Il Tribunale di Milano, ha rigettato la domanda del Condominio, che richiedeva ad una condomino di rimuovere una zanzariere dal proprio balcone. Nel caso specifico nel regolamento non sussisteva nè “un divieto specifico di apposizione di zanzariere … nelle proprietà private e sulla facciata”, né disposizione alcuna volta a dare una più rigorosa definizione del concetto di decoro architettonico ex art. 1120 c.c.. Pertanto il Tribunale ha valutato in concreto il difetto di qualsivoglia pregiudizio estetico del complesso edilizio.
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lunedì 14 agosto 2017
SE IL REGOLAMENTO DI CONDOMINIO NON PREVEDE RESTRIZIONI LE ZANZARIERE SONO LEGITTIME - TRIBUNALE MILANO 17 MARZO 2017 N. 3222
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TRIBUNALE MILANO 17 MARZO 2017 N. 3222 - ZANZARIERE LEGITTIME SE NON CI SONO RESTRIZIONI SUL REGOLAMENTO
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
TRIBUNALE DI MILANO
TREDICESIMA SEZIONE CIVILE
Il Tribunale, in composizione monocratica, nella persona del giudice Dott. Pietro Paolo Pisani ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa civile di I Grado iscritta al N. 55976/2015 R.G. promossa da:
OMISSIS con il patrocinio dell'avv. OMISSIS con elezione di domicilio in omissis presso l'avvocato suddetto
ATTORE
CONTRO
OMISSIS con il patrocinio dell'avv. OMISSIS OMISSIS con elezione di domicilio in omissis presso lo studio dell'avvocato suddetto
CONVENUTA
- OGGETTO: uso e tutela di beni in condominio.
- CONCLUSIONI DELLE PARTI: come da verbale di causa del 18/11/2016
SVOLGIMENTO IN FATTO DEL PROCESSO
omissis ex art. 58 co. 2 L. 69/2009 e art. 132 c.p.c. novellato
Per quanto riguarda domande, eccezioni e richieste conclusive delle parti, si rinvia agli atti processuali delle medesime ed ai verbali delle udienze, attesa la modificazione dell'articolo 132 n° 4 c.p.c, ad opera della legge 69/2009, che esclude una lunga e particolareggiata esposizione di tutte le vicende processuali anteriori alla decisione.
Incardinato ritualmente il giudizio e costituitasi la convenuta, all'esito della prima udienza di trattazione venivano assegnati alle parti i termini dí cui all'articolo 183 VI comma c.p.c.; depositate le stesse, all'esito della successiva udienza, ritenuta la causa compiutamente istruita e matura per la decisione, veniva rinviata per la precisazione delle conclusioni alla udienza del 18/11/2016. In tale udienza le parti hanno precisato le conclusioni come da verbale in atti e la causa è stata rinviata alla odierna con termine per note illustrative e conclusionali; depositate le stesse nelle more, all'esito della odierna udienza, la causa è stata decisa con lettura, in udienza, del dispositivo e di sintetica motivazione, ai sensi dell'art.281 sexies c.p.c..
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
1) — La presente controversia prende le mosse dalla domanda formulata dal Condominio attore di condanna della condomina convenuta alla riduzione in pristino dell'aspetto della facciata condominiale sul presupposto della sua alterazione a seguito della apposizione di zanzariere con relativi supporti collocati in corrispondenza del terrazzino di proprietà esclusiva della stessa convenuta. Si costituiva la convenuta che si opponeva alle domande attoree, chiedendone il rigetto e per l'effetto, di autorizzarla al mantenimento della zanzariera perché non lesiva dello stile architettonico del condominio medesimo.
La domanda attorea non è fondata e va rigettata per i motivi di seguito evidenziati Osserva questo Giudice che, dall'esame degli atti di causa e dalla documentazione anche fotografica prodotta, risulta provato e documentato in atti e, comunque, pacifico ed incontestato tra le parti, tenuto conto dei principii dell'onere della prova e di quello di non contestazione, che:
• esiste regolamento condominiale del 16/03/1995 (doc.4 convenuta) dal quale non rilevasi alcun divieto specifico di apposizione di zanzariere quali quella oggetto di causa nelle proprietà private e sulla facciata condominiale;
• parte convenuta ha istallato sul proprio balcone, al quale si accede dal suo locale cucina, una zanzariera perimetrale rimuovibile i cui montanti sono dello stesso colore bianco delle ringhiere dei balconi siti sulle facciate condominiale e ricoperta da tendaggi da sole di colore simile a quello delle altre tende da sole infisse sui balconi siti sulle facciate condominiale (doc. 3 e 4 parte convenuta).
Tenuto conto degli elementi di fatto sopra riassunti e accertati in atti, osserva questo Giudice che, come è noto, le norme di un regolamento di condominio, aventi natura contrattuale possono derogare od integrare la disciplina legale. Tali norme, in particolare, possono dare del concetto di decoro architettonico una definizione più rigorosa di quella accolta dall'art. 1120 c.c., sì da estendere il divieto di immutazione sino ad imporre la conservazione degli elementi attinenti alla simmetria, all'estetica, all'aspetto generale dell'edificio, quali esistenti nel momento della sua costruzione od in quello della manifestazione negoziale successiva. In tali casi ne deriva l'illegittimità di tutte le opere che violino quanto disposto dal regolamento condominiale. (Cass. civ. Sez. II, 17/06/2015, n. 12582; Cass. civ., Sez. 11, 23/05/2012, n. 8174).
Tale più restrittiva regolamentazione non è emersa nel caso in esame per quanto sopra rilevato, con specifico riferimento a proprietà private quali il balcone in esame.
Tanto evidenziato in punto di diritto, rileva questo Giudice che si è altresì precisato che in tema di condominio degli edifici, la tutela del decoro architettonico - di cui all'art. 1120, secondo comma, c.c. - è stata disciplinata in considerazione della apprezzabile alterazione delle linee e delle strutture fondamentali dell'edificio, od anche di sue singole parti o elementi dotati di sostanziale autonomia, e della consequenziale diminuzione del valore dell'intero edificio e, quindi, anche di ciascuna delle unità immobiliari che lo compongono. Ne consegue che il giudice, per un verso, deve adottare, caso per caso, criteri di maggiore o minore rigore in considerazione delle caratteristiche del singolo edificio e/o della parte di esso interessata accertando anche se esso avesse originariamente ed in qual misura un'unitarietà di linee e di stile, suscettibile di significativa alterazione in rapporto all'innovazione dedotta in giudizio, nonché se su di essa avessero o meno già inciso, menomandola, precedenti innovazioni. Per altro verso, deve accertare che l'alterazione sia appariscente e di non trascurabile entità e tale da provocare un pregiudizio estetico dell'insieme suscettibile di valutazione economica, mentre detta alterazione può affermare senza necessità di siffatta specifica indagine solo ove abbia riscontrato un danno estetico di rilevanza tale, per entità e/o che, quello economico possa ritenervisi insito. (Cass. 27/10/2003 n. 16098).
Nel caso in esame, non rilevasi una alterazione avente le sopra richiamate caratteristiche evidenziate dalla giurisprudenza di legittimità e, comunque, tale da provocare un pregiudizio estetico dell'insieme suscettibile di valutazione economica, tenuto conto di quanto rilevato in fatto in ordine alle qualità intrinseche (rimuovibilità della struttura) ed estrinseche (i montanti ed í tendaggi) della zanzariera e che la stessa è apposta in una proprietà privata quale il balcone in esame; nonché di quanto appare dei luoghi condominiali rappresentati dalle fotografie in atti ed in mancanza di diversa prova che non si rinviene in atti.
Ne consegue, infine, che deve rigettarsi la domanda di parte attrice, con assorbimento di ogni altra domanda e questione sollevata in giudizio tra le parti.
2) - Le spese e competenze del presente giudizio e della mediazione, secondo il principio della soccombenza di cui all'art. 91 c.p.c., vanno poste a carico del CONDOMINIO attore, in persona dell'amministratore pro-tempore e a favore della convenuta e, determinate sulla base dei parametri dettati del D.M. Giustizia 55 del 10/03/2014, vengono liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Il Tribunale, in composizione monocratica, ogni altra istanza disattesa, rigettata o assorbita, così provvede:
- Rigetta la domanda del Condominio attore, come in motivazione.
- Condanna il Condominio attore, in persona dell'amministratore pro-tempore, a corrispondere ín favore della convenuta, le spese e competenze di lite e di mediazione, liquidate in €. 2.000,00 per compensi, oltre alle spese generali nella misura del 15% dei compensi ed a cpa e Iva di legge.
Sentenza immediatamente esecutiva come per legge, resa ex articolo 281 sexies c.p.c. e pubblicata mediante lettura in udienza ed allegazione al verbale, per l'immediato deposito in cancelleria.
Milano 17 marzo 2017.
Il Giudice
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lunedì 29 maggio 2017
LA DOCUMENTAZIONE CONDOMINIALE A DISPOSIZIONE DEI CONDOMINI - CASSAZIONE 18 MAGGIO 2017, N. 12579
La Suprema Corte specifica come la richiesta mossa dalla ricorrente di vagliare la correttezza dell’interpretazione del giudice di appello rispetto alle norme regolamentali non è ammissibile in grado di Cassazione, deputato unicamente al vaglio di legittimità e non anche di merito.
In particolare secondo la Corte «le disposizioni contenute in un regolamento di condominio hanno natura regolamentare, organizzativa o contrattuale, sicché l’interpretazione o l’applicazione di esse fatta dal giudice del merito non può essere denunciata in sede di legittimità, come se si trattasse di violazione o falsa applicazione di norme di diritto».
Nel merito della questione, la Suprema Corte afferma la validità dell’operato dell’amministratore in quanto anche se la norma prevedeva l’invio di documentazione, questa era stata per un decennio interpretata piuttosto come una messa a disposizione della contabilità anche per evitare inutili intralci all’attività dell’amministratore.
Secondo la Corte, quindi, la tacita accettazione di tale condotta da parte dell’amministratore aveva rilievo ai sensi dell’art. 1362, comma 2, c.c. che prevede che «per determinare la comune intenzione delle parti, si deve valutare il loro comportamento complessivo anche posteriore alla conclusione del contratto».
In buona sostanza l’accettazione per dieci anni da parte dei condomini di tale comportamento da parte dell’amministratore aveva di fatto comportato la modificazione del regolamento condominiale, per lo meno riguardo alla sua interpretazione.
CASSAZIONE 18 MAGGIO 2017, N. 12579 - Documentazione a disposizione dei condomini
CASSAZIONE 18 MAGGIO 2017, N. 12579
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SESTA SEZIONE CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano - Presidente
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni - Consigliere
Dott. GIUSTI Alberto - Consigliere
Dott. PICARONI Elisa - Consigliere
Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4497/2016 proposto da:
L.R.M., elettivamente domiciliata in ROMA, presso lo studio dell'avvocato P. S., rappresentata e difesa dall'avvocato M. G.;
- ricorrente -
CONTRO
CONDOMINIO, rappresentato e difeso dall'avvocato F. P.;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 533/2015 della CORTE D'APPELLO di MESSINA, depositata il 24/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 07/04/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
La ricorrente L.R.M. impugna, articolando tre motivi di ricorso, la sentenza n. 533/2015 del 24 settembre 2015 della Corte d’Appello di Messina, che ha accolto l’appello proposto dal Condominio (omissis) , riformato la sentenza dell’8 maggio 2012 del Tribunale di Messina e perciò rigettato la domanda di impugnazione della deliberazione assembleare del 19 febbraio 2009. Il Tribunale aveva annullato questa deliberazione dell’assemblea del Condominio (omissis) , a causa del mancato rispetto dell’art. 16 del vigente regolamento condominiale, che imponeva all’amministratore di trasmettere copia dei preventivi e dei rendiconti ad ogni condomino almeno dieci giorni prima del giorno fissato per la riunione e di tenere per lo stesso periodo a disposizione dei condomini documenti e giustificativi di cassa. La Corte di Messina rilevava tuttavia che, dalla prodotta documentazione, si evincesse che tale disposizione sia stata interpretata dagli amministratori succedutisi nell’ultimo decennio nel Condominio (omissis), nel senso di fissare nell’avviso di convocazione dell’assemblea un giorno proprio per consentire la visione della contabilità, previa appuntamento con l’amministratore. Ciò l’amministratore nella specie aveva fatto, indicando nell’avviso di convocazione inoltrato il 7 febbraio 2009, relativo all’assemblea del 18/19 febbraio 2009, che il 16 febbraio 2009, dalle ore 16,30 alle ore 18,00, sarebbe stato possibile "visionare la documentazione relativa alla gestione 2008 presso la saletta, previo appuntamento telefonico".
Risultava, invece, per quanto accertato dalla Corte d’Appello, che la condomina L.R.M. avesse spedito il 17 febbraio 2009 una raccomandata, ricevuta dall’amministratore soltanto il 19 febbraio 2009 (giorno dell’assemblea), con cui chiedeva copia della documentazione. La Corte di Messina dichiarava, poi, di non affrontare la questione del conflitto di interessi, non avendo l’appellata riproposto espressamente tale questione, agli effetti dell’art. 346 c.p.c., nelle sue difese.
Il Condominio (omissis) , si difende con controricorso.
Ritenuto che il ricorso proposto potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375, comma 1, n. 5), c.p.c., su proposta del relatore, il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Il primo motivo del ricorso di L.R.M. denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1129 e 1130 c.c., nonché dell’art. 16 del regolamento condominiale, difetto di motivazione, eccesso di potere e violazione dell’obbligo/diritto d’informazione. Si sostiene che la Corte d’Appello abbia fatto prevalere la prassi invalsa nel Condominio (omissis) , sulle norme del codice civile e del regolamento di condominio che obbligano l’amministratore a trasmettere copia dei consuntivi e dei preventivi prima dell’assemblea di approvazione.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1130 e 1130-bis c.c., essendo l’amministratore venuto meno all’obbligo di rendicontazione nelle modalità stabilite dalla disciplina del codice civile e dal regolamento di condominio; si censura anche la motivazione incongrua e contraddittoria e l’eccesso di potere da parte dell’amministratore, facendosi riferimento ai criteri adottati per la ripartizione delle spese di esercizio e di riparazione dell’autoclave e dell’impianto di adduzione dell’acqua.
I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto connessi tra loro, e si rivelano in parte inammissibili e per il resto comunque manifestamente infondati.
Secondo quanto anche eccepito dal controricorrente, non si comprende dal ricorso quale fosse il contenuto della deliberazione assembleare del 19 febbraio 2009 impugnata ai sensi dell’art. 1137 c.c., quanto, in particolare, ai provvedimenti adottati, che si assumono illegittimi, nella ripartizione delle spese di autoclave e di "quote-acqua". È perciò violato l’onere, incombente a pena di inammissibilità del ricorso sul ricorrente per cassazione che intenda dolersi dell’omessa o erronea valutazione di un documento da parte del giudice di merito, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di indicare esattamente nell’atto introduttivo in quale fase processuale ed in quale fascicolo di parte si trovi il documento in questione, e di evidenziarne il contenuto, trascrivendolo o riassumendolo nei suoi esatti termini, e ciò con riferimento ai documenti "sui quali il ricorso si fonda", in quanto onere preordinato, appunto, a consentire al giudice di legittimità di valutare la fondatezza del motivo, senza dover procedere all’esame dei fascicoli d’ufficio o di parte.
Ancora, le disposizioni contenute in un regolamento di condominio hanno natura regolamentare, organizzativa o contrattuale, sicché l’interpretazione o l’applicazione di esse fatta dal giudice del merito non può essere denunciata in sede di legittimità ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., come se si trattasse di violazione o falsa applicazione di norme di diritto, per tali intendendosi soltanto quelle risultanti dal sistema delle fonti dell’ordinamento giuridico. L’omesso o errato esame di una disposizione del regolamento di condominio da parte del giudice di merito è, piuttosto, sindacabile in sede di legittimità soltanto per inosservanza dei canoni di ermeneutica oppure per vizi logici sub specie dell’omesso esame di fatto storico decisivo e controverso ex art. 360, n. 5, c.p.c. (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 1406 del 23/01/2007; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 9355 del 14/07/2000).
Il riferimento come norma violata all’art. 1130-bis c.p.c. non tiene conto che tale disposizione è stata introdotta dalla legge n. 220 del 2012 ed è perciò entrata il vigore il 18 giugno 2013, mentre qui è in discussione la validità di una deliberazione assembleare del febbraio 2009.
Le censure di difetto di motivazione, o di motivazione incongrua e contraddittoria, neppure tengono conto che trova applicazione il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., introdotto dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche nella legge 7 agosto 2012, n. 134, in base al quale non è più configurabile il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti. La nuova formulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. postula la deduzione dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Il primo motivo del ricorso di L.R.M. non rispetta le previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., in quanto il ricorrente non indica il "fatto storico", il cui esame sia stato omesso, il "dato", testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il "come" e il "quando" tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua "decisività", limitandosi a denunciare l’omesso esame di elementi istruttori con riguardo a fatti storici comunque presi in considerazione dalla Corte d’Appello (Cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Venendo, peraltro, al merito delle questioni poste, circa l’interpretazione che la Corte di Messina ha prescelto dell’art. 16 del Regolamento di condominio, deve ancora osservarsi come l’interpretazione di un regolamento di condominio da parte del giudice del merito è insindacabile in sede di legittimità quando non riveli violazione dei canoni di ermeneutica oppure vizi logici (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 17893 del 31/07/2009).
Ora, a proposito di tale art. 16 del regolamento condominiale (che imponeva all’amministratore di trasmettere copia dei preventivi e dei rendiconti ad ogni condomino almeno dieci giorni prima del giorno fissato per la riunione e di tenere per lo stesso periodo a disposizione dei condomini documenti e giustificativi di cassa), la Corte di Messina ha accertato che lo stesso avesse avuto pratica attuazione da parte dagli amministratori succedutisi nel Condominio (omissis) nell’ultimo decennio nel senso di fissare nell’avviso di convocazione dell’assemblea una data, da concordare, finalizzata a consentire la visione della contabilità, prassi rispettata anche con riguardo all’assemblea del 18/19 febbraio 2009. Trattandosi di prescrizione di contenuto organizzativo, ovvero propriamente "regolamentare", del regolamento di condominio (e, non quindi, di contenuto contrattuale, ovvero incidente sulla proprietà dei beni comuni o esclusivi), ha certamente rilievo a fini interpretativi, ai sensi dell’art. 1362, comma 2, c.c., anche il comportamento posteriore al medesimo regolamento avuto dai condomini, così com’è ammissibile che la stessa norma regolamentare venga modificata per "facta concludentia", sulla base di un comportamento univoco.
D’altro canto, se è vero che l’art. 1129, comma 2, c.c., dopo la Riforma introdotta con la legge n. 220 del 2012, prevede ora espressamente che l’amministratore debba comunicare il locale dove si trovano i registri condominiali, nonché i giorni e le ore in cui ogni interessato, previa richiesta, possa, appunto, prenderne gratuitamente visione e ottenere, previo rimborso della spesa, copia firmata, è anche costante, e meritevole tuttora di conferma, l’orientamento di questa Corte secondo cui la vigilanza ed il controllo, esercitati dai partecipanti essenzialmente, ma non soltanto, in sede di rendiconto annuale e di approvazione del bilancio da parte dell’assemblea, non devono mai risolversi in un intralcio all’amministrazione, e quindi non possono porsi in contrasto con il principio della correttezza, ex art. 1175 c.c. (Cass. Sez. 2, 21 settembre 2011, n. 19210; Cass. Sez. 2, 29 novembre 2001, n. 15159; Cass. Sez. 2, 19 settembre 2014, n. 19799). In tal senso, l’interpretazione che la Corte di Messina ha adottato dell’art. 16 del Regolamento appare logicamente coerente con l’esigenza di obbligare l’amministratore a predisporre un’organizzazione che consenta ai condomini il diritto di accedere alla documentazione contabile in vista della consapevole partecipazione all’assemblea condominiale, senza però che l’esercizio di tale facoltà paralizzi il normale svolgersi dell’attività di gestione condominiale.
Il terzo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 346 c.p.c. e dell’art. 345 c.p.c., contestandosi che la questione del conflitto di interessi costituisse domanda o eccezione, perciò da riproporre; e poi aggiungendosi che le richieste istruttorie avanzate dal Condominio appellante a pagina 12 dell’atto di appello fossero inammissibili.
Anche questo motivo è infondato.
Il principio, sancito dall’art. 346 c.p.c., secondo cui le domande ed eccezioni non accolte o rimaste assorbite in primo grado debbono essere riproposte espressamente, a pena di esclusione dal tema del giudizio di appello, dalla parte pienamente vittoriosa, opera certamente allorché, come nel caso in esame, quest’ultima intendesse devolvere al giudice d’appello un motivo di invalidità della deliberazione dell’assemblea dei condomini diverso da quello accolto nel giudizio di primo grado, essendo ciascuna ragione di annullabilità della delibera basata su una diversa "causa petendi" (arg. da Cass. Sez. 2, 18 febbraio 1999, n. 1378).
È invece inammissibile la denuncia di violazione dell’art. 345 c.p.c., in quanto la ricorrente non indica quale siano le richieste istruttorie avanzate dal Condominio soltanto in appello (se non facendo rinvio per relationem a "pag. 12 atto di appello"), né lascia intendere in che misura tali prove nuove abbiano inciso sulla decisione della Corte d’Appello, laddove la violazione di norme processuali può costituire motivo idoneo di ricorso per cassazione, ai sensi, peraltro, dell’art. 360, n. 4, c.p.c., solo quando abbia influito in modo determinante sul contenuto della pronuncia di merito, ovvero allorché quest’ultima - in assenza di tale vizio - non sarebbe stata resa nel senso in cui lo è stata (cfr. Cass. Sez. 3, 11 novembre 2015, n. 22978).
Il ricorso va perciò rigettato e la ricorrente va condannata a rimborsare al controricorrente le spese del giudizio di cassazione.
Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
martedì 16 maggio 2017
Ritorna il mandato a redigere il regolamento di condominio?
Un condomino chiede che venga accertato che la sistemazione di alcune fioriere sul parapetto del terrazzo di un appartamento confinante è occlusivo della vista mare esercitabile dal suo appartamento, in violazione del regolamento condominiale.
Il convenuto eccepisce che il regolamento non può essere considerato contrattuale in quanto predisposto successivamente all’acquisto da parte sua della qualità di condomino.
I giudici di merito accolgono la
domanda, ritenendo il regolamento opponibile al
convenuto perchè predisposto dall’originario costruttore
su suo specifico incarico affidatogli con
il contratto di acquisto, in base ad una clausola
del seguente tenore “la parte acquirente rilascia
alla società venditrice procura speciale affinchè
la stessa in nome e per conto di essa parte rappresentata,
oltre che in nome proprio, provveda:
ad effettuare presso un notaio in modo che possa
operarsi anche la relativa trascrizione il deposito
del Regolamento di Condominio in corso di predisposizione
a cure e spese della società venditrice,
regolamento di condominio in cui sono precisate:
.... le limitazioni imposte alle destinazioni delle
porzioni immobiliari di proprietà individuali ....”.
La S.C. (sent. 14 novembre 2016, n. 23128) ha
rigettato il ricorso ritenendo che nella specie non
ricorreva un’ipotesi di regolamento che avrebbe
dovuto essere approvato dall’assemblea condominiale
o l’affidamento di un mandato alla società
venditrice di predisporre il regolamento condominiale
ma, semplicemente, l’attribuzione da parte
dell’acquirente di un incarico alla società venditrice
di predisporre il regolamento in nome e per
conto proprio delimitando le materie sulle quali
sarebbe dovuto intervenire. E, il divieto di formare
fioriere mobili rientrava nella materia affidata al regolamento che sarebbe stato predisposto dal
costruttore sotto il profilo che lo stesso avrebbe
potuto prevedere “limitazioni imposte alle destinazioni
delle porzioni immobiliari di proprietà
immobiliari”.
Nella specie la S.C., pur non menzionando espressamente
l’art. 1395 c.c., la S.C. sembra avere ritenuto
che l’acquirente aveva conferito la venditore
il potere di concludere un contratto con se stesso,
sotto forma di regolamento che contenesse una
disciplina pattizia delle limitazioni alla destinazione
delle proprietà esclusive.
Su tale premesse il problema costituito dal fatto
che il contratto con se stesso in tanto è valido in
quanto il rappresentato abbia autorizzato espressamente
il rappresentante alla sua conclusione
oppure il suo contenuto sia determinato in modo
da escludere la possibilità di un conflitto di interesse
era superabile.
L’autorizzazione era in re ipsa dal momento che il
regolamento contrattuale era destinato a disciplinare
i rapporti relativi alla gestione del condominio
tra venditore ed acquirente.
Ugualmente il conflitto di interessi era da escludere
in re ipsa, in quanto le limitazioni al godimenti
delle proprietà esclusive eventualmente inserite
nel regolamento sarebbero state vincolanti
per tutti i condomini (ivi compreso il venditore-mandatario).
Nella specie, però, il problema andava affrontato
non sotto il profilo della validità del contratto
con se stesso, ma sotto il profilo della validità
del mandato a concludere tale contratto, per la
indeterminatezza del suo oggetto, individuato nel
generico conferimento al mandatario del potere
di inserire nel contratto “limitazioni alle destinazioni
di porzioni immobiliari di proprietà..”.
Tale conclusione sarebbe stata coerente con l’orientamento
costante della S.C. secondo il quale l’impegno,
assunto dall’acquirente di un’unità immobiliare
di un fabbricato, di rispettare il regolamento di
condominio da predisporsi dal costruttore, non può
valere come approvazione di un regolamento allo
stato inesistente, perché è solo il concreto richiamo
del singolo atto di acquisto ad un determinato regolamento
che consente di considerare quest’ultimo
come facente parte, “per relationem”, di tale atto
(Cass. 20 marzo 2015 n. 5657; Cass. 16 febbraio
2005 n. 3104; Cass. 6 agosto 1999 n. 8486; Cass. 16
giugno 1992 n. 7359).
di Roberto Triola
già Presidente della Seconda Sezione Civile della Cassazione
mercoledì 12 aprile 2017
IMPIANTO CENTRALIZZATO: Il condomino 'distaccante'
Deve pagare (anche) le spese relative ai consumi del carburante
per l’impianto di riscaldamento centralizzato?
Forse solo dopo gli animali domestici - che il
regolamento non può vietare di detenere in
casa, ex art. 1138, comma 5, c.c. - quello sul
distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato
è stato l’argomento che, prima e dopo la riforma
della normativa condominiale, ha maggiormente
interessato l’opinione pubblica, con vasta
risonanza sui mass media.
Invero, entrata in vigore la legge n. 220/2012,
si è registrata una certa “euforia” tra i condomini,
nel senso della liberalizzazione incondizionata
di tale iniziativa, che, invece, la nuova
disciplina, riportando tralaticiamente i “paletti”
imposti dalla precedente giurisprudenza di legittimità
- sia pure con una tecnica legislativa che
lascia alquanto a desiderare - àncora a precisi e
puntuali presupposti (di natura sia tecnica che
economica).
Sulla tematica de qua, sono intervenute due recenti
sentenze del Supremo Collegio, quasi coeve,
nell’autunno 2016, che, ovviamente, non possono
riguardare distacchi realizzati dopo il 18 giugno
2013 - dopo tre anni, si arriva a stento alla conclusione
di un giudizio di primo grado, figurarsi
quello di appello o di cassazione! - ma appaiono
interessanti per i principi ivi affermati, anche
in chiave “evolutiva” (pur se non condivisibili in
toto, segnatamente sul versante della regola di
giudizio dell’onere della prova).
La causa decisa da Cass., sez. II, 22 novembre
2016, n. 23756, prendeva le mosse dalla domanda
di un condomino, il quale assumeva di aver
provveduto, previa comunicazione all’amministratore
e previo consenso verbale di quest’ultimo,
al distacco del suo appartamento dall’impianto di
riscaldamento centralizzato, e che, ciò malgrado,
il condominio pretendeva il pagamento dell’intera
quota condominiale, comprensiva anche dei consumi
di carburante.
L’attore chiedeva, pertanto, l’accertamento del
suo diritto ad utilizzare l’impianto autonomo realizzato
a servizio del suo appartamento, a seguito
del distacco di cui sopra, con conseguente
esonero dalla contribuzione alle suddette spese
di consumo.
Il Tribunale aveva dichiarato (inspiegabilmente)
inammissibile la domanda relativa all’accertamento
del diritto al distacco, e, a seguito dell’appello del condomino, la Corte territoriale aveva confermato
sostanzialmente tale statuizione, osservando
però che era erronea la declaratoria di inammissibilità
del giudice di prime cure in quanto
fondata sul convincimento della necessità di una
previa deliberazione assembleare.
Veniva, quindi, ribadito il principio per il quale il
condomino può legittimamente rinunciare all’uso
dell’impianto di riscaldamento centralizzato e
distaccare la diramazioni della sua unità immobiliare,
anche senza necessità di autorizzazione
assembleare, fermo il suo obbligo di pagamento
delle spese per la conservazione dell’impianto;
tuttavia, ai fini di ottenere l’esonero anche dal
pagamento delle spese di gestione - come richiesto
dall’attore - era necessario provare altresì che
il distacco non si risolvesse in una diminuzione
degli oneri del servizio.
Nella fattispecie, la prova testimoniale espletata
permetteva di affermare che la consapevolezza
dell’amministratore dell’epoca circa l’esecuzione
dei lavori di distacco, se poteva far ritenere l’insussistenza
di una “volontà antagonista” a quella
di distacco dell’istante, non poteva però dimostrare
anche che vi fosse stata un’accettazione,
vincolante per gli altri condomini, della richiesta
di esonero dalla contribuzione alle spese di gestione
dell’impianto centralizzato.
Occorreva, dunque, verificare, in sede giudiziaria,
se l’esonero in esame fosse giustificato dall’assenza
di uno squilibrio termico, in conseguenza del
distacco, pregiudizievole all’erogazione del servizio
oppure dall’assenza di un aggravio di spese
per gli altri condomini e, sul punto, il giudice distrettuale
aveva ritenuto che l’attore non avesse
assolto all’onere della prova su di lui incombente,
in quanto gli accertamenti tecnici espletati nel
corso del giudizio non permettevano una delibazione
favorevole della domanda, essendo rimaste
scoperte delle lacune insanabili, anche in ragione
del tempo trascorso dall’esecuzione dei lavori e
della non perfetta conoscenza delle condizioni
dell’impianto in epoca anteriore alle modifiche
poste in essere dall’attore ab origine, e successivamente
dal condominio allorchè era stata sostituita
la caldaia con mutamento del tipo di alimentazione.
In buona sostanza, veniva rigettava la domanda di esonero dalla contribuzione ai costi di gestione:
per la cassazione di tale decisione, il condomino
soccombente proponeva ricorso sulla base
di due motivi.
Con il primo, si è denunciata la omessa/insufficiente
motivazione sull’affermazione circa la
mancata dimostrazione dell’insussistenza dello
squilibrio termico, deducendo che sarebbe errato
l’assunto secondo cui l’onere della prova di tale
evenienza incombeva sulla parte che pretendeva
l’esonero, occorrendo in ogni caso tenere conto
anche della condotta processuale della controparte
che aveva omesso di mettere a disposizione
la documentazione in merito alle caratteristiche
progettuali dell’impianto centralizzato sia prima
che dopo le modifiche apportate; inoltre, la decisione
risultava contraddittoria nella parte in cui
affermava che gli accertamenti tecnici erano risultati
insufficienti per ritenere che non vi fosse
squilibrio termico, pregiudizio all’erogazione del
servizio o aggravio di spesa, laddove le conclusioni
delle espletate CTU deponevano nel senso che
gli altri condomini, i quali continuavano ad usufruire
dell’impianto comune, non avevano dovuto
potenziare i loro radiatori, e che si era verificato
un ragguardevole decremento sia dei consumi sia
dei costi di esercizio.
Con il secondo motivo, si è denunciata la violazione
dell’art. 26 della legge n. 10/1991, in quanto
la decisione gravata aveva ritenuto insufficienti,
al fine di giustificare l’accoglimento della domanda
attorea, gli accertamenti compiuti in corso di
causa, in presenza di una dichiarazione rilasciata
dal tecnico, il quale aveva curato la realizzazione
dell’impianto autonomo, che attestava il perfetto
funzionamento dell’impianto, dimostrando in tal
modo l’insussistenza dello squilibrio termico.
I due motivi - esaminati congiuntamente in quanto
volti nel complesso a contestare la correttezza
della decisione impugnata, nella parte in cui aveva
denegato il diritto dell’attore all’esonero dalla
contribuzione alle spese di gestione - sono stati
ritenuti infondati dai giudici di Piazza Cavour.
In primo luogo, si è evidenziato che era infondata
la pretesa violazione delle regole dell’onere della
prova, per avere il giudice di merito ritenuto che
l’onere della prova circa l’esistenza delle condizioni
che giustificano l’esonero del condomino
distaccato dalla contribuzione alle spese di gestione
dell’impianto centralizzato, incomba sullo
stesso condominio che l’invoca.
In tal senso, militava la costante giurisprudenza,
ad avviso della quale il condomino è sempre
obbligato a pagare le spese di conservazione
dell’impianto di riscaldamento centrale anche
quando sia stato autorizzato a rinunciare all’uso
del riscaldamento centralizzato ed a distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall’impianto
comune, oppure abbia offerto la prova
che dal distacco non derivano nè un aggravio di
gestione o uno squilibrio termico, essendo in tal
caso esonerato soltanto dall’obbligo del pagamento
delle spese occorrenti per il suo uso, se il
contrario non risulti dal regolamento condominiale,
sicché è legittima la delibera condominiale che
pone a carico anche dei condomini che si siano
distaccati dall’impianto di riscaldamento le spese
occorrenti per la sostituzione della caldaia, posto
che l’impianto centralizzato costituisce un accessorio
di proprietà comune, al quale i predetti potranno
comunque riallacciare la propria unità immobiliare
(v., tra le altre, Cass., sez. II, 29 marzo
2007, n. 7708, in Immobili & diritto, 2008, fasc.
3, 14, con nota di M. DE TILLA; Cass., sez. II, 30
giugno 2006, n. 15079, in Foro it., Rep. 2006,
voce Comunione e condominio, n. 164; Cass., sez.
II, 25 marzo 2004, n. 5974, in Arch. loc. e cond.,
2004, 568).
Correttamente - ad avviso degli ermellini - era
stata invocata dal giudice di merito la regola di
cui all’art. 2697 c.c., ponendo, quindi, a carico
dell’attore le conseguenze negative derivanti dal
mancato raggiungimento della prova circa la ricorrenza
delle condizioni che legittimano il richiesto
esonero.
Inoltre, dovendosi acclarare quale fosse la condizione
dell’impianto anche prima dell’intervento di
distacco operato dal ricorrente, l’omessa attestazione
di tali circostanze ben poteva risultare imputabile
alla stessa condotta dell’attore, il quale,
proprio nella prospettiva di documentare la sussistenza
delle condizioni per l’esonero, avrebbe
dovuto far precedere il distacco da una relazione
tecnica che fotografasse la situazione precedente
il suo intervento, “onde precostituirsi la prova da
spendere nel presente giudizio”.
Tuttavia, trattasi di affermazioni da prendere cum
grano salis, nel senso che, alla luce del novellato
art. 1138, comma 4, c.c., si rivela problematico
- oltre che verificare in pratica i previsti presupposti
per la legittimità del distacco, anche - individuare
il soggetto deputato a valutarne la sussistenza
e delineare quali siano le corrette modalità
per realizzarlo.
Nella sede pre-contenziosa, ossia nell’àmbito
della vita condominiale, con tutta probabilità,
il condomino che assume volontariamente tale
iniziativa provvederà ad affidare ad un tecnico
specializzato del settore l’incarico di redigere una
perizia in ordine alla fattibilità dell’intervento,
con il rischio, però, che si possano fornire pareri
interessati, espressi da rivenditori di caldaie unifamiliari
o da soggetti improvvisati, unicamente
intenzionati ad eseguire l’opera.
Nulla esclude, però, che il condomino si distacchi
tout court, o dichiari semplicemente non sussistere
squilibri e aggravi di spesa; d’altronde, l’incipit
del capoverso è chiaro nel senso che “il condomino
può rinunciare … in tal caso, il rinunciante
… ”, facendo intendere che sia, invece, il condominio
a provare l’inesistenza delle condizioni che
giustificano l’iniziativa del singolo (d’altronde, in
linea con l’interpretazione giurisprudenziale formatasi
sul disposto dell’art. 1102 c.c.).
Può succedere, per correttezza, che quest’ultimo
faccia partecipe - per il tramite l’amministratore -
gli altri condomini della perizia all’uopo redatta;
è ovvio che i restanti partecipanti non sono tenuti
ad accettare le conclusioni del tecnico di parte
senza possibilità di replica, sicché, una volta ricevuta
la relazione, potranno riunirsi in assemblea
per deliberare se avallare l’iniziativa del singolo o
dare l’incarico ad un tecnico di loro fiducia al fine
di accertare l’effettiva sussistenza dei presupposti
di legge, restando inteso che, qualora le perizie
portassero a conclusioni divergenti, l’unica strada
per risolvere il conflitto è quella giudiziaria.
In quest’ultima sede, sembra ricadere sul condomino
l’onere della prova dei presupposti legittimanti
la sua iniziativa qualora impugni la delibera
che approvi un consuntivo che, nonostante
il distacco, pone a suo carico (anche) le spese di
gestione dell’impianto di riscaldamento centralizzato,
e parimenti se proponga opposizione al decreto
ingiuntivo che gli intima di pagare le relative
spese pro quota, mentre tale onere dovrebbe
ricadere sul condominio (o sui condomini attori)
qualora agiscano per l’accertamento dell’illegittimità
del distacco, dovendo dimostrare che da
quest’ultimo derivino, in concreto, quegli inconvenienti
tecnici/economici contemplati dall’art.
1118, comma 4, c.c., ossia lo squilibrio termico o
l’aggravio di spesa.
Quanto, poi, alle ulteriori doglianze sviluppate
nel ricorso di cui sopra, il Supremo Collegio - oltre
che denunciarne il difetto di autosufficienza - ha
ritenuto che si risolvessero sostanzialmente nella
surrettizia richiesta di procedere ad una rivalutazione
dei fatti di causa, ritenendosi non soddisfacente
la valutazione degli stessi così come
operata dal giudice del merito, cui in esclusiva il
legislatore ha affidato questo compito, escludendo
che lo stesso possa essere compiuto in sede di
legittimità.
Ad ogni buon conto, la sentenza impugnata aveva
dato atto che - sebbene l’appartamento dell’attore
avesse conservato la sua originaria ubicazione
(risultando sempre collocato al di sopra di locali
non riscaldati), ed ancorchè la copertura del tetto
avesse migliorato la precedente situazione di
dispersione termica - l’indagine per risultare favorevole alla tesi del ricorrente avrebbe dovuto accertare
in concreto se l’inevitabile ripercussione
sulla strutturazione dell’impianto, a seguito del
distacco, avesse avuto ricadute pregiudizievoli
sul calore goduto dai restanti condomini (a parità
di periodo di accensione e di costo dei consumi)
e sui tempi di erogazione negli altri appartamenti
di acqua calda a temperatura prefissata.
In tal senso, non era sufficiente accertare che i
termosifoni fossero “abbastanza caldi”, ma occorreva
verificare se, con gli stessi periodi di accensione,
tutti gli altri restanti appartamenti fruissero
della stessa quantità di calore goduta prima del
distacco e dei medesimi tempi di erogazione del
servizio di acqua calda.
In tale prospettiva, si era, invece, evidenziato
che, a seguito del distacco, il radiatore più lontano
dalla caldaia veniva raggiunto da acqua calda,
che aveva ha una temperatura inferiore a quella
che avrebbe dovuto avere, con la conseguenza
che, a quel radiatore, veniva ceduta una quantità
di calore inferiore a quella necessaria per fargli
raggiungere la temperatura interna di progetto.
Inoltre, mentre gli appartamenti intermedi continuavano
a fruire della temperatura di confort, risultava
che la pompa dell’impianto operasse sotto
sforzo, che l’aumento di velocità dell’acqua determinava
una maggiore rumorosità, e soprattutto
che, per la sua particolare collocazione, l’appartamento
dell’attore continuava ad essere interessato
da trasmissione di calore, essendo attraversato
da ben sei montanti dell’impianto centralizzato.
A fronte, poi, di una diminuzione dei consumi per
combustibile, non si era, però, saputo quantificare
in termini percentuali il pregiudizio subìto dai
condomini rimasti allacciati all’impianto centralizzato,
non risultando quindi possibile effettuare
una comparizione tra il risparmio di spesa per i
consumi, il pregiudizio patito dall’appartamento
posto all’ultimo piano - i cui radiatori risultavano
maggiormente distanti dalla caldaia e che
usufruivano, quindi, di una minore temperatura
dell’acqua calda - ed il vantaggio dell’immobile
dell’attore che riceveva tuttora calore dall’impianto
comune.
Quanto, infine, alla pretesa violazione dell’art. 26
della legge n. 10/1991, giustamente il massimo
consesso decidente ha sottolineato che l’attestazione
resa sul punto concerneva “unicamente la
conformità dell’impianto alle specifiche tecniche
imposte dalla menzionata legge ed il suo perfetto
funzionamento”, ma non poteva in alcun modo
avere valenza probatoria, e per lo più privilegiata
- come sperato dal ricorrente - in ordine al diverso
profilo, investito dalla causa, concernente la
legittimità della pretesa del condomino distaccatosi
ad essere esonerato dalla contribuzione alle spese di gestione dell’impianto centralizzato.
Ne deriva che anche il principio di diritto che si
assumeva essere stato violato dalla sentenza gravata,
in base al quale sussisterebbe il diritto all’esonero
dalle spese di gestione per il condominio
che si è munito di impianto autonomo, ove vi sia
attestazione rilasciata da tecnico specializzato ai
sensi della legge n. 10/1991, era meramente apparente,
essendo fondato sulla fallace convinzione
che l’attestazione de qua risulterebbe idonea
anche a documentare l’inesistenza dello squilibrio
termico, essendo invece “destinata unicamente
ad attestare la conformità dell’impianto autonomo
alla vigente disciplina in materia di risparmio
energetico, ma senza interessare anche il diverso
profilo delle sorti dell’impianto centralizzato”.
Di ben altro spessore si presenta Cass., sez. VI/
II, 3 novembre 2016, n. 22285, la quale ha deciso
una controversia che prendeva origine da un’impugnativa
di una delibera condominiale, con la
quale l’assemblea aveva deciso di “non concedere
il distacco dall’impianto di riscaldamento
centralizzato” ad un condomino, in quanto aveva
danneggiato le altre unità immobiliari sia sul
lato economico, sia sul piano del rendimento del
riscaldamento.
Il Giudice di Pace adìto - si ignora come avesse ritenuto
la propria competenza a decidere … - aveva
accolto l’impugnazione, dichiarando la nullità
della delibera sul punto relativo al distacco del riscaldamento,
e pertanto il diritto dell’impugnante
ad eseguire il richiesto distacco.
Il Tribunale, andando invece di contrario avviso
rispetto al primo giudice, aveva accolto l’appello
e, in riforma la sentenza impugnata, aveva rigettato
l’impugnazione, rilevando che il condomino
non avesse dimostrato la sussistenza dei requisiti
necessari per operare il distacco del proprio
appartamento dal riscaldamento condominiale,
e cioè che per il distacco dal proprio immobile
dall’impianto di riscaldamento condominiale non
fossero derivati notevoli squilibri di funzionamento
od aggravi di spesa per gli altri condomini, non
avendo il medesimo condomino prodotto alcuna
relazione termotecnica.
La cassazione di questa sentenza è stata chiesta
da quest’ultimo con ricorso affidato ad un motivo,
con cui si è lamentato l’omesso esame circa un
fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto
di discussione tra le parti, ex art. 360, n. 5),
c.p.c. (nuovo testo ex legge n. 134/2012).
In particolare, il ricorrente ha sostenuto che il
Tribunale, nel ritenere che egli non avrebbe dato
la prova della sussistenza dei requisiti necessari
per il distacco de quo - ossia che il distacco non
arrecasse squilibri di funzionamento dell’impianto
condominiale e che non determinasse aggravi di spesa a carico degli altri condomini - non avrebbe
considerato che la prova era nello stesso comportamento
del condominio, in quanto era stato
acquisito al giudizio che l’avvenuto distacco
dall’impianto centralizzato era stato effettuato
dal precedente proprietario ed era circostanza
nota da anni all’amministratore ed ai condomini;
inoltre, in tutto il tempo in cui l’appartamento
dell’originario attore era risultato distaccato, né
l’impianto di riscaldamento presentava squilibri
di funzionamento, né si erano verificati aggravi
di spesa per i rimanenti condomini.
Il suddetto motivo è stato ritenuto infondato dal
Supremo Collegio.
Sul punto, si è premesso che “la questione relativa
al distacco di un condominio (rectius, condomino)
dall’impianto centralizzato condominiale
trova la sua immediata disciplina nella normativa
di cui all’art. 1118 c.c. come modificata dalla legge
n. 220/2012, in vigore dal 18 giugno 2013
(riforma del condominio)”, la quale ha, espressamente,
ammesso la possibilità del singolo condomino
di distaccarsi dall’impianto centralizzato
di riscaldamento, ma a condizione che dimostri
che dal distacco non derivino notevoli squilibri
di funzionamento dell’impianto o aggravi di spesa
per gli altri condomini.
Premessa, quest’ultima, abbastanza discutibile,
perché - come risulta dalla stessa sentenza - la
delibera impugnata era stata adottata nel 2010, e
quindi in epoca anteriore all’entrata in vigore della
suddetta riforma della normativa condominiale,
sembrando più corretto scrutinare la legittimità
della condotta del condomino “distaccante” alla
luce della normativa vigente al momento della realizzazione
dell’iniziativa e non al momento della
decisione del magistrato.
Si consideri, ad esempio, che, secondo la novella
del 2013, il suddetto condomino non sembra più
tenuto a corrispondere quel contributo in percentuale,
concordato tra le parti o stabilito dal
magistrato, che - ad avviso della pregressa giurisprudenza
- doveva essere imposto a compensazione
dei possibili aumenti di spesa per gli altri
partecipanti (tenendo conto, altresì, che i condomini
adiacenti all’appartamento distaccatosi
potrebbero subire un calo della resa termica nella
loro unità immobiliare o, comunque, “faticare” di
più a scaldarsi).
Prosegue la Corte che, pertanto, il condomino che
intende distaccarsi deve “fornire la prova che dal
suo distacco non derivino notevoli squilibri all’impianto
di riscaldamento o aggravi di spesa per gli
altri condomini”, e la preventiva informazione
deve necessariamente essere corredata dalla documentazione
tecnica attraverso la quale egli possa
dare prova dell’assenza di “notevoli squilibri” e di “assenza di aggravi” per i condomini che continueranno
a servirsi dell’impianto condominiale.
In disparte che si utilizzano requisiti contemplati
dalla nuova normativa, che non dovrebbero valere
ex tunc - ci si riferisce soprattutto all’aggettivo
“notevoli”, che tanto affanna l’interprete, non essendo
chiaro se debba riferirsi ai soli squilibri termici
o agganciarsi anche agli “aggravi di spesa” -
non è certo che il condomino, il quale ha assunto
l’iniziativa, debba anche sobbarcarsi dell’onere di
una attestazione asseverata che dimostri la legittimità
del suo operato (v. supra).
Di certo, un onere di comunicazione sussiste in
capo al condomino, perché, distaccandosi, lo
stesso, oltre che una maggiore comodità nella
gestione del suo servizio di riscaldamento, vuole
risparmiare i costi di gestione - fermi i suoi
obblighi di contribuzione per la conservazione
dell’impianto comune (unitamente a quelli per la
manutenzione straordinaria e messa a norma) - e
solo notiziando l’amministratore può realizzare il
suo intento volto a non far inserire nel relativo
bilancio la sua quota.
D’altronde, un onere di “preventiva notizia” (ma
solo quella) all’amministratore potrebbe attualmente
evincersi dal disposto del novellato art.
1122 c.c., che contempla tale incombente per
tutte quelle opere realizzate nell’appartamento
di proprietà esclusiva, ed anche se non rechino
danno alle parti comuni o non pregiudichino la stabilità/sicurezza/estetica dell’edificio.
Chiosa la Corte che il suddetto onere della prova
in capo al condomino, che intenda esercitare la
facoltà del distacco “viene meno soltanto nel caso
in cui l’assemblea condominiale abbia effettivamente
autorizzato il distacco dall’impianto comune
sulla base di una propria autonoma valutazione
della sussistenza dei presupposti”, con l’ulteriore
specificazione che colui che intende distaccarsi
dovrà, in presenza di squilibri nell’impianto condominiale
e/o aggravi per i restanti condòmini,
rinunciare dal porre in essere il distacco perché
diversamente potrà essere chiamato al ripristino
dello status quo ante, né l’interessato, ai sensi
dell’art. 1118 cod. civ., potrà effettuare il distacco
e ritenere di essere tenuto semplicemente a
concorrere al pagamento delle sole spese per la
manutenzione straordinaria dell’impianto e per la
sua conservazione e messa a norma, “poiché tale
possibilità è prevista solo per quei soggetti che
abbiano potuto distaccarsi, per aver provato che
dal loro distacco non derivano notevoli squilibri
di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri
condomini”.
Affermazioni, queste ultime, tutto sommato ultronee
o, quantomeno, scontate, laddove, invece,
il ritenere che la delibera assembleare possa avallare
un’iniziativa, per ipotesi, illecita del condomino
distaccante potrebbe portare ad un’indebita
compressione dei diritti della minoranza.
di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione
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giovedì 23 marzo 2017
REGOLAMENTO CONDOMINIALE e LIMITAZIONE DELLA DESTINAZIONE DELLE UNITA' IMMOBILIARI
La clausola del regolamento condominiale che limiti la destinazione delle unità immobiliari deve essere considerata costitutiva di servitù atipica ed è, quindi, opponibile ai terzi acquirenti solo se risulti nella nota di trascrizione.
Cassazione, sent. 18 ottobre 2016 n. 21024
La vicenda ha inizio con l'impugnazione di una delibera assembleare che, a maggioranza, aveva integrato il regolamento condominiale, inserendovi un articolo che vietava ai partecipanti di destinare le unità singole a case-famiglia, bed and breakfast, pensioni, alberghi o affittacamere.
Il condominio convenuto si era difeso sostenendo che la deliberazione impugnata aveva soltanto riprodotto analoga disposizione contenuta nel regolamento originario del 1957.
Il Tribunale di Palermo aveva dichiarato la nullità della delibera, mentre la Corte d'Appello aveva riformato la prima sentenza, osservando come le limitazioni all'utilizzo delle unità immobiliari, benchè non fossero state inserite nelle note di trascrizione, derivassero da un regolamento condominiale di origine contrattuale richiamato negli originari atti d'acquisto delle singole proprietà esclusive. Uno degli originari attori aveva proposto ricorso per cassazione lamentando, tra l'altro, che l'omessa trascrizione del regolamento del 1957 aveva comportato l'inopponibilità delle relative clausole limitative ai successivi acquirenti.
Il Tribunale di Palermo aveva dichiarato la nullità della delibera, mentre la Corte d'Appello aveva riformato la prima sentenza, osservando come le limitazioni all'utilizzo delle unità immobiliari, benchè non fossero state inserite nelle note di trascrizione, derivassero da un regolamento condominiale di origine contrattuale richiamato negli originari atti d'acquisto delle singole proprietà esclusive. Uno degli originari attori aveva proposto ricorso per cassazione lamentando, tra l'altro, che l'omessa trascrizione del regolamento del 1957 aveva comportato l'inopponibilità delle relative clausole limitative ai successivi acquirenti.
La Corte di Cassazione, con sentenza 18 ottobre 2016, n. 21024, accoglie questa censura. La sentenza delle Suprema Corte ricorda come alcune pronunce precedenti avessero affermato che le clausole del regolamento condominiale che impongono limitazioni ai poteri e alle facoltà spettanti ai condomini sulle parti di loro esclusiva proprietà possono vincolare gli acquirenti dei singoli appartamenti anche indipendentemente dalla trascrizione, purché nell'atto di acquisto si sia fatto riferimento al regolamento di condominio, che - seppure non inserito materialmente - debba ritenersi conosciuto o accettato in base al richiamo o alla menzione di esso nel contratto (Cass. 31 luglio 2009, n. 17886).
Parimenti, in passato si era affermato che la clausola del regolamento di condominio, che impone il divieto di destinare i locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini a determinate attività, abbia efficacia nei confronti degli aventi causa a titolo particolare dei condomini se trascritta nei registri immobiliari, oppure se comunque menzionata ed accettata espressamente nei rispettivi atti d'acquisto (Cass. 1° giugno 1993, n. 6100).
Altre volte, si era distinto sempre in giurisprudenza tra le clausole del regolamento che impongano pesi a carico di unità immobiliari di proprietà esclusiva e a vantaggio di altre unità abitative, e le clausole che invece impongano prestazioni a carico di alcuni ed a favore di altri condomini o di soggetti diversi, nel primo caso essendo configurabile un diritto di servitù, trascrivibile nei registri immobiliari, e nel secondo, invece, un onere reale e nel terzo un obbligazione "propter rem", non trascrivibili (Cass. 5 settembre 1990, n. 11684).
Altrimenti, a proposito del regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, le clausole che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive sono state intese come costitutive su queste ultime di servitù reciproche (Cass. 15 aprile 1999, n. 3749, Cass. 13 giugno 2013, n. 14898).
La sentenza 18 ottobre 2016, n. 21024 afferma decisamente che la previsione regolamentare di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive debba essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obligationes propter rem. Osserva la Corte che non vi può essere obbligazione reciproca quando ciascuno debba all'altro un eguale speculare a quello cui questi è tenuto verso di lui. Ricondotta alla servitù, l'opponibilità ai terzi acquirenti della clausola del regolamento che stabilisce i limiti alla destinazione delle proprietà esclusive va, quindi, regolata facendo attenzione riguardo alla trascrizione del relativo peso.
Per l'opponibilità delle servitù reciproche costituite dal regolamento di condominio, non è, quindi, sufficiente indicare nella nota di trascrizione il regolamento medesimo, ma, ai sensi degli artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 c.c., occorre indicarne le specifiche clausole limitative (Cass. 31 luglio 2014, n. 17493). In assenza di trascrizione, queste disposizioni del regolamento valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d'acquisto.
Altre volte, si era distinto sempre in giurisprudenza tra le clausole del regolamento che impongano pesi a carico di unità immobiliari di proprietà esclusiva e a vantaggio di altre unità abitative, e le clausole che invece impongano prestazioni a carico di alcuni ed a favore di altri condomini o di soggetti diversi, nel primo caso essendo configurabile un diritto di servitù, trascrivibile nei registri immobiliari, e nel secondo, invece, un onere reale e nel terzo un obbligazione "propter rem", non trascrivibili (Cass. 5 settembre 1990, n. 11684).
Altrimenti, a proposito del regolamento di condominio predisposto dall'originario unico proprietario dell'intero edificio, accettato dagli iniziali acquirenti dei singoli piani e regolarmente trascritto nei registri immobiliari, le clausole che restringono i poteri e le facoltà dei singoli condomini sulle loro proprietà esclusive sono state intese come costitutive su queste ultime di servitù reciproche (Cass. 15 aprile 1999, n. 3749, Cass. 13 giugno 2013, n. 14898).
La sentenza 18 ottobre 2016, n. 21024 afferma decisamente che la previsione regolamentare di limiti alla destinazione delle proprietà esclusive debba essere ricondotta alla categoria delle servitù atipiche, e non delle obligationes propter rem. Osserva la Corte che non vi può essere obbligazione reciproca quando ciascuno debba all'altro un eguale speculare a quello cui questi è tenuto verso di lui. Ricondotta alla servitù, l'opponibilità ai terzi acquirenti della clausola del regolamento che stabilisce i limiti alla destinazione delle proprietà esclusive va, quindi, regolata facendo attenzione riguardo alla trascrizione del relativo peso.
Per l'opponibilità delle servitù reciproche costituite dal regolamento di condominio, non è, quindi, sufficiente indicare nella nota di trascrizione il regolamento medesimo, ma, ai sensi degli artt. 2659, comma 1, n. 2, e 2665 c.c., occorre indicarne le specifiche clausole limitative (Cass. 31 luglio 2014, n. 17493). In assenza di trascrizione, queste disposizioni del regolamento valgono soltanto nei confronti del terzo acquirente che ne prenda atto in maniera specifica nel medesimo contratto d'acquisto.
di Carlo Patti
Consulente Legale ANACI Roma
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giovedì 16 marzo 2017
Regolamento condominiale predisposto dal costruttore/venditore è valido ed opponibile all'acquirente
Il regolamento condominiale predisposto dal costruttore/venditore è valido e opponibile all'acquirente che abbia dato al primo incarico contrattuale di predisporlo, anche se la sua predisposizione è avvenuta successivamente all'atto di acquisto
Cassazione 14 novembre 2016 n. 23128
Nel caso di specie, la vicenda aveva preso le mosse dalla richiesta di due condomini di condannare il proprio vicino di casa a rimuovere una fioriera apposta sul suo terrazzo e ogni eventuale altro ingombro che limitava la loro veduta.
Il convenuto, però, sosteneva che il regolamento condominiale contenente il suddetto divieto non gli poteva essere opposto poiché era stato redatto dopo l'acquisto dell'appartamento dal costruttore.
La Cassazione ha rigettato il ricorso: il regolamento in questione ha un'indubbia natura convenzionale che gli deriva dal fatto che il condominio non si era limitato ad assumere un impegno generico a rispettare il regolamento che sarebbe stato emanato dopo il suo acquisto, ma aveva dato al costruttore un incarico specifico di predisporre in suo nome e per suo conto tale regolamento, peraltro specificando che esso avrebbe potuto prevedere "limitazioni imposte alle destinazioni delle porzioni immobiliari di proprietà immobiliari".
Per la sentenza in commento "è indubbia la natura convenzionale del regolamento in questione, data dal fatto che l'appellante non ha assunto il generico impegno a rispettare l'emanando regolamento, ma ha dato specifico incarico di predisporre tale regolamento in nome e per conto proprio, previsione che consente di superare l'obiezione della mancanza di regolamento al momento dell'acquisto dell'unità immobiliare, posto che il suddetto regolamento, per quanto detto, deve ritenersi dal medesimo accettato nel rispetto delle forme obbligatoriamente prescritte (...)".
E di più "(...) atteso che ai sensi dell'art. 1388 c.c. gli effetti del contratto concluso dal rappresentante si perfezionano direttamente nei confronti del rappresentato [...] il regolamento condominiale risulta opponlblle all'appellante in quanto predisposto dall'originario costruttore su suo specifico incarico contrattuale. [...] Nell'ipotesi in esame non ricorre invero un'ipotesi di regolamento che avrebbe dovuto essere approvato dall'assemblea condominiale ma, semplicemente, l'attribuzione di un incarico alla società venditrice di predisporre il regolamento."
Carlo Patti
Consulente legale ANACI Roma
lunedì 13 marzo 2017
DISTACCO DAL RISCALDAMENTO CENTRALIZZATO
Il condomino che intende operare il distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento deve dimostrare la sussistenza delle condizioni e l'assenza di pregiudizio
Cassazione 3 novembre 2016 n. 22285
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Cassazione 3 novembre 2016 n. 22285
I principi di diritto espressi con esemplare chiarezza dalla sentenza in commento sono di notevole importanza nella materia del distacco dall'impianto centralizzato di riscaldamento.
La vicenda. Un condominio, interessato a distaccare la propria unità dall'impianto centralizzato di riscaldamento si vede opporre un rifiuto dall'assemblea, sulla base della mancata dimostrazione dell'assenza di pregiudizi in capo agli altri utenti. Impugnata la delibera per nullità, ritenendo il proprio diritto, la domanda viene accolta in primo grado, ma respinta in appello, proprio perchè il condominio non avrebbe dimostrato la sussistenza dei requisiti dell'assenza di squilibri termici o di aggravi di spesa, mancando una relazione termotecnica.
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, facendo riferimento all'art.1118 co. 4 c.c. statuisce che:
La Corte specifica anche che in presenza di squilibri nell'impianto e/o aggravi di spesa per i restanti condomini, colui che intende distaccarsi dovrà rinunciare dal porre in essere il distacco, perché diversamente potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante.
Né l'interessato potrà distaccarsi ugualmente, e ritenere di concorrere semplicemente al pagamento delle sole spese di conservazione e messa a norma, poiché tale possibilità è prevista solo per quei soggetti che abbiano potuto distaccarsi provando che dal loro distacco "non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini".
La Corte di Cassazione rigetta il ricorso, facendo riferimento all'art.1118 co. 4 c.c. statuisce che:
- il condominio che si distacca deve fornire la prova che dal suo distacco non derivano squilibri all'impianto di riscaldamento o aggravi di spesa per gli altri condomini.
- la preventiva informazione dovrà necessariamente essere corredata dalla documentazione tecnica che comprova l'assenza di pregiudizio tecnico ed economico per i condomini utenti dell'impianto centralizzato.
La Corte specifica anche che in presenza di squilibri nell'impianto e/o aggravi di spesa per i restanti condomini, colui che intende distaccarsi dovrà rinunciare dal porre in essere il distacco, perché diversamente potrà essere chiamato al ripristino dello status quo ante.
Né l'interessato potrà distaccarsi ugualmente, e ritenere di concorrere semplicemente al pagamento delle sole spese di conservazione e messa a norma, poiché tale possibilità è prevista solo per quei soggetti che abbiano potuto distaccarsi provando che dal loro distacco "non derivano notevoli squilibri di funzionamento o aggravi di spesa per gli altri condomini".
La sentenza in commento chiarisce dunque i dubbi interpretativi e applicativi derivanti dalla imperfetta tecnica legislativa che presiede alla redazione della nuova formulazione dell'art. 1118 co. 4 c.c.
Amministrare Immobili
di Carlo Patti
Consulente legale
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