lunedì 27 febbraio 2017

CASSAZIONE 23 SETTEMBRE 2016, N. 18759




Presidente Bianchini – Relatore Cosentino

Svolgimento del processo

La società M.G. s.r.l. otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti della sig.ra S.E. per il pagamento della somma di lire 3.522.794, portata dalla fattura n. (omissis) e relativa al pagamento, pro quota, di spese che l’opposta assumeva di avere sostenuto per la manutenzione ordinaria e straordinaria di parti ed impianti comuni compresi nel cosiddetto “Condominio (omissis) “, un complesso immobiliare sito in località (omissis) , al cui interno la stessa M.G. s.r.l. esercitava un’attività alberghiera. La sig.ra S. proponeva opposizione, che il Giudice di pace di Alghero rigettava con sentenza confermata dal Tribunale di Sassari. Quanto al primo motivo di gravame, con cui l’appellante contestava l’applicabilità, nella specie, della disciplina di cui all’art. 1110 c.c. in tema di comunione, anziché la diversa e più rigorosa normativa in materia di condominio, ai sensi dell’art. 1134 cod. civ., il Tribunale ha rilevato: – che il rimborso delle spese per la conservazione o manutenzione delle parti comuni, anticipate dalla società appellata, va in effetti regolato ai sensi dell’art. 1134 cod. civ.; – che il richiamo all’art. 1134 cod. civ. (anziché all’art. 1110 cod. civ., come ritenuto dal primo giudice) non è tuttavia dirimente, giacché nella specie, e con riferimento all’epoca (anno 2000) in cui erano state sostenute le spese in questione da parte di M.G., di fatto non era mai stata riunita un’assemblea condominiale né mai si era provveduto alla nomina di un amministratore delle parti comuni e, comunque, nessuna decisione era stata, di fatto, presa o attuata sul punto; – che in considerazione della situazione di fatto in cui si trovava, nel periodo in oggetto, il complesso ricettivo in questione, era configurabile l’urgenza richiesta dall’art. 1134 cod. civ., intesa quale necessità di eseguire senza alcun ritardo le opere necessarie alla manutenzione e conservazione delle parti comuni; – che gli interventi posti in essere dalla M.G. si inserivano in una situazione non solo di diffusa inerzia da parte di tutti gli altri titolari di immobili compresi nel complesso ma anche di evidente estrema difficoltà, in difetto di alcuna iniziativa da parte di un’amministrazione condominiale a ciò deputata, di procurarsi tempestivamente il consenso e la necessaria cooperazione degli altri condomini, assai numerosi e per lo più residenti fuori della Sardegna; – che l’inerzia dei condomini era risultava confermata dalle allegazioni della stessa appellante, che più volte aveva rimarcato che le unità immobiliari (sottoposte a sequestro dall’autorità giudiziaria per l’illecito mutamento della loro destinazione da turistica a residenziale) non venivano utilizzate dai rispettivi proprietari. Il Tribunale ha inoltre dichiarato inammissibili ex art. 345 c.p.c. – perché non sollevate nel corso del giudizio di primo grado – le contestazioni mosse dalla S. sia con riguardo alla ripartizione della spesa fra i condomini, con particolare riferimento alla corretta individuazione della quota millesimale a lei attribuita), sia con riguardo alla debenza della somma addebitata a titolo di IVA. Il giudice di secondo grado ha poi giudicato generico il motivo di appello attinente alla dimostrazione dell’entità delle spese anticipate (tanto più che l’appellata M.G. aveva dato la prova dell’entità delle spese anticipate e della loro attinenza alle parti comuni attraverso la produzione di fatture e ricevute di pagamento, oltre che con prove testimoniali), ed ha ritenuto infondate le doglianze con cui l’appellante lamentava che la M.G. srl aveva ceduto ad un tour operator, la società “(OMISSIS) “, i diritti inerenti alle parti comuni e aveva limitato il godimento delle parti comuni da parte degli altri condomini per avere, essa sola, ottenuto la licenza amministrativa necessaria all’esercizio di attività alberghiera. Infine, il Tribunale ha dichiarato inammissibili le istanze istruttorie proposte dall’appellante. Per la cassazione della sentenza del Tribunale la sig.ra B.R.J. (erede della sig.ra S. , deceduta in pendenza del giudizio di appello) ha proposto ricorso sulla base di sei motivi; poiché, nella pendenza del termine per l’impugnazione, la M.G. srl è stata dichiarata fallita con la sentenza del Tribunale di Sassari il 27.9.11, il ricorso per cassazione è stato notificato al Curatore fallimentare, il quale non si è costituto in questa sede. Con relazione ex art. 380 bis c.p.c. del 22.3.2013 la causa veniva rimessa alla trattazione in camera di consiglio, con la proposta di declaratoria di inammissibilità del ricorso per cassazione perché tardivamente proposto. Nella relazione si evidenziava che il ricorso per cassazione era stato notificato dopo il decorso del termine di cui all’articolo 327 c.p.c.. Né, secondo tale relazione, poteva condividersi l’assunto della ricorrente secondo cui nella specie, ai sensi dell’articolo 328 c.p.c, il termine “lungo” per l’impugnazione sarebbe stato prorogato di sei mesi dal giorno del fallimento dell’intimata, intervenuto dopo sei mesi dalla pubblicazione della sentenza gravata. Ciò in quanto l’articolo 299 c.p.c, a cui fa richiamo l’articolo 328 c.p.c., non sarebbe applicabile nel giudizio di legittimità, dominato dall’impulso ufficioso, cosicché gli eventi S. interruttivi non potrebbero spiegare effetto nemmeno ai fini della interruzione del termine per il ricorso per cassazione. Il ricorso veniva discussa nell’adunanza di camera di consiglio del 23.10.13, per la quale la ricorrente depositava memoria illustrativa e, all’esito, il Collegio, non ravvisando la sussistenza dei presupposti per la definizione camerale, rinviava alla pubblica udienza. Il ricorso è quindi stato discusso nuovamente alla pubblica udienza del 14.6.16, per la quale la ricorrente ha depositato una ulteriore memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c. e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
Motivi della decisione

Preliminarmente va dichiarata la tempestività del ricorso. Al riguardo il Collegio rileva, in linea di fatto, che: la sentenza del tribunale di Sassari è stata depositata il 7.12.10; il ricorso è stato notificato, nelle forme di cui alla legge n. 53/94, con raccomandata spedita il 27.3.12, oltre il termine di cui all’articolo 327 c.p.c. ma entro il termine di sei mesi dall’apertura del fallimento (dichiarato con sentenza del Tribunale di Sassari del 27.9.11, successiva al decorso di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza gravata). In linea di diritto, il Collegio osserva che il rilievo che l’articolo 299 c.p.c. non operi dopo l’instaurazione del giudizio di cassazione non implica l’inoperatività dell’articolo 328 c.p.c., il quale riguarda l’instaurazione, non lo svolgimento, del giudizio di cassazione. D’altra parte, un risalente, ma mai smentito, precedente di questa Corte (sent. n. 717/66) ha stabilito che è ammissibile il ricorso per Cassazione che sia stato proposto dopo il sessantesimo giorno dalla notificazione della sentenza di secondo grado, se, durante la decorrenza del termine per proporre ricorso, sia intervenuto il fallimento della controparte; ciò in quanto, ai sensi dell’art. 328 c.p.c., la dichiarazione di fallimento interrompe il termine predetto ed il nuovo termine decorre dal giorno in cui la notificazione della sentenza è stata rinnovata. Poiché non vi sono ragioni per ritenere che, nel caso di fallimento della parte destinataria dell’impugnazione, l’articolo 328 c.p.c. trovi applicazione solo per il primo comma, e non anche per il terzo, deve concludersi per l’ammissibilità del ricorso. Passando all’esame dei motivi di ricorso, si osserva che la sig.ra B. svolge le seguenti doglianze. Con il primo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1134 c.c. e il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Premesso che, pur essendo il complesso immobiliare (OMISSIS) un ente condominiale, le parti comuni di tale complesso, nella comproprietà pro quota millesimale di tutti i condomini, venivano di fatto utilizzate in via esclusiva da M.G., come bene aziendale nell’esercizio dell’impresa alberghiera (giacché ai condomini era inibito l’utilizzo residenziale delle proprie unità abitative), la ricorrente censura che il giudice d’appello abbia ritenuto richiedibili ai condomini le spese sostenute dalla società per il suo esclusivo godimento delle parti comuni, quali le spese di pulizia, sorveglianza, piccola manutenzione, acqua, energia elettrica. Avrebbe inoltre errato il Tribunale a ritenere sussistente il requisito dell’urgenza: siccome la spesa non era dovuta sulla base di un evento improvviso, imprevedibile e gravemente dannoso per la cosa comune, il singolo condomino (la società M.G.) non aveva facoltà di intervento diretto, bensì unicamente quella di sollecitare la convocazione dell’assemblea condominiale per l’adozione delle provvidenze e, nell’evenienza di paralisi dell’assemblea o di mancato raggiungimento dell’accordo, quella di rivolgersi all’autorità giudiziaria competente ai sensi dell’art. 1105 cod. civ.. Il giudice d’appello avrebbe, inoltre, omesso di considerare che vi era un amministratore del Condominio (OMISSIS) e che le assemblee sono sempre state indette annualmente. Infine, le pretese spese costituivano non utile gestione della cosa comune, quanto piuttosto obbligazione derivante da un contratto stipulato con un soggetto terzo verso corrispettivo, e, essendo finalizzate al mero miglioramento dell’immagine del complesso e, quindi, dell’accrescimento delle possibilità di vendita dei soggiorni nel complesso da parte de (OMISSIS) , non costituivano in ogni caso utile gestione della cosa comune, ma mera operazione privata avente natura commerciale. Con il secondo motivo (violazione degli artt. 167 e 345 c.p.c. e art. 1123 c.c.; nullità della sentenza per omesso esame di un motivo d’appello; motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) la ricorrente lamenta che il Tribunale non abbia considerato che la contestazione in ordine alla corretta individuazione della quota millesimale a lei attribuita era già stata sollevata in primo grado. Con il terzo motivo (violazione degli artt. 167 e 345 c.p.c. e del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) si sostiene che il giudice d’appello avrebbe errato a considerare questione nuova la deduzione della non debenza della somma addebitata a titolo di IVA. Con il quarto motivo (violazione dell’art. 167 c.p.c., nonché motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio), la ricorrente censura la conclusione cui è giunto il giudice di appello là dove ha ritenuto raggiunta la dimostrazione dell’entità delle spese anticipate e della loro attinenza alle parti comuni. Con il quinto la ricorrente lamenta, sotto il profilo del vizio di motivazione omessa, insufficiente o contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, che non sia stato considerato che, proprio in ragione del provvedimento di concessione della licenza di esercizio esclusivamente in favore della società M.G., l’utilizzo dei beni comuni da parte di quest’ultima risultava esclusivo ed impeditivo dell’altrui pari utilizzo. Con il sesto motivo (violazione dell’art. 345 c.p.c. e vizio di motivazione) si censura la declaratoria di inammissibilità delle istanze istruttorie proposte dall’appellante. Il primo motivo va giudicato fondato, in conformità a quanto questa Corte ha già statuito, in causa perfettamente sovrapponibile alla presente, con la sentenza n. 20151/13. In ordine alla rilevanza delle spese anticipate dal singolo condomino, l’art. 1134 c.c. fissa criteri particolari, in deroga al disposto dell’art. 1110 c.c., dettato in tema di comunione, che riconosce il diritto al rimborso in favore del comunista il quale ha anticipato le spese necessarie per la cosa comune nel caso di “trascuranza degli altri partecipanti e dell’amministratore”. Nel condominio la “trascuranza” degli altri partecipanti e dell’amministratore non è sufficiente. Il condomino non può, senza interpellare gli altri condomini e l’amministratore e, quindi, senza il loro consenso, provvedere alle spese per le cose comuni, salvo che si tratti di “spese urgenti” (Cass., Sez. Un., 31 gennaio 2006, n. 2046; Cass., Sez. 2, 12 ottobre 2011, n. 21015). Il divieto per i singoli condomini di eseguire di propria iniziativa opere relative alle cose comuni cessa quando si tratta di opere urgenti, per tali intendendosi quelle che, secondo il criterio del buon padre di famiglia, appaiano indifferibili allo scopo di evitare un possibile, anche se non certo, nocumento alla cosa comune (Cass., Sez. 2, 6 dicembre 1984, n. 6400; Cass., Sez. 2, 26 marzo 2001, n. 4364), l’urgenza dovendo essere commisurata alla necessità di evitare che la cosa comune arrechi a sé o a terzi o alla stabilità dell’edificio un danno ragionevolmente imminente, ovvero alla necessità di restituire alla cosa comune la sua piena ed effettiva funzionalità (Cass., Sez. 2, 19 dicembre 2011, n. 27519; Cass., Sez. 6-2, 19 marzo 2012, n. 4330). La disposizione dell’art. 1134 c.c., invero, è diretta ad impedire indebite e non strettamente indispensabili interferenze dei singoli partecipanti alla gestione del fabbricato riservata agli organi del condominio, essendo previsti dalle norme processuali strumenti alternativi (art. 1105 c.c., comma 4) al fine di ovviare alla inerzia nella adozione o nella esecuzione di provvedimenti non urgenti, ma tuttavia necessari per la conservazione ed il godimento dell’edificio (Cass., Sez. 2, 26 maggio 1993, n. 5914). Il diritto al rimborso in seguito all’attività gestoria, svolta dal singolo condomino in deroga alla competenza dell’assemblea e dell’amministratore, si giustifica, quindi, soltanto in ragione dell’urgenza delle spese (Cass., Sez. 2, 27 ottobre 1995, n. 11197; Cass., Sez. 6-2, 19 marzo 2012, n. 4330, cit.). In questo contesto, il giudizio sull’urgenza della spesa compiuto dal giudice del merito non appare congruamente motivato. Il Tribunale, innanzitutto, nel considerare che le spese effettuate muovevano dall’esigenza “di provvedere senza indugio all’adeguamento di tutti gli impianti e servizi comuni alle normative di igiene e sicurezza pubblica disciplinanti l’attività alberghiera” esercitata nel complesso condominiale in questione (cfr. pag. 7, rigo 10, della sentenza), non ha tenuto adeguatamente conto che molte delle spese sostenute dal condomino M.G. appaiono piuttosto finalizzate (si pensi alla tinteggiatura dei muri esterni e agli interventi sugli impianti tecnologici) al mero miglioramento dell’immagine del condominio (OMISSIS) e, quindi, all’accrescimento delle possibilità di vendita dei soggiorni nel complesso da parte de (OMISSIS) (come emerge dal contratto intercorso tra la s.r.l. M.G. e la società (OMISSIS) ). Inoltre, la premessa del ragionamento del giudice dell’appello (il non essersi mai provveduto, nel periodo cui si riferiscono le spese in questione, alla nomina di un amministratore delle parti comuni ed il non essere mai stata presa o attuata alcuna decisione sul punto, cfr. pag. 6, penultimo cpv, della sentenza) appare contraddetta, per un verso, dalla sentenza di questa Corte 5 febbraio 2007, n. 2478, che ha definito il giudizio in cui la società M.G. s.r.l. aveva impugnato la deliberazione dell’assemblea condominiale del condominio (OMISSIS) del 24 aprile 1999, nel cui giudizio si era costituito l’amministratore del condominio, proponendo appello e poi ricorso per cassazione in via incidentale; per l’altro verso, dalle fatture in atti, relative proprio all’anno 2000, concernenti l’esecuzione di opere (abbattimento di alberi; rifacimento di una veranda) relative al condominio. La sentenza del Tribunale, pertanto, non reca una motivazione adeguata sul fatto che la spesa sia stata affrontata dalla condomina società M.G. per conservare la cosa comune e in una situazione di necessità di eseguire i relativi lavori senza ritardo, e quindi nell’impossibilità di avvertire tempestivamente l’amministratore o gli altri condomini. Per effetto dell’accoglimento del primo motivo resta assorbito l’esame degli altri motivi. La causa deve essere rinviata al Tribunale di Sassari, che la deciderà in persona di diverso magistrato. Il giudice del rinvio provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese, al Tribunale di Sassari, in persona di diverso giudicante.

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