L’approvazione delle spese e del relativo riparto, sia per quanto attiene a quelle preventivate, sia per quanto attiene a quelle a consuntivo, deve avvenire in assemblea con una delibera assunta dalla maggioranza degli intervenuti, rappresentanti almeno un terzo del valore millesimale dell’edificio condominiale.
Il legislatore del 1942, introducendo, con
l’art. 1117 codice civile, la materia del condominio,
non ne specifica la natura, né vi ha
provveduto il legislatore del 2012 con la legge 11
dicembre 2012, n. 220, mentre la giurisprudenza
lo ha ritenuto un mero ente di gestione delle cose
comuni, sprovvisto di personalità giuridica.
Il precitato articolo 1117 indica soltanto i beni
condominiali che, si presumono, comuni a tutti
i partecipanti al condominio, ben potendo una
parte, però, essere di proprietà esclusiva di un
singolo (per esempio, l’ultima rampa di scale).
In ogni caso si tratta di una rilevante specificazione
che costituisce la base di valutazione dei
beni, strutturali e tecnologici, e dei servizi condominiali
sia da parte degli stessi condomini sia
da parte dell’amministratore del condominio.
- LE SPESE CONDOMINIALI
Considerato che tutti i beni comuni sono collegati
strutturalmente e funzionalmente alle unità di
proprietà esclusiva e sono a queste strumentali
(Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501), ne
consegue che tutti i condomini devono provvedere
alla loro conservazione e, se del caso, al loro
miglioramento, con particolare riferimento all’uso
e al godimento dei medesimi.
La relativa contribuzione è fondata sulla contitolarità
della proprietà dei beni condominiali e
l’obbligazione che ne deriva è una obbligatio proter
rem, alla quale nessuno può sottrarsi ai sensi
dell’art. 1118 codice civile.
Le spese, e il correlato riparto tra i condomini in
forza del valore della quota millesimale di ciascuno,
sono disciplinate dall’art. 1123 codice civile.
Va, innanzitutto, ribadito che quest’ultimo articolo è un articolo derogabile e pertanto il criterio,
ivi indicato, può essere sostituito con un altro,
purché deliberato e accettato dall’intera compagine
condominiale, nessun condomino escluso.
Se, viceversa, una clausola contrattuale del regolamento
allegato ai contratti di compravendita
o approvato in assemblea da tutti i condomini
indistintamente, e dagli stessi sottoscritto, non
prospetta un criterio derogativo di quello stabilito
dall’art. 1123 codice civile, i condomini e l’amministratore
devono attenersi a questo.
L’approvazione delle spese e del relativo riparto,
sia per quanto attiene a quelle preventivate, sia
per quanto attiene a quelle a consuntivo, deve avvenire
in assemblea con una delibera assunta dalla
maggioranza degli intervenuti, rappresentanti almeno
un terzo del valore millesimale dell’edificio
condominiale, seppure per le sole spese concernenti
la manutenzione ordinaria dei beni comuni
e l’esercizio dei servizi condominiali; per le spese
inerenti alla manutenzione straordinaria di notevole
entità delle cose comuni, la delibera deve essere
adottata dalla maggioranza degli intervenuti
in assemblea rappresentante almeno la metà del
valore millesimale dello stabile condominiale, eccettuate
specifiche fattispecie inerenti, tra l’altro,
alla normativa concernente il risparmio energetico.
Tuttavia, in caso di vendita di una unità immobiliare,
se nel condominio siano stati deliberati
lavori di straordinaria manutenzione, è tenuto a
sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile
al momento dell’assunzione della delibera
assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei
detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo
della relativa obbligazione (Cass. civ., Sez.
II, 10 aprile 2013, n. 8782).
Si rammenta che, per quanto attiene alle spese
di manutenzione ordinaria, queste hanno il loro
momento costitutivo nell’esecuzione degli interventi
programmati o resisi necessari nelle more
della gestione.
La manutenzione straordinaria inerisce, tra l’altro,
alle opere necessarie per rinnovare, sostituire e
integrare parti degli impianti tecnologici (Cons.
Stato, Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1510).
Come è noto, l’art. 63 disp. att. codice civile, inerisce
alla responsabilità solidale tra acquirente e
alienante sino a che non sia inviata copia autentica
del contratto di compravendita all’amministratore.
Si deve, altresì, osservare come la suddetta solidarietà
inerisca, esclusivamente, alla gestione in
corso al momento dell’atto di compravendita e a
quella immediatamente precedente; nulla rileva
la circostanza che l’amministratore abbia indicato
nel riparto consuntivo anche il debito delle annualità
precedenti, che rimane ad esclusivo carico
dell’alienante. Inoltre tale norma vale solo per la
successione di proprietà inter vivos, in quanto
la successione mortis causa determina l’addebito
dell’intera somma dovuta dal de cuius a tutti
i suoi eredi poiché questi subentrano, a titolo
universale, nella identica posizione giuridica ed
economica del loro dante causa, sempre che non
abbiano rinunciato all’eredità o l’abbiano accettata
con beneficio d’inventario.
I soggetti obbligati al pagamento sono gli effettivi
titolari dei diritti reali delle singole unità immobiliari,
costituenti il condominio; i nudi proprietari
devono pagare le spese per la manutenzione straordinaria
delle parti e degli impianti comuni, mentre
gli usufruttuari, così come i titolari dei diritti di
uso e di abitazione, ai quali si applica la normativa
inerente all’usufrutto ex art. 1026 codice civile, devono
pagare le spese della gestione amministrativa
ordinaria; la ripartizione tra costoro deve essere
specificata nel riparto preventivo e consuntivo allegati
al rendiconto annuale.
Il nudo proprietario è solidamente responsabile
con l’usufruttuario per l’eventuale morosità di
questi e viceversa in forza dell’ultimo comma del
novellato art. 67 disp. att. codice civile.
Il secondo e il terzo comma dell’art. 1123 codice
civile, apparentemente sembrano stabilire il medesimo
principio. Viceversa, il legislatore ha voluto
individuare due differenti fattispecie.
Con il secondo comma il legislatore ha disciplinato
il godimento, da parte di ciascun condomino,
dei beni comuni, affinché la spesa relativa, addebitabile
a questi, sia proporzionata al loro uso che
il singolo effettua, dovuto da un loro maggior logorio.
Le ipotesi più frequenti sono rappresentate
dall’uso dell’ascensore per chi abita i piani alti
dello stabile o dall’uso dell’impianto di riscaldamento
dovuto all’inserimento negli appartamenti,
per esempio, dell’ultimo piano dello stabile di un
maggior numero di elementi radianti.
Il concetto di uso del bene si riferisce a un suo
uso potenziale e astratto e non al suo godimento
effettivo, che il singolo può trarne (App. Ancona
29 marzo 2016, in Leggi d’Italia), anche per suo
proprio soggettivo stile di vita.
Il terzo comma dell’art. 1123 codice civile, introduce
il concetto del così detto condominio parziale
basato sulla delimitazione dell’appartenenza
di un determinato bene soltanto a un gruppo di
condomini con esclusione degli altri; si pensi, ad esempio, a una chiostra che fornisca aria e luce
soltanto ad alcuni appartamenti, ma non a tutti
quelli che costituiscono l’edificio condominiale.
Indipendentemente dalla qualificazione “comune”
di un bene, fornita dal regolamento condominiale,
è necessario verificarne la concreta destinazione
d’uso, in quanto se finalizzata all’utilità esclusiva
di una porzione dello stabile, soltanto i proprietari
di questa devono sopportarne le spese manutentive
(Cass. civ., Sez. II, 2 marzo 2016, n. 4127).
L’obbligazione non è più propter rem, ma propter
utilitatem, come afferma Antonio Scarpa (Immobili
e proprietà n. 7/2016, pag. 439).
L’art. 1123 codice civile costituisce il principio
generale inerente ai criteri legali di ripartizione
delle spese condominiali; tuttavia, lo stesso
legislatore ha voluto disciplinare, direttamente,
alcune fattispecie, quali le scale e gli ascensori
(art. 1124 codice civile), i solai (art. 1125 codice
civile), i lastrici solari e le terrazze a livello (art.
1126 codice civile). Questi articoli non sono altro
che i corollari dei principi previsti nell’art. 1123
codice civile e si rammenta che sono tutti derogabili,
per cui una convenzione, assunta da tutti,
indistintamente, i partecipanti al condominio,
può stabilire un criterio ad hoc.
Infine, si rammenta che tutti i condomini sono
obbligati a corrispondere le spese che l’amministratore
ha sostenuto ai sensi del secondo comma
dell’art. 1135 codice civile, limitatamente, però,
a quelli inerenti all’eliminazione dei pericoli che
abbia potuto causare e non anche alla sua manutenzione
e/o al suo risanamento, per esempio,
devono essere pagate le spese di rimozione delle
parti pericolanti di un cornicione ammalorato, ma
non il suo ripristino.
- LE SCALE
Proprio per tale motivo il diritto sulla scala viene
esercitato anche dal proprietario di una unità
immobiliare sita al piano terreno, e che abbia,
altresì, accesso diretto dalla pubblica strada.
Del resto la scala è un bene accessorio del condominio
e non un bene pertinenziale.
Considerato che le scale presentano una qualche
peculiarità, il legislatore ha voluto specificare,
con maggiore precisione, il criterio di ripartizione
delle spese per la loro manutenzione considerato che sono utilizzate in modo differente da coloro
che abitano ai diversi piani dell’edificio.
Il legislatore ha fissato, dunque, il criterio in base
al quale la spesa va ripartita per metà in ragione
dell’altezza del piano e per metà in ragione
del valore millesimale di ogni unità immobiliare
(Cass. civ., Sez. II, 14 luglio 2015, n. 14697).
La giurisprudenza aveva utilizzato, per analogia,
tale criterio di suddivisione anche per le spese
che ineriscono alla funzionalità dell’impianto
dell’ascensore.
Infatti, questo era ed è indicato tra i beni comuni
nell’art. 1117 codice civile, ma poi non era più
citato in altri articoli; considerato che la funzione
dell’ascensore è identica a quella delle scale, quale
mezzo di salita ai piani superiori, il criterio della
suddivisione delle spese deve essere lo stesso. Il legislatore
del 2012 ha posto rimedio a tale “svista”.
Per scala si devono intendere i muri perimetrali,
i pianerottoli, i gradini, la ringhiera, le finestre e
via discorrendo.
- L’ASCENSORE
L’impianto dell’ascensore è uno dei mezzi di risalita
più diffusi in tutto il mondo, sviluppatosi
anche sotto il profilo tecnologico; il legislatore,
dunque, è dovuto intervenire, sempre di più, per
garantire al massimo la sicurezza dell’installazione
e della sua gestione nonché per consentirne il
maggior uso, soprattutto, ai fini sociali.
Ha, dunque, disposto una serie di norme tecniche,
in particolare per la manutenzione periodica
e straordinaria dell’impianto, prescrivendo altresì
sanzioni, anche di natura penale, per coloro che le
trasgrediscono, allo scopo di assicurare agli utenti
una sicura praticabilità. Non solo, ha derubricato
l’innovazione a miglioria per la sua installazione
ex novo per agevolarne l’applicazione a favore dei
condomini diversamente abili, tra i quali, a ben diritto,
possono collocarsi le persone molto anziane.
L’impianto deve garantire e tutelare la vita e, comunque,
l’incolumità fisica di coloro che lo utilizzano,
ai sensi dell’art. 32 Costituzione, considerato che la proprietà privata deve avere anche
una funzione sociale, ex art. 42 Costituzione. Per
questo motivo è stato oggetto di specifiche normative,
in particolare, il d. m. 22 gennaio 2008,
n. 37 e il d. P. R. 19 gennaio 2015, n. 8.
Il d. m. n. 37/2008, citato, all’art. 1, n. 2f, recita:
[…] impianti di sollevamento di persone o di
cose per mezzo di ascensori, di montacarichi, di
scale mobili e simili; […].
L’art. 8, n. 2, espone: Il proprietario dell’impianto
adotta le misure necessarie per conservarne le caratteristiche
di sicurezza previste dalla normativa
vigente in materia […].
- LA NOVELLA DEL 2012
Innanzi tutto, il termine “esclusivamente”, introdotto
nel comma I, appare superfluo, considerata
la ratio della norma, che costituisce, ut supra dedotto,
una peculiarità del disposto dell’art. 1123
codice civile.
Inoltre, il termine “ricostruzione” è stato sostituito
da “sostituzione”; orbene, se questo è idoneo
per quanto inerisce all’impianto dell’ascensore,
dalla cabina al quadro elettrico, non è consono
per le scale, che possono essere ricostruite, come
disposto dal legislatore del 1942.
In ogni caso la sostituzione del vecchio ascensore,
o di parti di esso, per esempio, del motore,
della puleggia di trazione, del limitatore di velocità
o del dispositivo di caduta, non costituisce
una innovazione, considerato che non viene mutata
né la funzione originaria dell’ascensore, né la
sua consistenza materiale.
Nel comma II, il legislatore avrebbe dovuto inserire
espressamente anche i garage privati, realizzati,
sempre più frequentemente, nel sottosuolo
dello stabile; considerata la eadem ratio, si può
applicare, per analogia con le cantine, anche a
questi manufatti il comma de quo.
Nulla è riferito in relazione all’installazione ex
novo dell’ascensore in stabili già esistenti. Il legislatore,
esattamente, non ha provveduto, considerata
l’equivalenza dell’opera con le fattispecie
previste dall’art. 1120, comma II, codice civile in
tema di innovazioni.
Neppure è citata la particolare installazione ex
novo, a favore dei differentemente abili, in quanto
prevista dalla legge 9 gennaio 1989, n. 13.
La succitata legge n. 13/1989, integrata dalla
successiva legge 27 febbraio 1989, n. 62, concerne
l’abbattimento delle barriere architettoniche a
favore dei diversamente abili, favorita anche dalla
Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre
2006, ratificata con la legge 3 marzo 2009, n. 18.
La legge n. 13/1989 non ha tra l’altro considerato
l’ascensore in modo isolato, bensì quale oggetto
inserito in un edificio e, di conseguenza, ha
previsto che anche l’accesso allo stesso non deve
avere barriere ad ostacoli che ne impediscano o
ne rendano gravoso l’uso ai disabili (ad esempio
l’installazione di nuove rampe prive di gradini).
La spesa per l’installazione di un nuovo ascensore,
o comunque per l’esecuzione di opere finalizzate
all’abbattimento delle barriere architettoniche,
deve essere ripartita tra tutti i condomini,
compresi quelli le cui proprietà sono site a piano
terreno, acquisendo l’intero stabile per tale intervento
un maggior valore.
La legge di cui trattasi si preoccupa, quindi, da
una parte di imporre l’installazione di ascensori
negli stabili condominiali nuovi e dall’altra di
abolire “le barriere architettoniche” negli edifici
già esistenti consentendo, all’art. 2, che le relative
delibere assembleari siano adottate con la
maggioranza di cui all’art. 1136 del codice civile,
comma secondo, essendo uno strumento diretto a
favorire l’accesso ed il transito dei disabili attraverso
l’edificio.
Ad ogni condomino è inoltre permesso di godere
successivamente dell’ascensore, partecipando
alle spese di esecuzione e manutenzione, ex art.
1121, comma III, codice civile.
- I CASI PRATICI
Le scale e l’ascensore sono certamente beni comuni;
le prime perché sono strutture funzionalmente
essenziali del fabbricato (Cass. civ., Sez.
II, 4 marzo 2015, n. 4372, citata) e il secondo
poiché espressamente richiamato come tale dal
n. 3 dell’art. 1117 codice civile, salva una diversa
previsione contrattuale (Cass. n. 14697/2015, citata).
Tra l’altro, la semplice circostanza che uno
stabile sia dotato di più scale, non fa ritenere
la piena autonomia e l’indipendenza strutturale
e funzionale delle singole porzioni del fabbricato
(Cass. civ., Sez. II, 21 maggio 2015, n. 10483).
La comproprietà di questi beni è di tutti i condomini,
anche di coloro che hanno l’appartamento
al piano terreno, in quanto servono anche per
accedere al tetto, per esempio, per la sua manutenzione
o per la riparazione dell’antenna tv
centralizzata, considerato che l’uso che se ne
fa non è quello effettivo, ma quello potenziale,
come già dedotto (Cass. civ., Sez. VI, 27 aprile
2016, n. 8277); ne discende che pagano le spese
per la loro manutenzione anche i condomini che
abbiano mantenuto vuoto e non locato il loro alloggio
(Lino Salis, Condominio, in NN. DI, III,
1959, 1139). Il concorso alle spese è, d’altronde,
rapportato alla loro quota millesimale, calcolata
solo sul valore dell’appartamento senza alcun riferimento
all’altezza del piano.
Considerato che la scala è un bene comune, è illegittimo
realizzare una chiusura d’accesso all’ultima
rampa, anche se l’unità immobiliare servita è
di proprietà esclusiva (Cass. civ., Sez. VI, 9 marzo
2016, n. 4664).
B) Manutenzione e adeguamento
La manutenzione dei beni, e degli impianti comuni,
consiste nel complesso delle opere che
servono a garantire le loro costanti efficienza e
funzionalità; si distingue in manutenzione ordinaria,
inerente agli interventi che sono finalizzati a impedirne il deterioramento, e in manutenzione
straordinaria che ha lo scopo di restituirne loro
l’originaria funzionalità.
La ripartizione delle spese sono correlate al maggiore
logorio che subiscono per opera dell’uso che
i condomini dei piani superiori ne fanno.
Per quanto attiene all’ascensore, la manutenzione
concerne, non solo, la cabina, le porte di piano
o le funi, ma anche il volume tecnico contenente
gli ingranaggi.
Per quanto attiene alle spese relative, la dottrina e
la giurisprudenza non sono sempre concordi nell’applicare
il criterio previsto dall’art. 1124 codice civile,
prevedendo, alcuni autori, una ripartizione ai
sensi del secondo comma dell’art. 1123 codice civile,
in particolare per quanto attiene alle spese di
illuminazione delle scale (Branca - Terzago).
L’adeguamento dell’impianto, alle nuove disposizioni
di legge, serve per garantire la sicurezza della
vita umana e l’incolumità delle persone e, trattandosi
di norme di interesse pubblico, non sono derogabili
dall’assemblea, neppure con una delibera
all’unanimità della compagine condominiale.
Riguarda l’aspetto funzionale dell’impianto, poiché
sono relative all’esecuzione di opere nuove
e di nuovi dispositivi e all’introduzione di nuovi
elementi strutturali; devono, pertanto, essere inserite
tra le spese di manutenzione straordinaria.
Roberto Triola osserva che, se l’art. 1124 codice
civile si applichi alla sostituzione dell’impianto,
a maggior ragione si applica per interventi di minore
portata.
Se, per contro, sia conseguente a gravi vizi, per i
quali opera la garanzia di cui all’art. 1669 codice
civile, la stessa grava sull’appaltatore, anche quale
risarcimento per equivalente, senza che abbia
rilievo l’esiguità della spesa occorrente per il relativo
ripristino.
C) La responsabilità extracontrattuale
Il custode dei beni comuni è il condominio e, per
questo, il suo amministratore, che ne è il legale rappresentante,
ai sensi dell’art. 2051 codice civile.
L’amministratore deve costantemente vigilare che i beni comuni siano conservati in modo da risultare
sempre efficienti e, in particolare l’impianto dell’ascensore,
che deve conservare costantemente un
sicuro funzionamento, adeguandolo alle norme di
sicurezza, di volta in volta emanate, e deve essere
sottoposto ai controlli periodici di legge.
Innanzi tutto si deve ricordare che custode è colui
che usa, anche indirettamente, la cosa in custodia
e che ha il dovere giuridico di controllare le eventuali
conseguenze dannose che da questa possano
derivare (Cass. civ., Sez. III, 24 aprile 2014, n.
4277); una fattispecie concernente l’amministratore
è la vigilanza a che l’ascensore si fermi al piano
correttamente, senza dislivello alcuno.
È necessario, però, che il danneggiato provi: a) il
danno concretamente subito ed economicamente
valutabile; b) il nesso di causalità tra la cosa in
custodia e l’evento dannoso.
Infatti, affinché sia risarcibile un danno ex art.
2051 codice civile, devono sussistere tre elementi:
il fatto, il nesso causale e la colpa o il dolo.
Pertanto, l’azione o l’omissione del custode devono
essere rapportate al danno verificatosi da un
nesso di causalità, che deve essere rigorosamente
provato dal danneggiato (Cass. civ., Sez. III, 24
settembre 2015, n. 18865).
Il nesso causale può essere escluso da un caso
fortuito intervenuto e dal fatto di un terzo, ricompreso
lo stesso danneggiato.
Deve trattarsi di un evento anomalo o straordinario,
tale da considerarsi quale causa esclusiva del danno
provocato, per esempio, una forte pioggia intensa
(Cass. civ., Sez. III, 24 marzo 2016, n. 5877).
Questo principio si applica nell’ipotesi di comportamento
negligente dello stesso danneggiato, per
esempio, un infortunio accaduto a una condomina,
che, disattenta, sia inciampata non accorgendosi
del dislivello tra il piano della cabina dell’ascensore
e quello del pianerottolo (Cass. civ., Sez.
III, 22 giugno 2016, n. 12895), ovvero ad altra
che sia scivolata sulle scale, incidente causato,
però, dalla scivolosità delle sue scarpe (Cass. civ.,
Sez. III, 21 giugno 2016, n. 12744).
L’illecito omissivo discende dall’obbligo giuridico
di impedire un evento dannoso o da un dovere negoziale
che imponga di attivarsi per il medesimo
scopo (Cass. civ., Sez. III, 23 febbraio 2016, n.
3506), fattispecie queste che si applicano all’amministratore
di condominio.
Si deve osservare che il risarcimento dei danni,
dovuti al terzo, costituisce un debito solidale ex
art. 1292 codice civile, non derivando da un contratto,
per il quale è prevista la parziarietà tra i
condomini (Cass. civ., Sez. II, 29 gennaio 2015,
n. 1674). Per tali spese sussiste, quindi, la solidarietà
prevista dall’art. 2055 codice civile (Cass.
civ., n. 1674/2015, citata).
di Gian Vincenzo Tortorici
Direttore CSN Anaci
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