Una recente decisione della S.C. ha ribadito (Cass. 4 febbraio 2016 n. 2242) l’orientamento (correttamente abbandonato dalla giurisprudenza più recente) secondo il quale, poiché per la nomina dell’amministratore del condominio di un edificio è applicabile l’art. 1392 c.c., in base al quale, salvo che siano prescritte forme particolari e solenni per il contratto che il rappresentante deve concludere, la procura che conferisce il potere di rappresentanza può essere verbale o anche tacita, detta nomina può risultare, per il giudice, indipendentemente da una formale investitura da parte dell’assemblea, dal comportamento concludente dei condomini, che abbiano considerato l’amministratore tale a tutti gli effetti, rivolgendosi a lui abitualmente in tale veste (in tal senso in precedenza cfr.: Cass. 10 aprile 1996 n. 3296; Cass. 12 febbraio 1993 n. 1791, in Giust. civ. 1994, I, 225). In senso contrario a tale orientamento va, in primo luogo, osservato che non si comprende il richiamo alla libertà di forma di cui all’art. 1392 c.c., dal momento che la nomina dell’amministratore secondo l’art. 1129 c.c. è di competenza dell’assemblea e quindi deve risultare dal una delibera consacrata in un verbale. Sotto il profilo probatorio, poi, non si vede come il condominio, di fronte alla contestazione da parte di un terzo o di un condomino (come nel caso deciso dalla sentenza che si commenta) della inesistenza di una delibera di nomina potrebbe fornire la prova che tutti i condomini considerano come amministratore chi dichiari di agire in tale veste. Come è stato osservato in dottrina (IZZO, Sulla contestazione della persistenza dell’incarico di amministratore condominiale e sulla prova della deliberazione di nomina, in Giust. civ., 1994, I, 910), in considerazione della espressa previsione normativa di un quorum per la nomina con formale deliberazione assembleare, dovrebbe ritenersi che la nomina tacita – per l’impossibilità di verificare la sussistenza della prescritta maggioranza per ogni singolo atto costitutivo dell’ipotizzato comportamento concludente, risultante necessariamente da un complesso di atti – potrebbe conseguire solo dal consenso di tutti indistintamente i condomini ex art. 1726 c.c. perché il principio maggioritario, con le maggioranze richieste per la costituzione dell’assemblea e per la valida deliberazione, può operare solo per il tramite di una formale deliberazione assembleare, con la conseguenza che una ipotetica nomina tacita potrebbe sempre essere annullata su iniziativa del condomino del quale
non sia stato accertato il consenso tacito per tutte
le singole manifestazioni che sostanziano il comportamento
concludente.
Più corretto sembra l’orientamento secondo il quale
nei rapporti con i terzi la nomina, per spiegare efficacia,
deve avvenire con una deliberazione assunta
nelle forme di cui all’art. 1129, comma 1, c.c., l’unica
che possa essere agevolmente e con certezza
conosciuta dagli estranei, quando debbano agire
nei confronti del condominio, in quanto discende
dai principi generali della tutela dell’affidamento
nei rapporti intersoggettivi che non si possa prescindere
dalla emanazione dell’atto formale previsto
dalla legge per il conferimento, l’estinzione e la
modificazione dei poteri rappresentativi, affinché
la sua efficacia possa essere opponibile ai terzi
(Cass. 25 maggio 1994 n. 5083). In tale ordine di
idee si è affermato che colui che agisce in giudizio
in nome del condominio deve dare la prova,
in caso di contestazione, della veste di amministratore
e, quando la causa esorbita dai limiti di
attribuzione stabiliti dall’art. 1130 c.c., di essere
autorizzato a promuovere l’azione contro i singoli
condomini o terzi e che tale onere probatorio è da
ritenersi assolto con la produzione della delibera
dell’assemblea condominiale dalla quale risulti
che egli è l’amministratore e che gli è stato
conferito mandato a promuovere l’azione giudiziaria,
mentre in caso di mancata contestazione,
la persona fisica costituita in giudizio che rilasci
il mandato al difensore nella qualità di legale
rappresentante dell’ente di gestione, non ha
l’onere di dimostrare tale veste (Cass. 28 maggio
2003 n. 8520, in Riv. giur. edilizia 2004, I, 179;
Cass. 25 ottobre 2001 n. 13164).
Ne consegue che il terzo che vuol far valere in giudizio
un diritto nei confronti del condominio ha
l’onere di chiamare in giudizio colui che ne ha la
rappresentanza sostanziale secondo la delibera
dell’assemblea dei condomini, e pertanto non può
tener conto di risultanze derivanti da documenti diversi
dal relativo verbale: ciò in quanto il principio
dell’apparenza del diritto è inapplicabile alla rappresentanza
nel processo, essendo in quest’ultimo
escluso sia il mandato tacito, sia l’utile gestione; ne
deriva che la notifica di un atto processuale ad un
soggetto che non sia stato nominato amministratore
del condominio è giuridicamente inesistente,
mancando il presupposto della sua legittimazione
processuale (Cass. 4 gennaio 2002 n. 65).
di Roberto Triola
già Presidente della Seconda Sezione Civile della Cassazione
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