martedì 16 maggio 2017

Ripartizione delle spese della scala e dell’ascensore

L’approvazione delle spese e del relativo riparto, sia per quanto attiene a quelle preventivate, sia per quanto attiene a quelle a consuntivo, deve avvenire in assemblea con una delibera assunta dalla maggioranza degli intervenuti, rappresentanti almeno un terzo del valore millesimale dell’edificio condominiale.

Il legislatore del 1942, introducendo, con l’art. 1117 codice civile, la materia del condominio, non ne specifica la natura, né vi ha provveduto il legislatore del 2012 con la legge 11 dicembre 2012, n. 220, mentre la giurisprudenza lo ha ritenuto un mero ente di gestione delle cose comuni, sprovvisto di personalità giuridica. Il precitato articolo 1117 indica soltanto i beni condominiali che, si presumono, comuni a tutti i partecipanti al condominio, ben potendo una parte, però, essere di proprietà esclusiva di un singolo (per esempio, l’ultima rampa di scale). In ogni caso si tratta di una rilevante specificazione che costituisce la base di valutazione dei beni, strutturali e tecnologici, e dei servizi condominiali sia da parte degli stessi condomini sia da parte dell’amministratore del condominio.
  • LE SPESE CONDOMINIALI
Considerato che tutti i beni comuni sono collegati strutturalmente e funzionalmente alle unità di proprietà esclusiva e sono a queste strumentali (Cass. civ., Sez. II, 5 marzo 2015, n. 4501), ne consegue che tutti i condomini devono provvedere alla loro conservazione e, se del caso, al loro miglioramento, con particolare riferimento all’uso e al godimento dei medesimi.
La relativa contribuzione è fondata sulla contitolarità della proprietà dei beni condominiali e l’obbligazione che ne deriva è una obbligatio proter rem, alla quale nessuno può sottrarsi ai sensi dell’art. 1118 codice civile.
Le spese, e il correlato riparto tra i condomini in forza del valore della quota millesimale di ciascuno, sono disciplinate dall’art. 1123 codice civile. Va, innanzitutto, ribadito che quest’ultimo articolo è un articolo derogabile e pertanto il criterio, ivi indicato, può essere sostituito con un altro, purché deliberato e accettato dall’intera compagine condominiale, nessun condomino escluso.
Se, viceversa, una clausola contrattuale del regolamento allegato ai contratti di compravendita o approvato in assemblea da tutti i condomini indistintamente, e dagli stessi sottoscritto, non prospetta un criterio derogativo di quello stabilito dall’art. 1123 codice civile, i condomini e l’amministratore devono attenersi a questo.
L’approvazione delle spese e del relativo riparto, sia per quanto attiene a quelle preventivate, sia per quanto attiene a quelle a consuntivo, deve avvenire in assemblea con una delibera assunta dalla maggioranza degli intervenuti, rappresentanti almeno un terzo del valore millesimale dell’edificio condominiale, seppure per le sole spese concernenti la manutenzione ordinaria dei beni comuni e l’esercizio dei servizi condominiali; per le spese inerenti alla manutenzione straordinaria di notevole entità delle cose comuni, la delibera deve essere adottata dalla maggioranza degli intervenuti in assemblea rappresentante almeno la metà del valore millesimale dello stabile condominiale, eccettuate specifiche fattispecie inerenti, tra l’altro, alla normativa concernente il risparmio energetico. Tuttavia, in caso di vendita di una unità immobiliare, se nel condominio siano stati deliberati lavori di straordinaria manutenzione, è tenuto a sopportarne i costi chi era proprietario dell’immobile al momento dell’assunzione della delibera assembleare che abbia disposto l’esecuzione dei detti interventi, avendo tale delibera valore costitutivo della relativa obbligazione (Cass. civ., Sez. II, 10 aprile 2013, n. 8782).
Si rammenta che, per quanto attiene alle spese di manutenzione ordinaria, queste hanno il loro momento costitutivo nell’esecuzione degli interventi programmati o resisi necessari nelle more della gestione.
La manutenzione straordinaria inerisce, tra l’altro, alle opere necessarie per rinnovare, sostituire e integrare parti degli impianti tecnologici (Cons. Stato, Sez. V, 14 aprile 2016, n. 1510).
Come è noto, l’art. 63 disp. att. codice civile, inerisce alla responsabilità solidale tra acquirente e alienante sino a che non sia inviata copia autentica del contratto di compravendita all’amministratore.
Si deve, altresì, osservare come la suddetta solidarietà inerisca, esclusivamente, alla gestione in corso al momento dell’atto di compravendita e a quella immediatamente precedente; nulla rileva la circostanza che l’amministratore abbia indicato nel riparto consuntivo anche il debito delle annualità precedenti, che rimane ad esclusivo carico dell’alienante. Inoltre tale norma vale solo per la successione di proprietà inter vivos, in quanto la successione mortis causa determina l’addebito dell’intera somma dovuta dal de cuius a tutti i suoi eredi poiché questi subentrano, a titolo universale, nella identica posizione giuridica ed economica del loro dante causa, sempre che non abbiano rinunciato all’eredità o l’abbiano accettata con beneficio d’inventario.
I soggetti obbligati al pagamento sono gli effettivi titolari dei diritti reali delle singole unità immobiliari, costituenti il condominio; i nudi proprietari devono pagare le spese per la manutenzione straordinaria delle parti e degli impianti comuni, mentre gli usufruttuari, così come i titolari dei diritti di uso e di abitazione, ai quali si applica la normativa inerente all’usufrutto ex art. 1026 codice civile, devono pagare le spese della gestione amministrativa ordinaria; la ripartizione tra costoro deve essere specificata nel riparto preventivo e consuntivo allegati al rendiconto annuale.
Il nudo proprietario è solidamente responsabile con l’usufruttuario per l’eventuale morosità di questi e viceversa in forza dell’ultimo comma del novellato art. 67 disp. att. codice civile.
Il secondo e il terzo comma dell’art. 1123 codice civile, apparentemente sembrano stabilire il medesimo principio. Viceversa, il legislatore ha voluto individuare due differenti fattispecie.
Con il secondo comma il legislatore ha disciplinato il godimento, da parte di ciascun condomino, dei beni comuni, affinché la spesa relativa, addebitabile a questi, sia proporzionata al loro uso che il singolo effettua, dovuto da un loro maggior logorio. Le ipotesi più frequenti sono rappresentate dall’uso dell’ascensore per chi abita i piani alti dello stabile o dall’uso dell’impianto di riscaldamento dovuto all’inserimento negli appartamenti, per esempio, dell’ultimo piano dello stabile di un maggior numero di elementi radianti.
Il concetto di uso del bene si riferisce a un suo uso potenziale e astratto e non al suo godimento effettivo, che il singolo può trarne (App. Ancona 29 marzo 2016, in Leggi d’Italia), anche per suo proprio soggettivo stile di vita.
Il terzo comma dell’art. 1123 codice civile, introduce il concetto del così detto condominio parziale basato sulla delimitazione dell’appartenenza di un determinato bene soltanto a un gruppo di condomini con esclusione degli altri; si pensi, ad esempio, a una chiostra che fornisca aria e luce soltanto ad alcuni appartamenti, ma non a tutti quelli che costituiscono l’edificio condominiale.
Indipendentemente dalla qualificazione “comune” di un bene, fornita dal regolamento condominiale, è necessario verificarne la concreta destinazione d’uso, in quanto se finalizzata all’utilità esclusiva di una porzione dello stabile, soltanto i proprietari di questa devono sopportarne le spese manutentive (Cass. civ., Sez. II, 2 marzo 2016, n. 4127).
L’obbligazione non è più propter rem, ma propter utilitatem, come afferma Antonio Scarpa (Immobili e proprietà n. 7/2016, pag. 439).
L’art. 1123 codice civile costituisce il principio generale inerente ai criteri legali di ripartizione delle spese condominiali; tuttavia, lo stesso legislatore ha voluto disciplinare, direttamente, alcune fattispecie, quali le scale e gli ascensori (art. 1124 codice civile), i solai (art. 1125 codice civile), i lastrici solari e le terrazze a livello (art. 1126 codice civile). Questi articoli non sono altro che i corollari dei principi previsti nell’art. 1123 codice civile e si rammenta che sono tutti derogabili, per cui una convenzione, assunta da tutti, indistintamente, i partecipanti al condominio, può stabilire un criterio ad hoc.
Infine, si rammenta che tutti i condomini sono obbligati a corrispondere le spese che l’amministratore ha sostenuto ai sensi del secondo comma dell’art. 1135 codice civile, limitatamente, però, a quelli inerenti all’eliminazione dei pericoli che abbia potuto causare e non anche alla sua manutenzione e/o al suo risanamento, per esempio, devono essere pagate le spese di rimozione delle parti pericolanti di un cornicione ammalorato, ma non il suo ripristino.
  • LE SCALE
L’art. 1117 del codice civile annovera, tra le parti comuni dell’edificio, anche le scale, indicandole come necessarie all’uso comune. Queste, quando il contrario non risulti dal titolo, sono sempre comuni a tutti i condomini, sia che vengano, o meno, utilizzate da tutti: occorre, infatti, avere riguardo al servizio generale che dette strutture prestano all’insieme dell’edificio (Cass. civ., Sez. II, 4 marzo 2015, n. 4372).
Proprio per tale motivo il diritto sulla scala viene esercitato anche dal proprietario di una unità immobiliare sita al piano terreno, e che abbia, altresì, accesso diretto dalla pubblica strada. Del resto la scala è un bene accessorio del condominio e non un bene pertinenziale.
Considerato che le scale presentano una qualche peculiarità, il legislatore ha voluto specificare, con maggiore precisione, il criterio di ripartizione delle spese per la loro manutenzione considerato che sono utilizzate in modo differente da coloro che abitano ai diversi piani dell’edificio.
Il legislatore ha fissato, dunque, il criterio in base al quale la spesa va ripartita per metà in ragione dell’altezza del piano e per metà in ragione del valore millesimale di ogni unità immobiliare (Cass. civ., Sez. II, 14 luglio 2015, n. 14697).
La giurisprudenza aveva utilizzato, per analogia, tale criterio di suddivisione anche per le spese che ineriscono alla funzionalità dell’impianto dell’ascensore.
Infatti, questo era ed è indicato tra i beni comuni nell’art. 1117 codice civile, ma poi non era più citato in altri articoli; considerato che la funzione dell’ascensore è identica a quella delle scale, quale mezzo di salita ai piani superiori, il criterio della suddivisione delle spese deve essere lo stesso. Il legislatore del 2012 ha posto rimedio a tale “svista”. Per scala si devono intendere i muri perimetrali, i pianerottoli, i gradini, la ringhiera, le finestre e via discorrendo.
  • L’ASCENSORE
L’impianto dell’ascensore è uno dei mezzi di risalita più diffusi in tutto il mondo, sviluppatosi anche sotto il profilo tecnologico; il legislatore, dunque, è dovuto intervenire, sempre di più, per garantire al massimo la sicurezza dell’installazione e della sua gestione nonché per consentirne il maggior uso, soprattutto, ai fini sociali.
Ha, dunque, disposto una serie di norme tecniche, in particolare per la manutenzione periodica e straordinaria dell’impianto, prescrivendo altresì sanzioni, anche di natura penale, per coloro che le trasgrediscono, allo scopo di assicurare agli utenti una sicura praticabilità. Non solo, ha derubricato l’innovazione a miglioria per la sua installazione ex novo per agevolarne l’applicazione a favore dei condomini diversamente abili, tra i quali, a ben diritto, possono collocarsi le persone molto anziane. L’impianto deve garantire e tutelare la vita e, comunque, l’incolumità fisica di coloro che lo utilizzano, ai sensi dell’art. 32 Costituzione, considerato che la proprietà privata deve avere anche una funzione sociale, ex art. 42 Costituzione. Per questo motivo è stato oggetto di specifiche normative, in particolare, il d. m. 22 gennaio 2008, n. 37 e il d. P. R. 19 gennaio 2015, n. 8.
Il d. m. n. 37/2008, citato, all’art. 1, n. 2f, recita: […] impianti di sollevamento di persone o di cose per mezzo di ascensori, di montacarichi, di scale mobili e simili; […].
L’art. 8, n. 2, espone: Il proprietario dell’impianto adotta le misure necessarie per conservarne le caratteristiche di sicurezza previste dalla normativa vigente in materia […].
  • LA NOVELLA DEL 2012
Se correttamente il legislatore ha inserito gli ascensori nella normativa di cui all’art. 1124 codice civile, alcune altre sue modifiche appaiono, per lo meno, discutibili.
Innanzi tutto, il termine “esclusivamente”, introdotto nel comma I, appare superfluo, considerata la ratio della norma, che costituisce, ut supra dedotto, una peculiarità del disposto dell’art. 1123 codice civile.
Inoltre, il termine “ricostruzione” è stato sostituito da “sostituzione”; orbene, se questo è idoneo per quanto inerisce all’impianto dell’ascensore, dalla cabina al quadro elettrico, non è consono per le scale, che possono essere ricostruite, come disposto dal legislatore del 1942.
In ogni caso la sostituzione del vecchio ascensore, o di parti di esso, per esempio, del motore, della puleggia di trazione, del limitatore di velocità o del dispositivo di caduta, non costituisce una innovazione, considerato che non viene mutata né la funzione originaria dell’ascensore, né la sua consistenza materiale.
Nel comma II, il legislatore avrebbe dovuto inserire espressamente anche i garage privati, realizzati, sempre più frequentemente, nel sottosuolo dello stabile; considerata la eadem ratio, si può applicare, per analogia con le cantine, anche a questi manufatti il comma de quo.
Nulla è riferito in relazione all’installazione ex novo dell’ascensore in stabili già esistenti. Il legislatore, esattamente, non ha provveduto, considerata l’equivalenza dell’opera con le fattispecie previste dall’art. 1120, comma II, codice civile in tema di innovazioni.
Neppure è citata la particolare installazione ex novo, a favore dei differentemente abili, in quanto prevista dalla legge 9 gennaio 1989, n. 13.
La succitata legge n. 13/1989, integrata dalla successiva legge 27 febbraio 1989, n. 62, concerne l’abbattimento delle barriere architettoniche a favore dei diversamente abili, favorita anche dalla Convenzione delle Nazioni Unite del 13 dicembre 2006, ratificata con la legge 3 marzo 2009, n. 18. La legge n. 13/1989 non ha tra l’altro considerato l’ascensore in modo isolato, bensì quale oggetto inserito in un edificio e, di conseguenza, ha previsto che anche l’accesso allo stesso non deve avere barriere ad ostacoli che ne impediscano o ne rendano gravoso l’uso ai disabili (ad esempio l’installazione di nuove rampe prive di gradini).
La spesa per l’installazione di un nuovo ascensore, o comunque per l’esecuzione di opere finalizzate all’abbattimento delle barriere architettoniche, deve essere ripartita tra tutti i condomini, compresi quelli le cui proprietà sono site a piano terreno, acquisendo l’intero stabile per tale intervento un maggior valore.
La legge di cui trattasi si preoccupa, quindi, da una parte di imporre l’installazione di ascensori negli stabili condominiali nuovi e dall’altra di abolire “le barriere architettoniche” negli edifici già esistenti consentendo, all’art. 2, che le relative delibere assembleari siano adottate con la maggioranza di cui all’art. 1136 del codice civile, comma secondo, essendo uno strumento diretto a favorire l’accesso ed il transito dei disabili attraverso l’edificio.
Ad ogni condomino è inoltre permesso di godere successivamente dell’ascensore, partecipando alle spese di esecuzione e manutenzione, ex art. 1121, comma III, codice civile.
  • I CASI PRATICI
A) Beni comuni
Le scale e l’ascensore sono certamente beni comuni; le prime perché sono strutture funzionalmente essenziali del fabbricato (Cass. civ., Sez. II, 4 marzo 2015, n. 4372, citata) e il secondo poiché espressamente richiamato come tale dal n. 3 dell’art. 1117 codice civile, salva una diversa previsione contrattuale (Cass. n. 14697/2015, citata). Tra l’altro, la semplice circostanza che uno stabile sia dotato di più scale, non fa ritenere la piena autonomia e l’indipendenza strutturale e funzionale delle singole porzioni del fabbricato (Cass. civ., Sez. II, 21 maggio 2015, n. 10483).
La comproprietà di questi beni è di tutti i condomini, anche di coloro che hanno l’appartamento al piano terreno, in quanto servono anche per accedere al tetto, per esempio, per la sua manutenzione o per la riparazione dell’antenna tv centralizzata, considerato che l’uso che se ne fa non è quello effettivo, ma quello potenziale, come già dedotto (Cass. civ., Sez. VI, 27 aprile 2016, n. 8277); ne discende che pagano le spese per la loro manutenzione anche i condomini che abbiano mantenuto vuoto e non locato il loro alloggio (Lino Salis, Condominio, in NN. DI, III, 1959, 1139). Il concorso alle spese è, d’altronde, rapportato alla loro quota millesimale, calcolata solo sul valore dell’appartamento senza alcun riferimento all’altezza del piano.
Considerato che la scala è un bene comune, è illegittimo realizzare una chiusura d’accesso all’ultima rampa, anche se l’unità immobiliare servita è di proprietà esclusiva (Cass. civ., Sez. VI, 9 marzo 2016, n. 4664).

B) Manutenzione e adeguamento
La manutenzione dei beni, e degli impianti comuni, consiste nel complesso delle opere che servono a garantire le loro costanti efficienza e funzionalità; si distingue in manutenzione ordinaria, inerente agli interventi che sono finalizzati a impedirne il deterioramento, e in manutenzione straordinaria che ha lo scopo di restituirne loro l’originaria funzionalità.
La ripartizione delle spese sono correlate al maggiore logorio che subiscono per opera dell’uso che i condomini dei piani superiori ne fanno.
Per quanto attiene all’ascensore, la manutenzione concerne, non solo, la cabina, le porte di piano o le funi, ma anche il volume tecnico contenente gli ingranaggi.
Per quanto attiene alle spese relative, la dottrina e la giurisprudenza non sono sempre concordi nell’applicare il criterio previsto dall’art. 1124 codice civile, prevedendo, alcuni autori, una ripartizione ai sensi del secondo comma dell’art. 1123 codice civile, in particolare per quanto attiene alle spese di illuminazione delle scale (Branca - Terzago).
L’adeguamento dell’impianto, alle nuove disposizioni di legge, serve per garantire la sicurezza della vita umana e l’incolumità delle persone e, trattandosi di norme di interesse pubblico, non sono derogabili dall’assemblea, neppure con una delibera all’unanimità della compagine condominiale.
Riguarda l’aspetto funzionale dell’impianto, poiché sono relative all’esecuzione di opere nuove e di nuovi dispositivi e all’introduzione di nuovi elementi strutturali; devono, pertanto, essere inserite tra le spese di manutenzione straordinaria. Roberto Triola osserva che, se l’art. 1124 codice civile si applichi alla sostituzione dell’impianto, a maggior ragione si applica per interventi di minore portata.
Se, per contro, sia conseguente a gravi vizi, per i quali opera la garanzia di cui all’art. 1669 codice civile, la stessa grava sull’appaltatore, anche quale risarcimento per equivalente, senza che abbia rilievo l’esiguità della spesa occorrente per il relativo ripristino.

C) La responsabilità extracontrattuale
Il custode dei beni comuni è il condominio e, per questo, il suo amministratore, che ne è il legale rappresentante, ai sensi dell’art. 2051 codice civile.
L’amministratore deve costantemente vigilare che i beni comuni siano conservati in modo da risultare sempre efficienti e, in particolare l’impianto dell’ascensore, che deve conservare costantemente un sicuro funzionamento, adeguandolo alle norme di sicurezza, di volta in volta emanate, e deve essere sottoposto ai controlli periodici di legge.
Innanzi tutto si deve ricordare che custode è colui che usa, anche indirettamente, la cosa in custodia e che ha il dovere giuridico di controllare le eventuali conseguenze dannose che da questa possano derivare (Cass. civ., Sez. III, 24 aprile 2014, n. 4277); una fattispecie concernente l’amministratore è la vigilanza a che l’ascensore si fermi al piano correttamente, senza dislivello alcuno.
È necessario, però, che il danneggiato provi: a) il danno concretamente subito ed economicamente valutabile; b) il nesso di causalità tra la cosa in custodia e l’evento dannoso.
Infatti, affinché sia risarcibile un danno ex art. 2051 codice civile, devono sussistere tre elementi: il fatto, il nesso causale e la colpa o il dolo.
Pertanto, l’azione o l’omissione del custode devono essere rapportate al danno verificatosi da un nesso di causalità, che deve essere rigorosamente provato dal danneggiato (Cass. civ., Sez. III, 24 settembre 2015, n. 18865).
Il nesso causale può essere escluso da un caso fortuito intervenuto e dal fatto di un terzo, ricompreso lo stesso danneggiato.
Deve trattarsi di un evento anomalo o straordinario, tale da considerarsi quale causa esclusiva del danno provocato, per esempio, una forte pioggia intensa (Cass. civ., Sez. III, 24 marzo 2016, n. 5877).
Questo principio si applica nell’ipotesi di comportamento negligente dello stesso danneggiato, per esempio, un infortunio accaduto a una condomina, che, disattenta, sia inciampata non accorgendosi del dislivello tra il piano della cabina dell’ascensore e quello del pianerottolo (Cass. civ., Sez. III, 22 giugno 2016, n. 12895), ovvero ad altra che sia scivolata sulle scale, incidente causato, però, dalla scivolosità delle sue scarpe (Cass. civ., Sez. III, 21 giugno 2016, n. 12744).
L’illecito omissivo discende dall’obbligo giuridico di impedire un evento dannoso o da un dovere negoziale che imponga di attivarsi per il medesimo scopo (Cass. civ., Sez. III, 23 febbraio 2016, n. 3506), fattispecie queste che si applicano all’amministratore di condominio.
Si deve osservare che il risarcimento dei danni, dovuti al terzo, costituisce un debito solidale ex art. 1292 codice civile, non derivando da un contratto, per il quale è prevista la parziarietà tra i condomini (Cass. civ., Sez. II, 29 gennaio 2015, n. 1674). Per tali spese sussiste, quindi, la solidarietà prevista dall’art. 2055 codice civile (Cass. civ., n. 1674/2015, citata).

di Gian Vincenzo Tortorici
Direttore CSN Anaci  

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