Nel caso di danno di cose in custodia, particolarmente ricorrente nei casi giurisprudenziali avvenuti all’interno del condominio, l’articolo 2051 del codice civile stabilisce che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito.
- Il profilo civilistico di responsabilità da insidia.
Il fondamento della responsabilità extracontrattuale
è quello dell’articolo 2043 del codice civile
il quale, in ossequio ad una tradizione giuridica
trimillenaria, stabilisce la responsabilità civilistica
e l’obbligo di risarcire il danno per colui
che ha cagionato con dolo o colpa ad altri un
danno ingiusto. Tale regime, sia pur rispondente
ad un alto principio di civiltà ovvero quello della
responsabilità individuale, espone il danneggiato
ad una serie di oneri probatori spesso di difficile
attuazione: vale a dire che, al fine di vedersi riconoscere
il diritto al risarcimento del danno, deve
provare:
- il danno;
- il nesso di causalità tra il danno e l’operato dell’agente;
- l’ingiustizia del danno;
- la sussistenza dell’elemento soggettivo doloso o colposo nella condotta dell’agente.
La giurisprudenza ha così ridotto il margine della
prova liberatoria per il danneggiante al punto di
consentire l’affermazione per cui vige un regime
di responsabilità oggettiva; a tal riguardo è sufficiente
esaminare le seguenti massime.
- «La responsabilità da cose in custodia ex art. 2015 c.c. sussiste quando ricorrano due presupposti: un’alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche determina la configurazione nel caso concreto della cosiddetta insidia o trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità di tale alterazione per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno. (Nel caso trattato la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni riportati da un’inquilina di un edificio a seguito di una caduta causata da acqua piovana infiltratasi dalla finestra, ritenendo prevedibile l’evento, in quanto lo stesso si era verificato in un condominio e aveva coinvolto un’inquilina ivi abitante da anni e, quindi, a conoscenza di tutte le caratteristiche dell’immobile). (C. Cass. civ, Sez. 3, Sent. n. 11592 del 13.5.2010, Rv. 613371)».
- « Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie, affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all’art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini (nella specie, infiltrazioni d’acqua provenienti dal muro di contenimento di proprietà condominiale), ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile.” (C.Cass. Civ., Sez. 2, Sent. n. 15291 del 12.7.2011, Rv. 618637)»
- « In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non rileva in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno. Ne consegue che il vizio di costruzione della cosa in custodia, anche se è ascrivibile al terzo costruttore, non esclude la responsabilità del custode nei confronti del terzo danneggiato, non costituendo caso fortuito che interrompe il nesso eziologico, salva l’azione di rivalsa del danneggiante – custode nei confronti dello stesso costruttore. (Nel caso trattato la Suprema Corte, pur ribadendo il suddetto principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa la responsabilità del condominio custode per i danni assunti come arrecati dal cattivo funzionamento della rete fognaria condominiale, essendo rimasto accertato che lo stesso aveva dimostrato che l’evento dannoso si era verificato, in via esclusiva, per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente alla società costruttrice che, nel caso specifico, si identificava con la stessa parte attrice quale proprietaria di alcuni immobili siti nel condominio convenuto in giudizio, da ritenersi, perciò, essa stessa responsabile nei confronti del condominio medesimo.). (C.Cass. Civ., Sez. 3, Sent. n. 26051 del 30.10.2008, Rv. 605339). »
Il fondamento dottrinario che attesta il dovere
del datore di lavoro di tutelare l’integrità psico
– fisica del lavoratore si trova in due articoli del
codice civile e rispettivamente:
- l’art. 2086 (direzione e gerarchia nelle imprese)
per cui: “L’imprenditore è il capo dell’impresa e da
lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”.
- l’art. 2087 (tutela delle condizioni di lavoro) per
cui: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio
dell’impresa le misure che, secondo la
particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica,
sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la
personalità morale dei prestatori di lavoro.”
Pertanto che il legislatore ritiene che all’interno
dell’impresa esista un rapporto corrispettivo per il quale se il datore di lavoro può ordinare
l’esecuzione di prestazioni lavorative ai propri
dipendenti, nell’ambito delle mansioni previste
dal contratto, d’altra parte deve tutelare la loro
sicurezza e salute secondo la migliore tecnica ed
esperienza vigenti e validate dal modo tecnico e
scientifico. Questo è il fondamento giuridico della
costruzione dottrinaria la quale individua nel
datore di lavoro la titolarità di una posizione di
garanzia nei confronti dei lavoratori dipendenti,
che costituisca tre le due parti una posizione sinallagmatica
di sicurezza, ovvero una relazione
corrispettiva tra l’ordine gerarchico impartito
dall’imprenditore e la sicurezza del dipendente,
la quale è stata riconosciuta dalla giurisprudenza
quale suo addebito fondamentale di responsabilità
in caso di infortunio del dipendente.
A tal proposito si afferma:
- “Gli articoli 2086 e 2104 del codice civile che
prevedono il potere gerarchico del datore di lavoro
sul lavoratore devono essere interpretati alla
luce del generale principio secondo cui ciascuna
parte contrattuale può pretendere e deve fornire
soltanto le prestazioni previste nel contratto. Ne
consegue che, da un lato, i superiori gerarchici
non possono richiedere prestazioni che siano
chiaramente escluse dal contratto medesimo e
che, dall’altro, il lavoratore, che non voglia attendere
l’esito del giudizio in sede sindacale o
giudiziaria, ha diritto di rifiutare prestazioni di
tale tipo, correndo il rischio, conseguente a tale
comportamento, di essere successivamente ritenuto
responsabile di inadempimento qualora venga
eventualmente accertata la legittimità dell’ordine
disatteso. (C.Cass. Civ, sez. l, sent. n. 5463
del 8/6/1999)»;
La responsabilità penale dell’amministratore condominiale
per gli infortuni incorsi ai lavoratori dipendenti
è stata stabilita dalle seguenti pronunce
giurisprudenziali:
- “La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va considerata e risolta nell’ambito del capoverso dell’art. 40 c.p. che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (C.Cass., Sez. 3, sent. n. 332 del 11.5.1967, ud. 24.2.1967 – C.Cass., Sez. 3, sent. N. 4676 del 14.3.1975, dep. il 14.4.1976).
- “L’amministratore di uno stabile, sia che operi per conto di un solo proprietario (persona fisica o giuridica), sia che agisca per conto di un condominio ha la titolarità dei poteri attinenti alla conservazione e alla gestione delle cose e dei servizi comuni fra i quali rientra anche quello di attivarsi per l’eliminazione di situazioni che possono potenzialmente causare la violazione del principio del “neminem laedere” e di provvedere o, quantomeno, riferirne al proprietario ; l’identificazione dei singoli obblighi in concreto incombenti sull’amministratore deve essere effettuata, sulla base delle norme legislative, statutarie o regolamentari, nelle singole fattispecie. (v C.Cass., sez. 4, sent. n. 6757 del 6.5.1983, dep. Il 14.7.1983).
- “La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va ricondotta nell’ambito della disposizione (art. 40, secondo comma, c.p.) per la quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto configurabile a carico dell’amministratore di condominio un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni, in una fattispecie di incendio riconducibile ad un difetto di installazione di una canna fumaria di proprietà di un terzo estraneo al condominio che attraversava le parti comuni dell’edificio”. (C.Cass., Sez. 4, sent. n. 39959 del 23.9.2009, dep. Il 13.10.2009).
Allorquando si commenta la responsabilità del
datore di lavoro per gli infortuni incorsi al suo
lavoratore dipendenti si afferma che il primo deve
dare concreta attuazione al suo dovere, sancito
dall’art. 2087 del codice civile, di assicurare al
secondo ogni protezione la quale ne tuteli l’equilibrio
psico – fisico. Pertanto deve formarlo ed
informarlo sulla sua attività e sui rischi a cui è sottoposto e deve dotarlo di attrezzature e di dispostivi
di protezione individuale rispondenti alle
norme di legge. Tuttavia ci si chiede fino a qual
punto il datore di lavoro sia responsabile delle
condotta del lavoratore dipendente specialmente
allorquando quest’ultimo compia attività imprudenti.
E’ questo il tema riguardante l’attività
abnorme del lavoratore di cui si è recentemente
occupata la giurisprudenza (C.Cass. Pen., Sez. 4,
sent. n. 3983, ud 1.12.2011, dep. il 31.1.2012).
Il caso trattato riguardava l’infortunio incorso ad
un operaio, in servizio presso una cava ed addetto
ad un impianto di frantumazione, il quale mentre
svolgeva l’attività di pulizia e di rimozione dei
detriti nel locale sottostante il frantoio, in prossimità
di un nastro trasportatore, scivolava a causa
del terreno viscido e cadeva incastrando il braccio
sinistro tra gli apparati del nastro e subiva
l’amputazione dell’arto. Gli imputati, il direttore
tecnico e responsabile delle sicurezza ed il preposto,
venivano condannati dalle Corti di merito, in
quanto veniva loro mosso l’addebito di non avere
informato correttamente il lavoratore sui rischi e
di non avergli fornito indicazioni scritte e direttive
in ordine alla corretta e sicura esecuzione
dell’incarico e di avere consentito l’esecuzione
dell’operazione in assenza di una griglia di protezione
e di una fune per il blocco di emergenza
dell’impianto.
Avanti alla Corte di legittimità la principale difesa
degli imputati consisteva nell’affermare che
la responsabilità dell’incidente era da ricercarsi
esclusivamente nella condotta imprudente del lavoratore,
il quale aveva svolto un’operazione di
pulizia del nastro compiuta con il rullo in movimento
e con l’ausilio di una pala e quindi del tutto
abnorme, vietata e posta in essere arbitrariamente
e volontariamente dall’esperto lavoratore,
attività assolutamente imprudente che interrompeva
il nesso causale.
La Corte di Cassazione respingeva l’assunto difensivo
affermando quanto segue.
“Il ricorso è infondato. I gravami tentano in larga
misura di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione
nel merito. Per ciò che attiene alle questioni
rilevanti nelle presente sede di legittimità, rileva
che la pronunzia impugnata ritiene provato,
alla luce delle dichiarazioni delle persona offesa
e dello stato dei luoghi, che il lavoratore, mentre
si occupava delle operazioni di pulizia del nastro
trasportatore, riposizionando il materiale sullo
stesso nastro scivolava sul terreno sdrucciolevole
e cadeva sull’apparato in movimento che gli amputava
l’arto superiore all’altezza dell’avambraccio.
Si considera altresì che il dispositivo di sicurezza
consistente in una fune, utile per bloccare
l’impianto, era disattivato; e che inoltre il carter di protezione del nastro era stato rimosso e posto
in un angolo con collocate sopra delle lattine di
vernice. Si aggiunge che il lavoratore ha categoricamente
escluso che fossero presenti cartelli che
ponevano il divieto di effettuare le operazioni di
pulizia con gli ingranaggi dell’impianto in movimento
e di non aver ricevuto alcuna specifica
istruzione in tal senso.
La sentenza richiama la giurisprudenza che pone
a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare
il lavoratore anche in relazione ai suoi eventuali
comportamenti negligenti. Se ne inferisce che anche
nel caso in cui il lavoratore sia esperto e ponga
in essere un’azione avventata, forse fidandosi
della sua esperienza, si configura la responsabilità
del garante (vale a dire che ricorre il principio
di imputabilità del datore di lavoro negligente
della cosiddetta “doppia colpa”). Invero nel caso
di specie, anche a voler accedere alla tesi difensiva
secondo cui la vittima provvedeva alla pulizia
del frantoio in movimento utilizzando una pala di
legno, si ritiene che l’infortunio determinato da
errore del lavoratore che abbia prestato il consenso
ad operare in condizioni di pericolo non
esclude la responsabilità del garante. D’altra parte
si pone in luce che il dispositivo di blocco di sicurezza era disattivato e si è dunque in presenza
della mancata doverosa predisposizione di misure
di sicurezza volte a prevenire l’evento.”
Alla luce di tali argomentazioni appare evidente
che il datore di lavoro allorquando, ai sensi
dell’art. 17, comma primo lettera a), del d.lvo n.
81/2008, valuti tutti i rischi ed elabori il documento
previsto dal successivo art. 28 deve prevedere
adeguati rimedi atti a prevenire l’attività
abnorme del proprio dipendente. Inoltre, secondo
quanto prescritto dall’art. 18, comma primo lettera
z), del d.lvo n. 81/2008 deve “aggiornare le
misure di prevenzione in relazione ai mutamenti
organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai
fini della salute e sicurezza sul lavoro, o in relazione
al grado di evoluzione della tecnica della
prevenzione e delle protezione.” Tali osservazioni
valgono a stabilire la natura estremamente dinamica
della valutazione del rischio, prevista dagli
articoli 28 e 29 del d.lvo n. 81/2008, la quale
non può essere definita una volta per sempre, ma
segue necessariamente la natura e l’evoluzione
tecnologica dell’attività svolta dal dipendente, in
modo da prevenire gli infortuni con una visione
assai vasta la quale deve anche prevedere, in termini
sia pure ragionevoli e adeguati alla mansione svolta, l’atto imprudente del proprio dipendente.
Tale ricostruzione giuridica è confermata dalla più
recente giurisprudenza.
Invero è stata riconosciuta (C.Cass. Pen., Sez. 4,
Sent. n. 21223 del 3.5.2012, dep. il 31.5.2012) la
responsabilità penale (ai sensi dell’art. 590 c.p .)
per il reato di lesioni colpose gravi in danno di un
minore dell’amministratore del condominio che
aveva omesso di delimitare e segnalare opportunamente
un lucernario che si trovava al centro
del condominio ed era ricoperto di neve su cui il
minore, a bordo di uno slittino, era andato a finire.
Il lucernario si era frantumato facendo cadere
il minore nelle sottostanti scale con conseguenti
lesioni diagnosticate come politrauma con prognosi
riservata.
La Suprema Corte riconosceva la responsabilità penale
dell’amministratore poiché da un lato ravvisava
la sussistenza di un rapporto di causalità tra
la condotta omissiva del primo e l’evento lesivo e
dall’altro la sussistenza della “corrispondenza causale
tra la violazione della regola cautelare a carico
del prevenuto e la produzione del risultato offensivo
; in altre parole, secondo il criterio della cosiddetta
“concretizzazione del rischio”, risulta nella vicenda
in esame, che l’evento lesivo verificatosi rappresenta
la realizzazione del rischio che la norma cautelare
violata dell’imputato doveva prevenire.”
Altra sentenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n.
34147 del 12.1.2012, dep. il 6.9.2012) dichiara
la penale responsabilità di un amministratore di
condomino per lesioni colpose gravi nei confronti
di una condomina la quale era caduta, provocandosi
una frattura omerale giudicata guaribile in
oltre 40 giorni di prognosi, su di un avallamento
esistente tra il pavimento ed il tombino di raccolta
delle acque reflue condominiali posto sul
marciapiedi che dava accesso alla farmacia sita al
piano terra dello stesso fabbricato condominiale.
Il profilo di responsabilità dell’amministratore era
consistito nella sua imprudenza, imperizia e negligenza
nell’eseguire i lavori di ripristino di tale
avallamento. In particolare la sentenza afferma
quanto segue:
“L’unico responsabile del fatto doveva ritenersi
l’imputato in veste di amministratore del condominio
per avere colposamente omesso di sistemare
il passaggio pedonale in corrispondenza
dell’accesso al marciapiedi antistante il tombino,
mediante apposto scivolo al fine di eliminare le
sconnessioni del piano di calpestio o quanto meno
di contenerne la pericolosità con idonee delimitazioni
atte ad evitare che esse costituissero una
vera e propria insidia ; ciò sul rilievo decisivo che
in ogni caso anche le sconnessioni esistenti nella
parte in proprietà esclusiva dei……. (ovvero
nell’area diversa da quella occupata dal tombino) sono del tutto funzionali allo scolo delle acque
piovane convogliate dalla strutture condominiali.
Non può quindi mettersi in discussione che l’amministratore
del condominio rivesta una specifica
posizione di garanzia, su di lui gravando l’obbligo
ex art. 40 capoverso c.p. di attivarsi al fine di
rimuovere, nel caso di specie, la situazione di pericolo
per l ‘incolumità di terzi, integrata dagli accertati
avallamenti / sconnessioni della pavimentazione
in prossimità del tombino predisposto al
fine dell’esercizio di fatto della servitù di scolo
delle acque meteoriche a vantaggio del condominio,
ciò costituendo una vera e propria insidia e
trabocchetto, fonte di pericolo per i passanti ed
inevitabile con l’impiego della normale diligenza;
massime per una persona anziana di 75 anni di
età (cfr. Sez. 3 n. 4676 del 1975 rv. 133249). Né
l’obbligo di attivarsi onde eliminare la riferita situazione
id pericolo doveva ritenersi subordinato,
come erroneamente sostenuto dal ricorrente, alla
preventiva deliberazione dell’assemblea condominiale
ovvero ad apposita segnalazione id pericolo
tale da indurre un intervento di urgenza. Il disposto
dell’art. 1130 n. 4 c.c. viene invero interpretato
dalla giurisprudenza di legittimità nel
senso che sull’amministratore grava il dovere di
attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni
dell’edificio, a prescindere da specifica autorizzazione
dei condomini ed a prescindere che
si versi nel caso di atti cautelativi ed urgenti (cfr
Sez. 4 n. 3959 del 2009; Sez. 4 n. 6757 del 1983).
Dalla lettera dell’art. 1135, ultimo comma, c.c. si
evince peraltro a contrario che l‘amministratore
ha facoltà di provvedere alle opere di manutenzione
straordinaria, in caso rivestano carattere di
urgenza, dovendo in seguito informare l’assemblea.
E’ indubitabile che l’eliminazione di un’insidia
o trabocchetto derivante dall’omesso livellamento
della pavimentazione in corrispondenza di
un tombino deputato all’esercizio di una servitù
di scolo a vantaggio – ovviamente – dell’edificio
condominiale rappresenti intervento sia conservativo
del diritto sia manutentivo di ordine urgente
anche a tutela della incolumità dei passanti
e quindi determinante dell’obbligo di agire ex art.
40 comma secondo c.p..”
Sulla base dei principi stabiliti nella citata sentenza
deve concludersi che il fondamento della
responsabilità penale dell’amministratore, secondo
quanto stabilito dall’art. 40, secondo comma,
c.p., è sostanzialmente costituto dal suo potere
di gestione e di amministrazione dal contenuto
così ampio da consentirgli di compiere qualsiasi
lavoro straordinario, indipendentemente dalla
previa autorizzazione assembleare, purchè urgente
e finalizzato alla tutela ed alla salvaguardia
dell’incolumità di tutti i cittadini.
di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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