utilizzare è una questione di fatto, in mancanza di una normativa generale vincolante sul punto per cui è sufficiente che i giudice indichi le ragioni per le quali viene utilizzato il diverso metodo IRSA CNR anziché il metodo UNI 10802
  • la sent. n. 8043/2016 sostiene che la mancata applicazione della norma UNI EN 131 (che attiene alle caratteristiche produttive ed alle prove che il prodotto deve superare per conseguire la certificazione di conformità alle normative di sicurezza) non è vincolante per il C.T.U. che può adottare un diverso metodo di indagine mediante l’effettuazione di prove più severe.
  • la sent. n. 39372/2016 rileva che l’accertamento della pericolosità di un rifiuto non richiede necessariamente il rispetto delle metodiche di analisi fissate dalla norma tecnica UNI 10802, trattandosi di disposizioni prive di portata generale vincolante, finalizzate unicamente a disciplinare le analisi a cura del titolare dell’impianto di produzione di rifiuti.
Per quanto riguarda la responsabilità penale occorre rilevare che in materia antinfortunistica le misure indicate dalla legge hanno carattere tassativo e non possono essere sostituite con altre reputate equivalenti: infatti se il legislatore ha ritenuto che un determinato infortunio sul lavoro sia meglio scongiurato adottando una ben precisa cautela, il destinatario della norma deve rispettare le prescrizioni e qualora si accerti l’inosservanza di queste, in caso di sinistro, risponderà dell’evento, a meno che non dimostri che lo stesso non è riconducibile al tipo di evento che la regola intendeva prevenire.
Invero la C.Cass. con la sent. n. 24124/2016 ha affermato che, nel caso di incidente mortale sul lavoro, la disciplina UNI En 1114-1, punti 5.1.10 e 5.1.1.5, costituisce il contenuto fondamentale della valutazione del materiale di lavoro in “relazione ai rischi derivanti dalla fuoriuscita dal condotto di fumi, gas e residui plastici della lavorazione o comunque dagli effetti di sovrapressione della macchina”.

- Il profilo civilistico di responsabilità da insidia 
Il fondamento della responsabilità extracontrattuale è quello dell’articolo 2043 del codice civile il quale, in ossequio ad una tradizione giuridica trimillenaria, stabilisce la responsabilità civilistica e l’obbligo di risarcire il danno per colui che ha cagionato con dolo o colpa ad altri un danno ingiusto. Tale regime, sia pur rispondente ad un alto principio di civiltà ovvero quello della responsabilità individuale, espone il danneggiato ad una serie di oneri probatori spesso di difficile attuazione: vale a dire che, al fine di vedersi riconoscere il diritto al risarcimento del danno, deve provare:
  • il danno;
  • il nesso di causalità tra il danno e l’operato dell’agente;
  • l’ingiustizia del danno;
  • la sussistenza dell’elemento soggettivo doloso o colposo nella condotta dell’agente.
La dottrina stabilisce che il legislatore, nelle ipotesi di responsabilità aggravata, per avvantaggiare la persona danneggiata, disciplina in maniera diversa e più grave per i soggetti che creano dei rischi, la problematica inerente l’individuazione del responsabile del danno. Nel caso di danno di cose in custodia, particolarmente ricorrente nei casi giurisprudenziali avvenuti all’interno del condominio, l’articolo 2051 del codice civile stabilisce che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. In tali casi il legislatore presume che se fossero state adottate tutte le precauzioni, previste in particolare dalla normativa specialistica di sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro, idonee ad evitare il danno, quest’ultimo non si sarebbe verificato. Pertanto è ritenuto responsabile chi aveva in custodia la cosa che ha provocato il danno, a meno che non venga provato il fatto di un terzo o uno specifico evento imprevedibile e inevitabile, estraneo alla cosa o al custode (Vedasi Manuale di diritto privato, Andrea Torrente e Piero Schlesinger, Milano, Giuffrè Editore, pagine 670 - 671).
La giurisprudenza ha così ridotto il margine della prova liberatoria per il danneggiante al punto di consentire l’affermazione per cui vige un regime di responsabilità oggettiva; a tal riguardo è sufficiente esaminare le seguenti massime.
  1. "La responsabilità da cose in custodia ex art. 2015 c.c. sussiste quando ricorrano due presupposti: un’alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche determina la configurazione nel caso concreto della cosiddetta insidia o trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità di tale alterazione per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno. (Nel caso trattato la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni riportati da un’inquilina di un edificio a seguito di una caduta causata da acqua piovana infiltratasi dalla finestra, ritenendo prevedibile l’evento, in quanto lo stesso si era verificato in un condominio e aveva coinvolto un’inquilina ivi abitante da anni e, quindi, a conoscenza di tutte le caratteristiche dell’immobile). (C. Cass. civ, Sez. 3, Sent. n. 11592 del 13.5.2010, Rv. 613371)"
  2. "Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie, affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all’art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini (nella specie, infiltrazioni d’acqua provenienti dal muro di contenimento di proprietà condominiale), ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile.” (C.Cass. Civ., Sez. 2, Sent. n. 15291 del 12.7.2011, Rv. 618637)"
  3. In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non rileva in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno. Ne consegue che il vizio di costruzione della cosa in custodia, anche se è ascrivibile al terzo costruttore, non esclude la responsabilità del custode nei confronti del terzo danneggiato, non costituendo caso fortuito che interrompe il nesso eziologico, salva l’azione di rivalsa del danneggiante – custode nei confronti dello stesso costruttore. (Nel caso trattato la Suprema Corte, pur ribadendo il suddetto principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa la responsabilità del condominio custode per i danni assunti come arrecati dal cattivo funzionamento della rete fognaria condominiale, essendo rimasto accertato che lo stesso aveva dimostrato che l’evento dannoso si era verificato, in via esclusiva, per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente alla società costruttrice che, nel caso specifico, si identificava con la stessa parte attrice quale proprietaria di alcuni immobili siti nel condominio convenuto in giudizio, da ritenersi, perciò, essa stessa responsabile nei confronti del condominio medesimo.). (C.Cass. Civ., Sez. 3, Sent. n. 26051 del 30.10.2008, Rv. 605339)".
- La ricostruzione penale dell’obbligo di garanzia del condominio per gli infortuni 
Il fondamento dottrinario che attesta il dovere del datore di lavoro di tutelare l’integrità psico – fisica del lavoratore si trova in due articoli del codice civile e rispettivamente:
  • l’art. 2086 (direzione e gerarchia nelle imprese) per cui: “L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”
  • l’art. 2087 (tutela delle condizioni di lavoro)per cui: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”
Pertanto che il legislatore ritiene che all’interno dell’impresa esista un rapporto corrispettivo per il quale se il datore di lavoro può ordinare l’esecuzione di prestazioni lavorative ai propri dipendenti, nell’ambito delle mansioni previste dal contratto, d’altra parte deve tutelare la loro sicurezza e salute secondo la migliore tecnica ed esperienza vigenti e validate dal modo tecnico e scientifico. Questo è il fondamento giuridico della costruzione dottrinaria la quale individua nel datore di lavoro la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori dipendenti, che costituisca tre le due parti una posizione sinallagmatica di sicurezza, ovvero una relazione corrispettiva tra l’ordine gerarchico impartito dall’imprenditore e la sicurezza del dipendente, la quale è stata riconosciuta dalla giurisprudenza quale suo addebito fondamentale di responsabilità in caso di infortunio del dipendente.

A tal proposito si afferma:
  • “Gli articoli 2086 e 2104 del codice civile che prevedono il potere gerarchico del datore di lavoro sul lavoratore devono essere interpretati alla luce del generale principio secondo cui ciascuna parte contrattuale può pretendere e deve fornire soltanto le prestazioni previste nel contratto. Ne consegue che, da un lato, i superiori gerarchici non possono richiedere prestazioni che siano chiaramente escluse dal contratto medesimo e che, dall’altro, il lavoratore, che non voglia attendere l’esito del giudizio in sede sindacale o giudiziaria, ha diritto di rifiutare prestazioni di tale tipo, correndo il rischio, conseguente a tale comportamento, di essere successivamente ritenuto responsabile di inadempimento qualora venga eventualmente accertata la legittimità dell’ordine disatteso. (C.Cass. Civ, sez. l, sent. n. 5463 del 8/6/1999)»;
La responsabilità penale dell’amministratore condominiale per gli infortuni incorsi ai lavoratori dipendenti è stata stabilita dalle seguenti pronunce giurisprudenziali:
  1. La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va considerata e risolta nell’ambito del capoverso dell’art. 40 c.p. che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (C.Cass., Sez. 3, sent. n. 332 del 11.5.1967, ud. 24.2.1967 – C.Cass., Sez. 3, sent. N. 4676 del 14.3.1975, dep. il 14.4.1976).
  2. L’amministratore di uno stabile, sia che operi per conto di un solo proprietario (persona fisica o giuridica), sia che agisca per conto di un condominio ha la titolarità dei poteri attinenti alla conservazione e alla gestione delle cose e dei servizi comuni fra i quali rientra anche quello di attivarsi per l’eliminazione di situazioni che possono potenzialmente causare la violazione del principio del “neminem laedere” e di provvedere o, quantomeno, riferirne al proprietario; l’identificazione dei singoli obblighi in concreto incombenti sull’amministratore deve essere effettuata, sulla base delle norme legislative, statutarie o regolamentari, nelle singole fattispecie. (v C.Cass., sez. 4, sent. n. 6757 del 6.5.1983, dep. Il 14.7.1983).
  3. La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va ricondotta nell’ambito della disposizione (art. 40, secondo comma, c.p.)per la quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto configurabile a carico dell’amministratore di condominio un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni, in una fattispecie di incendio riconducibile ad un difetto di installazione di una canna fumaria di proprietà di un terzo estraneo al condominio che attraversava le parti comuni dell’edificio”. (C.Cass., Sez. 4, sent. n. 39959 del 23.9.2009, dep. Il 13.10.2009).
Per quanto riguarda la responsabilità penale dell’amministratore di condominio nel caso di infortunio avvenuto all’interno dello stesso ci si chiede se anche in materia penale possa valere una sorta di responsabilità oggettiva ed a tal riguardo deve osservarsi quanto segue.
Allorquando si commenta la responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni incorsi al suo lavoratore dipendenti si afferma che il primo deve dare concreta attuazione al suo dovere, sancito dall’art. 2087 del codice civile, di assicurare al secondo ogni protezione la quale ne tuteli l’equilibrio psico – fisico. Pertanto deve formarlo ed informarlo sulla sua attività e sui rischi a cui è sottoposto e deve dotarlo di attrezzature e di dispostivi di protezione individuale rispondenti alle norme di legge. Tuttavia ci si chiede fino a qual punto il datore di lavoro sia responsabile delle condotta del lavoratore dipendente specialmente allorquando quest’ultimo compia attività imprudenti. E’ questo il tema riguardante l’attività abnorme del lavoratore di cui si è recentemente occupata la giurisprudenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, sent. n. 3983, ud 1.12.2011, dep. il 31.1.2012). Il caso trattato riguardava l’infortunio incorso ad un operaio, in servizio presso una cava ed addetto ad un impianto di frantumazione, il quale mentre svolgeva l’attività di pulizia e di rimozione dei detriti nel locale sottostante il frantoio, in prossimità di un nastro trasportatore, scivolava a causa del terreno viscido e cadeva incastrando il braccio sinistro tra gli apparati del nastro e subiva l’amputazione dell’arto. Gli imputati, il direttore tecnico e responsabile delle sicurezza ed il preposto, venivano condannati dalle Corti di merito, in quanto veniva loro mosso l’addebito di non avere informato correttamente il lavoratore sui rischi e di non avergli fornito indicazioni scritte e direttive in ordine alla corretta e sicura esecuzione dell’incarico e di avere consentito l’esecuzione dell’operazione in assenza di una griglia di protezione e di una fune per il blocco di emergenza dell’impianto.
Avanti alla Corte di legittimità la principale difesa degli imputati consisteva nell’affermare che la responsabilità dell’incidente era da ricercarsi esclusivamente nella condotta imprudente del lavoratore, il quale aveva svolto un’operazione di pulizia del nastro compiuta con il rullo in movimento e con l’ausilio di una pala e quindi del tutto abnorme, vietata e posta in essere arbitrariamente e volontariamente dall’esperto lavoratore, attività assolutamente imprudente che interrompeva il nesso causale.
La Corte di Cassazione respingeva l’assunto difensivo affermando quanto segue.
“Il ricorso è infondato. I gravami tentano in larga misura di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione nel merito. Per ciò che attiene alle questioni rilevanti nelle presente sede di legittimità, rileva che la pronunzia impugnata ritiene provato, alla luce delle dichiarazioni delle persona offesa e dello stato dei luoghi, che il lavoratore, mentre si occupava delle operazioni di pulizia del nastro trasportatore, riposizionando il materiale sullo stesso nastro scivolava sul terreno sdrucciolevole e cadeva sull’apparato in movimento che gli amputava l’arto superiore all’altezza dell’avambraccio. Si considera altresì che il dispositivo di sicurezza consistente in una fune, utile per bloccare l’impianto, era disattivato; e che inoltre il carter di protezione del nastro era stato rimosso e posto in un angolo con collocate sopra delle lattine di vernice. Si aggiunge che il lavoratore ha categoricamente escluso che fossero presenti cartelli che ponevano il divieto di effettuare le operazioni di pulizia con gli ingranaggi dell’impianto in movimento e di non aver ricevuto alcuna specifica istruzione in tal senso.
La sentenza richiama la giurisprudenza che pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare il lavoratore anche in relazione ai suoi eventuali comportamenti negligenti. Se ne inferisce che anche nel caso in cui il lavoratore sia esperto e ponga in essere un’azione avventata, forse fidandosi della sua esperienza, si configura la responsabilità del garante (vale a dire che ricorre il principio di imputabilità del datore di lavoro negligente della cosiddetta “doppia colpa”). Invero nel caso di specie, anche a voler accedere alla tesi difensiva secondo cui la vittima provvedeva alla pulizia del frantoio in movimento utilizzando una pala di legno, si ritiene che l’infortunio determinato da errore del lavoratore che abbia prestato il consenso ad operare in condizioni di pericolo non esclude la responsabilità del garante. D’altra parte si pone in luce che il dispositivo di blocco di sicurezza era disattivato e si è dunque in presenza della mancata doverosa predisposizione di misure di sicurezza volte a prevenire l’evento.”
Alla luce di tali argomentazioni appare evidente che il datore di lavoro allorquando, ai sensi dell’art. 17, comma primo lettera a), del d.lvo n. 81/2008, valuti tutti i rischi ed elabori il documento previsto dal successivo art. 28 deve prevedere adeguati rimedi atti a prevenire l’attività abnorme del proprio dipendente. Inoltre, secondo quanto prescritto dall’art. 18, comma primo lettera z), del d.lvo n. 81/2008 deve “aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza sul lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e delle protezione.” Tali osservazioni valgono a stabilire la natura estremamente dinamica della valutazione del rischio, prevista dagli articoli 28 e 29 del d.lvo n. 81/2008, la quale non può essere definita una volta per sempre, ma segue necessariamente la natura e l’evoluzione tecnologica dell’attività svolta dal dipendente, in modo da prevenire gli infortuni con una visione assai vasta la quale deve anche prevedere, in termini sia pure ragionevoli e adeguati alla mansione svolta, l’atto imprudente del proprio dipendente.
Tale ricostruzione giuridica è confermata dalla più recente giurisprudenza.Invero è stata riconosciuta (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n. 21223 del 3.5.2012, dep. il 31.5.2012)la responsabilità penale (ai sensi dell’art. 590 c.p.)per il reato di lesioni colpose gravi in danno di un minore dell’amministratore del condominio che aveva omesso di delimitare e segnalare opportunamente un lucernario che si trovava al centro del condominio ed era ricoperto di neve su cui il minore, a bordo di uno slittino, era andato a finire. Il lucernario si era frantumato facendo cadere il minore nelle sottostanti scale con conseguenti lesioni diagnosticate come politrauma con prognosi riservata.
La Suprema Corte riconosceva la responsabilità penale dell’amministratore poiché da un lato ravvisava la sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta omissiva del primo e l’evento lesivo e dall’altro la sussistenza della “corrispondenza causale tra la violazione della regola cautelare a carico del prevenuto e la produzione del risultato offensivo; in altre parole, secondo il criterio della cosiddetta “concretizzazione del rischio”, risulta nella vicenda in esame, che l’evento lesivo verificatosi rappresenta la realizzazione del rischio che la norma cautelare violata dell’imputato doveva prevenire.”
Altra sentenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n. 34147 del 12.1.2012, dep. il 6.9.2012)dichiara la penale responsabilità di un amministratore di condomino per lesioni colpose gravi nei confronti di una condomina la quale era caduta, provocandosi una frattura omerale giudicata guaribile in oltre 40 giorni di prognosi, su di un avallamento esistente tra il pavimento ed il tombino di raccolta delle acque reflue condominiali posto sul marciapiedi che dava accesso alla farmacia sita al piano terra dello stesso fabbricato condominiale. Il profilo di responsabilità dell’amministratore era consistito nella sua imprudenza, imperizia e negligenza nell’eseguire i lavori di ripristino di tale avallamento. In particolare la sentenza afferma quanto segue:
“L’unico responsabile del fatto doveva ritenersi l’imputato in veste di amministratore del condominio per avere colposamente omesso di sistemare il passaggio pedonale in corrispondenza dell’accesso al marciapiedi antistante il tombino, mediante apposto scivolo al fine di eliminare le sconnessioni del piano di calpestio o quanto meno di contenerne la pericolosità con idonee delimitazioni atte ad evitare che esse costituissero una vera e propria insidia; ciò sul rilievo decisivo che in ogni caso anche le sconnessioni esistenti nella parte in proprietà esclusiva dei……. (ovvero nell’area diversa da quella occupata dal tombino)sono del tutto funzionali allo scolo delle acque piovane convogliate dalla strutture condominiali. Non può quindi mettersi in discussione che l’amministratore del condominio rivesta una specifica posizione di garanzia, su di lui gravando l’obbligo ex art. 40 capoverso c.p. di attivarsi al fine di rimuovere, nel caso di specie, la situazione di pericolo per l ‘incolumità di terzi, integrata dagli accertati avallamenti / sconnessioni della pavimentazione in prossimità del tombino predisposto al fine dell’esercizio di fatto della servitù di scolo delle acque meteoriche a vantaggio del condominio, ciò costituendo una vera e propria insidia e trabocchetto, fonte di pericolo per i passanti ed inevitabile con l’impiego della normale diligenza; massime per una persona anziana di 75 anni di età (cfr. Sez. 3 n. 4676 del 1975 rv. 133249). Né l’obbligo di attivarsi onde eliminare la riferita situazione id pericolo doveva ritenersi subordinato, come erroneamente sostenuto dal ricorrente, alla preventiva deliberazione dell’assemblea condominiale ovvero ad apposita segnalazione id pericolo tale da indurre un intervento di urgenza. Il disposto dell’art. 1130 n. 4 c.c. viene invero interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che sull’amministratore grava il dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, a prescindere da specifica autorizzazione dei condomini ed a prescindere che si versi nel caso di atti cautelativi ed urgenti (cfr Sez. 4 n. 3959 del 2009; Sez. 4 n. 6757 del 1983). Dalla lettera dell’art. 1135, ultimo comma, c.c. si evince peraltro a contrario che l‘amministratore ha facoltà di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria, in caso rivestano carattere di urgenza, dovendo in seguito informare l’assemblea. E’ indubitabile che l’eliminazione di un’insidia o trabocchetto derivante dall’omesso livellamento della pavimentazione in corrispondenza di un tombino deputato all’esercizio di una servitù di scolo a vantaggio – ovviamente – dell’edificio condominiale rappresenti intervento sia conservativo del diritto sia manutentivo di ordine urgente anche a tutela della incolumità dei passanti e quindi determinante dell’obbligo di agire ex art. 40 comma secondo c.p..”
Sulla base dei principi stabiliti nella citata sentenza deve concludersi che il fondamento della responsabilità penale dell’amministratore, secondo quanto stabilito dall’art. 40, secondo comma, c.p., è sostanzialmente costituto dal suo potere di gestione e di amministrazione dal contenuto così ampio da consentirgli di compiere qualsiasi lavoro straordinario, indipendentemente dalla previa autorizzazione assembleare, purchè urgente e finalizzato alla tutela ed alla salvaguardia dell’incolumità di tutti i cittadini.

di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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martedì 31 ottobre 2017

Approvato lo schema per i livelli di progettazione: fondamentale il contributo dei geologi

APPROVATO SCHEMA DECRETO SUI LIVELLI DI PROGETTAZIONE, RAFFAELE NARDONE (TESORIERE CNG): LA GEOLOGIA ASSUME UN RUOLO FONDAMENTALE PER LA QUALITÀ DELLA PROGETTAZIONE E PER LA SICUREZZA DELLE OPERE



“Dopo un anno di intenso lavoro finalmente è stato approvato in CSLLPP lo schema di decreto sui contenuti della progettazione previsto dal Codice Appalti. Questo decreto segna un punto di svolta normativo dove la geologia diventa ancora più importante fino ad assumere un ruolo fondamentale nel progetto contribuendo alla qualità della progettazione e alla sicurezza delle opere”. Questo il commento di Raffaele Nardone, Tesoriere del Consiglio Nazionale dei Geologi, dopo l’approvazione, da parte dell’Assemblea Generale del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, dello schema di decreto ministeriale recante “Definizione dei contenuti della progettazione nei tre livelli progettuali” ai sensi dell’art. 23, comma 3 del decreto legislativo 18 aprile 2016 n. 50.
“Il testo enfatizza l’importanza degli studi geologici quale presupposto fondamentale della progettazione” continua Nardone che aggiunge: “Il decreto, nel definire i contenuti della progettazione, stabilisce che alla relazione geologica devono essere obbligatoriamente allegati una serie di elaborati grafici che sintetizzano gli aspetti geologici legati al progetto e al sito in cui l’opera andrà ad insistere”.
“Ora aspettiamo che lo schema di decreto faccia velocemente i dovuti passaggi presso i ministeri competenti, in modo che il Ministro Graziano Delrio possa firmarlo al più presto” conclude il Tesoriere del Consiglio Nazionale dei Geologi.
Roma, 24 ottobre 2017
















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lunedì 30 ottobre 2017

Zambrano:"Equo compenso questione cardine!"





Il Presidente del CNI, aprendo i lavori della quinta Giornata della Sicurezza, ha annunciato una manifestazione che coinvolgerà i vari Ordini professionali. 

E’ in corso a Roma la quinta Giornata Nazionale della Sicurezza, l’evento organizzato dal Consiglio Nazionale Ingegneri. I lavori sono stati aperti stamane dal Presidente Armando Zambrano. 

“Quando abbiamo iniziato la prima edizione della Giornata della Sicurezza più giovani. Abbiamo da subito colto la centralità del tema della sicurezza per la professione. Negli anni abbiamo avuto modo di soffermarci e lavorare sulla questione. In questo ambito si inserisce la piattaforma elaborata con RPT. 

“Proprio ieri l’assemblea della Rete Professioni Tecniche ha approvato un importante documento in materia di sussidiarietà. Il riferimento è art.5 del Jobs Act. Va sottolineata l’importanza di cooperare per ottimizzare le risorse disponibili, specialmente in questo mome poche”. Quindi ha colto l’occasione per tornare su un delicato tema. 

“L’Equo compenso una questione cardine su cui ci stiamo battendo da molto tempo, una battaglia storica del CNI. Com’è noto stiamo incontrando numerosi della norma. Parlando di Equo compenso, colgo l’occasione per invitare tutti il prossimo 30 novembre ad una manifestazione che si svolgerà qui a Roma, organizzata da vari ordini. Su questo argomento la politica probabilmente ha bisogno di una spinta”. 

20 ottobre 2017 
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Sicurezza nei luoghi di lavoro: tra sinergia e condivisione


La tavola rotonda condotta da Maria Concetta Mattei (Tg2) ha chiuso i lavori della quinta Giornata della Sicurezza organizzata dal CNI. 


La quinta Giornata Nazionale della Sicurezza è proseguita nel pomeriggio con la tavola rotonda “La sicurezza nei luoghi di lavoro: sinergia e condivisione” moderata dalla giornalista del Tg2 Maria Concetta Mattei. Secondo Piercarlo Maggiolini (Politecnico di Milano) “nel mo determinati rischi è necessario offrire garanzie di qualità. Non si può lavorare in qualità fornendo la propria prestazione in modo gratuito, per questo la sentenza del Consiglio di Stato ci ha colto di sorpresa”. Un’affermazione in linea col concetto espresso nella presentazione del Presidente CNI Armando Zambrano. 

Nazzareno Iarrusso (FederArchitetti) ha sottolineato l’aspetto legato agli incidenti sul lavoro: “Esiste la copertura RC per i professionisti, ma resta il penale. I bisogna contribuire e collaborare per diffondere la cultura della sicurezza, facendo in modo che tutti i portatori d’interesse del settore possano elaborare strategie di collaborazione”. 

Per Bruno Giordano (Magistrato di Corte di Cassazione si attendono gli adeguamenti normativi. “Quando parliamo di prevenzione e sicurezza se vogliamo evitare i luoghi comuni e intraprendere la strada della concretezza dobbiamo capire che la sicurezza è distillato di bene collettivo. E’ un bene comune perché ha dei costi che sono sostenuti da tutto l’apparato statale”. Giuseppe Piegari (Ispettorato Nazionale del Lavoro) ha evidenziato la problematica dei falsi attestati. “In tema di sinergie sarebbe oppo collaborazione con gli organi di vigilanza. E’ necessario perché l’Ispettorato del lavoro ha a disposizione un numero piuttosto contenuto di ispettori: solo 280 sul territorio nazionale”.  La tavola rotonda condotta da Maria Concetta Mattei (Tg2) ha chiuso i lavori della quinta Giornata della Sicurezza organizzata dal CNI. Nazionale della Sicurezza è proseguita nel pomeriggio con la tavola rotonda “La sicurezza nei luoghi di lavoro: sinergia e condivisione” moderata dalla giornalista del Tg2 Maria Secondo Piercarlo Maggiolini (Politecnico di Milano) “nel momento in cui ci si avvicina a determinati rischi è necessario offrire garanzie di qualità. Non si può lavorare in qualità fornendo la propria prestazione in modo gratuito, per questo la sentenza del Consiglio di Stato ci ha colto di one in linea col concetto espresso nella presentazione del Presidente CNI Armando Zambrano. Nazzareno Iarrusso (FederArchitetti) ha sottolineato l’aspetto legato agli incidenti sul lavoro: “Esiste la copertura RC per i professionisti, ma resta il penale. I bisogna contribuire e collaborare per diffondere la cultura della sicurezza, facendo in modo che tutti i portatori d’interesse del settore possano elaborare strategie di collaborazione”. 

Per Bruno Giordano (Magistrato di Corte di Cassazione) bisogna applicare il testo unico ma ancora si attendono gli adeguamenti normativi. “Quando parliamo di prevenzione e sicurezza se vogliamo evitare i luoghi comuni e intraprendere la strada della concretezza dobbiamo capire distillato di bene collettivo. E’ un bene comune perché ha dei costi che sono sostenuti da tutto l’apparato statale”. Giuseppe Piegari (Ispettorato Nazionale del Lavoro) ha evidenziato la problematica dei falsi attestati. “In tema di sinergie sarebbe oppo collaborazione con gli organi di vigilanza. E’ necessario perché l’Ispettorato del lavoro ha a disposizione un numero piuttosto contenuto di ispettori: solo 280 sul territorio nazionale”. La tavola rotonda condotta da Maria Concetta Mattei (Tg2) ha chiuso i lavori della quinta Giornata Nazionale della Sicurezza è proseguita nel pomeriggio con la tavola rotonda “La sicurezza nei luoghi di lavoro: sinergia e condivisione” moderata dalla giornalista del Tg2 Maria mento in cui ci si avvicina a determinati rischi è necessario offrire garanzie di qualità. Non si può lavorare in qualità fornendo la propria prestazione in modo gratuito, per questo la sentenza del Consiglio di Stato ci ha colto di one in linea col concetto espresso nella presentazione del Presidente CNI Armando Zambrano. 

Nazzareno Iarrusso (FederArchitetti) ha sottolineato l’aspetto legato agli incidenti sul lavoro: “Esiste la copertura RC per i professionisti, ma resta il penale. In questo senso bisogna contribuire e collaborare per diffondere la cultura della sicurezza, facendo in modo che tutti i portatori d’interesse del settore possano elaborare strategie di collaborazione”. ) bisogna applicare il testo unico ma ancora si attendono gli adeguamenti normativi. “Quando parliamo di prevenzione e sicurezza – ha detto - se vogliamo evitare i luoghi comuni e intraprendere la strada della concretezza dobbiamo capire distillato di bene collettivo. E’ un bene comune perché ha dei costi che sono sostenuti da tutto l’apparato statale”. Giuseppe Piegari (Ispettorato Nazionale del Lavoro) ha evidenziato la problematica dei falsi attestati. “In tema di sinergie sarebbe opportuno una collaborazione con gli organi di vigilanza. E’ necessario perché l’Ispettorato del lavoro ha a disposizione un numero piuttosto contenuto di ispettori: solo 280 sul territorio nazionale”. 

Per Ester Rotoli (Inail) è necessario verificare l’efficacia dell’azione legislativa: “noi legiferiamo e non valutiamo gli effetti della legislazione, salvo poi applicare dei correttivi”. Stefano Bergagnin (CNI) ha lamentato il fatto che gli ingegneri vengano coinvolti con notevole ritardo nello sviluppo dei piani della sicurezza. “Nel Regno Unito – ha detto - i costi per la sicurezza vengono calcolati con largo anticipo perché la sicurezza va progettata, questo è l’investimento corretto. Non pensarci nel momento giusto significa dover sostenere dei costi molto più elevati in un secondo momento”. 

Fabio Potrandolfi (Confindustria) ha sostenuto la necessità di una formazione fatta assieme da scuola e impresa: “La sinergia scuola lavoro deve essere sempre presente. Per questo motivo Confindustria ha chiesto che la scuola inserisca insegnamenti di salute e sicurezza, un momento determinante per la forma mentis della persona. La propensione al rischio è della persona”. Michele Tritto (Ance) ha sottolineato che “la normativa italiana è tra le più complete ma la norma viene letta spesso come un appesantimento burocratico. Stiamo combattendo una battaglia per la semplificazione amministrativa. Si parla molto di digitalizzazione e noi vorremmo che questa fosse estesa così da rendere più fruibile la normativa per accelerare le pratiche”. 

Cinzia Frascheri (Cisl) è tornata sul tema del testo unico: “Se vogliamo definirlo testo unico dobbiamo rivederlo in maniera sistemica”. Tolomeo Litterio (Corpo Nazionale Vigili del Fuoco), infine, ha rappresentato l’esperienza del suo corpo caratterizzato da una “doppia attività: prevenzione ed intervento in emergenza. Noi facciamo dei controlli e tendiamo ad espletare attività di prevenzione sul territorio”.

 Roma 20 ottobre 2017
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martedì 17 ottobre 2017

Energia e sicurezza - Cessione del credito per ecobonus e sismabonus condomini

L’Agenzia delle Entrate chiarisce, con due provvedimenti, come trasferire il credito di imposta per interventi volti all’efficienza energetica e alla riduzione del rischio sismico.

Due sono i provvedimenti emessi dal direttore dell’Agenzia delle Entrate, datati 8 giugno 2017, in cui sono definite le modalità di cessione dei crediti d’imposta corrispondenti all’ecobonus e al sismabonus condomini. Come previsto dalla legge di bilancio emanata a dicembre, il credito corrispondente alla detrazione spettante per le spese, sostenute dal 1º gennaio 2017 al 31 dicembre 2021, per determinati interventi caratterizzati da specifiche connotazioni tecniche e riguardanti lavori effettuati sulle parti comuni di edifici, è cedibile.

Il primo provvedimento riguarda gli interventi di riqualificazione energetica effettuati sulle parti comuni di edifici che interessano l’involucro con un’incidenza superiore al 25% della superficie disperdente lorda nonché quelli finalizzati a migliorare la prestazione energetica invernale ed estiva. Il secondo, invece, disciplina la cessione del credito corrispondente alla detrazione per gli interventi relativi all’adozione di misure antisismiche e all’esecuzione di opere per la messa in sicurezza statica effettuate sulle parti comuni di edifici dalle quali derivi una riduzione del rischio sismico.

Beneficiari della cessione del credito
Il credito d’imposta può essere ceduto da:
  • tutti i condòmini teoricamente beneficiari della detrazione d’imposta prevista per gli interventi che rientrano nell’agevolazione fiscale, compresi quindi gli eventuali “incapienti”
  • i cessionari del credito i quali a loro volta possono effettuare ulteriori cessioni.
Il credito può essere ceduto a:
  • fornitori dei beni e servizi necessari alla realizzazione degli interventi agevolati;
  • di altri soggetti privati quali persone fisiche, anche esercenti attività di lavoro autonomo o d’impresa, società ed enti. È esclusa la cessione in favore di istituti di credito, intermediari finanziari e amministrazioni pubbliche.
La “Manovrina”
Nel DL 50/2017 “Disposizioni urgenti in materia finanziaria, iniziative a favore degli enti territoriali, ulteriori interventi per le zone colpite da eventi sismici e misure per lo sviluppo”, approvato il 15 giugno si modifica la disciplina in materia di cessione delle detrazioni spettanti per interventi di incremento dell’efficienza energetica nei condomìni. In particolare il comma 1, lett. a), estende fino al 31 dicembre 2021 la possibilità per i soggetti che si trovano nella no tax area (pensionati, dipendenti e autonomi) di cedere la detrazione fiscale loro spettante ai fornitori che hanno effettuato i lavori condominiali per l’incremento dell’efficienza energetica. Inoltre si prevede che la detrazione può essere ceduta anche ad altri soggetti privati (compresi istituti di credito e intermediari finanziari). La cessione è consentita purché le condizioni di incapienza sussistano nell’anno precedente a quello di sostenimento delle spese. I soggetti cessionari hanno titolo a godere di un credito d’imposta in misura pari alla detrazione ceduta, fruibile in dieci quote annuali di eguale importo. Il credito d’imposta è utilizzabile esclusivamente in compensazione. Le modalità attuative della norma sono definite con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate (modifiche all’articolo 14, comma 2-ter, del D.L. n. 63 del 2013).

Il comma 1, lett. b), del nuovo articolo 4-bis, interviene sulla norma che dispone che i controlli dell’ENEA sulla sussistenza dei requisiti per beneficiare delle detrazioni in quota maggiorata per gli interventi di riqualificazione energetica di parti comuni degli edifici condominiali, che interessino l’involucro dell’edificio con un’incidenza superiore al 25% della superficie disperdente lorda dell’edificio medesimo (70%) ovvero per gli interventi finalizzati a migliorare la prestazione energetica invernale ed estiva e che conseguano almeno una determinata qualità media (75%).

A seguito delle modifiche apportate si prevede che tali controlli siano effettuati con procedure e modalità disciplinate con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, da emanare entro il 30 settembre 2017. Per tali controlli da parte dell’ENEA è autorizzata la spesa di 500.000 euro per il 2017 e di 1 milione di euro per ciascuno degli anni dal 2018 al 2021 (modifiche all’articolo 14, comma 2-quinquies, del D.L. n. 63 del 2013).
Il comma 2 dispone la copertura finanziaria dei nuovi oneri che derivano dal comma 1, a valere, in parte, sul Fondo per le esigenze indifferibili in corso di gestione, di cui all’articolo 1, comma 200, della legge n. 190/2014, in parte sul Fondo speciale di parte corrente (allo scopo utilizzando lo stanziamento del Ministero dell’economia e finanze), nonché sul Fondo per la compensazione degli effetti finanziari non previsti a legislazione vigente, ai fini della compensazione degli ulteriori effetti in termini di indebitamento netto.

Ecobonus e sismabonusi: a cosa si applicano
Parlando di parti comuni condominiali, il credito d’imposta cedibile corrisponde alla detrazione dall’imposta lorda sul reddito, prevista nella misura del 70% delle spese sostenute, se relative a interventi che interessano l’involucro dell’edificio con un’incidenza superiore al 25% della superficie disperdente lorda, ovvero del 75%, in caso di interventi finalizzati a migliorare la prestazione energetica invernale ed estiva che conseguono almeno la qualità media di cui al decreto 26 giugno 2015 del Mise.

La detrazione si applica su un ammontare delle spese non superiore a 40.000 euro moltiplicato il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio e deve essere ripartita in 10 quote annuali di pari importo.

Per quanto riguarda il sismabonus, il credito d’imposta cedibile corrisponde alla detrazione dall’imposta lorda sul reddito, prevista nella misura del 75% delle spese sostenute, se dalla realizzazione degli interventi deriva una riduzione del rischio sismico che determina il passaggio a una classe inferiore di rischio, ovvero dell’85%, se c’è passaggio a due classi inferiori di rischio. La detrazione si applica su un ammontare delle spese non superiore a 96.000 euro moltiplicato il numero delle unità immobiliari che compongono l’edificio e deve essere ripartita in 5 quote annuali di pari importo.

In entrambi i casi il condòmino può cedere l’intera detrazione calcolata sulla base della spesa approvata dalla delibera assembleare per l’esecuzione dei lavori, per la quota a lui imputabile, o sulla base delle spese sostenute nel periodo d’imposta dal condominio, anche sotto forma di cessione del credito d’imposta ai fornitori, per la quota a lui imputabile.

Il cessionario può cedere, in tutto o in parte, il credito d’imposta acquisito solo dopo che sia diventato disponibile, cioè dal 10 marzo del periodo d’imposta successivo a quello in cui il condominio ha sostenuto la spesa.

Il credito ceduto ai fornitori, invece, si considera disponibile dal 10 marzo del periodo d’imposta successivo a quello in cui il fornitore ha emesso fattura comprensiva del relativo importo.

Come effettuare la cessione del credito
Per effettuare la cessione del credito, i condòmini, se i dati della cessione non sono indicati nella delibera assembleare che approva gli interventi, devono comunicare all’amministratore di condominio,entro il 31 dicembre del periodo d’imposta di riferimento, l’avvenuta cessione del credito indicando, oltre ai propri dati, anche denominazione e codice fiscale del cessionario che ha accettato.
L’amministratore del condominio, a sua volta:

comunica annualmente all’Agenzia delle Entrate, entro il 28 febbraio, i dati identificativi e l’accettazione del cessionario nonché l’ammontare del credito d’imposta ceduto sulla base delle spese sostenute dal condominio entro il 31 dicembre dell’anno precedente; consegna al condòmino la certificazione delle spese a lui imputabili, indicando il protocollo telematico con il quale ha effettuato la comunicazione all’Agenzia delle Entrate (il cui mancato invio rende inefficace la cessione del credito).

I condòmini appartenenti ai condomini “minimi”, che non hanno nominato un amministratore in quanto non obbligati, possono cedere il credito d’imposta incaricando un condòmino di effettuare gli adempimenti con le modalità e nei termini previsti per gli amministratori di condominio.
L’Agenzia delle Entrate rende visibile nel “Cassetto fiscale” del cessionario il credito a lui attribuito, che potrà essere utilizzato solo dopo la procedura di accettazione (tale informazione sarà visibile anche nel “Cassetto fiscale” del cedente).

Il cessionario che intende a sua volta cedere il credito attribuitogli deve comunicare la circostanza all’Agenzia tramite le stesse funzionalità telematiche presenti nel “Cassetto fiscale”.

Compensazione e controlli
Il credito d’imposta, non oggetto di successiva cessione, è utilizzabile in compensazione - senza applicazione dei limiti previsti dall’articolo 34 della legge 388/2000 - mediante il modello F24, da trasmettere esclusivamente attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate (in caso contrario, l’operazione viene rifiutata). Il codice tributo da indicare sarà istituito con successiva risoluzione.

La quota di credito non fruita nel periodo di spettanza è riportabile nei periodi d’imposta successivi, ma non può essere chiesta a rimborso.
I provvedimenti illustrano i controlli che l’amministrazione finanziaria metterà in atto, ovvero il recupero del relativo importo, maggiorato di interessi e sanzioni, avverrà nei confronti:
  • del condòmino, in caso di mancanza - anche parziale - dei requisiti oggettivi che danno diritto alla detrazione;
  • del cessionario, se lo stesso fruisce in modo indebito - anche parzialmente - del credito.

di Annalisa Galante

Membro del Comitato Scientifico Abitare Biotech
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martedì 5 settembre 2017

Il registro di anagrafe condominiale e l’autodiagnostica dei rischi

Nelle parti comuni e nelle unità immobiliari di proprietà individuale non possono essere realizzati o mantenuti impianti od opere che non rispettino la normativa sulla sicurezza degli edifici. Il mancato rispetto di detta normativa si considera situazione di pericolo imminente.
  • La legge di riforma del condominio e il registro di anagrafe condominiale.
La legge 11.12.2012 n. 220 ( pubblicata sulla Gu n. 293 del 17.12.2012) di riforma del condominio opera diretto riferimento alla problematica della sicurezza degli edifici e dei suoi abitanti in un numero notevole di norme. L’articolo 5, che riforma l’articolo 1120 del codice civile, al primo comma n. 2) sostiene che nel novero delle innovazioni deliberabili dall’assemblea vi sono anche:
“1) le opere e gli interventi volti a migliorare la sicurezza e la salubrità degli edifici e degli impianti;” L’articolo 6, che riforma l’articolo 1122, ora rubricato come “ Opere su parti di proprietà o uso individuale” afferma: “Nell’unità immobiliare di sua proprietà ovvero nelle parti normalmente destinate all’uso comune, che siano state attribuite in proprietà o destinate all’uso individuale, il condomino non può eseguire opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettonico dell’edificio. In ogni caso è data preventiva notizia all’amministratore che ne riferisce all’assemblea”.
Gli articoli 9 e 10, che sostituiscono gli articoli 1129 e 1130 del codice civile, affermano che è una grave irregolarità, la quale legittima i condomini a chiedere la convocazione dell’assemblea per fare cessare la violazione e revocare il mandato all’amministratore, l’omessa tenuta da parte di quest’ultimo del registro di anagrafe patrimoniale contenente ogni dato relativo alle condizioni di sicurezza. Inoltre sempre l ‘articolo 9 afferma: “Alla cessazione dell’incarico l’amministratore è tenuto alla consegna di tutta la documentazione in suo possesso afferente al condominio e ai singoli condomini e a eseguire le attività urgenti al fine di evitare pregiudizi agli interessi comuni senza diritto a ulteriori compensi”.
La lettura combinata di dette norme consente di affermare l’obbligo per l’amministratore di tenere di una sorta di “fascicolo del fabbricato “ idoneo a ricostruirne le sue vicende e le caratteristiche con riferimento non solo alla normativa di sicurezza, ma anche, inevitabilmente, a quella energetica.
  • Il contenuto del registro di anagrafe condominiale.
Il novellato articolo 1130 del codice civile afferma che il registro di anagrafe condominiale deve contenere:
* le generalità dei singoli proprietari e dei titolari di diritti reali e dei diritti personali di godimento;
* il codice fiscale e la residenza o il domicilio dei sopra citati soggetti;
* i dati catastali di ciascuna unità immobiliare;
* ogni dato relativo alla sicurezza.

Il contenuto di tale atto deve essere compreso alla luce del testo, poi non approvato, dell’art. 1122 bis del codice civile che si intitola “ Interventi urgenti a tutela della sicurezza negli edifici” e che recita quanto segue: “Nelle parti comuni e nelle unità immobiliari di proprietà individuale non possono essere realizzati o mantenuti impianti od opere che non rispettino la normativa sulla sicurezza degli edifici. Il mancato rispetto di detta normativa si considera situazione di pericolo imminente per l ‘integrità delle parti comuni e delle unità immobiliari di proprietà individuale, nonché per l’integrità fisica delle persone che stabilmente occupano il condominio o che abitualmente vi accedono.
L’amministratore, su richiesta anche di un solo condomino o conduttore, nel caso in cui sussista il ragionevole sospetto che difettino le condizioni di sicurezza di cui al primo comma, accede alle parti comuni dell’edificio ovvero richiede l’accesso alle parti di proprietà o uso individuale al condomino o al conduttore delle stesse.
La semplice esibizione della documentazione relativa all’osservanza delle normative di sicurezza non è di ostacolo all’accesso.
L’amministratore esegue l’accesso alle parti comuni con un tecnico nominato d’accordo con il richiedente ed esegue l’accesso alle unità immobiliari di proprietà individuale con un tecnico nominato di comune accordo tra il richiedente e l’interpellato. Il tecnico nominato, al termine dell’accesso, consegna una sintetica relazione al richiedente ed all’’amministratore, il quale la tiene a disposizione di chiunque vi abbia interesse. A seguito dell’accesso, qualora risulti la situazione di pericolo di cui al primo comma, l’amministratore convoca senza indugio l’assemblea per gli opportuni provvedimenti, salvo il ricorso di chiunque vi abbia interesse al tribunale per gli opportuni provvedimenti anche cautelari.
Nel caso in cui l’interpellato non consenta l‘accesso o non si raggiunga l’accordo sulla nomina del tecnico, previa, ove possibile, convocazione dell’assemblea, possono essere richiesti al tribunale gli opportuni provvedimenti anche in via d’urgenza. Il tribunale, valutata ogni circostanza e previo accertamento delle condizioni dei luoghi, può, anche in via provvisoria, porre le spese a carico di chi abbia immotivatamente negato il proprio consenso all’accesso.
Le spese delle operazioni di cui al presente articolo, qualora i sospetti si rivelino manifestamente infondati, sono a carico di chi ha richiesto l’intervento all’amministratore.
In tal caso, se vi è stato accesso alle proprietà individuali, il medesimo richiedente è tenuto, oltre che al risarcimento del danno, a versare al proprietario che ha subito l’accesso un’indennità di ammontare pari al 50 per cento della quota condominiale ordinaria dovuta dallo stesso proprietario in base all’ultimo rendiconto approvato dall’assemblea.”
Da quanto fin qui premesso si evince che sul punto la legge n. 220/2012 ha effettuato una scelta notevolmente riduttiva dei poteri dell’amministratore di condominio al quale sono sottratti poteri inquisitori sulla situazione di sicurezza del condominio all’interno delle abitazione dei singoli condomini.
Del resto appare evidente che detto professionista, ai sensi dell’articolo 1122 del codice civile, allorquando sarà stato informato del compimento da parte di un condominio, all’interno della sua unità immobiliare, di opere che rechino danno alle parti comuni ovvero determinino pregiudizio alla stabilità, alla sicurezza o al decoro architettino dell’edificio, ne riferisce all’assemblea. Pertanto nel registro di anagrafe condominiale sarà annotato il riferimento dei documenti (libretti di impianto, dichiarazioni di conformità, rapporti di visita tecnica da parte degli organi ispettivi, dichiarazioni di agibilità, permessi edilizi, progetti o schemi di impianti, certificati di prevenzione incendi, il documento di valutazione dei rischi del condomini o degli appalti in corso al suo interno, relativi alle parti comuni condominiali e redatti ai sensi degli articoli 18,28 ,26 del d.lvo n. 81/2008) o relativi agli impianti tecnologici o alle parti comuni del condominio ed in possesso dell’amministratore.
Sicuramente il registro di anagrafe condominiale non può contenere le autocertficazioni dei condomini relativi alla sicurezza degli impianti posti all’interno delle loro abitazioni, poichè, in primo luogo, detti atti non sono compatibili con il sistema giuridico di sicurezza degli impianti, secondo quanto previsto dal DM n. 37/2008 e dal d.lvo n. 81/2009, il quale prevede che la realizzazione, la manutenzione ed il funzionamento dei medesimi deve essere effettuato da tecnici abilitati i quali redigono registrazioni scritte delle operazioni compiute, espressamente dichiarate non sostituibili da innominate, e non consentite, autocertificazioni del privato.
Inoltre il termine “autocertificazione “ è assai ambiguo e non è suscettibile di amplia applicazione non giuridicamente prevista. In particolare giova notare che l’art. 483 del codice penale punisce con la reclusione fino a due anni chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità.
L’art. 485 del codice penale punisce con la reclusione da sei mesi a tre anni chiunque, al fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o recare ad altri un danno, formi, in tutto o in parte, una scrittura privata falsa, o altera una scrittura privata vera, qualora ne faccia uso o lasci che altri ne faccia uso. Sul punto la giurisprudenza è assai rigorosa:

- “ Integra il delitto di falsità ideologica commessa da privato in atto pubblico la falsa attestazione del legale rappresentante di una società circa il possesso, da parte di quest’ultima, di un requisito indispensabile per la partecipazione alla gara per l ‘aggiudicazione di un appalto pubblico, a nulla rilevando che tale attestazione sia contenuta in una autocertificazione con sottoscrizione non autenticata, ma ritualmente prodotta a corredo dell’istanza principale, unitamente alla fotocopia di un documento di identificazione, in conformità del modello legale vigente” (C.Cass. Pen., Sez. U, sent. n. 35488 del 28.6.2007, dep. il 24.9.2007, Rev. N. 236866).
- “Integra il delitto di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico e non quello di falso in atto pubblico per induzione la condotta del privato, parte di un contratto di compravendita immobiliare, che dichiari falsamente al notaio rogante la conformità urbanistica dell’immobile tacendo che lo stesso era stato oggetto di abusi edilizi”. (C.Cass. Pen, Sez. 5, sent. n. 11628 del 30.11.2011, dep. 26.3.201, rv. N. 252298).
- “Integra il reato di falsità in scrittura privata – art. 485 cod. pen. – la condotta di colui che forma falsamente e consegna al committente una dichiarazione di conformità di un impianto termoidraulico alla normativa vigente, obbligatoria per legge, facendola apparire come proveniente dal soggetto abilitato al suo rilascio.” (C.Cass. Pen., Sez. 5, sent n. 35441 del 3.7.2009, dep .il 11.9.2009, Rv. N. 245149).

di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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Misure a tutela degli abitanti e degli edifici in condominio

Con la recente legge n. 8/2017 il legislatore ha coinvolto gli amministratori di condominio per conseguire il risanamento ambientale e la sicurezza delle città al fine di garantire una migliore qualità della vita dei cittadini.

con il d. l. 20 febbraio 2017, n. 14, convertito con modifiche in legge il 12 aprile 2017, n. 48, il legislatore ha rinforzato le misure di sicurezza urbana, latu sensu intese, al fine di agevolare la pacifica e serena vita di relazione dei cittadini, nonché quelle inerenti al loro godimento ambientale delle città.
Come sovente è accaduto, di recente, lo Stato delega ai privati o agli Enti locali gli incombenti che possano garantire i diritti costituzionali del cittadino, in particolare sicurezza, libertà e salute, non potendoli svolgere in proprio.
Nella fattispecie in esame, per quanto attiene agli strumenti attuativi di questi oneri è lasciata libera facoltà agli interessati di “inventarsi” i mezzi più efficaci.
Ai sensi dell’art. 9, sono affidati al Sindaco il controllo e il potere sanzionatorio nei confronti di coloro che, occupando o stazionando in spazi pubblici, compromettono e rendono difficoltoso il libero loro utilizzo con profili di rischio per i cittadini, soprattutto per la loro incolumità.

Sono vietati tra gli altri comportamenti:
  1. la prostituzione con modalità ostentate;
  2.  l’accattonaggio con modalità in genere vessatorie;
  3. gli atti contrari alla pubblica decenza.
Compito degli Enti locali è quello di individuare alcuni luoghi che devono essere maggiormente protetti, quali i siti archeologici, il verde pubblico, i complessi scolastici, i luoghi all’aperto adibiti ai giochi dei bambini.
In questo modo si intende prevenire, anteriormente al suo compimento, un reato che possa compromettere la libera fruibilità dei quartieri e dei rioni cittadini.
Per i contravventori sono previste sanzioni pecuniarie con il vincolo di scopo di essere destinate al recupero del degrado urbano.
A questo fine, l’art. 16 della stessa normativa ha introdotto un nuovo comma all’art. 639 cod. pen., che prevede la contravvenzione concernente il deturpamento e l’imbrattamento di cose altrui, intese queste come i beni che possono formare oggetto di diritti e, quindi, gli immobili pubblici e privati. In questi casi il legislatore ha subordinato la sospensione condizionale della pena all’obbligo di ripristino e di ripulitura di quanto deturpato ovvero al rimborso delle relative spese necessarie o ancora all’esecuzione di attività non retribuita a favore della collettività, quest’ultima solo con il consenso dell’interessato.
Si rammenta che il reato è procedibile a querela di parte, che, visto il coinvolgimento diretto degli amministratori di condominio, art. 7, comma primo bis, possono ben essere costoro, al fine, per esempio, di vedere ripristinata la facciata dell’edificio da essi amministrato.
È opportuno, a mio parere, collegare le norme, sopra esposte, con l’art. 1135 cod. civ., come novellato dalla legge n. 220/2012 che prevede la possibilità, per l’assemblea, di autorizzare l’amministratore a collaborare, tra l’altro, a iniziative promosse dalla istituzioni locali finalizzate a favorire la vivibilità urbana, la sicurezza e la sostenibilità ambientale della zona nella quale il condominio è ubicato.
L’integrazione dell’interessamento e dell’attività tra amministrazione pubblica e amministrazione privata, alla luce della normativa del 2017, certamente di valenza imperativa, può prescindere da una delibera condominiale e l’amministratore di condominio, quale professionista, ex lege n. 4/2013, può collaborare con il Sindaco per segnalare, per quanto di sua competenza, ogni violazione di tutti i numerosi divieti sopra indicati, anche se gli sono, o possono essergli, ignoti gli autori. Infatti, l’amministratore si reca sovente nel condominio e, quindi, può accertare, personalmente o su segnalazione dei condomini, il verificarsi dei comportamenti illeciti sopra descritti, nonché qualunque azione prevista come reato.
In questo modo, inoltre, i condomini potrebbero o essere esentati dal ripulire il portone d’ingresso del condominio, imbrattato dagli occasionali “pittori”, o, comunque, conseguire un parziale rimborso della spesa necessaria per tale incombente.
Possibili protocolli d’intesa tra il Comune, l’ANACI e/o le Associazioni maggiormente rappresentative degli amministratori di condominio, possono individuare le modalità e le forme della precitata collaborazione.
In questo modo si realizzerebbe, in concreto, la sicurezza degli abitanti e dei frequentatori, a qualunque titolo, dei quartieri cittadini, nonché il loro recupero ambientale e architettonico, per un loro migliore godimento da parte di tutti.

di Gian Vincenzo Tortorici
Direttore CSN Anaci 
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