In tema di omissione di lavori in costruzioni che minacciano rovina negli edifici condominiali, nel caso di mancata formazione della volontà assembleare che consenta all’amministratore di adoperarsi al riguardo, sussiste a carico del singolo condomino l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa
- Il profilo civilistico di responsabilità da insidia
Il fondamento della responsabilità extracontrattuale
è quello dell’articolo 2043 del codice civile
il quale, in ossequio ad una tradizione giuridica
trimillenaria, stabilisce la responsabilità civilistica
e l’obbligo di risarcire il danno per colui che
ha cagionato con dolo o colpa ad altri un danno
ingiusto. Tale regime, sia pur rispondente ad un
alto principio di civiltà ovvero quello della responsabilità
individuale, espone il danneggiato ad una
serie di oneri probatori spesso di difficile attuazione:
vale a dire che, al fine di vedersi riconoscere
il diritto al risarcimento del danno, deve provare:
* il danno;
* il nesso di causalità tra il danno e l’operato dell’agente;
* l’ingiustizia del danno;
* la sussistenza dell’elemento soggettivo doloso o colposo nella condotta dell’agente.
La dottrina stabilisce che il legislatore, nelle ipotesi
di responsabilità aggravata, per avvantaggiare
la persona danneggiata, disciplina in maniera
diversa e più grave per i soggetti che creano dei
rischi, la problematica inerente l’individuazione del
responsabile del danno. Nel caso di danno di cose
in custodia, particolarmente ricorrente nei casi
giurisprudenziali avvenuti all’interno del condominio,
l’articolo 2051 del codice civile stabilisce che
ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle
cose che ha in custodia, salvo che provi il caso
fortuito. In tali casi il legislatore presume che se
fossero state adottate tutte le precauzioni, previste
in particolare dalla normativa specialistica di sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro, idonee ad
evitare il danno, quest’ultimo non si sarebbe verificato.
Pertanto è ritenuto responsabile chi aveva
in custodia la cosa che ha provocato il danno, a
meno che non venga provato il fatto di un terzo o
uno specifico evento imprevedibile e inevitabile,
estraneo alla cosa o al custode (Vedasi Manuale di
diritto privato, Andrea Torrente e Piero Schlesinger,
Milano, Giuffrè Editore, pagine 670 - 671).
La giurisprudenza ha così ridotto il margine della
prova liberatoria per il danneggiante al punto di
consentire l’affermazione per cui vige un regime di
responsabilità oggettiva; a tal riguardo è sufficiente
esaminare le seguenti massime.
- "La responsabilità da cose in custodia ex art. 2015 c.c. sussiste quando ricorrano due presupposti: un’alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche determina la configurazione nel caso concreto della cosiddetta insidia o trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità di tale alterazione per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno. (Nel caso trattato la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni riportati da un’inquilina di un edificio a seguito di una caduta causata da acqua piovana infiltratasi dalla finestra, ritenendo prevedibile l’evento, in quanto lo stesso si era verificato in un condominio e aveva coinvolto un’inquilina ivi abitante da anni e, quindi, a conoscenza di tutte le caratteristiche dell’immobile). ( C. Cass. civ, Sez. 3, Sent. n. 11592 del 13.5.2010, Rv. 613371)"
- "Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie, affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all’art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini ( nella specie, infiltrazioni d’acqua provenienti dal muro di contenimento di proprietà condominiale), ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile.” (C.Cass. Civ., Sez. 2, Sent. n. 15291 del 12.7.2011, Rv. 618637)".
- In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non rileva in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno. Ne consegue che il vizio di costruzione della cosa in custodia, anche se è ascrivibile al terzo costruttore, non esclude la responsabilità del custode nei confronti del terzo danneggiato, non costituendo caso fortuito che interrompe il nesso eziologico, salva l’azione di rivalsa del danneggiante – custode nei confronti dello stesso costruttore. ( Nel caso trattato la Suprema Corte, pur ribadendo il suddetto principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa la responsabilità del condominio custode per i danni assunti come arrecati dal cattivo funzionamento della rete fognaria condominiale, essendo rimasto accertato che lo stesso aveva dimostrato che l’evento dannoso si era verificato, in via esclusiva, per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente alla società costruttrice che, nel caso specifico, si identificava con la stessa parte attrice quale proprietaria di alcuni immobili siti nel condominio convenuto in giudizio, da ritenersi, perciò, essa stessa responsabile nei confronti del condominio medesimo.). ( C.Cass. Civ., Sez. 3, Sent. n. 26051 del 30.10.2008, Rv. 605339).
- La ricostruzione penale dell’obbligo di garanzia del condominio per gli infortuni
- l’art. 2086 (direzione e gerarchia nelle imprese)
per cui: “L’imprenditore è il capo dell’impresa e da
lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”.
- l’art. 2087 (tutela delle condizioni di lavoro) per
cui: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio
dell’impresa le misure che, secondo la particolarità
del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono
necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro.”
Pertanto che il legislatore ritiene che all’interno
dell’impresa esista un rapporto corrispettivo per il
quale se il datore di lavoro può ordinare l’esecuzione
di prestazioni lavorative ai propri dipendenti,
nell’ambito delle mansioni previste dal contratto,
d’altra parte deve tutelare la loro sicurezza e salute
secondo la migliore tecnica ed esperienza vigenti e validate dal modo tecnico e scientifico. Questo è il
fondamento giuridico della costruzione dottrinaria
la quale individua nel datore di lavoro la titolarità
di una posizione di garanzia nei confronti dei
lavoratori dipendenti, che costituisca tre le due
parti una posizione sinallagmatica di sicurezza,
ovvero una relazione corrispettiva tra l’ordine gerarchico
impartito dall’imprenditore e la sicurezza
del dipendente, la quale è stata riconosciuta dalla
giurisprudenza quale suo addebito fondamentale di
responsabilità in caso di infortunio del dipendente.
A tal proposito si afferma: - “Gli articoli 2086 e
2104 del codice civile che prevedono il potere gerarchico
del datore di lavoro sul lavoratore devono essere
interpretati alla luce del generale principio secondo
cui ciascuna parte contrattuale può pretendere e deve
fornire soltanto le prestazioni previste nel contratto.
Ne consegue che, da un lato, i superiori gerarchici
non possono richiedere prestazioni che siano chiaramente
escluse dal contratto medesimo e che, dall’altro,
il lavoratore, che non voglia attendere l’esito del
giudizio in sede sindacale o giudiziaria, ha diritto di
rifiutare prestazioni di tale tipo, correndo il rischio,
conseguente a tale comportamento, di essere successivamente
ritenuto responsabile di inadempimento
qualora venga eventualmente accertata la legittimità
dell’ordine disatteso. (C.Cass. Civ, sez. l, sent. n.
5463 del 8/6/1999)»;
La responsabilità penale dell’amministratore condominiale
per gli infortuni incorsi ai lavoratori dipendenti
è stata stabilita dalle seguenti pronunce
giurisprudenziali:
- “La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va considerata e risolta nell’ambito del capoverso dell’art. 40 c.p. che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (C.Cass., Sez. 3, sent. n. 332 del 11.5.1967, ud. 24.2.1967 – C.Cass., Sez. 3, sent. N. 4676 del 14.3.1975, dep. il 14.4.1976).
- “L’amministratore di uno stabile, sia che operi per conto di un solo proprietario (persona fisica o giuridica), sia che agisca per conto di un condominio ha la titolarità dei poteri attinenti alla conservazione e alla gestione delle cose e dei servizi comuni fra i quali rientra anche quello di attivarsi per l’eliminazione di situazioni che possono potenzialmente causare la violazione del principio del “neminem laedere” e di provvedere o, quantomeno, riferirne al proprietario ; l’identificazione dei singoli obblighi in concreto incombenti sull’amministratore deve essere effettuata, sulla base delle norme legislative, statutarie o regolamentari, nelle singole fattispecie. (v C.Cass., sez. 4, sent. n. 6757 del 6.5.1983, dep. Il 14.7.1983).
- “La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va ricondotta nell’ambito della disposizione ( art. 40, secondo comma, c.p.) per la quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto configurabile a carico dell’amministratore di condominio un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni, in una fattispecie di incendio riconducibile ad un difetto di installazione di una canna fumaria di proprietà di un terzo estraneo al condominio che attraversava le parti comuni dell’edificio”. ( C.Cass., Sez. 4, sent. n. 39959 del 23.9.2009, dep. Il 13.10.2009).
Allorquando si commenta la responsabilità del datore
di lavoro per gli infortuni incorsi al suo lavoratore
dipendenti si afferma che il primo deve dare
concreta attuazione al suo dovere, sancito dall’art.
2087 del codice civile, di assicurare al secondo
ogni protezione la quale ne tuteli l’equilibrio psico
– fisico. Pertanto deve formarlo ed informarlo
sulla sua attività e sui rischi a cui è sottoposto e
deve dotarlo di attrezzature e di dispostivi di protezione
individuale rispondenti alle norme di legge.
Tuttavia ci si chiede fino a qual punto il datore di
lavoro sia responsabile delle condotta del lavoratore
dipendente specialmente allorquando quest’ultimo
compia attività imprudenti. E’ questo il tema riguardante
l’attività abnorme del lavoratore di cui si è
recentemente occupata la giurisprudenza (C.Cass.
Pen., Sez. 4, sent. n. 3983, ud 1.12.2011, dep. il
31.1.2012). Il caso trattato riguardava l’infortunio
incorso ad un operaio, in servizio presso una cava ed
addetto ad un impianto di frantumazione, il quale mentre svolgeva l’attività di pulizia e di rimozione
dei detriti nel locale sottostante il frantoio, in prossimità
di un nastro trasportatore, scivolava a causa
del terreno viscido e cadeva incastrando il braccio
sinistro tra gli apparati del nastro e subiva l’amputazione
dell’arto. Gli imputati, il direttore tecnico e
responsabile delle sicurezza ed il preposto, venivano
condannati dalle Corti di merito, in quanto veniva
loro mosso l’addebito di non avere informato correttamente
il lavoratore sui rischi e di non avergli
fornito indicazioni scritte e direttive in ordine alla
corretta e sicura esecuzione dell’incarico e di avere
consentito l’esecuzione dell’operazione in assenza di
una griglia di protezione e di una fune per il blocco
di emergenza dell’impianto.
Avanti alla Corte di legittimità la principale difesa
degli imputati consisteva nell’affermare che la responsabilità
dell’incidente era da ricercarsi esclusivamente
nella condotta imprudente del lavoratore,
il quale aveva svolto un’operazione di pulizia del nastro
compiuta con il rullo in movimento e con l’ausilio
di una pala e quindi del tutto abnorme, vietata
e posta in essere arbitrariamente e volontariamente
dall’esperto lavoratore, attività assolutamente imprudente
che interrompeva il nesso causale.
La Corte di Cassazione respingeva l’assunto difensivo
affermando quanto segue.
“Il ricorso è infondato. I gravami tentano in larga
misura di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione
nel merito. Per ciò che attiene alle questioni
rilevanti nelle presente sede di legittimità, rileva
che la pronunzia impugnata ritiene provato, alla
luce delle dichiarazioni delle persona offesa e dello
stato dei luoghi, che il lavoratore, mentre si occupava
delle operazioni di pulizia del nastro trasportatore,
riposizionando il materiale sullo stesso nastro
scivolava sul terreno sdrucciolevole e cadeva
sull’apparato in movimento che gli amputava l’arto
superiore all’altezza dell’avambraccio. Si considera
altresì che il dispositivo di sicurezza consistente
in una fune, utile per bloccare l’impianto, era disattivato
; e che inoltre il carter di protezione del
nastro era stato rimosso e posto in un angolo con
collocate sopra delle lattine di vernice. Si aggiunge
che il lavoratore ha categoricamente escluso che
fossero presenti cartelli che ponevano il divieto di
effettuare le operazioni di pulizia con gli ingranaggi
dell’impianto in movimento e di non aver
ricevuto alcuna specifica istruzione in tal senso.
La sentenza richiama la giurisprudenza che pone
a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare
il lavoratore anche in relazione ai suoi eventuali
comportamenti negligenti. Se ne inferisce che anche
nel caso in cui il lavoratore sia esperto e ponga
in essere un’azione avventata, forse fidandosi
della sua esperienza, si configura la responsabilità
del garante (vale a dire che ricorre il principio di imputabilità del datore di lavoro negligente della
cosiddetta “doppia colpa”). Invero nel caso di
specie, anche a voler accedere alla tesi difensiva
secondo cui la vittima provvedeva alla pulizia del
frantoio in movimento utilizzando una pala di legno,
si ritiene che l’infortunio determinato da errore
del lavoratore che abbia prestato il consenso
ad operare in condizioni di pericolo non esclude
la responsabilità del garante. D’altra parte si pone
in luce che il dispositivo di blocco di sicurezza era
disattivato e si è dunque in presenza della mancata
doverosa predisposizione di misure di sicurezza
volte a prevenire l’evento.”
Alla luce di tali argomentazioni appare evidente che
il datore di lavoro allorquando, ai sensi dell’art. 17,
comma primo lettera a), del d.lvo n. 81/2008, valuti
tutti i rischi ed elabori il documento previsto dal
successivo art. 28 deve prevedere adeguati rimedi
atti a prevenire l’attività abnorme del proprio dipendente.
Inoltre, secondo quanto prescritto dall’art.
18, comma primo lettera z), del d.lvo n. 81/2008
deve “aggiornare le misure di prevenzione in relazione
ai mutamenti organizzativi e produttivi che
hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza sul
lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della
tecnica della prevenzione e delle protezione.” Tali
osservazioni valgono a stabilire la natura estremamente
dinamica della valutazione del rischio, prevista
dagli articoli 28 e 29 del d.lvo n. 81/2008, la
quale non può essere definita una volta per sempre,
ma segue necessariamente la natura e l’evoluzione
tecnologica dell’attività svolta dal dipendente, in
modo da prevenire gli infortuni con una visione assai
vasta la quale deve anche prevedere, in termini
sia pure ragionevoli e adeguati alla mansione svolta,
l’atto imprudente del proprio dipendente.
Tale ricostruzione giuridica è confermata dalla più
recente giurisprudenza.
Invero è stata riconosciuta (C.Cass. Pen., Sez. 4,
Sent. n. 21223 del 3.5.2012, dep. il 31.5.2012) la
responsabilità penale (ai sensi dell’art. 590 c.p.) per
il reato di lesioni colpose gravi in danno di un minore
dell’amministratore del condominio che aveva
omesso di delimitare e segnalare opportunamente
un lucernario che si trovava al centro del condominio
ed era ricoperto di neve su cui il minore, a bordo
di uno slittino, era andato a finire. Il lucernario si
era frantumato facendo cadere il minore nelle sottostanti
scale con conseguenti lesioni diagnosticate
come politrauma con prognosi riservata.
La Suprema Corte riconosceva la responsabilità penale
dell’amministratore poiché da un lato ravvisava
la sussistenza di un rapporto di causalità tra
la condotta omissiva del primo e l’evento lesivo e
dall’altro la sussistenza della “corrispondenza causale
tra la violazione della regola cautelare a carico del
prevenuto e la produzione del risultato offensivo;in altre parole, secondo il criterio della cosiddetta
“concretizzazione del rischio”, risulta nella vicenda
in esame, che l’evento lesivo verificatosi rappresenta
la realizzazione del rischio che la norma cautelare
violata dell’imputato doveva prevenire.”
Altra sentenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n. 34147
del 12.1.2012, dep. il 6.9.2012) dichiara la penale
responsabilità di un amministratore di condomino
per lesioni colpose gravi nei confronti di una condomina
la quale era caduta, provocandosi una frattura
omerale giudicata guaribile in oltre 40 giorni
di prognosi, su di un avallamento esistente tra il
pavimento ed il tombino di raccolta delle acque
reflue condominiali posto sul marciapiedi che dava
accesso alla farmacia sita al piano terra dello stesso
fabbricato condominiale. Il profilo di responsabilità
dell’amministratore era consistito nella sua
imprudenza, imperizia e negligenza nell’eseguire
i lavori di ripristino di tale avallamento. In particolare
la sentenza afferma quanto segue: “L’unico
responsabile del fatto doveva ritenersi l’imputato in
veste di amministratore del condominio per avere
colposamente omesso di sistemare il passaggio pedonale
in corrispondenza dell’accesso al marciapiedi
antistante il tombino, mediante apposto scivolo al
fine di eliminare le sconnessioni del piano di calpestio
o quanto meno di contenerne la pericolosità con
idonee delimitazioni atte ad evitare che esse costituissero
una vera e propria insidia ; ciò sul rilievo
decisivo che in ogni caso anche le sconnessioni esistenti
nella parte in proprietà esclusiva dei……. (
ovvero nell’area diversa da quella occupata dal tombino)
sono del tutto funzionali allo scolo delle acque
piovane convogliate dalla strutture condominiali. Non
può quindi mettersi in discussione che l’amministratore
del condominio rivesta una specifica posizione
di garanzia, su di lui gravando l’obbligo ex art. 40
capoverso c.p. di attivarsi al fine di rimuovere, nel
caso di specie, la situazione di pericolo per l ‘incolumità
di terzi, integrata dagli accertati avallamenti /
sconnessioni della pavimentazione in prossimità del
tombino predisposto al fine dell’esercizio di fatto della
servitù di scolo delle acque meteoriche a vantaggio
del condominio, ciò costituendo una vera e propria
insidia e trabocchetto, fonte di pericolo per i passanti
ed inevitabile con l’impiego della normale diligenza
; massime per una persona anziana di 75 anni di
età (cfr. Sez. 3 n. 4676 del 1975 rv. 133249). Né
l’obbligo di attivarsi onde eliminare la riferita situazione
id pericolo doveva ritenersi subordinato, come
erroneamente sostenuto dal ricorrente, alla preventiva
deliberazione dell’assemblea condominiale ovvero
ad apposita segnalazione id pericolo tale da indurre
un intervento di urgenza. Il disposto dell’art. 1130 n.
4 c.c. viene invero interpretato dalla giurisprudenza
di legittimità nel senso che sull’amministratore grava
il dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, a prescindere da specifica
autorizzazione dei condomini ed a prescindere che si
versi nel caso di atti cautelativi ed urgenti (cfr Sez.
4 n. 3959 del 2009; Sez. 4 n. 6757 del 1983). Dalla
lettera dell’art. 1135, ultimo comma, c.c. si evince
peraltro a contrario che l‘amministratore ha facoltà
di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria,
in caso rivestano carattere di urgenza, dovendo
in seguito informare l’assemblea. E’ indubitabile che
l’eliminazione di un’insidia o trabocchetto derivante
dall’omesso livellamento della pavimentazione in
corrispondenza di un tombino deputato all’esercizio
di una servitù di scolo a vantaggio – ovviamente –
dell’edificio condominiale rappresenti intervento sia
conservativo del diritto sia manutentivo di ordine urgente
anche a tutela della incolumità dei passanti e
quindi determinante dell’obbligo di agire ex art. 40
comma secondo c.p..”
Sulla base dei principi stabiliti nella citata sentenza
deve concludersi che il fondamento della
responsabilità penale dell’amministratore, secondo
quanto stabilito dall’art. 40, secondo comma,
c.p., è sostanzialmente costituto dal suo potere di
gestione e di amministrazione dal contenuto così
ampio da consentirgli di compiere qualsiasi lavoro
straordinario, indipendentemente dalla previa autorizzazione
assembleare, purchè urgente e finalizzato
alla tutela ed alla salvaguardia dell’incolumità
di tutti i cittadini.
- La responsabilità dell’amministratore per il crollo dell’edificio condominiale a seguito di evento sismico
La sentenza è assai importante per tutti i lavori
necessari per assicurare l’incolumità sia pubblica
che condominiale. Invero è noto che la sicurezza
costa e pertanto assai sovente i condomini, al fine
di evitare che l’assemblea deliberi le somme di denaro
necessarie per eseguire le opere opportune,
fanno mancare il loro numero ( le cosiddette teste)
o le maggioranze previste dal codice civile. A volte
tale comportamento trova il suo fondamento su un
concetto errato di impunità giudica dei soggetti
assenti all’assemblea condominiale e sull’affidamento,
parimenti erroneo, che i provvedimenti e
le diffide di sicurezza dell’autorità competente saranno
notificate soltanto all’amministratore e che pertanto nessuna responsabilità giuridica incomba
al callido condomino “disertore” dell’assemblea.
La sentenza, invece, afferma l’esistenza di una responsabilità
solidale dei condomini di fronte ai loro
comportamenti omissivi che pregiudichino il principio
fondante del nostro ordinamento giuridico
ovvero quello del “neminem laedere”. In particolare
laddove i condomini non si presentino all’assemblea
deputata alla decisione degli interventi urgenti ed
indifferibili, ovvero votino contro l’adozione degli
stessi, l’amministratore, per tutelarsi, potrà comunicare
all’autorità competente il verbale assembleare
contenente il nome degli assenti o dei contrari per
l’adozione nei loro confronti, in ossequio ai principi
esposti nella predetta sentenza, delle ordinanze
contingibili ed urgenti la cui inosservanza è sanzionata
penalmente dall’art. 650 c.p. con l’arresto fino
a tre mesi o con l’ammenda fino ad euro 206.
Altra sentenza ( C.Cass. Sent. 214101/2009) ha ribadito
tali principi sostenendo quanto segue: “In
tema di omissione di lavori che minacciano rovina
negli edifici condominiali ( nella specie, i solai dei
locali garage), nel caso di mancata formazione della
volontà assembleare e di omesso stanziamento dei
fondi necessari per porre rimedio al degrado che dà
luogo al pericolo non può ipotizzarsi la responsabilità
per il reato di cui all’art. 677 c.p. a carico
dell’amministratore del condominio per non avere
attuato interventi che erano in suo materiale potere,
ricadendo in siffatta situazione su ogni proprietario
l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione
pericolosa, indipendentemente dall’attribuibilità al
medesimo dell’origine della stessa. (Nell’affermare
tale principio, la Corte ha anche chiarito che, nel
caso previsto dal terzo comma della citata norma, al
fine di andare esente da responsabilità, è sufficiente
per l’amministratore intervenire sugli effetti della
rovina, interdicendo, ove ciò sia possibile, l’accesso
o il transito delle persone).”
La Corte di Cassazione (sent n. 28751/2016) ha
annullato senza rinvio, perchè il fatto non sussiste,
la sentenza che aveva condannato per omicidio
colposo plurimo e di lesioni personali un
amministratore condominiale il quale, anche in
qualità di ingegnere di progettista e di direttore
dei lavori, aveva progettato il tetto di copertura
dell’edificio omettendo di effettuare ogni valutazione
di adeguatezza sismica dell’edificio che
collassava interamente a seguito di un terremoto.
La sentenza premette che deve essere esclusa la
natura eccezionale ed imprevedibile dell’evento simico
nel contesto storico in cui è accaduto, nella
città dell’Aquila, tuttavia assolve l’amministratore
poiché la sentenza di condanna non ha adeguatamente
motivato sulla delibera assembleare di
approvazione dei lavori di consolidamento dell’edificio. Invero la Corte di Cassazione sostiene che la
sentenza di condanna non motiva adeguatamente
in ordine alla probabilità che l’assemblea condominiale
avrebbe effettivamente deliberato, a fronte
delle informazioni fornite dall’amministratore, ed
all’esito delle doverose verifiche sullo stato del
palazzo, “l’effettuazione di non meglio specificate
opere di consolidamento dell’intero edificio, tali da
consentire, con ragionevole probabilità, allo stesso
edificio di resistere al sisma del 2009”.
Inoltre la Corte di Cassazione (sent. n. 13469/2017)
ha confermato la sentenza che ha assolto gli imputati
in relazione al crollo, avvenuto a seguito di un
evento sismico, di un edificio, e causato, secondo
l’accusa, dalla realizzazione di un giunto sismico,
con l’edificio confinante, non conforme alla normativa
vigente. A tal riguardo la Corte ha escluso la
responsabilità degli imputati in quanto ha ritenuto
che il crollo dell’edificio sia stato “originato dai
suoi stessi difetti costruttivi strutturali e che, pur
ponendosi come concausa del crollo, nessuna influenza
abbia avuto ai fini del del crollo la mancata
presenza del giunto sismico tra la costruzione ed
il confinante edificio”. Vale a dire che le sentenze
precedenti non ignorano che i difetti costruttivi del
primo edificio configurino una possibile concausa
del secondo edificio, ma danno conto di avere ritenuto
che il crollo sarebbe avvenuto, comunque, a
causa dei vizi progettuali e strutturali dell’edificio.
Infine la sentenza, al fine di escludere la responsabilità
degli imputati, esamina l’entità delle scosse
sismiche succedute nel tempo, non comparabili tra
loro per gradi di magnitudo, per la vicinanza dell’epicentro
ai luoghi abitati e per i conseguenti danni
a persone a cose.
di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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