martedì 16 maggio 2017

La valutazione dei rischi all’interno del condominio

Quando il legislatore permette al piccolo imprenditore di autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi lo chiama ad una forte assunzione di responsabilità: se lo stesso autocertifica falsamente di avere compiuto tale attività, qualora venga scoperto, è passibile di severe sanzioni penali.

Premessa generale sul documento di valutazione dei rischi all’interno del condominio.
Per quanto riguarda l’applicazione della normativa di sicurezza all’interno del condominio deve notarsi che l’innovazione rappresentata dal d.lvo n. 81/2008 rispetto al d.lvo n. 626/1994 è che quest’ultimo coesisteva con la legislazione precedente in materia di tutela della sicurezza sul lavoro ed in particolare con i DPR emessi nel corso del decennio 1950 – 1960. Pertanto a causa di tale tale ragione il d.lvo n. 626/1994 si autolimitava nella sua applicazione come avveniva con l’art. 1, comma terzo che affermava: “ nei riguardi dei lavoratori di cui alla legge 18/12/1973 n. 877, nonché dei lavoratori con rapporto contrattuale privato di portierato le norme del presente decreto si applicano nei casi espressamente previsti.. Invece l’art. 3 del d.lvo n. 81/2008 abroga la disciplina precedente e contiene il principio generale che sancisce la sua generale applicabilità a tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a tutte le tipologie di rischio.
Inoltre l’art. 3, comma nono, del d.lvo 9/4/2008 n. 81, rispetto a quanto stabilito dall’art. 1, comma terzo, del d.lvo n. 626/1994, compie una decisa inversione poiché afferma che nei confronti dei lavoratori i quali rientrano nel campo di applicazione del contratto collettivo dei proprietari di fabbricati sono necessarie le seguenti cautele:
- gli obblighi di informazione e formazione previsti dagli articoli 36 e 37;
- ai portieri devono essere forniti i necessari dispositivi individuali in relazione alle effettive mansioni assegnate;
- qualora ai portieri del condominio siano forniti dal datore di lavoro o per tramite di terzi attrezzature proprie, le stesse devono essere conformi alle disposizioni di cui al titolo III riguardante l’uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale.
Nei confronti dei documenti di valutazione dei rischi esistenti ed elaborati secondo quanto previsto dall’art. 4 del d.lvo n. 626/1994 il d.lvo n. 81/2008 nulla dice: pertanto i documenti esistenti alla data di entrata in vigore del d.lvo n. 81/2008 conservano la loro validità e non devono essere cambiati se le situazioni in essi rappresentati non sono mutate. Invero l’art. 306 del d.lvo n. 81/2008 precisa che le norme sulla valutazione dei rischi e del relativo documento ( articoli 17, comma primo lettera a, e dell’art. 28) e le relative disposizioni sanzionatorie diventano efficaci decorsi 90 giorni dalla data di pubblicazione del d.lvo n. 81/2008 sulla Gazzetta Ufficiale e fino a tale data continuano a trovare applicazione le disposizioni precedenti ( articoli 3, 4 e 89 del d.lvo n. 626/1994).
Notasi che la data del 28/7/2008, originariamente prevista dall’art. 306 del d.lvo n. 81/2008 per l’adozione del documento di valutazione dei rischi, è stata rinviata al 1/1/2009 dall’art. 3, comma secondo, del D.L. n. 97/2008, convertito dall’art. 4 della legge 2/8/2008 n. 129 (GU n. 180 del 278/2008).
Rispetto al sistema del d.lvo n. 626/1994 che non distingueva la dimensione delle imprese, il d.lvo n. 81/2008, in tema di valutazione dei rischi, con notevole realismo, in quanto gli stessi adempimenti non possono indifferentemente gravare sul piccolo imprenditore come sulla multinazionale, afferma che:
- il documento di valutazione dei rischi, elaborato dal datore di lavoro in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione e del medico competente e realizzato previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, deve essere rielaborato in occasione di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità ed a seguito di tale rielaborazione, le misure di prevenzione devono essere aggiornate.
- i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori effettuano la valutazione dei rischi:
  • mediante procedure standardizzate che devono essere elaborate entro il 31/12/2010 e recepite con decreto emesso dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale;
  • fino al 30/6/2012 i datori di lavoro possono autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi.
- i datori di lavoro che occupano fino a 50 lavoratori possono effettuare la valutazione dei rischi con le procedure standardizzate sopra citate e fino a quando non intervengono tali procedure si applicano le disposizioni dell’art. 29 commi primo, secondo, terzo e quarto comma.
Il documento di valutazione dei rischi deve essere custodito presso l ‘unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione dei rischi e le procedure facilitate sopra descritte non si applicano alle lavorazioni pericolose e che espongono i lavoratori a rischi chimici, biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni, mutageni, connessi all’esposizione all’amianto.
Notasi che il legislatore allorquando permette al piccolo imprenditore di autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi lo chiama ad una forte assunzione di responsabilità in quanto allorquando lo stesso autocertifichi falsamente di avere compiuto tale attività, qualora venga scoperto, è passibile delle seguenti severe sanzioni penali.
- il reato previsto e punito dall’art. 483 c.p. che sanziona con la reclusione fino a due anni chiunque attesti falsamente al pubblico ufficiale in un atto pubblico fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità;
- il reato previsto e punito dagli articoli 17 e 55, primo comma lettera a) del d.lvo n. 81/2008 che sanziona con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 5.000 a 15.000 euro il datore di lavoro che omette la valutazione dei rischi dei rischi e l’adozione del documento previsto dall’art. 17 o lo formi in modo incompleto.

Giova notare che il documento di valutazione dei rischi deve avere una data certa e deve contenere (art. 28):
- una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa. - l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati.
- il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
- l’individuazione delle procedure per l ‘attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri.
- l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e di protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale o del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio;
- l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza o adeguata formazione o addestramento

Le fonti giuridiche relative alla valutazione del rischio psico-fisico del lavoratore.
L’obbligo per il datore di lavoro di assicurare nei confronti dei propri dipendenti la tutela della loro incolumità psico-fisica è contemplato dalle seguenti norme.
- dall’art. 2087 del codice civile per cui il datore di lavoro è tenuto, nell’esercizio dell’impresa, ad adottare tutte le misure che, secondo la particolarità del lavoro, dell’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro. Notasi che l’art. 2086 del codice civile attribuisce al datore di lavoro il potere gerarchico sui collaboratori e pertanto questi ultimi sono tenuti all’osservanza delle direttive del datore di lavoro il quale, a sua volta, li tutela psichicamente e fisicamente;
- dall’art. 4 del d.lvo n. 626/1994 ( abrogato dal d.lvo n. 81/2008) secondo il quale il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. - dall’art. 17, primo comma lettera a), del d.lvo n. 81/2008 per cui il datore di lavoro deve valutare tutti i rischi con la conseguente elaborazione del documento previsto dall’art. 28.

Aggiungasi che la giurisprudenza ha affermato che gli adempimenti non delegabili propri del datore di lavoro consistono nell’adozione di procedure di sicurezza e l’affissione delle relative norme all’esterno dei luoghi pericolosi, compiti che quali non rientrano tra gli obblighi del responsabile del servizio di prevenzione e di protezione, il quale ha il semplice obbligo nei confronti del datore di lavoro di segnalare le omissioni in materia dovendo poi quest’ultimo provvedere alle prescrizioni del caso ( vedasi la sentenza del Pretore di Trento del 25/1/1999 edita in “Il Foro Italiano”, 1999, pag. 475, conforme sentenza della C.Cass. Pen., Sez. 4, sent. n. 6277 del 6/12/2007).
Giova notare che la mancata o carente valutazione dei rischi da parte del datore di lavoro è sanzionata dall’art. 55, comma primo, del d.lvo n. 81/2008 con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 5.000 a 15.000 euro.
L’art. 28 del d.lvo n. 81/2008 afferma che nella redazione del documento di valutazione dei rischi devono essere valutati anche quelli collegati allo stress lavoro correlato secondo i contenuti dell’accordo europeo datato 8 ottobre 2004.
Deve rilevarsi che, come sopra evidenziato, Il D.L. 30/12/2008 n. 207 (pubblicato sulla GU n. 304 del 31/12/2008) prevede all’art. 32 la proroga generale al 16/5/2009 dell’entrata in vigore delle seguenti norme del d.lvo n. 81/2008:
- 1) la comunicazione degli infortuni sul lavoro di durata superiore al giorno, termine già previsto dall’art. 18, comma primo lettera r) del d.lvo n. 81/2008 e prorogato al 1/1/2009 dall’art. 4, comma secondo della legge 2/8/2008 n. 129;
- 2) l’effettuazione della sorveglianza sanitaria in fase preassuntiva prevista dall’art. 41, comma terzo lettera a), del d.lvo n. 81/2008;
- 3) il termine riferito in materia di valutazione dei rischi da lavoro, il cui primo termine di applicazione era già stato inviato al 1/1/2009 dall’art. 4, comma 2- bis, della legge 2/8/2008 n. 129, previsto dall’art. 306, comma secondo, del d.lvo n. 81/2008 con riferimento alle disposizioni previste dall’art. 28, comma primo e secondo, inerenti alla data certa del documento, al contenuto della relativa relazione con riferimento alla valutazione dello stress lavoro correlato secondo i contenuti dell’accordo europeo datato 8/10/2004.

Il contenuto dell’accordo europeo del 8 ottobre 2004
L’accordo europeo quadro del 8 ottobre 2008 è stato firmato dalle maggiori organizzazioni europee di lavoratori ed imprenditori (CES – Sindacato Europeo, UNICE – Confindustria Europea, UEAPME – Associazione Europea Artigianato, CEEP – associazione europea delle Imprese partecipate dal pubblico e di interesse economico generale ) e in data 9/6/2008 è stato recepito dall’accordo interconfederale delle corrispondenti associazioni italiane (CONFINDUSTRIA, COINFAPI, CONFARTIGIANATO, CASARTIGIANI, CLAAI, CNA, CONFESERCENTI, CONFOCOOPERATIVE, LEGACOOPERATIVA, AGCI, CONFESERVIZI, CONFAGRICOLTURA, COLFDIRETTI). Lo scopo dell’accordo (art.2) è di migliorare la consapevolezza e la compresione dello stress lavoro da parte dei datori di lavoro dei lavoratori e dei loro rappresentanti richiamando la loro attenzione sui sintomi che possono indicare l’insorgenza di problemi da stress da lavoro.
L’accordo definisce (art. 3) lo stress come uno stato che si accompagna a malessere e disfunzioni fisiche, psicologiche o sociali e che consegue dal fatto che le persone non si sentono in grado di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese nei loro confronti. In ogni caso si precisa che lo stress non una malattia, ma una esposizione prolungata allo stress può ridurre l’efficienza sul lavoro e causare problemi di salute.
Lo stress è considerato (art. 1), a livello internazionale, europeo e nazionale, un problema sia dai datori di lavoro che dia lavoratori. Lo stress, potenzialmente, può colpire in qualunque luogo di lavoro e qualunque lavoratore, a prescindere dalla dimensione dell’azienda, dal campo di attività, dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro. Quindi considerare il problema dello stress sul lavoro può comportare una maggiore efficienza e un deciso miglioramento delle condizioni di salute e di sicurezza sul lavoro.
Lo stress viene indicato ( art. 4) dai seguenti elementi di allarme: l’assenteismo ripetuto, l’elevata rotazione del personale, conflitti interpersonali, lamentele frequenti dei lavoratori e l’individuazione del problema avviene attraverso l’esame dei seguenti fattori:
- l’organizzazione dei processi di lavoro. - le condizioni e l’ambiente di lavoro. - la comunicazione e i fattori soggettivi.
Le misure per prevenire o eliminare o ridurre i problemi da stress da lavoro possono essere (art. 6) collettivi o individuali e consistono.
- a) nelle misure di gestione e di comunicazione in grado di:
  • chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore.
  • di assicurare un sostegno adeguato da parte delle direzione ai singoli individui e ai team di lavoro.
  • portare coerenza e responsabilità e di controllo sul lavoro.
  • migliorare l’organizzazione, i processi, le condizioni e l’ambiente di lavoro.
 - b) nella formazione dei dirigenti e dei lavoratori per migliorare la loro consapevolezza e la loro comprensione nei confronti dello stress, delle sue possibili cause e del modo con cui affrontarlo, e/o per adattarsi al cambiamento;
- c) nell’informazione e nella consultazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti e/o, in conformità alla legislazione europea e nazionale, ai contratti collettivi e alla prassi.
L’accordo del 8/10/2004, secondo quanto previsto dall’art. 139 del Trattato Europeo, impegna i membri dell’UNICE/UEAPME, del CEEP, e della CAS (e del Comitato di Collegamento EUROCADRES/CEC) a promuoverlo, entro tre anni dalla sua firma, in accordo con le procedure e le pratiche proprie delle parti sociali nei vari Stati membri e nei paesi dell’area Economica Europea e i firmatari invitano anche le loro organizzazioni affiliate nei paesi candidati ad attuare l’accordo.

L’accordo interconfederale del 9 giugno 2008
L’accordo del 9/6/2008 recepisce l’accordo quadro europeo del 8/10/2004 e le organizzazioni firmatarie (art. 7) si impegnano:
- non soltanto ad applicarlo, ma anche a fornire un resoconto sulla sua applicazione al Comitato per il dialogo sociale;
- a rivedere l’accordo entro cinque anni qualora venga richiesto da una delle organizzazioni firmatarie;
- nell’applicare l’accordo ad evitare oneri superflue a carico delle piccole e medie imprese.
- nell’applicare l’accordo in modo da evitare che sia una base per ridurre il livello generale di protezione fornito ai lavoratori.
- nell’applicare l’accordo in modo da non pregiudicare il diritto delle parti sociali di concludere, a livello adeguato, incluso quello europeo, accordi che lo adattino e/o lo integrino in modo da tenere conto di specifiche necessità delle parti sociali interessate.

 Il contenuto minimo del documento di valutazione dei rischi nel condominio
All’interno del condominio il documento di valutazione dei rischi dovrà comprendere soprattutto le necessarie osservazioni inerenti: 
- l’informazione e la formazione dei dipendenti del condominio, ai sensi degli articoli 36 e 37 del d.lvo n. 81/2008;
- il controllo inerente alla qualità delle acque destinate al consumo umano prevista dal d.lvo 2/2/2001 n. 31;
- il controllo degli impianti tecnologici (impianti elettrici, impianti radiotelevisivi, le antenne e gli impianti elettronici in genere, gli impianti di riscaldamento, gli impianti idrici, gli impianti per la distribuzione e l’utilizzazione del gas di qualsiasi tipo, gli impianti di sollevamento di persone o cose, gli impianti di protezione antincendio) secondo quanto previsto dal Decreto del Ministero Economico del 22/12008 n. 37;
- il rispetto della normativa antincendio con particolare riferimento al Decreto del Ministero dell’Interno del 29/12/2005 contenente le direttive riguardanti le misure di adeguamento ed i relativi termini temporali per eliminare con gradualità i nulla osta provvisori previsti dalla legge 7/12/1984 n. 818;
- la protezione assicurata dall’art. 115 del d.lvo n.81/2008 nei confronti dei lavoratori dalla caduta dall’alto: le linee vita e il lavoro con le funi;
- la rimozione dell’amianto dal condominio secondo quanto previsto dalla legge 25/7/2006 n. 257 e dagli articoli 248 e seguenti del d.lvo n. 81/2008; 
- l’applicazione della normativa di sicurezza degli ascensori prevista dal DPR 30/4/1992 n. 162 e dal Decreto del Ministero delle attività produttive del 26/10/2005 contenente la pubblicazione della norma europea UNI EN 81 –80 contenente l’elenco e la relativa analisi dei 74 rischi maggiormente ricorrenti negli ascensori e nei montacarichi. Il problema rappresentato dal documento di valutazione dei rischi è che per molti imprenditori il suo contenuto appare auto accusatorio in quanto rappresenta da un lato l’elencazione delle situazioni di rischio e dall’altro indica le soluzioni da adottare prontamente. Pertanto la sua elaborazione redazione implicano il superamento di una diffusa mentalità scaramantica per la quale i problemi è meglio evitarli ed affrontarli solo se si è costretti e per la quale comunque risulta preferibile ignorarli al fine di evitare la loro sfortunata realizzazione.

Il documento di valutazione dei rischi, secondo il disposto dell’articolo 17, comma primo lettera a) del d.lvo n. 81/2008 è uno dei due atti non delegabili (l’altro è la nomina del responsabile del servizio di prevenzione e di protezione dai rischi) del datore di lavoro e il successivo art. 55, contenente le sanzioni, ne enuclea il seguente contenuto minimo:
- invero l’art. 55, primo comma lettera a), del d.lvo n. 81/2008 sanziona con l’arresto da quattro a otto mesi o con l’ammenda da 5.000 e 15.000 euro il datore di lavoro che:
  • omette la valutazione dei rischi e l’adozione del relativo documento;
  • rediga il documento di valutazione dei rischi in assenza dei seguenti elementi (previsti dall’art. 28, comma primo lettere a), b), d) ed f):
- della relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la salute e la sicurezza durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa;
- l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione dei rischi;
- l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;
- l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento;
  • rediga il documento di valutazione dei rischi violando le disposizioni previste dall’art. 18, primo comma, lettere q) e z) prima parte ovvero:
- non prenda appropriati provvedimenti per evitare che le misure tecniche adottate possano causare rischi per la salute della popolazione o deteriorare l’ambiente esterno verificando periodicamente la perdurante assenza di rischio;
- non aggiorni le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e della sicurezza del lavoro. Inoltre l’art. 55, comma terzo, del d.lvo n. 81/2008 punisce con l’ammenda da 3.00 a 9.000 euro il datore di lavoro che. * non rediga il documento di valutazione dei rischi secondo le modalità previste dall’art. 29, commi primo, secondo e terzo ovvero senza la collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e di protezione e con il medico competente per i casi in cui l’art. 41 prevede la sorveglianza sanitaria, senza la consultazione del rappresentante dei lavoratori per sicurezza, e non rielabori il documento nei casi di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori o in relazione la grado di evoluzione della tecnica, a seguito di infortuni significativi o quando la sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità;
  • rediga il documento di valutazione dei rischi senza uno degli elementi previsti dall’art. 28, comma secondo lettere c) ed e) ovvero:
- senza il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza;
- senza l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e di protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio.

Nei confronti dei datori di lavoro delle aziende a rischio rilevante ( elencate dall’articolo 31, comma sesto, lettere a), b), c), d), f), e per le aziende in cui si svolgono attività che espongono i lavoratori a rischi biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni mutageni e da attività di manutenzione, rimozione e smaltimento e bonifica di amianto e per le attività che sono caratterizzate dalla compresenza di più imprese e la cui entità presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini – giorno) le sanzioni sono aumentate poiché è previsto l’arresto da sei mesi ad un anno e sei mesi. Inoltre l’art. 55, primo comma lettera b), prevede l’arresto da quattro a otto mesi o l’ammenda da 5.000 a 15.000 euro nei confronti del datore di lavoro che non provvede alla nomina del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, salvo che svolga direttamente tale funzione secondo quanto previsto dall’art. 34.

L’informazione dei lavoratori condominiali e la sanzione penale prevista nei confronti dell’amministratore del condominio inadempiente
L’art. 36 del d.lvo n. 81/2008 stabilisce i seguenti obblighi nei confronti del datore di lavoro il quale deve informare i dipendenti:
- sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alle attività dell’impresa in generale;
- sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei luoghi di lavoro;
- sui nominativi dei lavoratori incaricati ai applicare le misure di cui agli articoli 45 e 46, relativi al pronto soccorso ed alla prevenzione incendi. - sui nominativi del responsabile e degli addetti del servizio di prevenzione e protezione e del medico competente. Inoltre il datore di lavoro provvede affinché ogni lavoratore riceva un’adeguata informazione:
- sui rischi specifici cui il lavoratore è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia. - sui pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica;
- sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate.

Nei confronti dei portieri del condominio risultano applicabili, attesa l’ordinaria dimensione dei condomini e le mansioni svolte dai portieri, e secondo quanto disposto dall’art. 36, comma terzo, le seguenti disposizioni:
  • l’informazione sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alle attività dell’impresa in generale;
  • l’informazione sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei luoghi di lavoro;
  • l’informazione sui rischi specifici cui il lavoratore è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia.
  • l’informazione sui pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica;
  • l’informazione sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate.
 Rispetto al sistema precedente la novità del decreto n. 81/2008 è che l’art. 55, comma quarto, punisce con l’arresto da due a quattro mesi o con l’ammenda da 800 a 3.000 euro il datore di lavoro ( e quindi anche qualora rivesta l’incarico di amministratore del condominio) che ometta di fornire al lavoratore le predette informazioni.
Notasi che l’art. 301 del d.lvo n. 81/2008 mantiene il sistema previsto dal d.lvo n. 758/1994 per cui l’organo di vigilanza emette nei confronti del datore di lavoro, che abbia violato la normativa di sicurezza, un verbale che impone una prescrizione da compiersi, di solito, entro 60 giorni . Se il soggetto ingiunto adempie alla prescrizione nei termini previsti è ammesso a pagare, in un termine stabilito a pena di decadenza dal beneficio, l’ammenda nella misura di un quarto del massimo previsto e se paga tale sanzione la contravvenzione è estinta.
Al fine di rendere concreto il sistema informativo nei confronti dei dipendenti l’art. 36, comma quarto, prescrive che il contenuto dell’informazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le relative conoscenze e qualora l’informazione riguardi lavoratori immigrati essa deve avvenire previa verifica della comprensione della lingua utilizzata nel percorso informativo.

La formazione dei lavoratori condominiali
L’art. 37 del d.lvo n. 81/2008 impone al datore di lavoro di assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza anche con riferimento alle conoscenze linguistiche del lavoratore e in particolare deve riguardare. - i concetti di rischio, di danno, di prevenzione, di protezione, di organizzazione della prevenzione aziendale, i diritti e i doveri dei vari soggetti aziendali, gli organi di vigilanza, di controllo, di assistenza. - i rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e di procedure di prevenzione e di protezione caratteristici del settore e del comparto di appartenenza. I contenuti minimi, la durata e le modalità della formazione devono essere definiti mediante accordo da compiersi in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano che deve essere adottato previa consultazione delle parti sociali entro il termine di dodici mesi dalla data di entrata in vigore del d.lvo n. 81/2008.
Il contenuto minimo della formazione, e del relativo addestramento il quale deve essere eseguito da una persona esperta e sul luogo del lavoro, è quello di assicurare che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in merito ai rischi specifici dei titoli successivi al primo titolo del d.lvo n. 81/2008 e la formazione deve avvenire in occasione.
- della costituzione del rapporti di lavoro o dell’inizio dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione di lavoro;
- del trasferimento o del cambiamento di mansioni;
- dell’ introduzione di nuove attrezzature di lavoro o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati pericolosi.
La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti deve essere periodicamente ripetuta in relazione all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di nuovi rischi. La formazione dei lavoratori deve avvenire, in collaborazione con gli organismi paritetici definiti dall’art. 50 ove presenti, deve avvenire durante l’orario di lavoro e non può comportare oneri economici a carico dei lavoratori.
I preposti ricevono a cura del datore di lavoro e in azienda un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico in relazione ai propri compiti in materia di salute e di sicurezza del lavoro. I contenuti della predetta formazione comprendono:
- i principali soggetti coinvolti ed i relativi obblighi;
- la definizione e l’individuazione dei fattori di rischio;
- la valutazione dei rischi;
- l’individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedurali di prevenzione e di protezione.

I lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione incendi e di lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione dell’emergenza devono riceve un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento periodico . In attesa dell’emanazione di una normativa specifica prevista dall’art. 46, comma terzo, del d.lvo n. 81/2008 continuano a trovare applicazione le disposizioni del Decreto del Ministero dell’Interno in data 10/3/1998.
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e di sicurezza concernente i rischi specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate competenze sulle principali tecniche di controllo e prevenzione dei rischi stessi.
Le modalità, la durata e i contenuti specifici della formazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza sono stabiliti in sede di contrattazione collettiva nazionale, nel rispetto dei seguenti contenuti minimi:
- i principi giuridici comunitari e nazionali;
- la legislazione generale e speciale in materia di salute e di sicurezza sul lavoro;
- i principi soggetti coinvolti e i relativi obblighi; 
 - la definizione e l’individuazione dei fattori di rischio;
- la valutazione dei rischi;
- l’individuazione delle misure tecniche, organizzative e procedura idi prevenzione e di protezione;
- gli aspetti normativi dell’attività di rappresentanza dei lavoratori;
- le nozioni di tecnica della comunicazione.

La durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda, e le conseguenti misure di prevenzione e di protezione adottate, con verifica dell’effettivo apprendimento. La contrattazione collettiva nazionale disciplina le modalità dell’obbligo di aggiornamento periodico la cui durata non può essere inferiore a 4 ore annue per le imprese che occupano dai 15 ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che occupano più di 50 lavoratori. Il contenuto della formazione deve essere facilmente comprensibile per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire le conoscenze e le competenze necessarie in materia di sicurezza e di salute sul lavoro . Qualora la formazione avvenga nei confronti di lavoratori immigrati essa deve avvenire previa verifica della comprensione e della conoscenza della lingua utilizzata nel percorso formativo.
Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento dell’attività di formazione sono registrate nel libretto formativo del cittadino ( previsto dall’art. 2, comma primo lettera i, del d.lvo 10/9/2003 n. 276) ed il contenuto del libretto formativo è considerato dal datore di lavoro ai fini della programmazione della formazione e di esso gli organi di vigilanza tengono conto ai fini della verifica dell’adempimento degli obblighi del d.lvo n. 81/2008.

Il controllo delle acque all’interno del condominio
La tutela della pubblica incolumità nell’uso dell’acqua a scopo alimentare è rafforzata dal d.lgs. 2/2/2001 n. 31 ( pubblicato sul supplemento ordinario n. 41 alla Gazzetta Ufficiale n. 52 del 3/3/2001) che recepisce nel nostro ordinamento giuridico la direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano.
Il d.lgs. n. 31/2001 disciplina ( art. 1) la qualità delle acque destinate al consumo umano dagli effetti negativi derivanti dalla contaminazione delle acque garantendone la salubrità e la pulizia. Le acque destinate al consumo umano e contemplate nel decreto sono quelle (art. 2) trattate o non trattate destinate ad uso potabile e per la preparazione di cibi e bevande e quelle utilizzate in un’impresa alimentare per l’immissione nel mercato di prodotti commestibili dall’uomo, mentre sono escluse (art.3) le acque minerali e medicinali riconosciute, nonché le acque destinate agli usi che non hanno ripercussione sulla salute umana e individuate dal Ministero della salute di concerto con i ministri dell’industria, del commercio e dell’artigianato, dell’ambiente, dei lavori pubblici e delle politiche agricole e forestali.
Il decreto, al fine di perseguire finalità preventive, promuove la tutela della salute pubblica delle acque destinate al consumo umano attraverso una serie di obblighi (art. 4) consistenti nella salubrità e nella pulizia delle acque e nell’assenza in esse di microrganismi e parassiti, e di altre sostanze in quantità o concentrazioni che rappresentino un potenziale pericolo per la salute umana. Inoltre, in via generale, i requisiti minimi di tali acque debbono rispondere a quelli previsti dalle parti A e B dell’allegato 1 del d.lgs. n. 31/2001. Il decreto prevede (art. 5) il rispetto di tali parametri di sicurezza nei seguenti punti:
- per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione nel punto in cui escono dai rubinetti utilizzati per il consumo umano;
- per le acque fornite da una cisterna nel punto in cui escono dalla cisterna;
- per le acque confezionate in bottiglie o contenitori, rese disponibili per il consumo umano, nel punto in cui sono imbottigliate o introdotte nei contenitori;
- per le acque utilizzate nelle imprese alimentari nel punto in cui sono utilizzate dall’impresa.

Per le acque distribuite con una rete di distribuzione qualora i parametri non siano conformi ai valori fissati nell’allegato 1 del decreto le aziende sanitarie locali sono tenute ad adottare le seguenti misure disponendo che:
- siano prese misure appropriate per eliminare il rischio che le acque non rispettino i valori di parametro dopo la fornitura;
- i consumatori interessati siano debitamente informati e consigliati sugli eventuali provvedimenti e sui comportamenti da adottare. I controlli (art. 6), da eseguirsi con analisi dei parametri dell’allegato I con le specifiche indicate nell’allegato III, devono essere eseguiti sui punti di prelievo delle acque superficiali e sotterranee destinate al consumo umano, sugli impianti di adduzione, sulle reti di distribuzione, sugli impianti di confezionamento, sulle acque confezionate, sulle acque utilizzate nelle imprese alimentari, sulle acque fornite mediante cisterna.

I controlli sono di due tipi quelli interni (art. 7) e quelli esterni (art.8). I controlli interni non devono essere solo e necessariamente di natura pubblica, ma possono essere svolti anche, mediante l’attività di laboratori convenzionati, dal gestore del servizio idrico integrato al fine di verificare la qualità dell’acqua destinata al consumo umano e i punti di prelievo, in un’ottica di fattiva collaborazione con l’ente pubblico, possono essere concordati con l’azienda sanitaria locale ed i risultati devono essere conservati per cinque anni per l’eventuale consultazione con l’amministrazione che effettua i controlli esterni. I controlli esterni, affidati all’azienda sanitaria locale territorialmente competente, verificano che le acque destinate al consumo umano soddisfino i requisiti del d.lgs. n. 31/2001 e, inoltre, sono svolti tenendo conto dei risultati del rilevamento dello stato di qualità dei corpi idrici previsto dall’articolo 43 del d.lgs. 11/5/1999 n. 152 e per le acque superficiali dei risultati della classificazione effettuati secondo le modalità previste nell’allegato 2, sezione A, del d.lgs. n. 152/1999. L’azienda sanitaria locale può svolgere ulteriori controlli con ricerche supplementari delle sostanze e dei microrganismi per i quali non sono fissati valori di parametro dell’allegato I e qualora gli impianti da controllare ricadano nel territorio di più aziende sanitarie locali il coordinamento è affidato alla regione la quale può individuare l’azienda alla quale attribuire la competenza in materia di controlli.
Il d.lgs. n. 31/2001 sancisce (art.8) il principio, fondamentale per assicurare la tutela della pubblica incolumità, per cui nessuna sostanza o materiali utilizzati per i nuovi impianti o per l ‘adeguamento di quelli esistenti, per la preparazione o la distribuzione delle acque destinate al consumo umano, o impurezze associate a tali sostanze o materiali in acque destinate al consumo umano devono essere presenti in acque destinate al consumo umano in concentrazione superiore a quelle consentite per il fine per cui sono impiegati e non debbono ridurre, direttamente o indirettamente, la tutela della salute umana prevista dal presente decreto. Le autorità competenti, informati i consumatori, possono emettere (art. 10) i provvedimenti necessari per ripristinare la qualità delle acque e può vietare, nei casi di potenziale pericolosità per la salute umana, la somministrazione delle acque. Sono distinte le competenze dello stato (art. 11), delle regioni e delle province autonome (art. 12) ed infine è previsto (art. 15) che la qualità delle acque destinate al consumo umano deve essere resa conforme ai valori di parametro previsti dall’allegato I entro il 25 dicembre 2003. Le eccezioni a tale data generale di adeguamento sono le seguenti. - entro il 25/12/2008 il valore di bromato deve essere adeguato per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione, per le acque fornite da una cisterna, per le acque utilizzate nelle imprese alimentari (art. 5 comma 1, lettere a, b, d e nota 2 dell’allegato I parte B); - entro il 25/12/2013 il valore di piombo deve essere adeguato per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione, per le acque fornite da una cisterna, per le acque utilizzate nelle imprese alimentari (art. 5 comma 1, lettere a, b, d e nota 4 dell’allegato I parte B).
In ogni caso e senza la previsione di termini dilatori per l’efficacia della disciplina di sicurezza la nota 10 dell’allegato I parte B del d.lgs. n. 31/2001 prevede che i responsabili della disinfezione devono adoperarsi affinché il valore parametrico sia il più basso possibile senza compromettere la disinfezione stessa e i composti specifici sono: cloroformio, bromoformio, dibromoclorometano, bromodiclorometano.

La canna fumaria nel condominio  
L’articolo 1117, comma primo, n. 3) del codice civile include tra le parti comuni del condominio “gli impianti per il gas ….. per il riscaldamento e simili, fino al punto di diramazione degli impianti ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini” ed in tale definizione la giurisprudenza prevalente ricomprende le canne fumarie in quanto elementi di servizio di tali impianti . Inoltre si è affermato che la realizzazione di una canna fumaria e di uno sfiatatoio di un vano gabinetto è illegittima allorquando avvenga attraverso la loro installazione nel muro perimetrale dell’edificio in modo da consentire la produzione di esalazioni verso le finestre degli altri proprietari poiché l’altrui proprietà non può essere gravata di pesi, limitazioni e servitù di qualsiasi genere. Altra sentenza afferma che la disposizione dell’articolo 844 del codice civile (che vieta le immissioni moleste tra fondi vicini) è applicabile anche negli edifici condominiali laddove un condomino, nel godimento di una propria unità immobiliare o delle parti comuni, dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini . In applicazione di tale norma deve aversi riguardo al criterio della valutazione della normale tollerabilità delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti condominiali e alla destinazione assegnata all’edificio dalle disposizioni urbanistiche o, in mancanza, dai proprietari. In particolare, nel caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione uniforme e le unità immobiliari siano soggette a destinazioni differenti, ad un tempo, ad abitazione ed a esercizio commerciale, il criterio dell’utilità sociale, al quale è informato l’articolo 844 del codice civile, impone di graduare le esigenze in rapporto alle istanze di natura personale ed economica dei condomini in modo che siano privilegiate, alla luce dei principi costituzionali (articoli 14, 31, 47 della Costituzione) le esigenze personali di vita connesse all’abitazione, rispetto alle utilità meramente economiche ed inerenti all’esercizio di attività commerciali. In tale caso la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ordinato la rimozione dal muro perimetrale comune di una canna fumaria collocata nella parte terminale a breve distanza dalle finestre di alcuni condomini, destinata a smaltire le esalazioni di fumo, calore e gli altri prodotti dal forno di un esercizio commerciale ubicato nel fabbricato condominiale.
L’articolo 1102 del codice civile consente al condomino la più ampia utilizzazione di un bene comune (una strada nel caso esaminato ) ai fini della sistemazione degli impianti diretti a soddisfare le esigenze di servizi indispensabili (nel caso di specie il servizio del gas) per il godimento di un proprio appartamento, purchè sia rispettata la proprietà esclusiva degli altri condomini e non sia violata la rispettiva sfera di facoltà e di diritti. A tal riguardo osservasi che non esiste un diritto del singolo condomino a farsi installare, nei muri perimetrali dei ballatoi condominiali, nicchie per immettervi contatori del gas o della luce; anzi l’apposizione di tali nicchie porta contatori deve essere considerata un peso di diritto reale sulle parti comuni. Invece costituisce uso legittimo della cosa comune da parte di un partecipante al condominio l’utilizzazione delle mura perimetrali dell’edificio per installarvi una tubatura del gas metano a servizio di un appartamento . Inoltre le spese di allacciamento di alcune unità immobiliari, poste all’interno di un condominio, alla rete di distribuzione del gas non sono soggette ai criteri di ripartizione in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascun condomino in quanto non rientrano nel criterio della conservazione e del godimento delle parti comuni essendo finalizzate al servizio di alcuni soltanto dei condomini in quanto non si tratta di un servizio prestato nell’interesse comune, bensì al servizio di singoli condomini.

L’installazione della canna fumaria nel condominio 
La realizzazione di una canna fumaria in un condominio costituisce un’innovazione deliberata dai condomini con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell’edificio (articoli 1120, primo comma, e 1138, quinto comma, del codice civile ) a patto che sia diretta al miglioramento o all’uso più comodo o al maggiore rendimento delle cose comuni. A tal proposito la giurisprudenza rileva che l’apposizione da parte di un condomino e per la propria esclusiva utilità, di una canna fumaria lungo il muro perimetrale di un edificio non integra una modificazione della cosa comune necessaria al suo migliore godimento da parte di tutti i condomini, ai sensi dell’articolo 1102 del codice civile, ma costituisce innovazione, che può, secondo l’insindacabile valutazione del giudice di merito, alterare il decoro architettonico dell’edificio stesso, e di cui può ordinarsi la rimozione come previsto dall’articolo 1120, secondo comma, del codice civile. Invero il condomino può servirsi del muro comune anche per appoggiarvi una canna fumaria, a condizione che però non ne derivi pregiudizio all’uguale diritto degli altri condomini di servirsi della cosa comune o danno alla stabilità, sicurezza del muro o all’estetica dell’edificio, perché in tale caso le modificazioni per il migliore godimento diventano in effetti innovazioni perturbatrici del rapporto di equilibrio della comunione. Infatti l’uso della cosa comune trova il limite del generale beneficio apportato all’intera comunione e quindi la riduzione della sezione di una canna fumaria, ad opera di uno dei condomini, può costituire una modificazione non consentita, qualora di fatto alteri la destinazione della cosa comune ed impedisca agli altri partecipanti di farne uso secondo il loro diritto.
Per di più l’articolo 1102 del codice civile (che disciplina l’uso della cosa comune) consente a ciascun condomino di servirsi della cosa comune apportandovi le modificazioni che egli ritenga utili per il migliore godimento di essa, fino a sostituirla con altra che assicuri un migliore funzionamento. Tali facoltà, peraltro, sono legittime solo se si esplicano nei limiti dettati dalla legge, vale a dire con l’astensione da ogni alterazione del bene comune e conservando la possibilità dell’uso stesso da parte di ogni altro condominio nell’ambito del suo diritto. I limiti ora indicati non vengono superati dal solo fatto dell’uso più intenso di uno dei condomini, purchè attraverso lo stesso non si giunga al turbamento dell’equilibrio con tutti i diritti di costoro o a un cambiamento della destinazione del bene comune, non soltanto in vista dell’uso attuale, ma anche di quello potenziale secondo la natura delle cose e il fine al quale essa venne predisposta, sicché resta del tutto indifferente, salvo che in relazione alla costituzione di diritti esclusivi a favore di alcuno dei condomini di terzi, che da tempo più o meno lungo uno o più degli interessati non si siano serviti del bene in questione. Qualora il condomino di un edificio abbia adibito a laboratorio i locali di sua proprietà, contro il divieto impostogli dal regolamento condominiale, non si può più fare una questione del diritto del partecipante ad impiantare nel muro perimetrale comune la canna fumaria, giacché, una volta accertato che l’utilizzazione quale laboratorio non è consentita sul piano convenzionale, la canna fumaria che costituisce una pertinenza (admeniculum) dell’impianto proibito, è destinata a seguirne le sorti.
Negli edifici condominiali le norme sulle distanze legali, che non possono trovare applicazione nei rapporti fra proprietà singole e beni comuni (a tutti i condomini o a parte di essi) non sono applicabili neppure nei rapporti fra proprietà singole qualora il rispetto di esse non sia compatibile con la concreta struttura dell’edifico e il condomino utilizzi una parte comune di questo a favore della sua unità immobiliare, ai sensi dell’articolo 1102 del codice civile, per realizzare impianti indispensabili per un’effettiva abitabilità del suo appartamento secondo le esigenze generali dei cittadini e le moderne concezioni in tema di igiene, nel qual caso vanno peraltro sempre rispettate sia la destinazione del bene comune sia il diritto di pari utilizzazione (anche potenziale) degli altri condomini e non vanno pregiudicati la stabilità, la sicurezza e i decoro architettonico dell’edificio.
Occorre notare che la canna fumaria non può essere installata senza che vengano apposti dei limiti da parte degli interessati in quanto è illegittima la sua realizzazione qualora consista in un manufatto autonomo posto nel tratto di facciata compreso tra i balconi e le finestre di cinque piani di un edificio condominiale in quanto, pur non alterando la naturale destinazione del muro comune, né la stabilità dell’edifico, viola le norme sulle distanze legali, riduce la visuale laterale che si gode dalle finestre ed altera in modo sensibile il decoro architettonico della facciata.
In ogni caso l’installazione di una canna fumaria nella parte periferica di un lastrico solare costituisce un’innovazione ai sensi dell’articolo 1120 del codice civile, come tale non consentita se non previamente autorizzata dall’assemblea condominiale con le maggioranze previste. Invero è nulla ( e non soltanto annullabile) la deliberazione dell’assemblea presa a maggioranza che approvi una utilizzazione particolare da parte di un singolo condomino di un bene comune, qualora tale diversa utilizzazione, senza che sia dato distinguere tra parti principali e secondarie dell’edificio condominiale, rechi pregiudizievoli invadenze nell’ambito dei diritti altrui, quali asservimenti, immissioni o molesti lesivi del diritto degli altri condomini alle cose e servizi comuni o su quelle di proprietà esclusiva di ognuno di essi.

La protezione assicurata dal d.lvo n. 81/2008 nei confronti dei lavoratori dalla caduta dall’alto: le linee vita e il lavoro con le funi
I sistemi di protezione contro le cadute dall’alto (art. 115) sono complessi ed aggiornate allo sviluppo tecnologico ( consistente ad esempio nell’adozione nelle lavorazioni dei nuovi sistemi delle “linee vita” alternativa, a volta, dell’uso del ponteggio tradizionale ) e nei lavori in quota allorquando non siano attuale le misure di protezione collettiva come previsto dall’art. 111,, comma primo lettera a), è necessario che i lavoratori utilizzino idonei sistemi di protezione composti da diversi elementi, non necessariamente presenti contemporaneamente, quali i seguenti.
- assorbitori di energia;
- connettori;
- dispositivi di ancoraggio;
- cordini;
- dispostivi retrattili;
- guide o linee vita flessibili;
- guide o linee vita rigide;
- imbracature.

Il sistema di protezione, certificato per l‘uso specifico, deve permettere una caduta libera non superiore a 1,5 metri o in presenza di un dissipatore di energia a quattro metri; il cordino deve essere assicurato, direttamente o mediante connettore lungo una guida a linea vita, a parti stabili delle opere fisse o provvisionali. Nei lavori su pali il lavoratore deve essere munito di ramponi o mezzi equivalenti e di idoneo dispositivo anticaduta.
Allorquando il datore di lavoro adotta sistemi di accesso e di posizionamento dei lavoratori con funi (art. 116) deve adottare le seguenti misure di sicurezza:
- il sistema deve comprendere almeno due funi ancorate speratamene, una per l’accesso, la discesa ed il sostegno, detta fune di lavoro, e l’altra con funzione di dispositivo ausiliario, detta fune di sicurezza . L’uso di una sola fune è ammesso in casi eccezionali in cui l’uso di una seconda fune rende il lavoro più pericoloso e se sono adottate misure adeguate per garantire la sicurezza;
- i lavoratori devono essere dotati di un’adeguata imbracatura di sostegno collegata alla fune di sicurezza;
- la fune di lavoro deve essere munita di meccanismi sicuri di ascesa e di discesa e deve essere dotata di un sistema autobloccante volto ad evitare la caduta nel caso in cui l’utilizzatore perda il controllo dei propri movimenti e la fune di lavoro deve essere munita di un dispositivo mobile contro le cadute che segue gli spostamenti del lavoratore. - gli attrezzi di lavoro e gli accessori utilizzati dai lavoratori devono essere agganciati alla loro imbracatura di sostegno o al loro sedile o ad altro strumento idoneo. - i lavori devono essere programmati e sorvegliati in modo adeguato anche per consentire l’immediato soccorso del lavoratore in caso di necessità ed il programma dei lavori deve definire un paino di emergenza, le tipologie operative, i dispositivi di protezione individuale, le tecniche e le procedure operative, gli ancoraggi, il posizionamento degli operatori, i metodi di accesso, le squadre di lavoro e gli attrezzi di lavoro. - il programma di lavoro deve essere disponibili presso i luoghi di lavoro ai fini della verifica da parte dell’organo di vigilanza competente per territorio.
Il datore di lavoro deve inoltre fornire ai lavoratori interessati una formazione adeguata e mirata alle operazioni previste con particolare riguardo alle procedure di salvataggio e la formazione degli stessi, di carattere teorico – pratico, con corsi contenenti i requisiti minimi contenuti dell’allegato XXI, deve riguardare:
- l’apprendimento delle tecniche operative e dell’uso dei dispositivi necessari;
- l’addestramento specifico sia su strutture naturali che su manufatti;
- l’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale, le loro caratteristiche tecniche, la manutenzione, la durata e la conservazione;
- gli elementi di primo soccorso;
- i rischi oggettivi e le misure di prevenzione e di protezione;
- le procedure di salvataggio.

Particolare attenzione è riservata (art.117) ai lavori da svolgere in prossimità di parti attive, luoghi in cui spesso si verificano tragici infortuni in quanto in tali casi i lavori sono effettuati in prossimità di linee elettrice o di impianti elettrici con parti attive non protette o che per circostanze particolari si debbano ritenere non sufficientemente protette ed in ipotesi il datore di lavoro deve rispettare almeno una delle seguenti precauzioni:
- deve mettere fuori tensione ed in sicurezza le parti attive per tutta la durata dei lavori. - deve posizionare ostacoli rigidi che impediscano ai lavoratori l’avvicinamento alle parti attive; 
- deve tenere in permanenza le persone, le macchine operatrici, gli apparecchi di sollevamento, i ponteggi ed ogni altra attrezzatura a distanza di sicurezza . Tale distanza di sicurezza deve essere tale da impedire che non possano avvenire contatti diretti o scariche pericolose per le persone tenendo conto del tipo di lavoro, delle attrezzatura usate e delle tensioni presenti. Giova notare che per la violazione delle norme predette indicate dall’art. 117 il datore di lavoro ed il dirigente sono puniti ( art. 159, comma primo lettera a ) con l’arresto da tre mesi a sei mesi o con l’ammenda da 3.000 a 12.000 euro.

La rimozione dell’amianto dal condominio
La prima vera normativa che abbia seriamente trattato della capacità di creare posizioni di garanzia (nella specie di controllo delle fonti di pericolo) è stata emanata con il d.lvo n. 271/1999; è dunque solo a partire da questa che deve essere valutata la sussistenza del nesso causale tra una condotta colposa (quella che ha violato il citato decreto) e l’insorgenza della malattia. Inoltre l’amianto, proprio per la sua intrinseca pericolosità per la salute umana è stato posto al bando nelle lavorazioni industriali dalla legge 27/3/1992 n. 257 la quale ha vietato l’estrazione l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di tale minerale. Il divieto di uso comprende anche i silicati fibrosi contemplati dalla 15/8/1991 n. 277 (contemplante la cessazione dell’impiego di amianto nei luoghi di lavoro ) e la legge n. 257/1992, oltre a fissare i valori limite e la classificazione, l’imballaggio l’etichettatura, riguarda l’utilizzazione dell’amianto, la lavorazione e la produzione di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto libero o legato in matrice friabile o in matrice cementizia o resinoide, di prodotti che possano immettere nell’ambiente fibre di amianto, nonché i rifiuti di amianto. Inoltre il d.lvo 25/7/2006 n. 257 (pubblicato sulla GU n. 211 del 11/9/2006) abroga la legge n. 277/1991, mantiene in vigore la legge n. 257/1992 e recepisce nel nostro ordinamento giuridico la direttiva 2003/18/CE inerente alla protezione dei lavoratori derivanti dai rischi derivanti dall’esposizione all’amianto durante il lavoro.In particolare si contemplava il capo VI – bis all’interno del d.lvo n. 626/1994 nel quale veniva sancito l’importante principio per cui (art. 59 – quater) prima di intraprendere lavori di demolizione il datore di lavoro adotta, anche chiedendo informazioni ai proprietari dei locali, ogni misura necessaria volta ad individuare la presenza di materiali a potenziale contenuto d’amianto . Tale analisi dei rischi richiama direttamente la relazione contenente la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro imposta al datore di lavoro dall’art. 4, comma primo lettera a), del d.lvo n. 626/1994 anche perché se, a seguito di tale studio, risulti il minimo dubbio sulla presenza di amianto in una materiale o in una costruzione il datore di lavoro deve adottare le disposizioni del predetto capo VI – bis salvo che l’attività da svolgersi comporti esposizioni sporadiche e di debole entità (attività non continuative di manutenzione, di incapsulamento e di confinamento di materiale, di sorveglianza e di controllo dell’aria ) e purchè non sia superato il valore limite di esposizione pari a 0.1 fibre per centimetro cubo d’aria, misurato con una media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore. Negli altri casi rilevanti di esposizione dei lavoratori al rischio dell’amianto il datore di lavoro deve compiere i seguenti adempimenti principali:
- comunica, prima dell’inizio dei lavori, all’organo di vigilanza (ARPA) competente per territorio tutti i dati rilevanti (ubicazione, tipo di amianto manipolato, numero dei lavoratori interessati, misure adottate ) della lavorazione;
- adotta le misure di prevenzione e di protezione idonee a limitare l’esposizione dei lavoratori alle polveri provenienti dall’amianto o dai materiali contenenti amianto e presenti nel luogo di lavoro;
- ricorre alle misure igieniche che vietino il fumo sul luogo di lavoro, contemplino la predisposizione di aree speciali che consentano ai lavoratori di mangiare e bere senza rischi di contaminazione;
- dota i lavoratori di adeguati dispositivi di protezione individuale;
- effettua periodicamente la misurazione della concentrazione di fibre di amianto nell’aria del luogo di lavoro;
- affida i lavori di demolizione soltanto ad imprese autorizzate e predispone un adeguato piano di lavoro prima dell’inizio dell’attività;
- informa e forma i lavoratori sui rischi dell’esposizione all’amianto e li sottopone ad una adeguata sorveglianza sanitaria al fine di consentire al medico competente di redigere ed aggiornare il registro di esposizione e le cartelle sanitarie dei lavoratori.
Per la violazione delle norme sopra citate erano previste le sanzioni penali (dell’arresto o dell’ammenda ) contemplate dall’art. 89 del d.lvo n. 626/1994, secondo la procedura prevista dal d.lvo n. 758/1994 per cui, qualora accerti violazioni sulla sicurezza sul lavoro, l’organo di vigilanza commina le prescrizioni di sicurezza e le sanzioni amministrative e la contravvenzione si estingue qualora le prime siano ottemperate e le seconde siano pagate nel termine prescritto. In relazione all’obbligo di informazione da parte del committente nei confronti dell’esecutore delle opere della presenza di amianto occorre precisare che la responsabilità del primo è già definita dalla legge 27/3/1992 n. 257 che stabilisce (art. 15, comma quarto), la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.582 a 5.164 per:
- l’omessa indicazione, tramite l’invio di una relazione alle competenti autorità, delle operazioni che coinvolgano l’uso di amianto o dello svolgimento dell’attività di bonifica o di smaltimento;
- l’omessa istituzione presso le ASL del registro indicante la localizzazione dell’amianto floccato o in matrice friabile presente negli edifici. Tale comunicazione deve essere effettuata alle ASL da parte dei proprietari degli immobili in cui sia presente amianto floccato o in matrice friabile. Giova notare che nella stessa gazzetta ufficiale n. 211 del 11/9/2006 è stata pubblicata anche la deliberazione emanata il 10/7/2006 dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare la quale contempla che, ai fini dell’iscrizione nell’Albo nazionale dei gestori ambientali per la bonifica dei siti e dei beni contenenti amianto contemplato dall’art. 212 del d.lvo 3/4/2006 n. 152, occorra:
- la piena disponibilità delle attrezzature minime per l’iscrizione nella categoria 9 e 10 della deliberazione 12/12/2001;
- che il contratto di locazione sia stipulato in forma scritta, sia stato autenticato da un pubblico ufficiale, non abbia durata non inferiore a cinque anni a decorrere dalla data dell’iscrizione all’albo dell’impresa locataria, oppure, in caso d’impresa già iscritta, abbia durata almeno pari al residuo periodo di validità dell’iscrizione.
- che il contratto di locazione identifichi chiaramente le attrezzature e abbia ad oggetto la consegna delle stesse in modo pieno ed esclusivo, contenga la dichiarazione della loro destinazione, per tutta la durata del contratto all’oggetto del medesimo, non ad iscrizioni all’Albo diverse da quella pattuita dal locatario.
Infine notasi che tutti i prodotti di costruzione non devono contenere amianto ed infatti anche in tale ambito è rilevante il DPR 21/4/1993 n. 246 ( regolamento di attuazione della direttiva 89/106/CEE relativa ai prodotti da costruzione) il quale prevede anche per tali beni l’adozione del marchio CE il quale attesta il requisito essenziale dell’opera in modo che sia “concepita e costruita in modo da non costituire una minaccia per l’igiene o la salute degli occupanti o dei vicini, causata, in particolare, dalla formazione di gas nocivi, dalla presenza nell’aria di particelle o di gas pericolosi, dall’emissione di radiazioni pericolose, dall’inquinamento o dalla contaminazione dell’acqua o del suolo, da difetti di evacuazione delle acque, dai fumi e dai residui solidi o liquidi e dalla formazione di umidità in parti o sulle superfici interne dell’opera”. Inoltre la stessa fonte normativa prevede che tali prodotti di costruzione debbano avere il predetto marchio CE che ne attesti la conformità dei requisiti essenziali in modo da assicurarne l’igiene e la salute degli utilizzatori, la resistenza meccanica e la stabilità, la sicurezza in caso d’incendio, la sicurezza d’utilizzazione, la protezione contro il rumore, il risparmio energetico e l’isolamento termico. A tal proposito osservasi che attualmente il contratto di vendita dei materiali di costruzione privi del marchio CE, ai sensi dell’art. 1418 c.c., è nullo per contrarietà alle norme imperative del DPR n. 246/1993.
In Lombardia l’art. 6, comma primo lettera a), della legge regionale 29/9/2003 n. 17 stabilisce quanto segue: “Al fine di conseguire il censimento completo dell’amianto presente sul territorio regionale ai sensi dell’art. 12 della legge n. 257/1992, i soggetti pubblici e i privati proprietari sono tenuti a:
a) per gli edifici, impianti o luoghi nei quali vi è la presenza di amianto o di materiali contenenti amianto a comunicare tale presenza all’ASL competente per territorio, qualora non già effettuato.”

di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano 

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