martedì 1 dicembre 2015

Solidarietà e Parziarietà


In tema di comunione condominiale e solidarietà passiva, la natura giuridica delle obbligazioni dei singoli condomini verso i terzi si fonda sul criterio di parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in misura proporzionale alle rispettive quote secondo quanto stabilito dagli artt. 752 e 1295 c.c. (fattispecie relativa all’azione promossa da una condomina, proprietaria di un magazzino al piano scantinato e di locali adibiti ad esercizio commerciale, la quale aveva convenuto in giudizio il Condominio e tutti i singoli condomini, per sentirli condannare al risarcimento dei danni cagionati alla sua proprietà da infiltrazioni d’acqua e ristagni d’umidità e all’eliminazione delle relative cause). (Massima ufficiale)
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 29 ottobre 2014 – 29 gennaio 2015, n. 1674
Presidente Piccialli – Relatore Manna
Dopo la nota Cass. SS.UU. 9148/2008 e vigente oggi la nuova formulazione dell’art. 63 disp. att. c.c. (che prevede una sussidiaria garanzia dei condomini virtuosi ove il debitore effettivo risulti infruttuosamente escusso dal terzo creditore), la Suprema Corte traccia un interessante excursus su un tema che rimane decisamente caldo. I giudici della seconda sezione prendono le mosse da un fatto che dà luogo a responsabilità extracontrattuale per ribadire, da un lato, che a tale tipo di obbligo deve riconoscersi natura solidale fra i condomini (per una evidente garanzia a favore del danneggiato) e per delineare i contorni attuali del tema della parziarietà in condominio, che invece deve riconoscersi alle obbligazioni che traggono la loro fonte nei contratti stipulati dal condominio con terzi soggetti e mediante i quali i condomini assumono pattiziamente obblighi (si tratti del pagamento della somministrazione di acqua o energia piuttosto che della fornitura del combustibile per riscaldamento).
I fatti sono assai semplici: un condomino fa causa al condominio e ad alcuni condomini “per sentirli condannare al risarcimento dei danni cagionati alla sua proprietà da infiltrazioni d’acqua e ristagni d’umidità, e all’eliminazione delle relative cause”. La Corte d’appello di Roma nega che sussista solidarietà fra i convenuti: “Quanto alla negata solidarietà passiva fra i singoli condomini, la Corte capitolina rilevava (richiamandosi a Cass. n.8530/96) che la distinzione tra rapporti interni e rapporti esterni non rispondeva al dato testuale dell’art. 1123 c.c. Nella disciplina positiva del condominio, proseguiva, vi è un collegamento immediato tra le obbligazioni e le quote che esprimono la proprietà per cui, secondo il combinato disposto degli artt. 1118 e 1123 c.c. i diritti e le obbligazioni dei condomini sono proporzionati al valore del bene in proprietà solitaria, sicché all’adempimento delle obbligazioni i condomini sono tenuti sempre in proporzione alle rispettive quote” e pertanto i danneggiati ricorrono in Cassazione per sentire chiarito il seguente principio di diritto: “Dica l’Ecc.ma Corte di Cassazione adita se, in tema di condominio, debba applicarsi l’art.1294 c.c. per cui i condebitori (condomini) sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta altrimenti, ritenendo che tale disposizione non sia derogata dalle norme specifiche concernenti il condominio negli edifici”.
La motivazione della Suprema Corte va riportata e letta integralmente perché offre un interessantissimo riepilogo della responsabilità contrattuale e della responsabilità aquiliana in condominio, con i relativi principi di diritto (e relative conseguenze pratiche) applicabili.
Non spaventi la lunghezza né la componente meramente di diritto; mai come in questo caso il “non solo massime” ha un senso anche per il professionista dell’amministrazione e non solo per il tecnico del diritto: “la natura delle obbligazioni dei singoli condomini verso i terzi è stata oggetto, vigente la disciplina anteriore alla legge n. 220/12 (in vigore dal 18.6.2013), di un intervento delle S.U. di questa Corte, le quali con sentenza n. 9148/08 hanno affermato, in rapporto ad obbligazioni assunte dall’amministratore in rappresentanza del condominio nei confronti di terzi, che in difetto di un’espressa previsione normativa che stabilisca il principio della solidarietà, la responsabilità dei condomini nel caso di obbligazioni pecuniarie è retta dal criterio della parziarietà, per cui le obbligazioni assunte nell’interesse del condominio si imputano ai singoli componenti soltanto in proporzione delle rispettive quote, secondo criteri simili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 c.c.. Ciò in quanto, si legge in motivazione, la solidarietà configura, nei rapporti esterni tra creditore e debitori, il modo di essere di un’obbligazione intrinsecamente parziaria quando la legge privilegia la comunanza della prestazione. Diversamente, in assenza di un’espressa previsione normativa che stabilisca la solidarietà nel debito, la struttura parziaria dell’obbligazione ha il sopravvento e insorge una pluralità di obbligazioni tra loro connesse. Sebbene la solidarietà raffiguri un principio riguardante i condebitori in genere, tale principio generale è valido laddove, in concreto, sussistano tutti i presupposti previsti dalla legge per l’attuazione congiunta del condebito. E poiché la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di un’obbligazione intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell’obbligazione come solidale e, contemporaneamente, in presenza di un’obbligazione comune, ma naturalisticamente divisibile, viene meno uno dei requisiti della solidarietà la quale, del resto, viene meno ogni qual volta la fonte dell’obbligazione comune è intimamente collegata con la titolarità delle res. Tale pronuncia delle S.U., emessa con riguardo ad un’obbligazione contrattuale che un condominio tramite il suo amministratore aveva assunto verso un terzo, ricollega dunque la solidarietà nelle obbligazioni divisibili ad una previsione legislativa che imponga l’esecuzione congiunta della prestazione. In disparte il delicato problema dell’esportabilità del principio anzi detto oltre gli stretti limiti di corrispondenza alla fattispecie concreta posta all’esame delle S.U. (per un’argomentata negativa cfr. in motivazione Cass. n. 21907/11, che osserva come la decisione delle S.U. si basi essenzialmente su
considerazioni ulteriori che eccedono il fondamento dell’art. 1294 c.c. e la sua applicabilità alla comunione), va osservato che in materia di responsabilità per fatto illecito l’espressa previsione della solidarietà passiva è contenuta nell’art. 2055, primo comma c.c., in base al quale se il fatto dannoso è imputabile a più persone, tutte sono obbligate in solido al risarcimento del danno. L’applicabilità dell’art. 2055 c.c. (che opera un rafforzamento del credito evitando al creditore di dover agire coattivamente contro tutti i debitori pro quota) ai danni da cosa condominiale in custodia trova una prima conferma, innanzitutto, in alcuni precedenti di questa Corte, come Cass. n. 6665/09, che ha ritenuto il condomino danneggiato quale terzo rispetto allo stesso condominio cui è ascrivibile il danno stesso (con conseguente inapplicabilità dell’art. 1227, primo comma c.c.); Cass. n. 4797/01, per l’ipotesi di danni da omessa manutenzione del terrazzo di copertura cagionati al condomino proprietario dell’unità immobiliare sottostante; Cass. n. 6405/90, secondo cui i singoli proprietari delle varie unità immobiliari comprese in un edificio condominiale, sono a norma dell’art. 1117 c.c. (salvo che risulti diversamente dal titolo) comproprietari delle parti comuni, tra le quali il lastrico solare, assumendone la custodia con il correlativo obbligo di manutenzione, con la conseguenza, nel caso di danni a terzi per difetto di manutenzione del detto lastrico, della responsabilità solidale di tutti i condomini, a norma degli artt. 2051 e 2055 c.c.. Ciò premesso a giustificazione di una linea di tendenza che appare già presente, va osservato che premesse storiche, ragioni sistematiche e considerazioni particolari alla fattispecie della responsabilità per danni derivanti da cose in custodia, confortano la tesi dell’applicabilità dell’art. 2055, 1 comma c.c. anche in ambito condominiale. Nel codice civile del 1865, che come tutti i codici liberali dell’800 richiedeva, essendo ispirato al favor debitoris, una specifica fonte convenzionale o legale della solidarietà (v. l’art. 1188 c.c. 1865), la previsione della solidarietà passiva nelle ipotesi di delitto o quasi-delitto (v. l’art. 1156 c.c. 1865) impediva che l’opposto principio della parziarietà dell’obbligazione, concepito come una sorta di beneficio, potesse operare anche a vantaggio di chi, essendo autore di un illecito aquiliano, non ne era ritenuto degno. Invertita nel codice vigente la regola generale sulla solidarietà passiva, l’art. 2055 c.c. può ritenersi mera norma di rimando all’art. 1294 c.c. solo a patto di riespandere quella portata generale e autoreferenziale di quest’ultima disposizione, che il citato arresto delle S.U. ha inteso comprimere. Diversamente, minore è la pervasività della regola generale nelle singole ipotesi di obbligazioni soggettivamente complesse nel lato passivo maggiore, di riflesso, è l’autonoma incidenza fondativa delle norme che prevedono la solidarietà in ambiti particolari, tra cui appunto l’art. 2055, 1 comma c.c. per quanto concerne la responsabilità extracontrattuale. Non può ipotizzarsi, infatti, che il sistema ponga allo stesso modo, con disposizioni ugualmente generiche e necessitanti d’integrazione, tanto la regola generale quanto quella di settore. A ciò va aggiunto che la stessa struttura della responsabilità per danni prevista dall’art. 2051 c.c. presuppone l’identificazione di uno o più soggetti cui sia imputabile la custodia. Il custode non può essere identificato né nel condominio, interfaccia idoneo a rendere il danneggiato terzo rispetto agli altri condomini, ma pur sempre ente di sola gestione di beni comuni, né nel suo amministratore, essendo questi un mandatario dei condomini. Solo questi ultimi, invece, possono considerarsi investiti del governo della cosa, in base ad una disponibilità di fatto e ad un potere di diritto che deriva loro dalla proprietà piena sui beni comuni ex art. 1117 c.c. (sui requisiti in generale della custodia ai fini dell’applicazione dell’art. 2051 c.c., cfr. Cass. S.U. n. 12019/91). Se ne deve trarre, pertanto, che il risarcimento del danno da cosa in custodia di proprietà condominiale non si sottrae alla regola della responsabilità solidale ex art. 2055, 1 comma c.c., individuati nei singoli condomini i soggetti solidalmente responsabili.”

L’assemblea convocata mediante pec inviata ad un indirizzo mail non certificato è viziata da annullabilità.(massima non ufficiale)
Tribunale di Genova, sentenza n. 3350/14; depositata il 23 ottobre
Alla massima precedente, che affronta un tema di alto spessore dogmatico come la solidarietà in condominio, affianchiamo una pronuncia di merito che - seppur non recentissima - affronta un tema molto pratico, ovvero la convocazione di assembela alla luce della innovazioni introdotte dalla L. 220/2012.
La motivazione è assai interessante e dovrebbe costituire per l’amministratore motivo di allarme sufficiente a non discostarsi dalle previsioni letterali della norma attualmente in vigore all’art. 66 disp. att. c.c. La mail pec inviata ad indirizzo di posta elettronica ordinario non è idonea ad una legittima convocazione. Il fatto è semplicissimo: due condomine convocate per Pec sul loro indirizzo di posta ordinaria lamentano di non aver mai ricevuto l’avviso ed impugnano la delibera.
La Corte genovese osserva che: “l’onere di provare che tutti i condomini siano stati tempestivamente convocati per l’assemblea condominiale grava sul condominio, non potendosi addossare al condomino che deduca l’invalidità dell’assemblea la prova negativa dell’inosservanza di tale obbligo. La prova gravante sul condominio può anche essere fornita tramite presunzioni e, tuttavia, non si può attribuire al comportamento dei condomini intervenuti, che nulla al riguardo abbiano eccepito, valore presuntivo della ricezione dell’avviso di convocazione anche da parte dei condomini non intervenuti (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24132 del 13/11/2009)”. Ma soprattutto il Tribunale evidenzia che “a parere di questo giudice le convocazioni dell’assemblea non sono avvenute ritualmente con la conseguente superfluità delle indagini probatorie richieste al fine di accertare l’effettiva ricezione della email da parte delle attrici infatti, l’art. 66 c 3 disp art c.c. in vigore dal 18/6/2013 dispone che l’avviso di convocazione, contenente specifica indicazione dell’ordine del giorno, deve essere comunicato almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza in prima convocazione, a mezzo di posta raccomandata, posta elettronica certificata, fax o tramite consegna a mano, e deve contenere l’indicazione del luogo e dell’ora della riunione. In caso di omessa, tardiva o incompleta convocazione degli aventi diritto, la deliberazione assembleare è annullabile ai sensi dell’articolo 1137 del codice su istanza dei dissenzienti o assenti perché non ritualmente convocati’. Alla luce del tenore letterale della norma, mentre prima della riforma del 2013 vigeva il principio della libertà delle forme attualmente sono state previste specifiche modalità di comunicazione tra cui quella mediante posta elettronica certificata da cui deriva che solo l’osservanza di dette forme postula la regolarità della comunicazione”. La conclusione del Tribunale richiede grande attenzione e cautela da parte dell’amministratore: “alla luce del chiaro tenore letterale della norma e della indicazione di specifiche modalità di convocazione, deve ritenersi che il legislatore abbia voluto tipizzare le forme della comunicazione limitandole a quelle che garantiscano la effettiva conoscibilità della convocazione stessa; quindi, se in passato vigeva il principio di libertà delle forme, come sancito dalla giurisprudenza di legittimità citata, per cui l’unico criterio concretamente applicabile doveva ritenersi quello che garantisse il raggiungimento dello scopo, con le modifiche intervenute con la L. n. 220 del 2012 l’amministratore del condominio deve utilizzare le forme scritte imposte dalla norma; nella specie, solo l’amministratore del condominio è titolare di PEC mentre le condomine attrici sono titolari di semplice casella di posta elettronica: la comunicazione mediante posta elettronica certificata è validamente effettuata ai sensi di legge solamente se entrambi gli utenti (mittente e destinatario) sono titolari di PEC; alla luce delle disposizioni indicate la PEC ha valore di raccomandata e, pertanto, soddisfa i requisiti di forma richiesti dall’art. 66 disp. att c.c. solo se entrambe le parti sono titolari di casella di posta elettronica certificata mancando altrimenti il presupposto richiesto dalla norma; l’inosservanza della forma indicata esime dallo svolgimento degli accertamenti istruttori richiesti in merito alla effettiva ricezione o meno della e mail da parte delle attrici (e) pertanto la comunicazione è avvenuta senza il rispetto delle forme richieste dalla legge con la conseguenza che la domanda (di annullamento, ndr) è fondata”.

di Massimo Ginesi
Coordinatore giuridico CSN Anaci

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