REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. GIUSTI Alberto - Presidente
Dott. PICARONI Elisa - Consigliere
Dott. GRASSO Giuseppe - Consigliere
Dott. SCARPA Antonio - Consigliere
Dott. CRISCUOLO Mauro - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 9344/2016 proposto da:
B.A., BA.AN. elettivamente domiciliate in ROMA, presso lo studio dell'avvocato A. D. A., rappresentate e difese dall'avvocato R. M. giusta procura a margine del ricorso;
- ricorrenti -
E CONTRO
S.M.A.;
- intimata -
avverso la sentenza n. 4501/2015 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE di ROMA, depositata il 05/03/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 18/01/2018 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
S.M.A. ha agito nel dicembre 1998 contro le sorelle Ba. An. e A. per far accertare la proprietà comune del lastrico solare del fabbricato sito in (omissis), nel quale ella è proprietaria dell’appartamento avente ingresso da via (omissis), sottostante quello delle convenute, avente ingresso da via (omissis).
Lamentava che dal 1991-92 le convenute avevano realizzato una scala per accedere al lastrico, impedendole di recarvisi.
Nella resistenza delle convenute che affermavano di essere le costruttrici del lastrico in luogo dell’originario tetto in legno, eccependone l’usucapione, il Tribunale di Cagliari ha accolto la domanda principale, rilevando che l’opposizione all’accesso della S. risaliva a sei - sette anni prima dell’atto di citazione e che la costruzione della scala di accesso risaliva al 1980, epoca insufficiente al maturare dell’usucapione in favore delle B. .
La Corte di appello di Cagliari con sentenza dell’8 aprile 2008 ha confermato la sentenza di primo grado, osservando che era irrilevante che l’attrice non avesse accesso diretto al lastrico, ma vi giungesse attraverso un edificio confinante di proprietà della sorella.
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 4501/2015 ha rigettato il ricorso delle B., osservando che correttamente era stata ravvisata la comproprietà del bene in capo alla S. in applicazione della previsione di cui all’art. 1117 c.c., rientrando il bene conteso tra quelli appunto contemplati dalla norma in questione.
A nulla poi rilevava che la S. non avesse un accesso diretto al lastrico, circostanza che a detta delle ricorrenti avrebbe permesso di vincere la presunzione di cui all’art. 1117 c.c..
Tale norma, con riferimento ai beni in esso indicati e a quegli altri che assolvano in vario modo alle medesime funzioni (tra i quali rientrano i tetti e i lastrici solari, v. art. 1117 n. 1), atteso il carattere non tassativo dell’elencazione, non sancisce una mera presunzione di condominialità, ma afferma in modo positivo detta natura condominiale, che può essere esclusa non già con qualsiasi mezzo di prova (come sarebbe nell’ipotesi di presunzione), ma solo in forza di un titolo specifico, inevitabilmente in forma scritta, riguardando beni immobili. Correttamente i giudici di merito avevano concentrato la loro indagine sull’esistenza o meno di un titolo che riservasse la proprietà del lastrico solare ai danti causa nell’atto costitutivo del condominio, con la conseguenza che in assenza di un titolo siffatto, la proprietà era comune.
Dopo avere disatteso anche il quarto motivo di ricorso, con il quale si affermava che la S. non avrebbe contitolarità del lastrico solare dell’edificio condominiale poiché esso "dal punto di vista soggettivo è nel godimento esclusivo dei titolari del piano superiore", mancando "possibilità di accesso dal piano terreno", riteneva non decisiva l’affermazione dei giudici di merito che avevano ritenuto che non costituisse indebito esercizio di servitù, l’accesso al lastrico esercitato dalla S. passando attraverso un edificio alieno confinante. Ed, infatti trattasi di condotta che manifesta l’asservimento del lastrico solare, in comunione tra le parti, a favore del fondo posto a confine, e che contrasta con la costante giurisprudenza della Corte che reputa illegittima l’apertura di un varco praticata nel muro perimetrale dell’edificio condominiale dal comproprietario per mettere in comunicazione un locale di sua proprietà esclusiva ubicato nel medesimo fabbricato con altro immobile pure di sua proprietà estraneo al condominio.
Tuttavia tale affermazione non inficia la ratio della decisione, relativa alla proprietà condominiale del lastrico solare conteso. Infine, quanto al sesto motivo, la Corte chiariva che l’effettivo contenuto della decisione impugnata era nel senso che una volta riconosciuta la comproprietà di un bene condominiale, andava consentito al comproprietario di utilizzare il bene con le modalità di cui all’art. 1102 c.c., pur palesandosi illegittimo l’accesso attraverso altro fabbricato. Restava dunque ferma la validità della generica condanna delle convenute a non impedire l’accesso, se ed in quanto esercitato con modalità compatibili con tale norma.
Ba.An. e B.A. hanno proposto ricorso per revocazione avverso tale sentenza sulla base di un motivo. S.M.A. non ha svolto difese in questa fase. L’unico motivo di ricorso per revocazione denunzia l’errore di fatto nel quale sarebbe incorsa questa Corte, laddove è stata rigettata l’eccezione di usucapione formulata dalle ricorrenti.
Si rileva che erroneamente si sarebbe ritenuto non maturato il termine utile a tal fine, avuto riguardo al fatto che il primo atto di interversione del possesso sarebbe avvenuto solo 6-7 anni prima dell’introduzione del giudizio, risalendo invece la costruzione della scala esterna solo al 1980.
Si deduce a contrario che le ricorrenti avevano sempre sostenuto di avere utilizzato il lastrico in maniera esclusiva e da almeno 50 anni, in quanto, anche prima della creazione della scala esterna, il lastrico era raggiungibile tramite una scala a pioli sistemata all’interno dell’appartamento delle B., come peraltro confortato anche dalla deposizione testimoniale di A.M. .
Ne consegue che le ricorrenti avevano escluso la S. dal godimento del lastrico, utilizzandolo come proprietarie esclusive.
Il motivo è manifestamente infondato, in quanto la doglianza non si confronta con il tenore della decisione impugnata.
La Corte ha, invero, affermato che la natura comune del lastrico discendeva dalla sua qualificazione come bene condominiale rientrando evidentemente tra quelli di cui all’art. 1117 c.c., ed in assenza di un titolo contrattuale che deponesse in maniera inequivoca in senso contrario.
In tal senso, la sentenza impugnata, nell’esaminare il quarto motivo di ricorso che appunto mirava a contestare la natura comune del bene, sul presupposto che fosse stato goduto in maniera esclusiva dalle B., ha evidenziato che il lastrico assolveva alla sua naturale funzione di copertura di un fabbricato comune, che vedeva la sovrapposizione delle proprietà esclusive sia dell’attrice che delle convenute.
Non esistevano quindi obiettive caratteristiche strutturali che potessero far propendere per un asservimento esclusivo del lastrico all’uso ed al godimento solo di una parte dell’immobile, ribadendosi quindi, a pag. 7, che deve essere tenuto ben distinto "il profilo della destinazione strutturale dei tetti e lastrici solari, che fonda la condominialità, da quello del godimento di fatto, che esclude la condominialità solo se il bene non esplichi nel contempo funzione essenziale (ad es. di copertura) anche per la porzione di immobile dal quale non vi si acceda direttamente".
Alla luce di tali motivazioni, anche laddove voglia ravvisarsi un errore di fatto (il che non è dato affermare, non avendo la Corte sostenuto in sentenza l’esistenza di circostanze di fatto in contrasto con quanto dedotto dalle ricorrenti), lo stesso sarebbe del tutto privo del carattere della decisorietà, posto che l’acceso esclusivo al lastrico, ancorché risalente ad oltre cinquanta anni prima dell’introduzione del giudizio, non avrebbe menomato il compossesso della S. (e dei suoi danti causa), essendo la condominialità legata alla sola funzione obiettiva della copertura dell’immobile, essendo invece necessario ai fini dell’usucapione, come appunto evidenziato dalla pronuncia gravata, il compimento di uno specifico atto di interversione da parte del condomino, che non può essere ravvisato nel fatto che le sole B. potessero accedervi direttamente.
Il motivo appare quindi surrettiziamente volto a denunciare un errore di giudizio e ciò in contrasto con i limiti e le finalità dell’istituto della revocazione.
Il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile.
Nulla per le spese atteso che l’intimata non ha svolto attività difensiva.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Dichiara il ricorso inammissibile;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte delle ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 18 gennaio 2018.
Depositato in Cancelleria il 1 marzo 2018
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