venerdì 9 febbraio 2018

Crollo dell'edificio: profili giuridici della responsabilità giuridica dell’amministratore del condominio

In tema di omissione di lavori in costruzioni che minacciano rovina negli edifici condominiali, nel caso di mancata formazione della volontà assembleare che consenta all’amministratore di adoperarsi al riguardo, sussiste a carico del singolo condomino l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa

  •  Il profilo civilistico di responsabilità da insidia
Il fondamento della responsabilità extracontrattuale è quello dell’articolo 2043 del codice civile il quale, in ossequio ad una tradizione giuridica trimillenaria, stabilisce la responsabilità civilistica e l’obbligo di risarcire il danno per colui che ha cagionato con dolo o colpa ad altri un danno ingiusto. Tale regime, sia pur rispondente ad un alto principio di civiltà ovvero quello della responsabilità individuale, espone il danneggiato ad una serie di oneri probatori spesso di difficile attuazione: vale a dire che, al fine di vedersi riconoscere il diritto al risarcimento del danno, deve provare:
* il danno;
* il nesso di causalità tra il danno e l’operato dell’agente;
* l’ingiustizia del danno;
* la sussistenza dell’elemento soggettivo doloso o colposo nella condotta dell’agente.

La dottrina stabilisce che il legislatore, nelle ipotesi di responsabilità aggravata, per avvantaggiare la persona danneggiata, disciplina in maniera diversa e più grave per i soggetti che creano dei rischi, la problematica inerente l’individuazione del responsabile del danno. Nel caso di danno di cose in custodia, particolarmente ricorrente nei casi giurisprudenziali avvenuti all’interno del condominio, l’articolo 2051 del codice civile stabilisce che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. In tali casi il legislatore presume che se fossero state adottate tutte le precauzioni, previste in particolare dalla normativa specialistica di sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro, idonee ad evitare il danno, quest’ultimo non si sarebbe verificato. Pertanto è ritenuto responsabile chi aveva in custodia la cosa che ha provocato il danno, a meno che non venga provato il fatto di un terzo o uno specifico evento imprevedibile e inevitabile, estraneo alla cosa o al custode (Vedasi Manuale di diritto privato, Andrea Torrente e Piero Schlesinger, Milano, Giuffrè Editore, pagine 670 - 671).

La giurisprudenza ha così ridotto il margine della prova liberatoria per il danneggiante al punto di consentire l’affermazione per cui vige un regime di responsabilità oggettiva; a tal riguardo è sufficiente esaminare le seguenti massime.
  1. "La responsabilità da cose in custodia ex art. 2015 c.c. sussiste quando ricorrano due presupposti: un’alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche determina la configurazione nel caso concreto della cosiddetta insidia o trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità di tale alterazione per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno. (Nel caso trattato la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni riportati da un’inquilina di un edificio a seguito di una caduta causata da acqua piovana infiltratasi dalla finestra, ritenendo prevedibile l’evento, in quanto lo stesso si era verificato in un condominio e aveva coinvolto un’inquilina ivi abitante da anni e, quindi, a conoscenza di tutte le caratteristiche dell’immobile). ( C. Cass. civ, Sez. 3, Sent. n. 11592 del 13.5.2010, Rv. 613371)"
  2. "Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie, affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all’art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini ( nella specie, infiltrazioni d’acqua provenienti dal muro di contenimento di proprietà condominiale), ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile.” (C.Cass. Civ., Sez. 2, Sent. n. 15291 del 12.7.2011, Rv. 618637)".
  3. In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non rileva in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno. Ne consegue che il vizio di costruzione della cosa in custodia, anche se è ascrivibile al terzo costruttore, non esclude la responsabilità del custode nei confronti del terzo danneggiato, non costituendo caso fortuito che interrompe il nesso eziologico, salva l’azione di rivalsa del danneggiante – custode nei confronti dello stesso costruttore. ( Nel caso trattato la Suprema Corte, pur ribadendo il suddetto principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa la responsabilità del condominio custode per i danni assunti come arrecati dal cattivo funzionamento della rete fognaria condominiale, essendo rimasto accertato che lo stesso aveva dimostrato che l’evento dannoso si era verificato, in via esclusiva, per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente alla società costruttrice che, nel caso specifico, si identificava con la stessa parte attrice quale proprietaria di alcuni immobili siti nel condominio convenuto in giudizio, da ritenersi, perciò, essa stessa responsabile nei confronti del condominio medesimo.). ( C.Cass. Civ., Sez. 3, Sent. n. 26051 del 30.10.2008, Rv. 605339).
  • La ricostruzione penale dell’obbligo di garanzia del condominio per gli infortuni
Il fondamento dottrinario che attesta il dovere del datore di lavoro di tutelare l’integrità psico – fisica del lavoratore si trova in due articoli del codice civile e rispettivamente:

- l’art. 2086 (direzione e gerarchia nelle imprese) per cui: “L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”. 
- l’art. 2087 (tutela delle condizioni di lavoro) per cui: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”

Pertanto che il legislatore ritiene che all’interno dell’impresa esista un rapporto corrispettivo per il quale se il datore di lavoro può ordinare l’esecuzione di prestazioni lavorative ai propri dipendenti, nell’ambito delle mansioni previste dal contratto, d’altra parte deve tutelare la loro sicurezza e salute secondo la migliore tecnica ed esperienza vigenti e validate dal modo tecnico e scientifico. Questo è il fondamento giuridico della costruzione dottrinaria la quale individua nel datore di lavoro la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori dipendenti, che costituisca tre le due parti una posizione sinallagmatica di sicurezza, ovvero una relazione corrispettiva tra l’ordine gerarchico impartito dall’imprenditore e la sicurezza del dipendente, la quale è stata riconosciuta dalla giurisprudenza quale suo addebito fondamentale di responsabilità in caso di infortunio del dipendente.

A tal proposito si afferma: - “Gli articoli 2086 e 2104 del codice civile che prevedono il potere gerarchico del datore di lavoro sul lavoratore devono essere interpretati alla luce del generale principio secondo cui ciascuna parte contrattuale può pretendere e deve fornire soltanto le prestazioni previste nel contratto. Ne consegue che, da un lato, i superiori gerarchici non possono richiedere prestazioni che siano chiaramente escluse dal contratto medesimo e che, dall’altro, il lavoratore, che non voglia attendere l’esito del giudizio in sede sindacale o giudiziaria, ha diritto di rifiutare prestazioni di tale tipo, correndo il rischio, conseguente a tale comportamento, di essere successivamente ritenuto responsabile di inadempimento qualora venga eventualmente accertata la legittimità dell’ordine disatteso. (C.Cass. Civ, sez. l, sent. n. 5463 del 8/6/1999)»;

La responsabilità penale dell’amministratore condominiale per gli infortuni incorsi ai lavoratori dipendenti è stata stabilita dalle seguenti pronunce giurisprudenziali:
  1. “La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va considerata e risolta nell’ambito del capoverso dell’art. 40 c.p. che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (C.Cass., Sez. 3, sent. n. 332 del 11.5.1967, ud. 24.2.1967 – C.Cass., Sez. 3, sent. N. 4676 del 14.3.1975, dep. il 14.4.1976).
  2. “L’amministratore di uno stabile, sia che operi per conto di un solo proprietario (persona fisica o giuridica), sia che agisca per conto di un condominio ha la titolarità dei poteri attinenti alla conservazione e alla gestione delle cose e dei servizi comuni fra i quali rientra anche quello di attivarsi per l’eliminazione di situazioni che possono potenzialmente causare la violazione del principio del “neminem laedere” e di provvedere o, quantomeno, riferirne al proprietario ; l’identificazione dei singoli obblighi in concreto incombenti sull’amministratore deve essere effettuata, sulla base delle norme legislative, statutarie o regolamentari, nelle singole fattispecie. (v C.Cass., sez. 4, sent. n. 6757 del 6.5.1983, dep. Il 14.7.1983).
  3. “La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va ricondotta nell’ambito della disposizione ( art. 40, secondo comma, c.p.) per la quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto configurabile a carico dell’amministratore di condominio un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni, in una fattispecie di incendio riconducibile ad un difetto di installazione di una canna fumaria di proprietà di un terzo estraneo al condominio che attraversava le parti comuni dell’edificio”. ( C.Cass., Sez. 4, sent. n. 39959 del 23.9.2009, dep. Il 13.10.2009).
Per quanto riguarda la responsabilità penale dell’amministratore di condominio nel caso di infortunio avvenuto all’interno dello stesso ci si chiede se anche in materia penale possa valere una sorta di responsabilità oggettiva ed a tal riguardo deve osservarsi quanto segue.
Allorquando si commenta la responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni incorsi al suo lavoratore dipendenti si afferma che il primo deve dare concreta attuazione al suo dovere, sancito dall’art. 2087 del codice civile, di assicurare al secondo ogni protezione la quale ne tuteli l’equilibrio psico – fisico. Pertanto deve formarlo ed informarlo sulla sua attività e sui rischi a cui è sottoposto e deve dotarlo di attrezzature e di dispostivi di protezione individuale rispondenti alle norme di legge. Tuttavia ci si chiede fino a qual punto il datore di lavoro sia responsabile delle condotta del lavoratore dipendente specialmente allorquando quest’ultimo compia attività imprudenti. E’ questo il tema riguardante l’attività abnorme del lavoratore di cui si è recentemente occupata la giurisprudenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, sent. n. 3983, ud 1.12.2011, dep. il 31.1.2012). Il caso trattato riguardava l’infortunio incorso ad un operaio, in servizio presso una cava ed addetto ad un impianto di frantumazione, il quale mentre svolgeva l’attività di pulizia e di rimozione dei detriti nel locale sottostante il frantoio, in prossimità di un nastro trasportatore, scivolava a causa del terreno viscido e cadeva incastrando il braccio sinistro tra gli apparati del nastro e subiva l’amputazione dell’arto. Gli imputati, il direttore tecnico e responsabile delle sicurezza ed il preposto, venivano condannati dalle Corti di merito, in quanto veniva loro mosso l’addebito di non avere informato correttamente il lavoratore sui rischi e di non avergli fornito indicazioni scritte e direttive in ordine alla corretta e sicura esecuzione dell’incarico e di avere consentito l’esecuzione dell’operazione in assenza di una griglia di protezione e di una fune per il blocco di emergenza dell’impianto.
Avanti alla Corte di legittimità la principale difesa degli imputati consisteva nell’affermare che la responsabilità dell’incidente era da ricercarsi esclusivamente nella condotta imprudente del lavoratore, il quale aveva svolto un’operazione di pulizia del nastro compiuta con il rullo in movimento e con l’ausilio di una pala e quindi del tutto abnorme, vietata e posta in essere arbitrariamente e volontariamente dall’esperto lavoratore, attività assolutamente imprudente che interrompeva il nesso causale.

La Corte di Cassazione respingeva l’assunto difensivo affermando quanto segue.
“Il ricorso è infondato. I gravami tentano in larga misura di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione nel merito. Per ciò che attiene alle questioni rilevanti nelle presente sede di legittimità, rileva che la pronunzia impugnata ritiene provato, alla luce delle dichiarazioni delle persona offesa e dello stato dei luoghi, che il lavoratore, mentre si occupava delle operazioni di pulizia del nastro trasportatore, riposizionando il materiale sullo stesso nastro scivolava sul terreno sdrucciolevole e cadeva sull’apparato in movimento che gli amputava l’arto superiore all’altezza dell’avambraccio. Si considera altresì che il dispositivo di sicurezza consistente in una fune, utile per bloccare l’impianto, era disattivato ; e che inoltre il carter di protezione del nastro era stato rimosso e posto in un angolo con collocate sopra delle lattine di vernice. Si aggiunge che il lavoratore ha categoricamente escluso che fossero presenti cartelli che ponevano il divieto di effettuare le operazioni di pulizia con gli ingranaggi dell’impianto in movimento e di non aver ricevuto alcuna specifica istruzione in tal senso.
La sentenza richiama la giurisprudenza che pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare il lavoratore anche in relazione ai suoi eventuali comportamenti negligenti. Se ne inferisce che anche nel caso in cui il lavoratore sia esperto e ponga in essere un’azione avventata, forse fidandosi della sua esperienza, si configura la responsabilità del garante (vale a dire che ricorre il principio di imputabilità del datore di lavoro negligente della cosiddetta “doppia colpa”). Invero nel caso di specie, anche a voler accedere alla tesi difensiva secondo cui la vittima provvedeva alla pulizia del frantoio in movimento utilizzando una pala di legno, si ritiene che l’infortunio determinato da errore del lavoratore che abbia prestato il consenso ad operare in condizioni di pericolo non esclude la responsabilità del garante. D’altra parte si pone in luce che il dispositivo di blocco di sicurezza era disattivato e si è dunque in presenza della mancata doverosa predisposizione di misure di sicurezza volte a prevenire l’evento.”
Alla luce di tali argomentazioni appare evidente che il datore di lavoro allorquando, ai sensi dell’art. 17, comma primo lettera a), del d.lvo n. 81/2008, valuti tutti i rischi ed elabori il documento previsto dal successivo art. 28 deve prevedere adeguati rimedi atti a prevenire l’attività abnorme del proprio dipendente. Inoltre, secondo quanto prescritto dall’art. 18, comma primo lettera z), del d.lvo n. 81/2008 deve “aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza sul lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e delle protezione.” Tali osservazioni valgono a stabilire la natura estremamente dinamica della valutazione del rischio, prevista dagli articoli 28 e 29 del d.lvo n. 81/2008, la quale non può essere definita una volta per sempre, ma segue necessariamente la natura e l’evoluzione tecnologica dell’attività svolta dal dipendente, in modo da prevenire gli infortuni con una visione assai vasta la quale deve anche prevedere, in termini sia pure ragionevoli e adeguati alla mansione svolta, l’atto imprudente del proprio dipendente.
Tale ricostruzione giuridica è confermata dalla più recente giurisprudenza.
Invero è stata riconosciuta (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n. 21223 del 3.5.2012, dep. il 31.5.2012) la responsabilità penale (ai sensi dell’art. 590 c.p.) per il reato di lesioni colpose gravi in danno di un minore dell’amministratore del condominio che aveva omesso di delimitare e segnalare opportunamente un lucernario che si trovava al centro del condominio ed era ricoperto di neve su cui il minore, a bordo di uno slittino, era andato a finire. Il lucernario si era frantumato facendo cadere il minore nelle sottostanti scale con conseguenti lesioni diagnosticate come politrauma con prognosi riservata.

La Suprema Corte riconosceva la responsabilità penale dell’amministratore poiché da un lato ravvisava la sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta omissiva del primo e l’evento lesivo e dall’altro la sussistenza della “corrispondenza causale tra la violazione della regola cautelare a carico del prevenuto e la produzione del risultato offensivo;in altre parole, secondo il criterio della cosiddetta “concretizzazione del rischio”, risulta nella vicenda in esame, che l’evento lesivo verificatosi rappresenta la realizzazione del rischio che la norma cautelare violata dell’imputato doveva prevenire.”
Altra sentenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n. 34147 del 12.1.2012, dep. il 6.9.2012) dichiara la penale responsabilità di un amministratore di condomino per lesioni colpose gravi nei confronti di una condomina la quale era caduta, provocandosi una frattura omerale giudicata guaribile in oltre 40 giorni di prognosi, su di un avallamento esistente tra il pavimento ed il tombino di raccolta delle acque reflue condominiali posto sul marciapiedi che dava accesso alla farmacia sita al piano terra dello stesso fabbricato condominiale. Il profilo di responsabilità dell’amministratore era consistito nella sua imprudenza, imperizia e negligenza nell’eseguire i lavori di ripristino di tale avallamento. In particolare la sentenza afferma quanto segue: “L’unico responsabile del fatto doveva ritenersi l’imputato in veste di amministratore del condominio per avere colposamente omesso di sistemare il passaggio pedonale in corrispondenza dell’accesso al marciapiedi antistante il tombino, mediante apposto scivolo al fine di eliminare le sconnessioni del piano di calpestio o quanto meno di contenerne la pericolosità con idonee delimitazioni atte ad evitare che esse costituissero una vera e propria insidia ; ciò sul rilievo decisivo che in ogni caso anche le sconnessioni esistenti nella parte in proprietà esclusiva dei……. ( ovvero nell’area diversa da quella occupata dal tombino) sono del tutto funzionali allo scolo delle acque piovane convogliate dalla strutture condominiali. Non può quindi mettersi in discussione che l’amministratore del condominio rivesta una specifica posizione di garanzia, su di lui gravando l’obbligo ex art. 40 capoverso c.p. di attivarsi al fine di rimuovere, nel caso di specie, la situazione di pericolo per l ‘incolumità di terzi, integrata dagli accertati avallamenti / sconnessioni della pavimentazione in prossimità del tombino predisposto al fine dell’esercizio di fatto della servitù di scolo delle acque meteoriche a vantaggio del condominio, ciò costituendo una vera e propria insidia e trabocchetto, fonte di pericolo per i passanti ed inevitabile con l’impiego della normale diligenza ; massime per una persona anziana di 75 anni di età (cfr. Sez. 3 n. 4676 del 1975 rv. 133249). Né l’obbligo di attivarsi onde eliminare la riferita situazione id pericolo doveva ritenersi subordinato, come erroneamente sostenuto dal ricorrente, alla preventiva deliberazione dell’assemblea condominiale ovvero ad apposita segnalazione id pericolo tale da indurre un intervento di urgenza. Il disposto dell’art. 1130 n. 4 c.c. viene invero interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che sull’amministratore grava il dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, a prescindere da specifica autorizzazione dei condomini ed a prescindere che si versi nel caso di atti cautelativi ed urgenti (cfr Sez. 4 n. 3959 del 2009; Sez. 4 n. 6757 del 1983). Dalla lettera dell’art. 1135, ultimo comma, c.c. si evince peraltro a contrario che l‘amministratore ha facoltà di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria, in caso rivestano carattere di urgenza, dovendo in seguito informare l’assemblea. E’ indubitabile che l’eliminazione di un’insidia o trabocchetto derivante dall’omesso livellamento della pavimentazione in corrispondenza di un tombino deputato all’esercizio di una servitù di scolo a vantaggio – ovviamente – dell’edificio condominiale rappresenti intervento sia conservativo del diritto sia manutentivo di ordine urgente anche a tutela della incolumità dei passanti e quindi determinante dell’obbligo di agire ex art. 40 comma secondo c.p..”

Sulla base dei principi stabiliti nella citata sentenza deve concludersi che il fondamento della responsabilità penale dell’amministratore, secondo quanto stabilito dall’art. 40, secondo comma, c.p., è sostanzialmente costituto dal suo potere di gestione e di amministrazione dal contenuto così ampio da consentirgli di compiere qualsiasi lavoro straordinario, indipendentemente dalla previa autorizzazione assembleare, purchè urgente e finalizzato alla tutela ed alla salvaguardia dell’incolumità di tutti i cittadini.
  • La responsabilità dell’amministratore per il crollo dell’edificio condominiale a seguito di evento sismico  
In tema di responsabilità penale dell’amministratore in ordine alla deliberazioni assembleari in materia di sicurezza la giurisprudenza ( C.Cass. pen. sent. n. 15759/2001 e sent.n. 6596/2008) ) afferma che: "In tema di omissione di lavori in costruzioni che minacciano rovina negli edifici condominiali, nel caso di mancata formazione della volontà assembleare che consenta all’amministratore di adoperarsi al riguardo, sussiste a carico del singolo condomino l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dall’attribuibilità al medesimo dell’origine della stessa."
La sentenza è assai importante per tutti i lavori necessari per assicurare l’incolumità sia pubblica che condominiale. Invero è noto che la sicurezza costa e pertanto assai sovente i condomini, al fine di evitare che l’assemblea deliberi le somme di denaro necessarie per eseguire le opere opportune, fanno mancare il loro numero ( le cosiddette teste) o le maggioranze previste dal codice civile. A volte tale comportamento trova il suo fondamento su un concetto errato di impunità giudica dei soggetti assenti all’assemblea condominiale e sull’affidamento, parimenti erroneo, che i provvedimenti e le diffide di sicurezza dell’autorità competente saranno notificate soltanto all’amministratore e che pertanto nessuna responsabilità giuridica incomba al callido condomino “disertore” dell’assemblea.
La sentenza, invece, afferma l’esistenza di una responsabilità solidale dei condomini di fronte ai loro comportamenti omissivi che pregiudichino il principio fondante del nostro ordinamento giuridico ovvero quello del “neminem laedere”. In particolare laddove i condomini non si presentino all’assemblea deputata alla decisione degli interventi urgenti ed indifferibili, ovvero votino contro l’adozione degli stessi, l’amministratore, per tutelarsi, potrà comunicare all’autorità competente il verbale assembleare contenente il nome degli assenti o dei contrari per l’adozione nei loro confronti, in ossequio ai principi esposti nella predetta sentenza, delle ordinanze contingibili ed urgenti la cui inosservanza è sanzionata penalmente dall’art. 650 c.p. con l’arresto fino a tre mesi o con l’ammenda fino ad euro 206.

Altra sentenza ( C.Cass. Sent. 214101/2009) ha ribadito tali principi sostenendo quanto segue: “In tema di omissione di lavori che minacciano rovina negli edifici condominiali ( nella specie, i solai dei locali garage), nel caso di mancata formazione della volontà assembleare e di omesso stanziamento dei fondi necessari per porre rimedio al degrado che dà luogo al pericolo non può ipotizzarsi la responsabilità per il reato di cui all’art. 677 c.p. a carico dell’amministratore del condominio per non avere attuato interventi che erano in suo materiale potere, ricadendo in siffatta situazione su ogni proprietario l’obbligo giuridico di rimuovere la situazione pericolosa, indipendentemente dall’attribuibilità al medesimo dell’origine della stessa. (Nell’affermare tale principio, la Corte ha anche chiarito che, nel caso previsto dal terzo comma della citata norma, al fine di andare esente da responsabilità, è sufficiente per l’amministratore intervenire sugli effetti della rovina, interdicendo, ove ciò sia possibile, l’accesso o il transito delle persone).”

La Corte di Cassazione (sent n. 28751/2016) ha annullato senza rinvio, perchè il fatto non sussiste, la sentenza che aveva condannato per omicidio colposo plurimo e di lesioni personali un amministratore condominiale il quale, anche in qualità di ingegnere di progettista e di direttore dei lavori, aveva progettato il tetto di copertura dell’edificio omettendo di effettuare ogni valutazione di adeguatezza sismica dell’edificio che collassava interamente a seguito di un terremoto. La sentenza premette che deve essere esclusa la natura eccezionale ed imprevedibile dell’evento simico nel contesto storico in cui è accaduto, nella città dell’Aquila, tuttavia assolve l’amministratore poiché la sentenza di condanna non ha adeguatamente motivato sulla delibera assembleare di approvazione dei lavori di consolidamento dell’edificio. Invero la Corte di Cassazione sostiene che la sentenza di condanna non motiva adeguatamente in ordine alla probabilità che l’assemblea condominiale avrebbe effettivamente deliberato, a fronte delle informazioni fornite dall’amministratore, ed all’esito delle doverose verifiche sullo stato del palazzo, “l’effettuazione di non meglio specificate opere di consolidamento dell’intero edificio, tali da consentire, con ragionevole probabilità, allo stesso edificio di resistere al sisma del 2009”.
Inoltre la Corte di Cassazione (sent. n. 13469/2017) ha confermato la sentenza che ha assolto gli imputati in relazione al crollo, avvenuto a seguito di un evento sismico, di un edificio, e causato, secondo l’accusa, dalla realizzazione di un giunto sismico, con l’edificio confinante, non conforme alla normativa vigente. A tal riguardo la Corte ha escluso la responsabilità degli imputati in quanto ha ritenuto che il crollo dell’edificio sia stato “originato dai suoi stessi difetti costruttivi strutturali e che, pur ponendosi come concausa del crollo, nessuna influenza abbia avuto ai fini del del crollo la mancata presenza del giunto sismico tra la costruzione ed il confinante edificio”. Vale a dire che le sentenze precedenti non ignorano che i difetti costruttivi del primo edificio configurino una possibile concausa del secondo edificio, ma danno conto di avere ritenuto che il crollo sarebbe avvenuto, comunque, a causa dei vizi progettuali e strutturali dell’edificio. Infine la sentenza, al fine di escludere la responsabilità degli imputati, esamina l’entità delle scosse sismiche succedute nel tempo, non comparabili tra loro per gradi di magnitudo, per la vicinanza dell’epicentro ai luoghi abitati e per i conseguenti danni a persone a cose.

di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano

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