venerdì 6 maggio 2016

CENTRO COMMERCIALE E LUOGHI DI LAVORO: una sentenza interessante

La Suprema Corte puntualizza che ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di ‘luogo di lavoro’; a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro.

Le parti comuni di un centro commerciale sono da considerarsi “luogo di lavoro” ai sensi della sicurezza sui luoghi di lavoro? Il proprietario di un centro commerciale è tenuto a rispettare i criteri del d.lgs. 81/2008 anche se privo di lavoratori dipendenti? A queste forse insidiose domande risponde la sentenza n.40721 del 9 ottobre 2015 emessa dalla IV sezione penale della Corte di Cassazione.
Il fatto è piuttosto semplice: la dipendente di un negozio di parrucchiera interno al centro commerciale “nel transitare nell’ingresso dell’edificio, scivolava sul pavimento parzialmente coperto da tappeti mobili e bagnato per l’acqua caduta dall’ombrello chiuso di una cliente che la precedeva. Ad avviso della Corte di Appello l’infortunio si era determinato a causa del mancato apprestamento di una adeguata copertura del pavimento dell’ingresso delle Gallerie; questo era da reputarsi ‘ambiente di lavoro’ e quindi competeva all’imputato, nella qualità di amministratore delegato della società (…) proprietaria dell’edificio (…) di provvedere a porre in sicurezza il pavimento dell’ingresso.”
L’imputato ricorre contestando la nozione di ambiente di lavoro assunta dalla Corte di Appello; nel merito afferma la Suprema Corte che si “pone il tema della riconoscibilità e della tipologia di una posizione di garanzia in capo all’imputato, dalla quale discenderebbe l’obbligo di apprestare idonee misure di sicurezza nell’area di ingresso del centro commerciale, teatro dell’infortunio occorso. Con riguardo al datore di lavoro, già la nozione normativa [art. 2, lett. b) d.lgs. n. 81/2008], incardinandosi sulla titolarità di poteri decisionali e di spesa e sulla connessa responsabilità dell’organizzazione nel cui ambito il lavoratore presta la propria attività (oltre che alla titolarità del rapporto di lavoro, evenienza che nel caso che occupa non rileva), evidenzia la necessità di limitare lo sguardo ricognitivo al perimetro di una determinata organizzazione imprenditoriale, della quale va ricostruita la catena gestionale. Detto altrimenti, nell’accertamento della esistenza di una concreta posizione di garanzia, premessa dell’attribuzione di uno specifico evento concreto, non interessa un qualsiasi soggetto datore di lavoro, ma colui che ne reca le attribuzioni in riferimento alla determinata organizzazione imprenditoriale nel cui ambito presta la propria attività il lavoratore infortunatosi.”
Dopo un ampia disamina del dettato normativo, la Suprema Corte puntualizza che ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di ‘luogo di lavoro’; “a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro. In particolare, può trattarsi anche di un luogo nel quale i lavoratori si trovino esclusivamente a dover transitare, se tuttavia il transito é necessario per provvedere alle incombenze loro affidate.”
Per contro, prosegue la sentenza di Cassazione, “non può parlarsi di luogo di lavoro (da preferirsi in questo caso alla locuzione utilizzata dalla Corte di Appello di ‘ambiente di lavoro’) solo sul presupposto che un qualsiasi soggetto, che é anche prestatore d’opera in favore di taluno, vi si trovi a transitare. Va ribadita la stretta correlazione che esiste tra la nozione di ‘luogo di lavoro’ e la specifica organizzazione imprenditoriale alla quale questo accede in funzione servente; correlazione che deriva dalla necessità che si tratti di ambito spazio funzionale sul quale possano e debbano estendersi i poteri decisionali del vertice della compagine.”
E la S.C. formula espressamente il seguente principio di diritto: “in materia di responsabilità per violazioni delle norme antinfortunistiche, il datore di lavoro obbligato al rispetto delle prescrizioni dettate dal Titolo II del d.lgs. n. 81/2008 per la sicurezza dei luoghi di lavoro va identificato in colui che riveste tale ruolo nell’organizzazione imprenditoriale alla quale accede il luogo di lavoro medesimo”.
Quindi, l’attribuzione all’imputato di una posizione di garanzia tra quelle definite dalla normativa prevenzionistica, precisamente quella di datore di lavoro, avrebbe richiesto la preliminare qualificazione dell’area di ingresso del centro commerciale come luogo di lavoro della società proprietaria; qualificazione possibile solo a condizione di effettuare il preliminare accertamento – mai avvenuto – che quell’area costituisse luogo di lavoro nell’ambito dell’organizzazione aziendale della stessa società. “Diversamente, eventuali obblighi di assicurazione della non pericolosità dell’area potrebbero farsi discendere unicamente dalla proprietà degli spazi; con esclusione, quindi, della violazione di obblighi datoriali e procedibilità a querela del reato. Come già scritto, tale accertamento non emerge dalla motivazione della sentenza in esame, che anzi menziona – manifestando un evidente fraintendimento – la titolarità del diritto di proprietà sull’immobile quale fondamento della posizione di debitore di sicurezza dell’odierno ricorrente rispetto al preteso ‘ambiente di lavoro’.”
In conclusione, la sentenza impugnata è stata annullata con rinvio ad altra sezione della stessa Corte di Appello, che dovrà accertare se l’ingresso dell’edificio ove avvenne il sinistro sia stato, al tempo, luogo destinato ad ospitare posti di lavoro ovvero luogo accessibile nell’ambito del loro lavoro ai lavoratori dipendenti della società proprietaria. Ove l’accertamento risulti positivo, dovrà essere verificato se sussistevano le condizioni perché la tutela che l’imputato avrebbe dovuto apprestare a vantaggio dei propri dipendenti, doveva ritenersi estesa anche alla lavoratrice infortunata.
Ribadiamo infine un principio che emerge molto chiaro da questa lunga e motivata sentenza, e che ripetiamo da anni anche su queste pagine: proprietà e datorialità sono due concetti profondamente differenti e sono anche, per chi se ne occupa senza superficialità, piuttosto facili da distinguere. E’ un peccato dover arrivare fino in Cassazione perché tutto ciò sia riconosciuto.

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