giovedì 10 novembre 2016

Nomina dell’amministratore per facta concludentia?

Una recente decisione della S.C. ha ribadito (Cass. 4 febbraio 2016 n. 2242) l’orientamento (correttamente abbandonato dalla giurisprudenza più recente) secondo il quale, poiché per la nomina dell’amministratore del condominio di un edificio è applicabile l’art. 1392 c.c., in base al quale, salvo che siano prescritte forme particolari e solenni per il contratto che il rappresentante deve concludere, la procura che conferisce il potere di rappresentanza può essere verbale o anche tacita, detta nomina può risultare, per il giudice, indipendentemente da una formale investitura da parte dell’assemblea, dal comportamento concludente dei condomini, che abbiano considerato l’amministratore tale a tutti gli effetti, rivolgendosi a lui abitualmente in tale veste (in tal senso in precedenza cfr.: Cass. 10 aprile 1996 n. 3296; Cass. 12 febbraio 1993 n. 1791, in Giust. civ. 1994, I, 225). In senso contrario a tale orientamento va, in primo luogo, osservato che non si comprende il richiamo alla libertà di forma di cui all’art. 1392 c.c., dal momento che la nomina dell’amministratore secondo l’art. 1129 c.c. è di competenza dell’assemblea e quindi deve risultare dal una delibera consacrata in un verbale. Sotto il profilo probatorio, poi, non si vede come il condominio, di fronte alla contestazione da parte di un terzo o di un condomino (come nel caso deciso dalla sentenza che si commenta) della inesistenza di una delibera di nomina potrebbe fornire la prova che tutti i condomini considerano come amministratore chi dichiari di agire in tale veste. Come è stato osservato in dottrina (IZZO, Sulla contestazione della persistenza dell’incarico di amministratore condominiale e sulla prova della deliberazione di nomina, in Giust. civ., 1994, I, 910), in considerazione della espressa previsione normativa di un quorum per la nomina con formale deliberazione assembleare, dovrebbe ritenersi che la nomina tacita – per l’impossibilità di verificare la sussistenza della prescritta maggioranza per ogni singolo atto costitutivo dell’ipotizzato comportamento concludente, risultante necessariamente da un complesso di atti – potrebbe conseguire solo dal consenso di tutti indistintamente i condomini ex art. 1726 c.c. perché il principio maggioritario, con le maggioranze richieste per la costituzione dell’assemblea e per la valida deliberazione, può operare solo per il tramite di una formale deliberazione assembleare, con la conseguenza che una ipotetica nomina tacita potrebbe sempre essere annullata su iniziativa del condomino del quale non sia stato accertato il consenso tacito per tutte le singole manifestazioni che sostanziano il comportamento concludente. Più corretto sembra l’orientamento secondo il quale nei rapporti con i terzi la nomina, per spiegare efficacia, deve avvenire con una deliberazione assunta nelle forme di cui all’art. 1129, comma 1, c.c., l’unica che possa essere agevolmente e con certezza conosciuta dagli estranei, quando debbano agire nei confronti del condominio, in quanto discende dai principi generali della tutela dell’affidamento nei rapporti intersoggettivi che non si possa prescindere dalla emanazione dell’atto formale previsto dalla legge per il conferimento, l’estinzione e la modificazione dei poteri rappresentativi, affinché la sua efficacia possa essere opponibile ai terzi (Cass. 25 maggio 1994 n. 5083). In tale ordine di idee si è affermato che colui che agisce in giudizio in nome del condominio deve dare la prova, in caso di contestazione, della veste di amministratore e, quando la causa esorbita dai limiti di attribuzione stabiliti dall’art. 1130 c.c., di essere autorizzato a promuovere l’azione contro i singoli condomini o terzi e che tale onere probatorio è da ritenersi assolto con la produzione della delibera dell’assemblea condominiale dalla quale risulti che egli è l’amministratore e che gli è stato conferito mandato a promuovere l’azione giudiziaria, mentre in caso di mancata contestazione, la persona fisica costituita in giudizio che rilasci il mandato al difensore nella qualità di legale rappresentante dell’ente di gestione, non ha l’onere di dimostrare tale veste (Cass. 28 maggio 2003 n. 8520, in Riv. giur. edilizia 2004, I, 179; Cass. 25 ottobre 2001 n. 13164). Ne consegue che il terzo che vuol far valere in giudizio un diritto nei confronti del condominio ha l’onere di chiamare in giudizio colui che ne ha la rappresentanza sostanziale secondo la delibera dell’assemblea dei condomini, e pertanto non può tener conto di risultanze derivanti da documenti diversi dal relativo verbale: ciò in quanto il principio dell’apparenza del diritto è inapplicabile alla rappresentanza nel processo, essendo in quest’ultimo escluso sia il mandato tacito, sia l’utile gestione; ne deriva che la notifica di un atto processuale ad un soggetto che non sia stato nominato amministratore del condominio è giuridicamente inesistente, mancando il presupposto della sua legittimazione processuale (Cass. 4 gennaio 2002 n. 65).

di Roberto Triola
già Presidente della Seconda Sezione Civile della Cassazione

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