Ai fini della distinzione tra gli interventi a carico dell’usufruttuario e quelli a carico del nudo proprietario, non rileva la maggiore o minore attualità del danno da riparare, bensì il carattere ordinario o straordinario dell’opera, poiché, in considerazione della natura dei rispettivi diritti, l’usufruttuario ha l’onere di provvedere a quanto attiene alla conservazione ed al godimento della cosa, mentre sono riservate al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della stessa.
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 30 settembre – 6 novembre 2015, n.22703
Presidente Oddo – Relatore Matera
La pronuncia non attiene direttamente alla materia condominiale ma è comunque di grande interesse per l’amministratore che si trova con grande frequenza a dover decidere a quale dei due soggetti imputare le spese e attribuire il relativo diritto di voto. Non si dimentichi che il novellato art. 67 disp.att. cod.civ. prevede, ai commi VI, VII e VIII, che “ VI L’usufruttuario di un piano o porzione di piano dell’edificio esercita il diritto di voto negli affari che attengono all’ordinaria amministrazione e al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni. VII Nelle altre deliberazioni, il diritto di voto spetta ai proprietari, salvi i casi in cui l’usufruttuario intenda avvalersi del diritto di cui all’articolo 1006 del codice ovvero si tratti di lavori od opere ai sensi degli articoli 985 e 986 del codice. In tutti questi casi l’avviso di convocazione deve essere comunicato sia all’usufruttuario sia al nudo proprietario. VIII Il nudo proprietario e l’usufruttuario rispondono solidalmente per il pagamento dei contributi dovuti all’amministrazione condominiale” Se il principio della solidarietà fra i due soggetti, introdotto dalla L. 220/2012, semplifica la vita all’amministratore nella fase di riscossione coattiva, rimane comunque determinante comprendere quali importi devono essere imputati all’uno o
all’altro soggetto, anche solo ai fini di comprendere chi dovrà votare la relativa spesa.
Come sempre, quando si discute di denari, l’acume interpretativo delle parti assurge a vette vette impensabili; il nudo proprietario - verso cui l’usufruttuario ha avanzato domanda di rimborso delle spese sostenute per riparazioni straordinarie in pendenza di usufrutto - lamenta che riparazione e manutenzione straordinaria siano concetti non sovrapponibili e che l’usufruttuario possa ottenere il rimborso solo delle prime. Il passaggio interpretativo della Corte è invece in senso diametralmente opposto e vi si legge che, seppure i due termini nella lingua italiana non siano sinonimi, come tali invece devono essere intesi ai fini dell’usufrutto: “il ricorrente lamenta in primo luogo la violazione e falsa applicazione dell’art. 1006 c.c., in relazione all’affermazione contenuta nella sentenza impugnata, secondo cui la predetta norma di legge ‘fa riferimento alle sole spese di riparazione, mentre quelle liquidate in sentenza attengono alla diversa ipotesi della manutenzione straordinaria’. Deduce che l’art. 1006 c.c. va letto in collegamento con i precedenti artt. 1004 e 1005 c.c., e che è palese la commistione tra i due termini manutenzione”e “riparazione”. La Suprema Corte ritiene fondata la questione e da ragione all’usufruttuario, che chiedeva gli fossero rimborsate sia le spese per le riparazioni che quelle per straordinaria manutenzione sostenute in pendenza del suo diritto di usufrutto. La Corte di legittimità chiarisce che: “L’art. 1004 c.c. stabilisce, al primo comma, che sono a carico dell’usufruttuario “le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa”. L’art. 1005 c.c. dispone, invece, che sono a carico del nudo proprietario le riparazioni straordinarie, considerando come tali, con elencazione ritenuta dalla giurisprudenza di carattere non tassativo, “quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri
e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta”. L’art. 1006 c.c. prevede, poi, la facoltà dell’usufruttuario di far eseguire a proprie spese le riparazioni poste a carico del proprietario, quando quest’ultimo, previamente interpellato, rifiuti di eseguirle o ritardi l’esecuzione senza giustificato motivo. In tal caso, la stessa norma stabilisce che le spese devono essere rimborsate alla fine dell’usufrutto, senza interessi. Pur dovendosi rilevare che, in linea di principio, la nozione di “manutenzione” non si identifica con quella di “riparazione” (intendendosi per “riparazione” l’opera che rimedia ad un’alterazione già verificatasi nello stato delle cose in conseguenza dell’uso o per cause naturali, e per “manutenzione” l’opera che previene l’alterazione: cfr. Cass. 4-1-1969 n. 10), dal coordinamento delle menzionate disposizioni di legge si desume chiaramente che il legislatore ha operato una commistione di tali termini, come è reso evidente dal fatto che l’art. 1004 c.c., nell’onerare (primo comma) l’usufruttuario della “manutenzione ordinaria”, pone a carico del medesimo usufruttuario (secondo comma) le “riparazioni straordinarie” rese necessarie dall’inadempimento degli obblighi di “ordinaria manutenzione”. Diversamente opinando, si perverrebbe alla inammissibile conclusione secondo cui, ponendo l’art. 1005 c.c. a carico del nudo proprietario solo le “riparazioni straordinarie”, la “manutenzione straordinaria” dovrebbe gravare a carico dell’usufruttuario; il tutto in contrasto con l’espressa previsione del citato art. 1004 c.c., che pone a carico dell’usufruttuario solo le spese e gli oneri relativi alla “manutenzione ordinaria della cosa”, con ciò stesso facendo ricadere a carico del nudo proprietario la manutenzione straordinaria. La piena sovrapponibilità delle nozioni “manutenzione” e “riparazione” utilizzati in materia dal legislatore trova ulteriore conferma nel primo comma dell’art. 1015 c.c., che sanziona con la decadenza dall’usufrutto la condotta dell’usufruttuario il quale lasci andare i beni in perimento per mancanza di “ordinarie riparazioni”, facendo quindi ricorso ad una terminologia diversa da quella di “manutenzione ordinaria” impiegata nel primo comma dell’art. 1004 c.c. per indicare le attività alle quali è tenuto l’usufruttuario. Deve concludersi, in definitiva, che ciò che rileva, ai fini della distinzione tra gli interventi gravanti a carico dell’usufruttario e del nudo proprietario, non è la maggiore o minore attualità del danno da riparare, ma la essenza e la natura dell’opera, e cioè il suo carattere di ordinarietà o straordinarietà, poiché solo tale caratterizzazione incide sul diritto di cui l’uno o l’altro dei due soggetti sono titolari: spettando all’usufruttuario l’uso e il godimento della cosa, salva rerum substantia, si deve a lui lasciare la responsabilità e l’onere di provvedere a tutto ciò che riguarda la conservazione e il godimento della cosa nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine produttiva; si devono, invece, riservare al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della cosa, perché afferiscono alla nuda proprietà (v Cass. 4-1-1969 n. 10 citata). Ha errato, pertanto, la Corte di Appello nel ritenere che l’art. 1006 c.c. si riferisca alle sole spese di “riparazione”, con esclusione delle spese di “manutenzione straordinaria”, L’amministratore potrà quindi fare buon uso e trarre ottime indicazioni da questa analitica ed esauriente motivazione quando si troverà a dover decidere se attribuire una spesa al nudo proprietario o all’usufruttuario.
di Massimo Ginesi
Coordinatore giuridico CSN Anaci
Fonte: Amministrare Immobili
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