giovedì 7 aprile 2016

L’amministratore di condominio come guida per i condomini

Pensare che un amministratore condominiale possa svolgere una funzione di “guida” per i condòmini, può essere un’idea bislacca, poco realistica e un po’ avventata.
Ma perché non esplorarla?
Da diverso tempo mi sto occupando, come psicologo di comunità, del lavoro degli amministratori di condominio e sono sempre più convinto che questo ruolo ha una valenza sociale che dovrebbe essere riconosciuta. Dalle istituzioni e dall’opinione pubblica. Ma anche dagli amministratori stessi che, in molti casi, potrebbero attrezzarsi meglio per svolgere anche questa funzione, di natura psicosociale.
Personalmente sono convinto che sia possibile immaginare un ruolo più ampio per l’Amministrazione Condominiale. Un ruolo che promuova e sostenga un’immagine più positiva di questa figura, garantisca all’amministratore una maggiore gratificazione dal proprio lavoro e contenga lo stress che lo caratterizza.
Come dicevo, da un po’ di tempo sono impegnato a capire cosa potrebbero fare gli amministratori condominiali a questo riguardo. A capire se, oltre a svolgere i compiti specifici del loro ruolo tecnico e amministrativo, potrebbero dare un contributo per affrontare altri problemi con cui si confrontano le persone che abitano nei complessi da loro amministrati.
Prima di tutto il condominio non è solo un edificio. È anche un insieme di persone che abitano sotto lo stesso tetto. Una comunità. Una comunità in difficoltà. Persone che, nel bene e nel male, devono condividere diversi aspetti della loro vita. Questa vicinanza, scelta od obbligata che sia, può essere un’opportunità, un problema o tutte e due.
Cosa comporta questo per l’amministratore?
Intanto non può occuparsi solo dell’immobile. Ci sono le persone che reclamano attenzione, ascolto e risposte. A volte a richieste pertinenti. Altre volte a richieste che arrivano all’amministratore perché non c’è nessun altro a cui rivolgerle o perché è il più vicino.
Il rapporto con le persone comporta una fatica, forse la fatica maggiore. E richiede tempo. Se non si prendono gli opportuni accorgimenti, molto tempo.
Ho capito che per un amministratore condominiale il tempo è la risorsa più scarsa. Una risorsa che deve essere usata bene e che non può essere assolutamente sprecata. Il rapporto fra tempo disponibile e cose da fare è spesso sbilanciato. In alcuni casi ciò diviene motivo di stress e influisce sul lavoro e sulla qualità della vita dell’amministratore.
Altro che occuparsi dei problemi dei condomini!
Bisogna proteggersi dalle loro richieste, spesso eccessive e non pertinenti. Questo è ciò che fanno alcuni amministratori per sopravvivere, per non essere risucchiati dalle inesauribile richieste di condomini, sempre più bisognosi o pretenziosi.
Al di là delle misure adottate da alcuni per proteggersi dall’invadenza, le persone hanno bisogni che premono e ignorarli potrebbe essere una soluzione peggiore di cercare di fare qualcosa per rispondere.
Ciò vuol dire che un amministratore condominiale, che lo riconosca o no e che gli piaccia meno, in un certo senso è costretto a fare anche l’operatore psicosociale. Personalmente lo includerei fra le professioni di aiuto. Specialmente in questo momento in cui il sistema dei servizi pubblici o parapubblici appare decisamente inadeguato per rispondere ad un numero elevato di bisogni.
Certamente alcuni amministratori, forse la maggior parte di loro, non riconoscono e non apprezzano questa funzione e si lamentano di “dover fare anche gli psicologi e gli assistenti sociali”.
Dal loro punto di vista, “fare gli psicologi e gli assistenti sociali”, oltre ad essere un compito improprio, è anche un fatto che snatura il loro lavoro.
In certo senso, hanno ragione. Non sono lì per fare questo. Né hanno il ruolo e le competenze per fare gli psicologi e gli assistenti sociali. Ma nel lamentarsi di dover fare questo, riconoscono che a loro è richiesto uno sforzo per “capire le persone e fare qualcosa per aiutarle”.
Le persone, con le loro competenze, aspirazioni, credenze, valori, bisogni e problemi, sono lì, nel condominio. Certo, sarebbe molto più facile amministrare un condominio, se non ci fossero le persone. Ma sarebbe un altro lavoro.
Queste persone oggi sono in difficoltà. Si trovano di fronte problemi nuovi. Oppure a problemi vecchi che non possono essere affrontati nel modo abituale, perché le soluzioni di un tempo non funzionano più. Le persone sono spaesate, disorientate, impaurite, arrabbiate. A volte rancorose. In molte situazioni non sanno cosa fare. E, a volte, fanno le cose sbagliate.
Di fronte ai problemi di complessità crescente, per la molteplicità e l’intreccio dei fattori che li causano e la varietà degli esiti possibili, riconoscere e accettare di non sapere cosa fare, di non avere la soluzione certa, sarebbe la cosa più saggia. Ma è anche la più ansiogena. Per questo ci si agita, senza avere criteri certi e soprattutto condivisi per orientarsi. E si inventano soluzioni/non soluzioni, pur di contenere l’ansia dell’incertezza. In questa situazione le persone avrebbero bisogno di un supporto e di una guida. Di essere aiutate a ritrovare la strada, di essere sostenute nella fase dell’incertezza che è necessario attraversare per capire la scelta da fare. Lì, nel posto dove abitano. Da parte di qualcuno che conosce loro e la condizione nella quale si trovano. Potrebbe essere questo un servizio dell’amministratore condominiale?
Io penso di sì. L’amministratore è prossimo alle persone, in molti casi le conosce e vede i problemi molto prima degli psicologi e degli assistenti sociali che stanno nei servizi. Inoltre conosce il contesto, le sue fragilità e le sue risorse. Ma il condizionale è d’obbligo. Non sempre gli amministratori sono organizzati per farlo. Non hanno né tempo, né competenze. Né sono pagati per questo.
L’Amministratore dovrebbe quindi organizzarsi e dotare il suo studio delle competenze psicosociali necessarie. In questo modo potrebbe svolgere un ruolo di grande rilevanza sociale ed entrare a far parte a pieno titolo anche del sistema dei servizi alle persone.
E’ questa la prospettiva del gestore sociale che si sta affermando, ad esempio, nell’ambito del housing sociale. Potrebbe diventare un nuovo modo di intendere la professione, ma anche un possibile elemento su cui giocarsi la competizione in un mercato sempre più affollato di offerte.
In ogni caso, se questa apertura alla dimensione psicosociale non assicura necessariamente più soldi, potrebbe portare comunque un maggiore riconoscimento sociale agli amministratori e una maggiore gratificazione per il proprio lavoro.


di Elvio Raffaello Martini
Psicologo
Amministrare Immobili

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