giovedì 13 ottobre 2016

Città a misura d’uomo: l’abitare ecosostenibile e il risparmio energetico

Si è appena aperta la quindicesima edizione della Biennale di Architettura di Venezia. Quella di due anni fa, curata da Rem Koolhaas era stata molto interessante. Quella di quest’anno, curata dall’architetto cileno Alejandro Aravena, premio Pritzker per il 2016, lo è ancora di più. Reporting from the front, questo è il titolo della mostra, è incentrata sui problemi della città contemporanea, disastrata, bellicosa, violenta ed ingiusta.
Parla di etica del costruire e del vivere, del concetto di accoglienza come condivisione delle cose belle del mondo. Indaga sul concetto di responsabilità sociale dell’architetto, progettista e protagonista dei cambiamenti dello spazio in cui viviamo.
Ricerca le buone pratiche ed i migliori esempi di progettualità urbana nei cinque continenti. Rifugge dall’esaltazione delle archistar e dai rendering che, come dice Pierluigi Panza sul Corriere della Sera, rendono stupefacente anche il progetto di un pollaio.
Mostra che l’accoglienza non è solo un dovere, ma è anche una risorsa ed un piacere umano e culturale. Un esempio per tutti: nei muri del padiglione tedesco sono sti aperti dei varchi, per ricordare anche la demolizione del muro di Berlino, e all’interno sono state sistemate un grande numero di sedie. Un inno all’abbattimento dei muri e delle frontiere che cha il suo megafono in un edificio costruito da Albert Speer proprio per Hitler. Ricorda che il problema dei cambiamenti climatici, delle depauperamento delle risorse, della polarizzazione delle diversità e delle disuguaglianze, è molto serio ed ineludibile. Tra le parole chiave per decodificare questa biennale sostenibilità è certamente quella più omnicomprensiva. Sostenibilità nell’approccio progettuale, nell’uso dei materiali, nel rispetto per i cittadini, nell’utilizzo dell’energia, del confort abitativo, nel riciclo dei materiali, nei metabolismi urbani e nelle nuove forme dell’abitare. Il contenimento degli sprechi, ad esempio, viene enfatizzato attraverso il riutilizzo di molti dei materiali usati nella precedente edizione della mostra.
Al Padiglione Italiano viene presentata la mostra Taking Care. Progettare per il bene comune. In questa esposizione, curata da TAMassociati, vengono mostrati progetti, anche di modesta dimensione, di architetti giovani. Sono allestiti anche cinque stand che mostrano i lavori di altrettante associazioni le cui attività sono incentrate sull’impegno sociale realizzato anche attraverso l’architettura.
Tra gli architetti presenti vale la pena di ricordare Norman Foster, Renzo Piano, David Chipperfield, ma la parte del leone la fanno architetti giovani e non ancora famosi.
Quella di quest’anno è una edizione della Biennale che parte dal basso, si rivolge ai committenti più deboli, mette l’individuo al centro del progetto, mette in evidenza le contraddizioni della società contemporanea in termini disuguaglianza sociale, di sfruttamento delle risorse, del rapporto tra paesi ricchi e paesi poveri.
E’ una esposizione che ha anche l’obiettivo, oltre che di mostrare architetture, di sensibilizzare i visitatori sull’importanza di avere, tutti noi, nessuno escluso, comportamenti responsabili ed eticamente sostenibili.
Parla molto delle periferie delle città, che sono energivore, violenti, ingiuste e spesso anche brutte. Parla di quel patrimonio edilizio esistente che è anche al centro del Protocollo Abitare Biotech e che è destinato, nei prossimi decenni, ad essere il centro di una attività edilizia che si pone come obiettivo quello di fare più belli, meno energivori, più sicuri e più confortevoli, tutti gli edifici che insieme costituiscono la città nella quale, sempre di più, le donne e gli uomini vogliono abitare.
Una Biennale di Architettura che arriva al momento giusto per indicarci una via dalla quale non possiamo più deviare e che diventata non solo auspicabile, ma decisamente ineludibile.

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