La facoltà dell’amministratore, di rappresentare processualmente il condominio, non può essere limitata da alcuna delibera condominiale e neppure da una clausola di un regolamento di condominio, considerato che l’art. 1131 codice civile è una norma inderogabile per espresso disposto dell’art. 1138 codice civile.
- La rappresentanza dell’amministratore
Considerato che la natura del condominio non è
stata definita dal legislatore, questo è stato definito
dalla giurisprudenza e dalla dottrina un ente
di gestione. E, in realtà, il condominio presenta
alcune analogie rilevanti sia con la comunione sia
con gli enti collettivi.
Con la prima ha in comune il diritto di comproprietà
dei beni condominiali, con i secondi ha in
comune gli organi deliberativo, l’assemblea, ed
esecutivo, l’amministratore.
La giurisprudenza lo ha sempre definito un ente di
gestione, definizione non condivisa dalla dottrina,
ma, dopo la riforma intervenuta con la legge
11 dicembre 2012 n. 220, le Sezioni Unite della
Cassazione gli hanno riconosciuto la soggettività
giuridica (Cass. civ., Sezz. Unite, 16 settembre
2014, n. 19663).
Il contratto che s’instaura tra l’amministratore e
i condomini è stato definito dal legislatore, solo
con la citata legge n. 220/2012, un mandato,
seppure, devo ritenere, ancora sui generis.
Infatti, quest’ultimo contratto è fondato sulla
fiducia che il mandante nutre nei confronti del
mandatario, mentre l’amministratore di condominio
agisce e opera anche a favore di coloro che
non l’hanno votato, perché assenti all’assemblea
di nomina o subentrati nella proprietà ad altro
condomino nel corso della gestione annuale, e,
addirittura, di coloro che hanno votato contro la
sua nomina a tale carica.
Il legislatore, oltre a stabilire l’obbligatorietà della
nomina dell’amministratore qualora il condominio
sia composto da oltre quattro condomini, ne
dispone i poteri di gestione e fornisce all’amministratore
la rappresentanza del condominio stesso.
La rappresentanza dell’amministratore è sostanziale
e processuale e, dunque, può sia sottoscrivere i contratti nell’interesse del condominio, ad
esempio quelli per la fornitura del gas da riscaldamento
o per l’appalto della pulizia delle parti
comuni dello stabile, sia stare in giudizio nelle
cause che vedono coinvolto il condominio.
La rappresentanza processuale è sia attiva, allorché
sia il condominio a promuovere un procedimento
giudiziario, sia passiva, allorché questo sia
radicato nei confronti del condominio.
Considerato che il condominio agisce giudizialmente
per la difesa dei diritti inerenti ai beni comuni
mediante il suo amministratore, sussiste in
capo a ciascun condomino il potere di agire per la
tutela dei beni de quibus; infatti, vi è una legittimazione
concorrente dei singoli condomini per
agire a tutela dei diritti comuni (Cass. civ., Sez.
II, 4 settembre 2014, n. 18687).
L’amministratore può agire in giudizio autonomamente,
se l’azione è coerente con i poteri al
medesimo concessi dalla legge, anche se è, pur
sempre, opportuna una preventiva autorizzazione
dell’assemblea, per esempio, per far cessare
le attività, vietate da una clausola contrattuale
del regolamento, attuate da un condomino; per
contro se tale azione ecceda i suoi poteri, necessita
sempre dell’autorizzazione assembleare, per
esempio, per proporre una domanda petitoria per
rivendicare la proprietà di un’area occupata dal
proprietario del fondo vicino.
La delibera, in cui si autorizza l’amministratore a
radicare un giudizio, deve essere adottata dalla
maggioranza degli intervenuti in assemblea rappresentanti
almeno la metà del valore dell’edificio
ai sensi dell’art. 1136, IV comma, codice civile.
La facoltà dell’amministratore, di rappresentare
processualmente il condominio, non può essere
limitata da alcuna delibera condominiale e neppure
da una clausola di un regolamento di condominio,
considerato che l’art. 1131 codice civile
è una norma inderogabile per espresso disposto
dell’art. 1138 codice civile.
Considerato che la rappresentanza processuale
dell’amministratore è inderogabile, il concorrente
potere di ogni singolo condomino di intervenire
in giudizio costituisce un mero intervento ad
adiuvandum.
Salvo espressa disposizione contraria, l’autorizzazione
concessa dall’assemblea all’amministratore
di adire le vie giudiziarie è valida per tutti i gradi
del giudizio e anche nell’eventuale fase esecutiva.
La rappresentanza passiva dell’amministratore è, invece, illimitata e ciò per favorire i terzi che intendano
citare il condominio, potendo questi notificare
l’atto di citazione solo all’amministratore
e non a tutti i condomini indistintamente.
Nell’ipotesi il condominio sia privo di amministratore,
l’azione del terzo deve essere notificata a
tutti i condomini. Qualora l’atto di citazione inerisca
ad una materia che travalica i suoi poteri,
l’amministratore deve convocare l’assemblea per
farsi autorizzare a stare in giudizio, potendo, in
caso contrario, essere revocato dal mandato ex
art. 1131, ultimo comma, codice civile.
Per contro, l’amministratore difetta di legittimazione
attiva allorché la controversia giudiziaria
inerisca ai diritti reali dei singoli condomini o i
loro rapporti contrattuali, quale la contestazione
di un diritto di proprietà o la modifica delle clausole
contrattuali del regolamento di condominio
(Cass. civ., Sez. II, 21 maggio 2008, n. 12850).
In sostanza l’amministratore ha la rappresentanza
attiva per radicare autonomamente, senza delibera
assembleare, tutte le azioni che rientrano nel
concetto di atti conservativi dei diritti concernenti
i beni comuni, purché ricompresi nel perimetro
dell’immobile costituito in condominio, ivi
comprese le azioni cautelari (Cass. civ., Sez. II, 5
marzo 2015, n. 4503).
Il potere autonomo dell’amministratore, però, è limitato
alla tutela della conservazione, giuridica e
materiale, delle cose condominiali, e non si estende
alle obbligazioni che, per contro, riguardano
direttamente i condomini; quindi l’amministratore
è legittimato a promuovere l’azione nei confronti
del costruttore per contestare i gravi difetti delle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1669
codice civile, essendo il condominio avente causa
dell’appaltatore (Cass. civ., Sez. II, 1 agosto 2006,
n. 17484), mentre non può radicare alcuna azione
per far valere la garanzia per i vizi della cosa
venduta ai sensi dell’art. 1490 codice civile, pur
concernenti le parti comuni dello stabile, essendo
legittimati personalmente i singoli condomini,
quali unici contraenti, acquirenti, del contratto di
compravendita delle parti comuni in esame.
Né rientra, nel potere dell’amministratore, neppure
l’agire per conseguire il risarcimento dei danni
patiti dai condomini.
Viceversa, la legittimazione passiva dell’amministratore
è illimitata (Cass. civ., Sez. II, 20 settembre
2012, n. 15838), anche se circoscritta ai
soli beni condominiali, in contrapposizione agli
interessi particolari dei singoli condomini.
Da quanto dedotto deriva che la legittimazione
passiva dell’amministratore inerisce alle cause
che riguardano sia i diritti reali sia i rapporti
obbligatori del condominio, inteso questo anche
nel senso che una o più parti o qualche impianto
dell’edificio appartengano esclusivamente ad alcuni
condomini e non a tutti (Cass. civ., Sez. II,
17 febbraio 2012, n. 2363).
Per tutti i motivi sopra esposti, la legittimazione
passiva, come quella attiva, permane in tutti i gradi
del giudizio, consentendo all’amministratore di
impugnare le sentenze sfavorevoli al condominio.
Qualora l’amministratore sia citato in giudizio per
una causa che esorbiti dai suoi poteri ex lege,
ugualmente ha la rappresentanza passiva del condominio,
ma, ut supra dedotto, deve informarne subito l’assemblea, affinché questa, ove lo ritenga
opportuno, possa integrare i poteri de quibus,
ai fini della regolare costituzione in giudizio del
condominio.
In entrambe le fattispecie analizzate, l’amministratore
deve conferire al legale del condominio, sia
che venga incaricato direttamente dal medesimo,
sia che venga indicato dall’assemblea, una rituale
procura alle liti che consenta al magistrato di
comprenderne esattamente la provenienza; l’amministratore,
infatti, deve dimostrare tale sua carica.
Qualora poi lo stesso non sia confermato quell’incarico
e venga nominato un altro soggetto, il giudizio
non s’interrompe, in quanto l’art. 299 codice
procedura civile inerisce alle sole ipotesi di rappresentanza
legale, mentre il rapporto che si instaura
tra condomini e amministratore è fondato
su base volontaria (Cass. civ., Sez. III, 16 ottobre
2008, n. 25251).
- Le azioni possessorie
Il possesso è costituito dal potere di fatto esplicato
su una cosa che si manifesta in un’attività
corrispondente a quella attuata per l’esercizio
della proprietà o di altro diritto reale (art. 1140
codice civile); nel caso di violazione di un siffatto
potere, indipendentemente dall’aspetto psicologico,
quindi, dell’autore dello spoglio, è sufficiente
provare l’avvenuta turbativa del possesso.
Costituisce turbativa del possesso anche l’attività
del compossessore che comporti un’innovazione
della cosa comune, tale da modificarne sensibilmente
le modalità d’uso (Cass. civ., Sez. II, 23
maggio 2016, n. 10624).
Infatti, in un giudizio possessorio devono essere
fornite soltanto le prove del possesso e della intervenuta sua turbativa (Cass. civ., Sez. II, 11
gennaio 2016, n. 233).
Trattasi, quindi, esclusivamente della prova del
fatto storico dell’esistenza del precitato potere
sulla cosa, oggetto dello spoglio (Cass. civ., Sez.
II, 20 maggio 2008, n. 12751).
Infatti, l’accertamento della situazione di fatto è
del tutto indipendente dalla sussistenza di un diritto
reale sul bene, dovendo il denunciante provare
solo il suo esercizio dello jus possessionis.
La prova del possesso deve, ovviamente, essere
fornita dall’attore che agisce con l’azione di spoglio
o con quella di manutenzione e questi può
radicare l’azione soltanto per recuperare il bene
oggetto di spoglio ovvero anche per conseguire
coattivamente il risarcimento dei danni patiti.
L’azione possessoria può essere esercitata entro un
anno dall’intervenuta turbativa o dall’avvenuto spoglio
ex art. 1168 codice civile e anche per questa
fattispecie, sia dall’amministratore del condominio
sia da ciascun condomino; il dies a quo, nel caso di
una pluralità di atti di turbativa, decorre dal compimento
del primo atto lesivo del possesso (Cass. civ.,
Sez. II, 10 marzo 2008, n. 6305).
Possono costituire violazione del possesso, ad
esempio:
- l’occupazione abusiva del cortile o di aree scoperte condominiali con oggetti tali da impedire o rendere estremamente difficoltoso il passaggio dei condomini;
- l’accesso su un terrazzo di un altro condomino, senza alcuna autorizzazione da parte del proprietario;
- un’alterazione della servitù di veduta.
L’occupazione del parcheggio da parte di terzi,
costituisce certamente uno dei più frequenti spogli
delle parti comuni del condominio che consentono
all’amministratore di esercitare l’azione di
reintegrazione nel possesso, anche se il parcheggio
dei condomini avviene su un’area di proprietà
extra condominiale, destinata, però, ad uso del
condominio con un vincolo urbanistico ad hoc
(Cass. civ., Sez. II, 27 luglio 2007, n. 16631).
Amministrare Immobili
di Gian Vincenzo Tortorici
Direttore CSN Anaci
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