giovedì 5 maggio 2016

L'ABBAIAR DI CANI ALL'INTERNO DEL CONDOMINIO

L'Abbaiare dei Cani tra inibitorie sul versante civilistico e configurazioni di fattispecie penali

Qualora un regolamento condominiale vieti la detenzione di animali che possano turbare la quiete della collettività, il semplice “possesso” di cani non è sufficiente a far incorrere i condomini in questo divieto, essendo necessario che si accerti effettivamente il pregiudizio causato ai condomini sotto il profilo della quiete.

Commentando l’inserimento, ad opera della legge n. 220/2012, di riforma della normativa condominiale, entrata in vigore il 18 giugno 2013, dell’ulteriore comma (a questo punto, il quinto) all’art. 1138 c.c. - a tenore del quale “le norme del regolamento non possono vietare di possedere o detenere animali domestici” - si era avvertito che la presenza di questi ultimi, all’interno degli appartamenti privati, dovesse rivelarsi comunque in linea con le altre previsioni normative contemplate dalla legislazione di settore, segnatamente il codice civile, non escludendo nemmeno il concretizzarsi di fattispecie di rango penale. In altri termini, il fatto che, attualmente, è vietato… vietare la detenzione di animali domestici - comportando, in futuro, l’invalidità in parte qua di eventuali clausole regolamentari che stabiliscano preclusioni in tal senso e, forse, anche per il passato, di previsioni limitatrici in regolamenti già esistenti - non fa scattare il riconoscimento tout court di un diritto soggettivo pieno ed incondizionato in capo al relativo titolare. Invero, l’esistenza di animali all’interno di unità immobiliari poste in un edificio in condominio potrebbe essere fonte di immissioni ex art. 844 c.c. e, al contempo, potrebbe recare disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, ai sensi dell’art. 659 c.p. che disciplina la contravvenzione di disturbo alla quiete pubblica.
Non va, parimenti, sottaciuto che, talvolta, a monte dei possibili intollerabili fastidi che le bestie creano al normale svolgimento della vita quotidiana, si nascondono altri tipologie di insofferenze di carattere personale.
Oggetto di queste brevi note è, in particolare, l’abbaiare dei cani che ha interessato il profilo civile e quello penale.
Partendo da quest’ultimo, si ricorda che l’art. 659 c.p. (“disturbo delle occupazioni o del riposo delle persone”), contempla due distinte ipotesi di reato contravvenzionale: per quel ci interessa in questa sede, quella del comma 1, punita con l’arresto fino a 3 mesi o con l’ammenda fino a euro 309,00, prevede l’ipotesi in cui chiunque, mediante schiamazzi o rumori, o abusando di strumenti sonori o di segnalazioni acustiche, o “suscitando o non impedendo strepiti di animali”, disturba le occupazioni o il riposo delle persone, oppure gli spettacoli, i ritrovi o i trattenimenti pubblici.
Al riguardo, vale la pena di citare la recente Cass. pen. 27 ottobre 2015 n. 48460, la quale ha confermato la sentenza di merito che aveva giudicato una condomina (sempre una donna!) colpevole della contravvenzione di cui al citato art. 659 e l’aveva condannata alla pena di euro 200,00 di ammenda, addebitandogli di “non aver impedito lo strepitio del proprio cane, pastore tedesco, così disturbando le occupazioni ed il riposo dei residenti”. La suddetta condomina aveva proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi.
In primo luogo, la ricorrente aveva evidenziato la mancanza/contraddittorietà/manifesta illogicità della motivazione, in quanto il Tribunale l’avrebbe condannata pur in difetto di qualsivoglia accertamento tecnico, oggettivo, volto a verificare il superamento della soglia di normale tollerabilità. In secondo luogo, la stessa ricorrente si doleva del fatto che la sua condanna sarebbe stata fondata esclusivamente su tre deposizioni, e non vi sarebbe stata alcuna prova, pertanto, del potenziale disturbo ad un numero indeterminato di persone, tali non potendosi ritenere tre soli condomini.
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto il ricorso “manifestamente infondato”.
Si è osservato che il Tribunale aveva riconosciuto la responsabilità della condomina in ragione di plurimi elementi istruttori e, in particolare, delle deposizioni rese da tre testimoni, il quali - senza alcun motivo di astio o risentimento verso la ricorrente - avevano confermato quanto contestato ai sensi dell’art. 659 c.p., e, nello specifico, che il cane di proprietà della stessa era “solito abbaiare di giorno e quasi tutte le notti, con grande frequenza, sì da disturbare il sonno, reso quasi impossibile, e recare evidente disturbo al riposo” degli stessi, tutti abitanti nello stesso edificio.
La sentenza impugnata aveva anche esaminato gli elementi di prova indotti dalla difesa, ma, con motivazione logica e congrua, ne aveva affermato l’inattendibilità (due testi erano ex fidanzati della ricorrente), fino a precisare - emergenza non contestata neppure in sede di legittimità - che la stessa condomina aveva ammesso che “il cane abbaiava, pure se non così continuamente come mi si accusava ... anche perché il cane dorme, non è che stava 24 ore ad abbaiare di continuo”.
Orbene, in forza di questa motivazione - che gli ermellini hanno apprezzato per completezza, congruità e logicità - la sentenza ha richiamato, per un verso, il costante principio secondo cui l’affermazione di responsabilità per la fattispecie de qua non implica, attesa la natura di “reato di pericolo presunto”, la prova dell’effettivo disturbo di più persone, essendo sufficiente “l’idoneità della condotta a disturbarne un numero indeterminato” (v., per tutte, Cass. pen. 24 giugno 2014 n. 8351), e per altro verso, l’ulteriore principio, del pari consolidato, per cui l’attitudine dei rumori a disturbare il riposo delle persone non va necessariamente accertata mediante consulenza tecnica, sicché il giudice ben può fondare il proprio convincimento su elementi probatori di diversa natura, quali le dichiarazioni di coloro che sono in grado di riferire le caratteristiche e gli effetti dei rumori percepiti, sì che risulti oggettivamente superata la soglia della normale tollerabilità (v., tra le altre, Cass. pen. 5 febbraio 2015 n. 11031, secondo cui, in tema di disturbo delle occupazioni e del riposo delle persone, l’effettiva idoneità delle emissioni sonore ad arrecare pregiudizio ad un numero indeterminato di persone costituisce un accertamento di fatto rimesso all’apprezzamento del giudice di merito, il quale non è tenuto a basarsi esclusivamente sull’espletamento di specifiche indagini tecniche, ben potendo fondare il proprio convincimento su altri elementi probatori in grado di dimostrare la sussistenza di un fenomeno in grado di arrecare oggettivamente disturbo della pubblica quiete).
Per il resto, la piena attendibilità delle deposizioni assunte, riguardanti il latrato del cane della suddetta condomina, non risultava contestata con argomenti concreti neppure nel ricorso per cassazione, sì da manifestarsi la piena infondatezza degli argomenti dedotti e, segnatamente, l’invocata necessità di esperire comunque accertamenti di natura tecnica, nonché di provare il numero indeterminato di soggetti potenzialmente danneggiati, non risultando a ciò sufficienti tre persone.
In argomento, va ricordato che la richiamata Cass. pen. n. 8351/2014 ha chiarito che la contravvenzione di cui all’art. 659, comma 1, c.p. è reato “solo eventualmente permanente”, che si può consumare anche con un’unica condotta rumorosa o di schiamazzo recante, in determinate circostanze, un effettivo disturbo alle occupazioni o al riposo delle persone, in quanto non è necessaria la prova che il rumore abbia concretamente molestato una platea più diffusa di persone, essendo sufficiente l’idoneità del fatto a disturbare un numero indeterminato di individui (nella specie, si era ritenuto penalmente rilevante l’insistente abbaiare di un cane per una notte intera, sebbene ad intervalli).
Quanto, poi, alla figura del reato di pericolo presunto, Cass. pen. 24 gennaio 2012 n. 7748 ha ribadito che, per la sua integrazione, è sufficiente l’idoneità della condotta ad arrecare disturbo ad un numero indeterminato di persone, non occorrendo l’effettivo disturbo alle stesse, per cui si è considerata integrata la fattispecie a carico del proprietario di cani, tenuti in un giardino recintato, che non aveva impedito il loro continuo abbaiare, tale da arrecare disturbo al riposo delle persone dimoranti in abitazioni contigue (v., altresì, Cass. pen. 21 ottobre 1996 n. 12984, che, sempre in una fattispecie concernente l’abbaiare di un cane, ha confermato che la contravvenzione di cui sopra non è reato di danno, sicché per la sua sussistenza, non è necessario la prova che il disturbo investa un numero indeterminato di persone, essendo sufficiente la dimostrazione che la condotta posta in essere dall’agente sia tale da poter disturbare un numero indeterminato di persone).
Di converso, sempre sul presupposto che il reato di cui all’art. 659 c.p. ha natura di reato di pericolo presunto e che, ai fini della sua configurazione, non è necessaria la prova dell’effettivo disturbo di più persone, ma è sufficiente “l’idoneità del fatto a disturbare” un numero indeterminato di persone, Cass. pen. 8 ottobre 2004 n. 40393 ha censurato la decisione del giudice di merito che aveva pronunciato la declaratoria di non luogo a procedere per il suddetto reato sulla base della considerazione che l’abbaiare del cane non disturbava tutti i vicini.
Nella stessa lunghezza d’onda, si è posta Cass. pen. 9 dicembre 1999 n. 1394, la quale, dovendo decidere sulla sentenza nella quale il giudice di merito aveva ritenuto sussistere il disturbo all’occupazione e al riposo delle persone nel fatto di un soggetto che non impediva gli strepiti e l’abbaiare di un cane tenuto presso la propria abitazione, ha precisato che, ai fini della configurabilità del reato, è necessario che i lamentati rumori abbiano attitudine a propagarsi ed a costituire un disturbo per una potenziale pluralità di persone, “ancorché non tutte siano state, poi, disturbate”.
Resta fermo che i rumori, gli schiamazzi e gli strepiti, per costituire l’elemento materiale della contravvenzione ex art. 659 c.p., devono avere una certa “potenzialita diffusa” per modo che l’evento del disturbo possa essere risentito da un numero indeterminato di persone (in quest’ordine di principi, Cass. pen. 20 gennaio 1969 n. 77 aveva escluso l’estremo della molestia nell’isolato abbaiare di un cane).
Sotto il profilo civilistico, viene sùbito in mente il disposto dell’art. 844 c.c., che vieta le immissioni, nella specie rumori, che superino la normale tollerabilità (in questa sede, si prescinde dall’eventuale esistenza di una normativa di tipo pubblicistico, che è volta precipuamente a regolare il rapporto tra il privato, proprietario dell’immobile da cui provengono le immissioni, e l’autorità deputata alla vigilanza sull’osservanza degli standard ambientali fissati dal legislatore).
In questa prospettiva, una pronuncia di merito (v. Trib. Bari 12 aprile 2006) ha ritenuto che la detenzione di un animale può integrare la fattispecie di cui all’art. 844 c.c., poiché tale norma, interpretata estensivamente, è suscettibile di applicazione in tutte le ipotesi di immissioni che provochino una situazione di intollerabilità attuale (nella specie, si trattava di inibire la condotta illecita del proprietario del cane, a causa del danno alla tranquillità e alla qualità della vita conseguenti all’abbaiare rivelatosi improvviso nel manifestarsi e persistente nel tempo, anche in ore destinate al riposo).
Tuttavia, in presenza di un’apposita disposizione regolamentare, è ragionevole ritenere che, stante la sua generica portata, il divieto in essa contemplato non si riferisca al solo fatto di tenere in casa gli animali, ma è necessario che si sia effettivamente verificato quel pregiudizio concreto previsto dalla compagine condominiale (secondo Trib. Milano 22 marzo 1990, il disturbo dell’abbaiare di un cane nel condominio non va presunto ma pur sempre inquadrato nei limiti della normale tollerabilità).
In senso conforme, si è pronunciato Pret. Campobasso 12 maggio 1990, rilevando che, qualora un regolamento condominiale vieti la detenzione di animali che possano turbare la quiete della collettività, il semplice “possesso” di cani non è sufficiente a far incorrere i condomini in questo divieto, essendo necessario che si accerti effettivamente il pregiudizio causato ai condomini sotto il profilo della quiete; in altri termini, è vero che la predisposizione di un regolamento impegna coloro che lo hanno recepito, ma è altrettanto vero che la violazione delle relative disposizioni deve essere stata effettivamente posta in essere, sicché, per integrare il suddetto divieto, occorre che gli animali de quibus abbiano turbato, concretamente ed in maniera rilevante, la quiete dei condomini.
Nella stessa lunghezza d’onda, si pone Trib. Milano 28 maggio 1990, secondo cui, in caso di regolamento condominiale che vieti tassativamente di recare disturbo ai vicini con rumori di qualsiasi natura, il continuo abbaiare di tre cani pastore configura la lesione di tale norma regolamentare (contra, appare Trib. Napoli 29 maggio 1998, il quale ha reputato che le immissioni di rumori, che rechino danni o semplice disturbo agli altri partecipanti, consistenti nell’abbaiare di cani - nella specie, quattro huski siberiani - provenienti da un alloggio in un edificio condominiale, devono essere inibite solo nell’ipotesi in cui sussista il divieto assoluto di tenere nel giardino e nei balconi dei singoli appartamenti in base a disposizioni del regolamento di natura contrattuale, aventi valore di legge a norma dell’art. 1372 c.c.).
Qualora, invece, non ci sia un regolamento di condominio o questo sia silente sul punto, il singolo può avere con sé in casa cani di qualsiasi razza, purché impedisca agli stessi di provocare immissioni intollerabili ai vicini ed alla compagine condominiale sotto i diversi profili della quiete, tranquillità, sicurezza, incolumità e quant’altro. Invero, la mera detenzione di un animale può integrare in astratto la fattispecie di cui all’art. 844 c.c., in quanto tale norma, interpretata estensivamente, è suscettibile di trovare applicazione in tutte le ipotesi di immissioni, che abbiano carattere materiale, mediato o indiretto, e siano fonte di una situazione di intollerabilità; pertanto, ad avviso di Trib. Piacenza 10 aprile 1990, in mancanza di un regolamento di tipo contrattuale che vieti al singolo di detenere animali nell’immobile di sua esclusiva proprietà, la legittimità di tale detenzione, teoricamente possibile in quanto esplicazione del diritto di proprietà ex art. 832 c.c., deve essere accertata alla luce dei criteri che presiedono la valutazione della tollerabilità delle immissioni; nella specie, il conflitto nasceva tra un singolo condomino e l’inquilino di un appartamento contiguo, il quale aveva adibito il cortile dell’immobile da lui occupato a ricovero e pensione di cani in numero rilevante, e le immissioni provocate da tale situazione si traducevano nel fastidio causato dai continui latrati delle bestie, da indurre il vicino ad abbandonare il proprio immobile (sul presupposto, quindi, che rientra nella nozione di immissione qualsiasi manifestazione immateriale che sia percepita dai sensi dell’uomo come intollerabile, continua, ma anche periodica, pur se non ad intervalli regolari, si è acclarato che i cani in questione, poiché non governati a dovere, abbaiavano oltre misura, tenendo, peraltro, conto dell’alta percentuale di bestie in una sola unità immobiliare che era fonte di disturbo anche dal punto di vista dell’igiene e della pulizia).
In tutte queste situazioni - raggiungimento di livelli insostenibili e non mero fastidio - appare evidente la necessità di ricorrere in via d’urgenza al magistrato per ottenere un provvedimento di allontanamento dell’animale molesto, soprattutto nel caso di abbandono degli animali in totale libertà ed incuria (all’interno delle abitazioni o negli spazi comuni), o nel caso di mancata osservanza delle più elementari regole di buon governo, provocando disagi al resto della compagine condominiale, a causa di latrati, pericoli di aggressioni, e quant’altro.
Il ricorso al provvedimento cautelare inibitorio ex art. 700 c.p.c. è ancor più giustificato, considerando, da un lato, i tempi lunghi di un giudizio ordinario, durante il quale il diritto alla salute degli abitanti nello stabile de quo potrebbe essere minacciato da un pregiudizio “imminente ed irreparabile”, e, dall’altro, lo stato di coazione personale fisica e psicologica che i condomini potrebbero subire per la serie di abusi che si ripetono secondo tempi e modalità indeterminati ed imprevisti, ma permanenti.

di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione

1 commento:

  1. non c'e più spazio per le persone, solo per i cani. Dobbiamo subire l'abbaiare e la sporcizia. Questa è democrazia? Fuori di Italia vivono in modo più civile. I diritti dei cittadini per la quiete dove sono? Che razza di paese è diventato l'Italia? Non si vive più. Cani ovunque. È assurdo.

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