Quando il legislatore permette al piccolo imprenditore di autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi lo chiama ad una forte assunzione di responsabilità: se lo stesso autocertifica falsamente di avere compiuto tale attività, qualora venga scoperto, è passibile di severe sanzioni penali.
Premessa generale sul documento di valutazione
dei rischi all’interno del condominio.
Per quanto riguarda l’applicazione della normativa
di sicurezza all’interno del condominio deve
notarsi che l’innovazione rappresentata dal d.lvo
n. 81/2008 rispetto al d.lvo n. 626/1994 è che
quest’ultimo coesisteva con la legislazione precedente
in materia di tutela della sicurezza sul lavoro
ed in particolare con i DPR emessi nel corso del
decennio 1950 – 1960. Pertanto a causa di tale
tale ragione il d.lvo n. 626/1994 si autolimitava
nella sua applicazione come avveniva con l’art.
1, comma terzo che affermava: “ nei riguardi dei
lavoratori di cui alla legge 18/12/1973 n. 877,
nonché dei lavoratori con rapporto contrattuale
privato di portierato le norme del presente decreto
si applicano nei casi espressamente previsti..
Invece l’art. 3 del d.lvo n. 81/2008 abroga la disciplina
precedente e contiene il principio generale
che sancisce la sua generale applicabilità a
tutti i settori di attività, privati e pubblici, e a
tutte le tipologie di rischio.
Inoltre l’art. 3, comma nono, del d.lvo 9/4/2008
n. 81, rispetto a quanto stabilito dall’art. 1, comma
terzo, del d.lvo n. 626/1994, compie una decisa
inversione poiché afferma che nei confronti
dei lavoratori i quali rientrano nel campo di applicazione
del contratto collettivo dei proprietari
di fabbricati sono necessarie le seguenti cautele:
- gli obblighi di informazione e formazione previsti
dagli articoli 36 e 37;
- ai portieri devono essere forniti i necessari dispositivi
individuali in relazione alle effettive
mansioni assegnate;
- qualora ai portieri del condominio siano forniti
dal datore di lavoro o per tramite di terzi attrezzature proprie, le stesse devono essere conformi
alle disposizioni di cui al titolo III riguardante
l’uso delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi
di protezione individuale.
Nei confronti dei documenti di valutazione dei
rischi esistenti ed elaborati secondo quanto previsto
dall’art. 4 del d.lvo n. 626/1994 il d.lvo n.
81/2008 nulla dice: pertanto i documenti esistenti
alla data di entrata in vigore del d.lvo n.
81/2008 conservano la loro validità e non devono
essere cambiati se le situazioni in essi rappresentati
non sono mutate. Invero l’art. 306 del d.lvo
n. 81/2008 precisa che le norme sulla valutazione
dei rischi e del relativo documento ( articoli 17,
comma primo lettera a, e dell’art. 28) e le relative
disposizioni sanzionatorie diventano efficaci
decorsi 90 giorni dalla data di pubblicazione del
d.lvo n. 81/2008 sulla Gazzetta Ufficiale e fino a
tale data continuano a trovare applicazione le disposizioni
precedenti ( articoli 3, 4 e 89 del d.lvo
n. 626/1994).
Notasi che la data del 28/7/2008, originariamente
prevista dall’art. 306 del d.lvo n. 81/2008
per l’adozione del documento di valutazione dei
rischi, è stata rinviata al 1/1/2009 dall’art. 3,
comma secondo, del D.L. n. 97/2008, convertito
dall’art. 4 della legge 2/8/2008 n. 129 (GU n. 180
del 278/2008).
Rispetto al sistema del d.lvo n. 626/1994 che non
distingueva la dimensione delle imprese, il d.lvo n.
81/2008, in tema di valutazione dei rischi, con notevole
realismo, in quanto gli stessi adempimenti non
possono indifferentemente gravare sul piccolo imprenditore
come sulla multinazionale, afferma che:
- il documento di valutazione dei rischi, elaborato
dal datore di lavoro in collaborazione con
il responsabile del servizio di prevenzione e di
protezione e del medico competente e realizzato
previa consultazione del rappresentante dei lavoratori
per la sicurezza, deve essere rielaborato in
occasione di modifiche del processo produttivo o
dell’organizzazione del lavoro significative ai fini
della salute e della sicurezza dei lavoratori, o in
relazione al grado di evoluzione della tecnica,
della prevenzione e della protezione o a seguito
di infortuni significativi o quando i risultati della
sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità
ed a seguito di tale rielaborazione, le misure di
prevenzione devono essere aggiornate.
- i datori di lavoro che occupano fino a 10 lavoratori
effettuano la valutazione dei rischi:
- mediante procedure standardizzate che devono essere elaborate entro il 31/12/2010 e recepite con decreto emesso dal Ministero del lavoro e della previdenza sociale;
- fino al 30/6/2012 i datori di lavoro possono autocertificare l’effettuazione della valutazione dei rischi.
Il documento di valutazione dei rischi deve essere
custodito presso l ‘unità produttiva alla quale si riferisce
la valutazione dei rischi e le procedure facilitate
sopra descritte non si applicano alle lavorazioni
pericolose e che espongono i lavoratori a rischi chimici,
biologici, da atmosfere esplosive, cancerogeni,
mutageni, connessi all’esposizione all’amianto.
Notasi che il legislatore allorquando permette al
piccolo imprenditore di autocertificare l’effettuazione
della valutazione dei rischi lo chiama ad una
forte assunzione di responsabilità in quanto allorquando
lo stesso autocertifichi falsamente di avere
compiuto tale attività, qualora venga scoperto, è
passibile delle seguenti severe sanzioni penali.
- il reato previsto e punito dall’art. 483 c.p. che
sanziona con la reclusione fino a due anni chiunque
attesti falsamente al pubblico ufficiale in un
atto pubblico fatti dei quali l’atto è destinato a
provare la verità;
- il reato previsto e punito dagli articoli 17 e 55,
primo comma lettera a) del d.lvo n. 81/2008 che
sanziona con l’arresto da quattro a otto mesi o
con l’ammenda da 5.000 a 15.000 euro il datore
di lavoro che omette la valutazione dei rischi
dei rischi e l’adozione del documento previsto
dall’art. 17 o lo formi in modo incompleto.
Giova notare che il documento di valutazione dei
rischi deve avere una data certa e deve contenere
(art. 28):
- una relazione sulla valutazione di tutti i rischi
per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa,
nella quale siano specificati i criteri adottati
per la valutazione stessa. - l’indicazione delle
misure di prevenzione e di protezione attuate e
dei dispositivi di protezione individuali adottati.
- il programma delle misure ritenute opportune
per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli
di sicurezza;
- l’individuazione delle procedure per l ‘attuazione
delle misure da realizzare, nonché dei ruoli
dell’organizzazione aziendale che vi debbono
provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente
soggetti in possesso di adeguate competenze
e poteri.
- l’indicazione del nominativo del responsabile
del servizio di prevenzione e di protezione, del
rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di
quello territoriale o del medico competente che
ha partecipato alla valutazione del rischio;
- l’individuazione delle mansioni che eventualmente
espongono i lavoratori a rischi specifici
che richiedono una riconosciuta capacità professionale,
specifica esperienza o adeguata formazione
o addestramento
Le fonti giuridiche relative alla valutazione
del rischio psico-fisico del lavoratore.
L’obbligo per il datore di lavoro di assicurare nei
confronti dei propri dipendenti la tutela della loro
incolumità psico-fisica è contemplato dalle seguenti
norme.
- dall’art. 2087 del codice civile per cui il datore
di lavoro è tenuto, nell’esercizio dell’impresa, ad
adottare tutte le misure che, secondo la particolarità
del lavoro, dell’esperienza e la tecnica sono
necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro. Notasi che
l’art. 2086 del codice civile attribuisce al datore
di lavoro il potere gerarchico sui collaboratori e
pertanto questi ultimi sono tenuti all’osservanza
delle direttive del datore di lavoro il quale, a sua
volta, li tutela psichicamente e fisicamente;
- dall’art. 4 del d.lvo n. 626/1994 ( abrogato dal
d.lvo n. 81/2008) secondo il quale il datore di lavoro
deve valutare tutti i rischi per la sicurezza e
la salute dei lavoratori. - dall’art. 17, primo comma
lettera a), del d.lvo n. 81/2008 per cui il datore di
lavoro deve valutare tutti i rischi con la conseguente
elaborazione del documento previsto dall’art. 28.
Aggiungasi che la giurisprudenza ha affermato
che gli adempimenti non delegabili propri del datore
di lavoro consistono nell’adozione di procedure
di sicurezza e l’affissione delle relative norme
all’esterno dei luoghi pericolosi, compiti che quali
non rientrano tra gli obblighi del responsabile del
servizio di prevenzione e di protezione, il quale
ha il semplice obbligo nei confronti del datore di
lavoro di segnalare le omissioni in materia dovendo
poi quest’ultimo provvedere alle prescrizioni
del caso ( vedasi la sentenza del Pretore di Trento
del 25/1/1999 edita in “Il Foro Italiano”, 1999,
pag. 475, conforme sentenza della C.Cass. Pen.,
Sez. 4, sent. n. 6277 del 6/12/2007).
Giova notare che la mancata o carente valutazione
dei rischi da parte del datore di lavoro è
sanzionata dall’art. 55, comma primo, del d.lvo
n. 81/2008 con l’arresto da quattro a otto mesi o
con l’ammenda da 5.000 a 15.000 euro.
L’art. 28 del d.lvo n. 81/2008 afferma che nella
redazione del documento di valutazione dei rischi
devono essere valutati anche quelli collegati
allo stress lavoro correlato secondo i contenuti
dell’accordo europeo datato 8 ottobre 2004.
Deve rilevarsi che, come sopra evidenziato, Il D.L.
30/12/2008 n. 207 (pubblicato sulla GU n. 304
del 31/12/2008) prevede all’art. 32 la proroga
generale al 16/5/2009 dell’entrata in vigore delle
seguenti norme del d.lvo n. 81/2008:
- 1) la comunicazione degli infortuni sul lavoro di
durata superiore al giorno, termine già previsto
dall’art. 18, comma primo lettera r) del d.lvo n.
81/2008 e prorogato al 1/1/2009 dall’art. 4, comma
secondo della legge 2/8/2008 n. 129;
- 2) l’effettuazione della sorveglianza sanitaria in
fase preassuntiva prevista dall’art. 41, comma terzo
lettera a), del d.lvo n. 81/2008;
- 3) il termine riferito in materia di valutazione
dei rischi da lavoro, il cui primo termine di applicazione
era già stato inviato al 1/1/2009 dall’art.
4, comma 2- bis, della legge 2/8/2008 n. 129,
previsto dall’art. 306, comma secondo, del d.lvo
n. 81/2008 con riferimento alle disposizioni previste
dall’art. 28, comma primo e secondo, inerenti
alla data certa del documento, al contenuto della
relativa relazione con riferimento alla valutazione
dello stress lavoro correlato secondo i contenuti
dell’accordo europeo datato 8/10/2004.
Il contenuto dell’accordo europeo del 8
ottobre 2004
L’accordo europeo quadro del 8 ottobre 2008 è
stato firmato dalle maggiori organizzazioni europee
di lavoratori ed imprenditori (CES – Sindacato
Europeo, UNICE – Confindustria Europea,
UEAPME – Associazione Europea Artigianato,
CEEP – associazione europea delle Imprese partecipate
dal pubblico e di interesse economico
generale ) e in data 9/6/2008 è stato recepito
dall’accordo interconfederale delle corrispondenti
associazioni italiane (CONFINDUSTRIA, COINFAPI,
CONFARTIGIANATO, CASARTIGIANI, CLAAI, CNA,
CONFESERCENTI, CONFOCOOPERATIVE, LEGACOOPERATIVA,
AGCI, CONFESERVIZI, CONFAGRICOLTURA,
COLFDIRETTI). Lo scopo dell’accordo (art.2) è
di migliorare la consapevolezza e la compresione
dello stress lavoro da parte dei datori di lavoro dei
lavoratori e dei loro rappresentanti richiamando
la loro attenzione sui sintomi che possono indicare
l’insorgenza di problemi da stress da lavoro.
L’accordo definisce (art. 3) lo stress come uno
stato che si accompagna a malessere e disfunzioni
fisiche, psicologiche o sociali e che consegue
dal fatto che le persone non si sentono in grado
di superare i gap rispetto alle richieste o alle attese
nei loro confronti. In ogni caso si precisa che
lo stress non una malattia, ma una esposizione
prolungata allo stress può ridurre l’efficienza sul
lavoro e causare problemi di salute.
Lo stress è considerato (art. 1), a livello internazionale,
europeo e nazionale, un problema sia
dai datori di lavoro che dia lavoratori. Lo stress,
potenzialmente, può colpire in qualunque luogo
di lavoro e qualunque lavoratore, a prescindere
dalla dimensione dell’azienda, dal campo di attività,
dal tipo di contratto o di rapporto di lavoro.
Quindi considerare il problema dello stress sul lavoro
può comportare una maggiore efficienza e un
deciso miglioramento delle condizioni di salute e
di sicurezza sul lavoro.
Lo stress viene indicato ( art. 4) dai seguenti elementi
di allarme: l’assenteismo ripetuto, l’elevata
rotazione del personale, conflitti interpersonali,
lamentele frequenti dei lavoratori e l’individuazione
del problema avviene attraverso l’esame dei
seguenti fattori:
- l’organizzazione dei processi di lavoro. - le condizioni
e l’ambiente di lavoro. - la comunicazione
e i fattori soggettivi.
Le misure per prevenire o eliminare o ridurre i
problemi da stress da lavoro possono essere (art.
6) collettivi o individuali e consistono.
- a) nelle misure di gestione e di comunicazione
in grado di:
- chiarire gli obiettivi aziendali e il ruolo di ciascun lavoratore.
- di assicurare un sostegno adeguato da parte delle direzione ai singoli individui e ai team di lavoro.
- portare coerenza e responsabilità e di controllo sul lavoro.
- migliorare l’organizzazione, i processi, le condizioni e l’ambiente di lavoro.
- c) nell’informazione e nella consultazione dei
lavoratori e dei loro rappresentanti e/o, in conformità
alla legislazione europea e nazionale, ai
contratti collettivi e alla prassi.
L’accordo del 8/10/2004, secondo quanto previsto
dall’art. 139 del Trattato Europeo, impegna i
membri dell’UNICE/UEAPME, del CEEP, e della CAS
(e del Comitato di Collegamento EUROCADRES/CEC) a promuoverlo, entro tre anni dalla sua firma,
in accordo con le procedure e le pratiche proprie
delle parti sociali nei vari Stati membri e nei
paesi dell’area Economica Europea e i firmatari
invitano anche le loro organizzazioni affiliate nei
paesi candidati ad attuare l’accordo.
L’accordo interconfederale del 9 giugno 2008
L’accordo del 9/6/2008 recepisce l’accordo quadro
europeo del 8/10/2004 e le organizzazioni firmatarie
(art. 7) si impegnano:
- non soltanto ad applicarlo, ma anche a fornire
un resoconto sulla sua applicazione al Comitato
per il dialogo sociale;
- a rivedere l’accordo entro cinque anni qualora venga
richiesto da una delle organizzazioni firmatarie;
- nell’applicare l’accordo ad evitare oneri superflue
a carico delle piccole e medie imprese.
- nell’applicare l’accordo in modo da evitare che
sia una base per ridurre il livello generale di protezione
fornito ai lavoratori.
- nell’applicare l’accordo in modo da non pregiudicare
il diritto delle parti sociali di concludere, a
livello adeguato, incluso quello europeo, accordi
che lo adattino e/o lo integrino in modo da tenere
conto di specifiche necessità delle parti sociali
interessate.
Il contenuto minimo del documento di valutazione
dei rischi nel condominio
All’interno del condominio il documento di valutazione
dei rischi dovrà comprendere soprattutto
le necessarie osservazioni inerenti:
- l’informazione e la formazione dei dipendenti
del condominio, ai sensi degli articoli 36 e 37 del
d.lvo n. 81/2008;
- il controllo inerente alla qualità delle acque
destinate al consumo umano prevista dal d.lvo
2/2/2001 n. 31;
- il controllo degli impianti tecnologici (impianti
elettrici, impianti radiotelevisivi, le antenne e
gli impianti elettronici in genere, gli impianti di
riscaldamento, gli impianti idrici, gli impianti per
la distribuzione e l’utilizzazione del gas di qualsiasi
tipo, gli impianti di sollevamento di persone
o cose, gli impianti di protezione antincendio) secondo
quanto previsto dal Decreto del Ministero
Economico del 22/12008 n. 37;
- il rispetto della normativa antincendio con
particolare riferimento al Decreto del Ministero
dell’Interno del 29/12/2005 contenente le direttive
riguardanti le misure di adeguamento ed i
relativi termini temporali per eliminare con gradualità
i nulla osta provvisori previsti dalla legge
7/12/1984 n. 818;
- la protezione assicurata dall’art. 115 del d.lvo n.81/2008 nei confronti dei lavoratori dalla caduta
dall’alto: le linee vita e il lavoro con le funi;
- la rimozione dell’amianto dal condominio secondo
quanto previsto dalla legge 25/7/2006 n.
257 e dagli articoli 248 e seguenti del d.lvo n.
81/2008;
- l’applicazione della normativa di sicurezza degli
ascensori prevista dal DPR 30/4/1992 n. 162 e
dal Decreto del Ministero delle attività produttive
del 26/10/2005 contenente la pubblicazione
della norma europea UNI EN 81 –80 contenente
l’elenco e la relativa analisi dei 74 rischi maggiormente
ricorrenti negli ascensori e nei montacarichi.
Il problema rappresentato dal documento di
valutazione dei rischi è che per molti imprenditori
il suo contenuto appare auto accusatorio in
quanto rappresenta da un lato l’elencazione delle
situazioni di rischio e dall’altro indica le soluzioni
da adottare prontamente. Pertanto la sua elaborazione
redazione implicano il superamento di
una diffusa mentalità scaramantica per la quale i
problemi è meglio evitarli ed affrontarli solo se si
è costretti e per la quale comunque risulta preferibile
ignorarli al fine di evitare la loro sfortunata
realizzazione.
Il documento di valutazione dei rischi, secondo
il disposto dell’articolo 17, comma primo lettera
a) del d.lvo n. 81/2008 è uno dei due atti non
delegabili (l’altro è la nomina del responsabile del
servizio di prevenzione e di protezione dai rischi)
del datore di lavoro e il successivo art. 55, contenente
le sanzioni, ne enuclea il seguente contenuto
minimo:
- invero l’art. 55, primo comma lettera a), del
d.lvo n. 81/2008 sanziona con l’arresto da quattro
a otto mesi o con l’ammenda da 5.000 e 15.000
euro il datore di lavoro che:
- omette la valutazione dei rischi e l’adozione del relativo documento;
- rediga il documento di valutazione dei rischi in assenza dei seguenti elementi (previsti dall’art. 28, comma primo lettere a), b), d) ed f):
- l’indicazione delle misure di prevenzione
e di protezione attuate e dei dispositivi di
protezione individuali adottati, a seguito
della valutazione dei rischi;
- l’individuazione delle procedure per l’attuazione
delle misure da realizzare, nonché
dei ruoli dell’organizzazione aziendale che
vi debbono provvedere, a cui devono essere
assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri;
- l’individuazione delle mansioni che eventualmente
espongono i lavoratori a rischi
specifici che richiedono una riconosciuta
capacità professionale, specifica esperienza,
adeguata formazione e addestramento;
- rediga il documento di valutazione dei rischi violando le disposizioni previste dall’art. 18, primo comma, lettere q) e z) prima parte ovvero:
- non aggiorni le misure di prevenzione
in relazione ai mutamenti organizzativi
e produttivi che hanno rilevanza ai fini
della salute e della sicurezza del lavoro.
Inoltre l’art. 55, comma terzo, del d.lvo n.
81/2008 punisce con l’ammenda da 3.00 a
9.000 euro il datore di lavoro che. * non
rediga il documento di valutazione dei rischi
secondo le modalità previste dall’art.
29, commi primo, secondo e terzo ovvero
senza la collaborazione con il responsabile
del servizio di prevenzione e di protezione
e con il medico competente per i casi in cui
l’art. 41 prevede la sorveglianza sanitaria,
senza la consultazione del rappresentante
dei lavoratori per sicurezza, e non rielabori
il documento nei casi di modifiche del
processo produttivo o dell’organizzazione
del lavoro significative ai fini della salute
e della sicurezza dei lavoratori o in relazione
la grado di evoluzione della tecnica, a
seguito di infortuni significativi o quando
la sorveglianza sanitaria ne evidenzino la
necessità;
- rediga il documento di valutazione dei rischi senza uno degli elementi previsti dall’art. 28, comma secondo lettere c) ed e) ovvero:
- senza l’indicazione del nominativo del responsabile
del servizio di prevenzione e di protezione,
del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
o di quello territoriale e del medico competente
che ha partecipato alla valutazione del rischio.
Nei confronti dei datori di lavoro delle aziende
a rischio rilevante ( elencate dall’articolo 31,
comma sesto, lettere a), b), c), d), f), e per le
aziende in cui si svolgono attività che espongono
i lavoratori a rischi biologici, da atmosfere esplosive,
cancerogeni mutageni e da attività di manutenzione, rimozione e smaltimento e bonifica di
amianto e per le attività che sono caratterizzate
dalla compresenza di più imprese e la cui entità
presunta di lavoro non sia inferiore a 200 uomini
– giorno) le sanzioni sono aumentate poiché
è previsto l’arresto da sei mesi ad un anno e sei
mesi. Inoltre l’art. 55, primo comma lettera b),
prevede l’arresto da quattro a otto mesi o l’ammenda
da 5.000 a 15.000 euro nei confronti del
datore di lavoro che non provvede alla nomina del
responsabile del servizio di prevenzione e protezione,
salvo che svolga direttamente tale funzione
secondo quanto previsto dall’art. 34.
L’informazione dei lavoratori condominiali e
la sanzione penale prevista nei confronti dell’amministratore
del condominio inadempiente
L’art. 36 del d.lvo n. 81/2008 stabilisce i seguenti
obblighi nei confronti del datore di lavoro il quale
deve informare i dipendenti:
- sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro
connessi alle attività dell’impresa in generale;
- sulle procedure che riguardano il primo soccorso,
la lotta antincendio, l’evacuazione dei luoghi
di lavoro;
- sui nominativi dei lavoratori incaricati ai applicare
le misure di cui agli articoli 45 e 46, relativi al pronto
soccorso ed alla prevenzione incendi. - sui nominativi
del responsabile e degli addetti del servizio di
prevenzione e protezione e del medico competente.
Inoltre il datore di lavoro provvede affinché ogni
lavoratore riceva un’adeguata informazione:
- sui rischi specifici cui il lavoratore è esposto
in relazione all’attività svolta, le normative
di sicurezza e le disposizioni aziendali in
materia. - sui pericoli connessi all’uso delle
sostanze e dei preparati pericolosi sulla base
delle schede dei dati di sicurezza previste dalla
normativa vigente e dalle norme di buona
tecnica;
- sulle misure e le attività di protezione e prevenzione
adottate.
Nei confronti dei portieri del condominio risultano
applicabili, attesa l’ordinaria dimensione dei
condomini e le mansioni svolte dai portieri, e secondo
quanto disposto dall’art. 36, comma terzo,
le seguenti disposizioni:
- l’informazione sui rischi per la salute e sicurezza sul lavoro connessi alle attività dell’impresa in generale;
- l’informazione sulle procedure che riguardano il primo soccorso, la lotta antincendio, l’evacuazione dei luoghi di lavoro;
- l’informazione sui rischi specifici cui il lavoratore è esposto in relazione all’attività svolta, le normative di sicurezza e le disposizioni aziendali in materia.
- l’informazione sui pericoli connessi all’uso delle sostanze e dei preparati pericolosi sulla base delle schede dei dati di sicurezza previste dalla normativa vigente e dalle norme di buona tecnica;
- l’informazione sulle misure e le attività di protezione e prevenzione adottate.
Rispetto al sistema precedente la novità del decreto
n. 81/2008 è che l’art. 55, comma quarto,
punisce con l’arresto da due a quattro mesi o con
l’ammenda da 800 a 3.000 euro il datore di lavoro
( e quindi anche qualora rivesta l’incarico
di amministratore del condominio) che ometta di
fornire al lavoratore le predette informazioni.
Notasi che l’art. 301 del d.lvo n. 81/2008 mantiene
il sistema previsto dal d.lvo n. 758/1994 per cui
l’organo di vigilanza emette nei confronti del datore
di lavoro, che abbia violato la normativa di sicurezza,
un verbale che impone una prescrizione da
compiersi, di solito, entro 60 giorni . Se il soggetto
ingiunto adempie alla prescrizione nei termini previsti
è ammesso a pagare, in un termine stabilito a
pena di decadenza dal beneficio, l’ammenda nella
misura di un quarto del massimo previsto e se paga
tale sanzione la contravvenzione è estinta.
Al fine di rendere concreto il sistema informativo
nei confronti dei dipendenti l’art. 36, comma
quarto, prescrive che il contenuto dell’informazione
deve essere facilmente comprensibile per i
lavoratori e deve consentire loro di acquisire le
relative conoscenze e qualora l’informazione riguardi
lavoratori immigrati essa deve avvenire
previa verifica della comprensione della lingua
utilizzata nel percorso informativo.
La formazione dei lavoratori condominiali
L’art. 37 del d.lvo n. 81/2008 impone al datore di
lavoro di assicurare che ciascun lavoratore riceva
una formazione sufficiente ed adeguata in materia
di salute e sicurezza anche con riferimento
alle conoscenze linguistiche del lavoratore e in
particolare deve riguardare. - i concetti di rischio,
di danno, di prevenzione, di protezione, di organizzazione
della prevenzione aziendale, i diritti
e i doveri dei vari soggetti aziendali, gli organi
di vigilanza, di controllo, di assistenza. - i rischi
riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle
conseguenti misure e di procedure di prevenzione
e di protezione caratteristici del settore e del
comparto di appartenenza. I contenuti minimi,
la durata e le modalità della formazione devono
essere definiti mediante accordo da compiersi
in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome
di Trento e di Bolzano che deve essere adottato
previa consultazione delle parti sociali entro
il termine di dodici mesi dalla data di entrata in
vigore del d.lvo n. 81/2008.
Il contenuto minimo della formazione, e del relativo
addestramento il quale deve essere eseguito
da una persona esperta e sul luogo del lavoro, è
quello di assicurare che ciascun lavoratore riceva
una formazione sufficiente ed adeguata in merito
ai rischi specifici dei titoli successivi al primo
titolo del d.lvo n. 81/2008 e la formazione deve
avvenire in occasione.
- della costituzione del rapporti di lavoro o dell’inizio
dell’utilizzazione qualora si tratti di somministrazione
di lavoro;
- del trasferimento o del cambiamento di mansioni;
- dell’ introduzione di nuove attrezzature di lavoro
o di nuove tecnologie, di nuove sostanze e preparati
pericolosi.
La formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti
deve essere periodicamente ripetuta in relazione
all’evoluzione dei rischi o all’insorgenza di
nuovi rischi. La formazione dei lavoratori deve avvenire,
in collaborazione con gli organismi paritetici
definiti dall’art. 50 ove presenti, deve avvenire
durante l’orario di lavoro e non può comportare
oneri economici a carico dei lavoratori.
I preposti ricevono a cura del datore di lavoro e
in azienda un’adeguata e specifica formazione e
un aggiornamento periodico in relazione ai propri
compiti in materia di salute e di sicurezza del lavoro.
I contenuti della predetta formazione comprendono:
- i principali soggetti coinvolti ed i relativi obblighi;
- la definizione e l’individuazione dei fattori di
rischio;
- la valutazione dei rischi;
- l’individuazione delle misure tecniche, organizzative
e procedurali di prevenzione e di protezione.
I lavoratori incaricati dell’attività di prevenzione
incendi e di lotta antincendio, di evacuazione
dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave ed
immediato, di salvataggio, di primo soccorso e,
comunque, di gestione dell’emergenza devono riceve
un’adeguata e specifica formazione e un aggiornamento
periodico . In attesa dell’emanazione
di una normativa specifica prevista dall’art. 46,
comma terzo, del d.lvo n. 81/2008 continuano a
trovare applicazione le disposizioni del Decreto
del Ministero dell’Interno in data 10/3/1998.
Il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza
ha diritto ad una formazione particolare in materia di salute e di sicurezza concernente i rischi
specifici esistenti negli ambiti in cui esercita la
propria rappresentanza, tale da assicurargli adeguate
competenze sulle principali tecniche di
controllo e prevenzione dei rischi stessi.
Le modalità, la durata e i contenuti specifici della
formazione del rappresentante dei lavoratori per
la sicurezza sono stabiliti in sede di contrattazione
collettiva nazionale, nel rispetto dei seguenti
contenuti minimi:
- i principi giuridici comunitari e nazionali;
- la legislazione generale e speciale in materia di
salute e di sicurezza sul lavoro;
- i principi soggetti coinvolti e i relativi obblighi;
- la definizione e l’individuazione dei fattori di
rischio;
- la valutazione dei rischi;
- l’individuazione delle misure tecniche, organizzative
e procedura idi prevenzione e di protezione;
- gli aspetti normativi dell’attività di rappresentanza
dei lavoratori;
- le nozioni di tecnica della comunicazione.
La durata minima dei corsi è di 32 ore iniziali, di
cui 12 sui rischi specifici presenti in azienda, e le
conseguenti misure di prevenzione e di protezione
adottate, con verifica dell’effettivo apprendimento.
La contrattazione collettiva nazionale disciplina
le modalità dell’obbligo di aggiornamento
periodico la cui durata non può essere inferiore a
4 ore annue per le imprese che occupano dai 15
ai 50 lavoratori e a 8 ore annue per le imprese che
occupano più di 50 lavoratori. Il contenuto della
formazione deve essere facilmente comprensibile
per i lavoratori e deve consentire loro di acquisire
le conoscenze e le competenze necessarie in materia
di sicurezza e di salute sul lavoro . Qualora
la formazione avvenga nei confronti di lavoratori
immigrati essa deve avvenire previa verifica della
comprensione e della conoscenza della lingua utilizzata
nel percorso formativo.
Le competenze acquisite a seguito dello svolgimento
dell’attività di formazione sono registrate
nel libretto formativo del cittadino ( previsto
dall’art. 2, comma primo lettera i, del d.lvo
10/9/2003 n. 276) ed il contenuto del libretto
formativo è considerato dal datore di lavoro ai
fini della programmazione della formazione e di
esso gli organi di vigilanza tengono conto ai fini
della verifica dell’adempimento degli obblighi del
d.lvo n. 81/2008.
Il controllo delle acque all’interno del condominio
La tutela della pubblica incolumità nell’uso
dell’acqua a scopo alimentare è rafforzata dal d.lgs. 2/2/2001 n. 31 ( pubblicato sul supplemento
ordinario n. 41 alla Gazzetta Ufficiale n.
52 del 3/3/2001) che recepisce nel nostro ordinamento
giuridico la direttiva 98/83/CE relativa alla
qualità delle acque destinate al consumo umano.
Il d.lgs. n. 31/2001 disciplina ( art. 1) la qualità
delle acque destinate al consumo umano dagli effetti
negativi derivanti dalla contaminazione delle
acque garantendone la salubrità e la pulizia. Le
acque destinate al consumo umano e contemplate
nel decreto sono quelle (art. 2) trattate o non
trattate destinate ad uso potabile e per la preparazione
di cibi e bevande e quelle utilizzate in
un’impresa alimentare per l’immissione nel mercato
di prodotti commestibili dall’uomo, mentre
sono escluse (art.3) le acque minerali e medicinali
riconosciute, nonché le acque destinate agli usi
che non hanno ripercussione sulla salute umana
e individuate dal Ministero della salute di concerto
con i ministri dell’industria, del commercio e
dell’artigianato, dell’ambiente, dei lavori pubblici
e delle politiche agricole e forestali.
Il decreto, al fine di perseguire finalità preventive,
promuove la tutela della salute pubblica delle
acque destinate al consumo umano attraverso una
serie di obblighi (art. 4) consistenti nella salubrità
e nella pulizia delle acque e nell’assenza in esse
di microrganismi e parassiti, e di altre sostanze in
quantità o concentrazioni che rappresentino un
potenziale pericolo per la salute umana. Inoltre,
in via generale, i requisiti minimi di tali acque
debbono rispondere a quelli previsti dalle parti A
e B dell’allegato 1 del d.lgs. n. 31/2001. Il decreto
prevede (art. 5) il rispetto di tali parametri di
sicurezza nei seguenti punti:
- per le acque fornite attraverso una rete di distribuzione
nel punto in cui escono dai rubinetti
utilizzati per il consumo umano;
- per le acque fornite da una cisterna nel punto in
cui escono dalla cisterna;
- per le acque confezionate in bottiglie o contenitori,
rese disponibili per il consumo umano, nel
punto in cui sono imbottigliate o introdotte nei
contenitori;
- per le acque utilizzate nelle imprese alimentari
nel punto in cui sono utilizzate dall’impresa.
Per le acque distribuite con una rete di distribuzione
qualora i parametri non siano conformi ai
valori fissati nell’allegato 1 del decreto le aziende
sanitarie locali sono tenute ad adottare le seguenti
misure disponendo che:
- siano prese misure appropriate per eliminare il
rischio che le acque non rispettino i valori di parametro
dopo la fornitura;
- i consumatori interessati siano debitamente informati
e consigliati sugli eventuali provvedimenti
e sui comportamenti da adottare. I controlli
(art. 6), da eseguirsi con analisi dei parametri
dell’allegato I con le specifiche indicate nell’allegato
III, devono essere eseguiti sui punti di
prelievo delle acque superficiali e sotterranee destinate
al consumo umano, sugli impianti di adduzione,
sulle reti di distribuzione, sugli impianti
di confezionamento, sulle acque confezionate,
sulle acque utilizzate nelle imprese alimentari,
sulle acque fornite mediante cisterna.
I controlli sono di due tipi quelli interni (art. 7) e
quelli esterni (art.8). I controlli interni non devono
essere solo e necessariamente di natura pubblica,
ma possono essere svolti anche, mediante
l’attività di laboratori convenzionati, dal gestore
del servizio idrico integrato al fine di verificare la
qualità dell’acqua destinata al consumo umano e
i punti di prelievo, in un’ottica di fattiva collaborazione
con l’ente pubblico, possono essere concordati
con l’azienda sanitaria locale ed i risultati
devono essere conservati per cinque anni per l’eventuale
consultazione con l’amministrazione che
effettua i controlli esterni. I controlli esterni, affidati
all’azienda sanitaria locale territorialmente
competente, verificano che le acque destinate al
consumo umano soddisfino i requisiti del d.lgs.
n. 31/2001 e, inoltre, sono svolti tenendo conto
dei risultati del rilevamento dello stato di qualità
dei corpi idrici previsto dall’articolo 43 del d.lgs.
11/5/1999 n. 152 e per le acque superficiali dei
risultati della classificazione effettuati secondo le
modalità previste nell’allegato 2, sezione A, del
d.lgs. n. 152/1999. L’azienda sanitaria locale può
svolgere ulteriori controlli con ricerche supplementari
delle sostanze e dei microrganismi per i
quali non sono fissati valori di parametro dell’allegato
I e qualora gli impianti da controllare ricadano
nel territorio di più aziende sanitarie locali
il coordinamento è affidato alla regione la quale
può individuare l’azienda alla quale attribuire la
competenza in materia di controlli.
Il d.lgs. n. 31/2001 sancisce (art.8) il principio,
fondamentale per assicurare la tutela della pubblica
incolumità, per cui nessuna sostanza o materiali
utilizzati per i nuovi impianti o per l ‘adeguamento
di quelli esistenti, per la preparazione
o la distribuzione delle acque destinate al consumo
umano, o impurezze associate a tali sostanze
o materiali in acque destinate al consumo umano
devono essere presenti in acque destinate al consumo
umano in concentrazione superiore a quelle
consentite per il fine per cui sono impiegati e non
debbono ridurre, direttamente o indirettamente,
la tutela della salute umana prevista dal presente decreto. Le autorità competenti, informati i consumatori,
possono emettere (art. 10) i provvedimenti
necessari per ripristinare la qualità delle
acque e può vietare, nei casi di potenziale pericolosità
per la salute umana, la somministrazione
delle acque. Sono distinte le competenze dello
stato (art. 11), delle regioni e delle province autonome
(art. 12) ed infine è previsto (art. 15) che
la qualità delle acque destinate al consumo umano
deve essere resa conforme ai valori di parametro
previsti dall’allegato I entro il 25 dicembre
2003. Le eccezioni a tale data generale di adeguamento
sono le seguenti. - entro il 25/12/2008
il valore di bromato deve essere adeguato per le
acque fornite attraverso una rete di distribuzione,
per le acque fornite da una cisterna, per le acque
utilizzate nelle imprese alimentari (art. 5 comma
1, lettere a, b, d e nota 2 dell’allegato I parte B);
- entro il 25/12/2013 il valore di piombo deve
essere adeguato per le acque fornite attraverso
una rete di distribuzione, per le acque fornite da
una cisterna, per le acque utilizzate nelle imprese
alimentari (art. 5 comma 1, lettere a, b, d e nota
4 dell’allegato I parte B).
In ogni caso e senza la previsione di termini dilatori
per l’efficacia della disciplina di sicurezza
la nota 10 dell’allegato I parte B del d.lgs. n.
31/2001 prevede che i responsabili della disinfezione
devono adoperarsi affinché il valore parametrico
sia il più basso possibile senza compromettere
la disinfezione stessa e i composti
specifici sono: cloroformio, bromoformio, dibromoclorometano,
bromodiclorometano.
La canna fumaria nel condominio
L’articolo 1117, comma primo, n. 3) del codice
civile include tra le parti comuni del condominio
“gli impianti per il gas ….. per il riscaldamento e
simili, fino al punto di diramazione degli impianti
ai locali di proprietà esclusiva dei singoli condomini”
ed in tale definizione la giurisprudenza
prevalente ricomprende le canne fumarie in quanto
elementi di servizio di tali impianti . Inoltre
si è affermato che la realizzazione di una canna
fumaria e di uno sfiatatoio di un vano gabinetto è
illegittima allorquando avvenga attraverso la loro
installazione nel muro perimetrale dell’edificio
in modo da consentire la produzione di esalazioni
verso le finestre degli altri proprietari poiché
l’altrui proprietà non può essere gravata di pesi,
limitazioni e servitù di qualsiasi genere. Altra
sentenza afferma che la disposizione dell’articolo
844 del codice civile (che vieta le immissioni
moleste tra fondi vicini) è applicabile anche negli
edifici condominiali laddove un condomino, nel
godimento di una propria unità immobiliare o delle
parti comuni, dia luogo ad immissioni moleste o dannose nella proprietà di altri condomini . In
applicazione di tale norma deve aversi riguardo
al criterio della valutazione della normale tollerabilità
delle immissioni, alla peculiarità dei rapporti
condominiali e alla destinazione assegnata
all’edificio dalle disposizioni urbanistiche o,
in mancanza, dai proprietari. In particolare, nel
caso in cui il fabbricato non adempia ad una funzione
uniforme e le unità immobiliari siano soggette
a destinazioni differenti, ad un tempo, ad
abitazione ed a esercizio commerciale, il criterio
dell’utilità sociale, al quale è informato l’articolo
844 del codice civile, impone di graduare le esigenze
in rapporto alle istanze di natura personale
ed economica dei condomini in modo che siano
privilegiate, alla luce dei principi costituzionali
(articoli 14, 31, 47 della Costituzione) le esigenze
personali di vita connesse all’abitazione, rispetto
alle utilità meramente economiche ed inerenti
all’esercizio di attività commerciali. In tale caso
la S.C. ha confermato la sentenza di merito che
aveva ordinato la rimozione dal muro perimetrale
comune di una canna fumaria collocata nella parte
terminale a breve distanza dalle finestre di alcuni
condomini, destinata a smaltire le esalazioni
di fumo, calore e gli altri prodotti dal forno di
un esercizio commerciale ubicato nel fabbricato
condominiale.
L’articolo 1102 del codice civile consente al condomino
la più ampia utilizzazione di un bene
comune (una strada nel caso esaminato ) ai fini
della sistemazione degli impianti diretti a soddisfare
le esigenze di servizi indispensabili (nel
caso di specie il servizio del gas) per il godimento
di un proprio appartamento, purchè sia rispettata
la proprietà esclusiva degli altri condomini e non
sia violata la rispettiva sfera di facoltà e di diritti.
A tal riguardo osservasi che non esiste un diritto
del singolo condomino a farsi installare, nei muri
perimetrali dei ballatoi condominiali, nicchie per
immettervi contatori del gas o della luce; anzi
l’apposizione di tali nicchie porta contatori deve
essere considerata un peso di diritto reale sulle
parti comuni. Invece costituisce uso legittimo
della cosa comune da parte di un partecipante al
condominio l’utilizzazione delle mura perimetrali
dell’edificio per installarvi una tubatura del gas
metano a servizio di un appartamento . Inoltre le
spese di allacciamento di alcune unità immobiliari,
poste all’interno di un condominio, alla rete di
distribuzione del gas non sono soggette ai criteri
di ripartizione in misura proporzionale al valore
della proprietà di ciascun condomino in quanto
non rientrano nel criterio della conservazione e
del godimento delle parti comuni essendo finalizzate
al servizio di alcuni soltanto dei condomini in quanto non si tratta di un servizio prestato
nell’interesse comune, bensì al servizio di singoli
condomini.
L’installazione della canna fumaria nel
condominio
La realizzazione di una canna fumaria in un condominio
costituisce un’innovazione deliberata dai
condomini con un numero di voti che rappresenti
la maggioranza dei partecipanti al condominio e
i due terzi del valore dell’edificio (articoli 1120,
primo comma, e 1138, quinto comma, del codice
civile ) a patto che sia diretta al miglioramento o
all’uso più comodo o al maggiore rendimento delle
cose comuni. A tal proposito la giurisprudenza
rileva che l’apposizione da parte di un condomino
e per la propria esclusiva utilità, di una canna
fumaria lungo il muro perimetrale di un edificio
non integra una modificazione della cosa comune
necessaria al suo migliore godimento da parte
di tutti i condomini, ai sensi dell’articolo 1102
del codice civile, ma costituisce innovazione, che
può, secondo l’insindacabile valutazione del giudice
di merito, alterare il decoro architettonico
dell’edificio stesso, e di cui può ordinarsi la rimozione
come previsto dall’articolo 1120, secondo
comma, del codice civile. Invero il condomino può
servirsi del muro comune anche per appoggiarvi
una canna fumaria, a condizione che però non
ne derivi pregiudizio all’uguale diritto degli altri
condomini di servirsi della cosa comune o danno
alla stabilità, sicurezza del muro o all’estetica
dell’edificio, perché in tale caso le modificazioni
per il migliore godimento diventano in effetti innovazioni
perturbatrici del rapporto di equilibrio
della comunione. Infatti l’uso della cosa comune
trova il limite del generale beneficio apportato
all’intera comunione e quindi la riduzione della
sezione di una canna fumaria, ad opera di uno dei
condomini, può costituire una modificazione non
consentita, qualora di fatto alteri la destinazione
della cosa comune ed impedisca agli altri partecipanti
di farne uso secondo il loro diritto.
Per di più l’articolo 1102 del codice civile (che disciplina
l’uso della cosa comune) consente a ciascun
condomino di servirsi della cosa comune apportandovi
le modificazioni che egli ritenga utili
per il migliore godimento di essa, fino a sostituirla
con altra che assicuri un migliore funzionamento.
Tali facoltà, peraltro, sono legittime solo se
si esplicano nei limiti dettati dalla legge, vale a
dire con l’astensione da ogni alterazione del bene
comune e conservando la possibilità dell’uso stesso
da parte di ogni altro condominio nell’ambito
del suo diritto. I limiti ora indicati non vengono
superati dal solo fatto dell’uso più intenso di uno
dei condomini, purchè attraverso lo stesso non si giunga al turbamento dell’equilibrio con tutti
i diritti di costoro o a un cambiamento della destinazione
del bene comune, non soltanto in vista
dell’uso attuale, ma anche di quello potenziale
secondo la natura delle cose e il fine al quale essa
venne predisposta, sicché resta del tutto indifferente,
salvo che in relazione alla costituzione di
diritti esclusivi a favore di alcuno dei condomini
di terzi, che da tempo più o meno lungo uno o
più degli interessati non si siano serviti del bene
in questione. Qualora il condomino di un edificio
abbia adibito a laboratorio i locali di sua
proprietà, contro il divieto impostogli dal regolamento
condominiale, non si può più fare una questione
del diritto del partecipante ad impiantare
nel muro perimetrale comune la canna fumaria,
giacché, una volta accertato che l’utilizzazione
quale laboratorio non è consentita sul piano convenzionale,
la canna fumaria che costituisce una
pertinenza (admeniculum) dell’impianto proibito,
è destinata a seguirne le sorti.
Negli edifici condominiali le norme sulle distanze
legali, che non possono trovare applicazione nei
rapporti fra proprietà singole e beni comuni (a
tutti i condomini o a parte di essi) non sono applicabili
neppure nei rapporti fra proprietà singole
qualora il rispetto di esse non sia compatibile con
la concreta struttura dell’edifico e il condomino
utilizzi una parte comune di questo a favore della
sua unità immobiliare, ai sensi dell’articolo 1102
del codice civile, per realizzare impianti indispensabili
per un’effettiva abitabilità del suo appartamento
secondo le esigenze generali dei cittadini
e le moderne concezioni in tema di igiene, nel
qual caso vanno peraltro sempre rispettate sia la
destinazione del bene comune sia il diritto di pari
utilizzazione (anche potenziale) degli altri condomini
e non vanno pregiudicati la stabilità, la
sicurezza e i decoro architettonico dell’edificio.
Occorre notare che la canna fumaria non può
essere installata senza che vengano apposti dei
limiti da parte degli interessati in quanto è illegittima
la sua realizzazione qualora consista in
un manufatto autonomo posto nel tratto di facciata
compreso tra i balconi e le finestre di cinque
piani di un edificio condominiale in quanto, pur
non alterando la naturale destinazione del muro
comune, né la stabilità dell’edifico, viola le norme
sulle distanze legali, riduce la visuale laterale
che si gode dalle finestre ed altera in modo
sensibile il decoro architettonico della facciata.
In ogni caso l’installazione di una canna fumaria
nella parte periferica di un lastrico solare costituisce
un’innovazione ai sensi dell’articolo 1120
del codice civile, come tale non consentita se non
previamente autorizzata dall’assemblea condominiale
con le maggioranze previste. Invero è nulla ( e non soltanto annullabile) la deliberazione
dell’assemblea presa a maggioranza che approvi
una utilizzazione particolare da parte di un singolo
condomino di un bene comune, qualora tale
diversa utilizzazione, senza che sia dato distinguere
tra parti principali e secondarie dell’edificio
condominiale, rechi pregiudizievoli invadenze
nell’ambito dei diritti altrui, quali asservimenti,
immissioni o molesti lesivi del diritto degli altri
condomini alle cose e servizi comuni o su quelle
di proprietà esclusiva di ognuno di essi.
La protezione assicurata dal d.lvo n.
81/2008 nei confronti dei lavoratori dalla caduta
dall’alto: le linee vita e il lavoro con le funi
I sistemi di protezione contro le cadute dall’alto
(art. 115) sono complessi ed aggiornate allo
sviluppo tecnologico ( consistente ad esempio
nell’adozione nelle lavorazioni dei nuovi sistemi
delle “linee vita” alternativa, a volta, dell’uso del
ponteggio tradizionale ) e nei lavori in quota allorquando
non siano attuale le misure di protezione
collettiva come previsto dall’art. 111,, comma
primo lettera a), è necessario che i lavoratori utilizzino
idonei sistemi di protezione composti da
diversi elementi, non necessariamente presenti
contemporaneamente, quali i seguenti.
- assorbitori di energia;
- connettori;
- dispositivi di ancoraggio;
- cordini;
- dispostivi retrattili;
- guide o linee vita flessibili;
- guide o linee vita rigide;
- imbracature.
Il sistema di protezione, certificato per l‘uso specifico,
deve permettere una caduta libera non superiore
a 1,5 metri o in presenza di un dissipatore
di energia a quattro metri; il cordino deve essere
assicurato, direttamente o mediante connettore
lungo una guida a linea vita, a parti stabili delle
opere fisse o provvisionali. Nei lavori su pali il
lavoratore deve essere munito di ramponi o mezzi
equivalenti e di idoneo dispositivo anticaduta.
Allorquando il datore di lavoro adotta sistemi di
accesso e di posizionamento dei lavoratori con
funi (art. 116) deve adottare le seguenti misure
di sicurezza:
- il sistema deve comprendere almeno due funi
ancorate speratamene, una per l’accesso, la discesa
ed il sostegno, detta fune di lavoro, e l’altra
con funzione di dispositivo ausiliario, detta fune
di sicurezza . L’uso di una sola fune è ammesso in
casi eccezionali in cui l’uso di una seconda fune
rende il lavoro più pericoloso e se sono adottate misure adeguate per garantire la sicurezza;
- i lavoratori devono essere dotati di un’adeguata
imbracatura di sostegno collegata alla fune di
sicurezza;
- la fune di lavoro deve essere munita di meccanismi
sicuri di ascesa e di discesa e deve essere
dotata di un sistema autobloccante volto ad evitare
la caduta nel caso in cui l’utilizzatore perda
il controllo dei propri movimenti e la fune di lavoro
deve essere munita di un dispositivo mobile
contro le cadute che segue gli spostamenti del
lavoratore. - gli attrezzi di lavoro e gli accessori
utilizzati dai lavoratori devono essere agganciati
alla loro imbracatura di sostegno o al loro sedile
o ad altro strumento idoneo. - i lavori devono
essere programmati e sorvegliati in modo adeguato
anche per consentire l’immediato soccorso del
lavoratore in caso di necessità ed il programma
dei lavori deve definire un paino di emergenza,
le tipologie operative, i dispositivi di protezione
individuale, le tecniche e le procedure operative,
gli ancoraggi, il posizionamento degli operatori,
i metodi di accesso, le squadre di lavoro e gli
attrezzi di lavoro. - il programma di lavoro deve
essere disponibili presso i luoghi di lavoro ai fini
della verifica da parte dell’organo di vigilanza
competente per territorio.
Il datore di lavoro deve inoltre fornire ai lavoratori
interessati una formazione adeguata e mirata
alle operazioni previste con particolare riguardo
alle procedure di salvataggio e la formazione degli
stessi, di carattere teorico – pratico, con corsi
contenenti i requisiti minimi contenuti dell’allegato
XXI, deve riguardare:
- l’apprendimento delle tecniche operative e
dell’uso dei dispositivi necessari;
- l’addestramento specifico sia su strutture naturali
che su manufatti;
- l’utilizzo dei dispositivi
di protezione individuale, le loro caratteristiche
tecniche, la manutenzione, la durata e la conservazione;
- gli elementi di primo soccorso;
- i rischi oggettivi e le misure di prevenzione e di
protezione;
- le procedure di salvataggio.
Particolare attenzione è riservata (art.117) ai
lavori da svolgere in prossimità di parti attive,
luoghi in cui spesso si verificano tragici infortuni
in quanto in tali casi i lavori sono effettuati in
prossimità di linee elettrice o di impianti elettrici
con parti attive non protette o che per circostanze
particolari si debbano ritenere non sufficientemente
protette ed in ipotesi il datore di
lavoro deve rispettare almeno una delle seguenti
precauzioni:
- deve mettere fuori tensione ed in sicurezza le
parti attive per tutta la durata dei lavori. - deve
posizionare ostacoli rigidi che impediscano ai lavoratori
l’avvicinamento alle parti attive;
- deve tenere in permanenza le persone, le macchine
operatrici, gli apparecchi di sollevamento, i
ponteggi ed ogni altra attrezzatura a distanza di
sicurezza . Tale distanza di sicurezza deve essere
tale da impedire che non possano avvenire contatti
diretti o scariche pericolose per le persone
tenendo conto del tipo di lavoro, delle attrezzatura
usate e delle tensioni presenti. Giova notare
che per la violazione delle norme predette indicate
dall’art. 117 il datore di lavoro ed il dirigente
sono puniti ( art. 159, comma primo lettera a )
con l’arresto da tre mesi a sei mesi o con l’ammenda
da 3.000 a 12.000 euro.
La rimozione dell’amianto dal condominio
La prima vera normativa che abbia seriamente
trattato della capacità di creare posizioni di garanzia
(nella specie di controllo delle fonti di pericolo)
è stata emanata con il d.lvo n. 271/1999;
è dunque solo a partire da questa che deve essere
valutata la sussistenza del nesso causale tra una
condotta colposa (quella che ha violato il citato
decreto) e l’insorgenza della malattia. Inoltre l’amianto,
proprio per la sua intrinseca pericolosità
per la salute umana è stato posto al bando nelle
lavorazioni industriali dalla legge 27/3/1992
n. 257 la quale ha vietato l’estrazione l’importazione,
l’esportazione, la commercializzazione e
la produzione di tale minerale. Il divieto di uso
comprende anche i silicati fibrosi contemplati
dalla 15/8/1991 n. 277 (contemplante la cessazione
dell’impiego di amianto nei luoghi di
lavoro ) e la legge n. 257/1992, oltre a fissare
i valori limite e la classificazione, l’imballaggio
l’etichettatura, riguarda l’utilizzazione dell’amianto,
la lavorazione e la produzione di prodotti di
amianto o di prodotti contenenti amianto libero o
legato in matrice friabile o in matrice cementizia
o resinoide, di prodotti che possano immettere
nell’ambiente fibre di amianto, nonché i rifiuti di
amianto. Inoltre il d.lvo 25/7/2006 n. 257 (pubblicato
sulla GU n. 211 del 11/9/2006) abroga la
legge n. 277/1991, mantiene in vigore la legge
n. 257/1992 e recepisce nel nostro ordinamento
giuridico la direttiva 2003/18/CE inerente alla
protezione dei lavoratori derivanti dai rischi derivanti
dall’esposizione all’amianto durante il lavoro.In
particolare si contemplava il capo VI – bis
all’interno del d.lvo n. 626/1994 nel quale veniva
sancito l’importante principio per cui (art. 59 –
quater) prima di intraprendere lavori di demolizione
il datore di lavoro adotta, anche chiedendo
informazioni ai proprietari dei locali, ogni misura necessaria volta ad individuare la presenza di
materiali a potenziale contenuto d’amianto . Tale
analisi dei rischi richiama direttamente la relazione
contenente la valutazione dei rischi per la
sicurezza e la salute durante il lavoro imposta al
datore di lavoro dall’art. 4, comma primo lettera
a), del d.lvo n. 626/1994 anche perché se, a
seguito di tale studio, risulti il minimo dubbio
sulla presenza di amianto in una materiale o in
una costruzione il datore di lavoro deve adottare
le disposizioni del predetto capo VI – bis salvo
che l’attività da svolgersi comporti esposizioni
sporadiche e di debole entità (attività non continuative
di manutenzione, di incapsulamento e
di confinamento di materiale, di sorveglianza e
di controllo dell’aria ) e purchè non sia superato
il valore limite di esposizione pari a 0.1 fibre per
centimetro cubo d’aria, misurato con una media
ponderata nel tempo di riferimento di otto ore.
Negli altri casi rilevanti di esposizione dei lavoratori
al rischio dell’amianto il datore di lavoro deve
compiere i seguenti adempimenti principali:
- comunica,
prima dell’inizio dei lavori, all’organo di
vigilanza (ARPA) competente per territorio tutti i
dati rilevanti (ubicazione, tipo di amianto manipolato,
numero dei lavoratori interessati, misure
adottate ) della lavorazione;
- adotta le misure di prevenzione e di protezione
idonee a limitare l’esposizione dei lavoratori
alle polveri provenienti dall’amianto o dai materiali
contenenti amianto e presenti nel luogo di
lavoro;
- ricorre alle misure igieniche che vietino
il fumo sul luogo di lavoro, contemplino la
predisposizione di aree speciali che consentano
ai lavoratori di mangiare e bere senza rischi di
contaminazione;
- dota i lavoratori di adeguati dispositivi di protezione
individuale;
- effettua periodicamente la misurazione
della concentrazione di fibre di amianto
nell’aria del luogo di lavoro;
- affida i lavori di
demolizione soltanto ad imprese autorizzate e
predispone un adeguato piano di lavoro prima
dell’inizio dell’attività;
- informa e forma i lavoratori
sui rischi dell’esposizione all’amianto e li
sottopone ad una adeguata sorveglianza sanitaria
al fine di consentire al medico competente di redigere
ed aggiornare il registro di esposizione e le
cartelle sanitarie dei lavoratori.
Per la violazione
delle norme sopra citate erano previste le sanzioni
penali (dell’arresto o dell’ammenda ) contemplate
dall’art. 89 del d.lvo n. 626/1994, secondo
la procedura prevista dal d.lvo n. 758/1994 per
cui, qualora accerti violazioni sulla sicurezza sul
lavoro, l’organo di vigilanza commina le prescrizioni
di sicurezza e le sanzioni amministrative e
la contravvenzione si estingue qualora le prime
siano ottemperate e le seconde siano pagate nel termine prescritto. In relazione all’obbligo di
informazione da parte del committente nei confronti
dell’esecutore delle opere della presenza di
amianto occorre precisare che la responsabilità
del primo è già definita dalla legge 27/3/1992
n. 257 che stabilisce (art. 15, comma quarto), la
sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.582
a 5.164 per:
- l’omessa indicazione, tramite l’invio di una relazione
alle competenti autorità, delle operazioni
che coinvolgano l’uso di amianto o dello svolgimento
dell’attività di bonifica o di smaltimento;
- l’omessa istituzione presso le ASL del registro
indicante la localizzazione dell’amianto floccato
o in matrice friabile presente negli edifici. Tale
comunicazione deve essere effettuata alle ASL
da parte dei proprietari degli immobili in cui sia
presente amianto floccato o in matrice friabile.
Giova notare che nella stessa gazzetta ufficiale
n. 211 del 11/9/2006 è stata pubblicata anche la
deliberazione emanata il 10/7/2006 dal Ministero
dell’ambiente e della tutela del territorio e del
mare la quale contempla che, ai fini dell’iscrizione
nell’Albo nazionale dei gestori ambientali per la
bonifica dei siti e dei beni contenenti amianto
contemplato dall’art. 212 del d.lvo 3/4/2006 n.
152, occorra:
- la piena disponibilità delle attrezzature
minime per l’iscrizione nella categoria 9 e
10 della deliberazione 12/12/2001;
- che il contratto di locazione sia stipulato in forma
scritta, sia stato autenticato da un pubblico
ufficiale, non abbia durata non inferiore a cinque
anni a decorrere dalla data dell’iscrizione all’albo
dell’impresa locataria, oppure, in caso d’impresa
già iscritta, abbia durata almeno pari al residuo periodo
di validità dell’iscrizione.
- che il contratto di
locazione identifichi chiaramente le attrezzature e
abbia ad oggetto la consegna delle stesse in modo
pieno ed esclusivo, contenga la dichiarazione della
loro destinazione, per tutta la durata del contratto
all’oggetto del medesimo, non ad iscrizioni all’Albo
diverse da quella pattuita dal locatario.
Infine notasi che tutti i prodotti di costruzione
non devono contenere amianto ed infatti anche
in tale ambito è rilevante il DPR 21/4/1993 n.
246 ( regolamento di attuazione della direttiva
89/106/CEE relativa ai prodotti da costruzione)
il quale prevede anche per tali beni l’adozione del
marchio CE il quale attesta il requisito essenziale
dell’opera in modo che sia “concepita e costruita
in modo da non costituire una minaccia per
l’igiene o la salute degli occupanti o dei vicini,
causata, in particolare, dalla formazione di gas
nocivi, dalla presenza nell’aria di particelle o di
gas pericolosi, dall’emissione di radiazioni pericolose,
dall’inquinamento o dalla contaminazione
dell’acqua o del suolo, da difetti di evacuazione
delle acque, dai fumi e dai residui solidi o liquidi
e dalla formazione di umidità in parti o sulle superfici
interne dell’opera”. Inoltre la stessa fonte
normativa prevede che tali prodotti di costruzione
debbano avere il predetto marchio CE che
ne attesti la conformità dei requisiti essenziali
in modo da assicurarne l’igiene e la salute degli
utilizzatori, la resistenza meccanica e la stabilità,
la sicurezza in caso d’incendio, la sicurezza
d’utilizzazione, la protezione contro il rumore, il
risparmio energetico e l’isolamento termico. A tal
proposito osservasi che attualmente il contratto
di vendita dei materiali di costruzione privi del
marchio CE, ai sensi dell’art. 1418 c.c., è nullo
per contrarietà alle norme imperative del DPR n.
246/1993.
In Lombardia l’art. 6, comma primo lettera a),
della legge regionale 29/9/2003 n. 17 stabilisce
quanto segue: “Al fine di conseguire il censimento
completo dell’amianto presente sul territorio
regionale ai sensi dell’art. 12 della legge n.
257/1992, i soggetti pubblici e i privati proprietari
sono tenuti a:
a) per gli edifici, impianti o luoghi nei quali vi è
la presenza di amianto o di materiali contenenti
amianto a comunicare tale presenza all’ASL competente
per territorio, qualora non già effettuato.”
di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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