Una corposa sentenza in tema di regolamento e dintorni e altre riflessioni
La presunzione di proprietà condominiale sulle strutture essenziali all’esistenza dell’edificio, elencate nell’art. 1117 n. 1 c.c., come nella specie le scale, può essere superata soltanto da un titolo, proveniente da colui che ha costituito il condominio ovvero da tutti i condomini successivamente, nel quale si affermi la proprietà esclusiva a favore del condomino, mentre la stessa presunzione non può essere superata dal concreto accertamento della destinazione delle suddette strutture all’uso esclusivo del singolo condomino. (Massima non ufficiale)
Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 3 novembre 2014 – 20 marzo 2015, n. 5657 Presidente Triola – Relatore Falaschi
Un interessante pronuncia che tocca un tema di grande rilievo all’interno del condominio, ovvero la rilevanza ed opponibilità di regolamenti che prevedano clausole che incidono sulla proprietà delle parti comuni. La sentenza è densa di riflessioni e spunti non solo per il giurista ma che possono essere di grande ausilio anche a colui che si trova sul campo ad amministrare.
La pronuncia tocca anche, per chi si occupa di processo, in maniera approfondita il regime delle preclusioni in appello, ovvero la possibilità di produrre e utilizzare nuovi documenti dopo la sentenza di primo grado, tema che non toccheremo in quanto di pertinenza meramente difensiva. Il processo prende origine da una impugnativa di delibera assembleare: “I.U.A. evocava, dinanzi al Tribunale di Roma, il Condominio via (omissis), nonché i singoli condomini del medesimo, ed impugnava la delibera assembleare del 17.12.2001 deducendo che in detta adunanza era stato approvato a maggioranza, con il suo voto contrario, regolamento di condominio che conteneva la costituzione di diritti su parti comuni dell’edificio in favore di alcuni condomini ed in danno di altri, come l’art. 3, lett. a) che statuiva “salvo l’uso esclusivo delle rampe dal piano terzo al piano attico” e l’ultima parte dell’art. 4 che sanciva “le rampe delle scale a partire dal pianerottolo degli appartamenti del piano quarto (attivo) saranno di uso esclusivo perenne del proprietario o dei proprietari degli appartamenti posti al piano quarto e con il diritto ad apporre una chiusura di sicurezza, con la possibilità, inoltre, di limitare l’accesso dell’ascensore all’ultimo piano”. Tanto premesso, chiedeva che fosse dichiarata nulla la predetta delibera assembleare ovvero, in subordine, che fossero dichiarate nulle le predette clausole del regolamento condominiale”.
Il Tribunale di Roma, in primo grado, dichiarava la nullità della delibera mentre la Corte d’appello, in totale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava inammissibile la domanda svolta in primo grado, affermando che “essendo l’impugnazione sostanzialmente volta all’accertamento della invalidità del regolamento condominiale approvato nella seduta del 17.12.2001, legittimato passivo non poteva essere il Condominio ma solo i singoli condomini e per l’effetto la domanda attorea andava dichiarata inammissibile nei confronti del Condominio, mentre la tempestività dell’impugnazione rispetto ai condomini discendeva dal fatto che veniva fatta valere azione di nullità del regolamento condominiale, non soggetta al termine decadenziale di cui all’art. 1137 c.c.”.
La corte capitolina, quale ulteriore argomentazione nel merito, osservava che “risultava vigere nel Condominio un regolamento contrattuale, predisposto dall’unico originario proprietario dell’edificio, che espressamente aveva escluso dall’uso comune le rampe di scala dal piano terzo al piano attico, riservandolo ad uso esclusivo e perenne del proprietario degli appartamenti posti al piano quarto, su cui gravava per intero l’onere di manutenzione, con il diritto di apporre una chiusura di sicurezza, con la possibilità di limitare l’accesso dell’ascensore all’ultimo piano, regolamento che del tutto superfluamente l’amministratore del Condominio, nell’intento di superare i contrasti insorti fra i condomini, aveva ritenuto di sottoporre all’approvazione dell’assemblea. Inoltre risultava dai singoli atti di compravendita stipulati dai vari condomini, che questi ultimi si erano impegnati all’osservanza del regolamento per sé e per i loro aventi causa”.
Il tema giunge in Cassazione dove, seppur con lettura che non si discosta dai canoni tradizionali ma che per l’amministratore può essere di particolare interesse pratico alla luce delle riflessioni svolte, si provvede a fornire risposta a numerosi quesiti di diritto che il ricorso sottende. Il primo attiene alla legittimazione processuale passiva dell’amministratore: “Dica la Suprema Corte se l’impugnativa della delibera assunta dall’assemblea dei condomini a maggioranza per la approvazione del regolamento di condominio che contenga disposizioni di natura condominiale debba essere esperita (anche) nei confronti dell’ente in persona dell’amministratore pro tempore ovvero soltanto nei confronti di tutti i singoli condomini”.
La risposta della Corte è secca, sintetica, chiara ed in linea con l’orientamento dominante: nei giudizi che hanno ad oggetto la censura di una delibera è sempre legittimato passivo anche l’amministratore “(è) pur vero che - come asserito dalla stessa ricorrente - sono stati evocati in giudizio sia il Condominio sia ciascun condomino in proprio, tuttavia va affermata la legittimazione passiva dell’Amministratore del Condominio tutte le volte che venga in rilievo, come nella specie, un vizio dell’atto assembleare (cfr Cass. 11 luglio 2012 n. 11757), o meglio la delibera di approvazione dell’ambito delle proprietà comuni“.
Il secondo quesito di diritto, sottoposto alla disamina della Corte, riguarda invece il tema specifico del regolamento “Dica la Suprema Corte se il regolamento di condominio edilizio predisposto unilateralmente dall’originario unico proprietario e contenente clausole limitative dei diritti su cose comuni, ma non risultante dai pubblici registri e nemmeno diversamente depositato o registrato con formalità e/o modalità di garanzia idonee a renderlo conoscibile dagli interessati e altresì non alterabile, per essere vincolante nei confronti dei vari acquirenti delle unità immobiliari site nel fabbricato condominiale debba da tutti questi ultimi essere specificamente accettato per iscritto ovvero, ove ritenuta sufficiente una accettazione mediante indicazione per relationem, debba comunque essere determinato ed indicato in modo chiaro ed inequivocabile”.
Il primo paletto che pone la Corte in ordine alla opponibilità e conoscibilità del regolamento contrattuale è che lo stesso debba concretamente esistere al momento in cui si costituisce il condominio e vengono stipulati i singoli atti di compravendita delle unità immobiliari. Non è sufficiente, alla scopo, l’impegno ad osservare un regolamento che verrà redatto successivamente: il principio recepisce un consolidato orientamento giurisprudenziale “l’obbligo genericamente assunto nei contratti di vendita delle singole unità immobiliari di rispettare il regolamento di condominio che contestualmente si incarica il costruttore di predisporre, come non vale a conferire a quest’ultimo il potere di redigere un qualsiasi regolamento, così non può valere come approvazione di un regolamento allo stato inesistente, in quanto è solo il concreto richiamo nei singoli atti di acquisto ad un determinato regolamento già esistente che consente di ritenere quest’ultimo come facente parte per relationem di ogni singolo atto”. La conoscibilità da parte dei condomini deriva inoltre dalla trascrizione del regolamento negli appositi registri previsti dal combinato disposto degli artt. 1129 e 1138 c.c. “deve aggiungersi che, come si desume dalla sentenza impugnata, il regolamento di cui si tratta era stato unicamente depositato presso lo studio notarile G. , diverso da quello che ha rogato la compravendita della I. , dott. D’.Lu. , e, quindi, non era stato nemmeno trascritto nell’apposito registro di cui all’art. 1129 c.c., u.c., secondo la previsione dell’art. 1138 c.c., comma 3, in modo da poter assolvere la funzione di pubblicità notizia per essere opponibile nei confronti di tutti i condomini”. Viene infine affrontato il passaggio cruciale: “la presunzione di proprietà condominiale sulle strutture essenziali all’esistenza dell’edificio, elencate nell’art. 1117 n. 1 c.c., come nella specie le scale, può essere superata soltanto da un titolo, proveniente da colui che ha costituito il condominio
ovvero da tutti i condomini successivamente, nel quale si affermi la proprietà esclusiva a favore del condomino, mentre la stessa presunzione non può essere superata dal concreto accertamento della destinazione delle suddette strutture all’uso esclusivo del singolo condomino (cfr in termini v. Cass. 24 febbraio 1999 n. 1568)”. La Corte affronta poi il terzo quesito di diritto sottoposto alla sua attenzione: “Dica la Suprema Corte se l’interesse ad agire previsto nell’azione di impugnativa di delibera condominiale ovvero di regolamento condominiale ricorra senza particolari oneri probatori nel caso in cui si censurino di nullità clausole costitutive di diritti su parti comuni in favore di alcuni soltanto dei condomini ed in danno dei diritti di comunione degli altri o se invece debba fornirsi la prova concreta dei pregiudizi adottati”.
Ovvero: chi impugna determinate clausole del regolamento che assume in contrasto con i propri diritti deve anche dimostrare l’esistenza di un particolare pregiudizio oppure ha interesse ad ottenere dal giudice una sentenza che ne accerti la nullità anche senza dover dimostrare che quelle clausole gli procurano un effettivo danno? La risposta fornita dalla Suprema Corte chiarisce che non è necessario che chi impugna fornisca anche prova del proprio interesse ad agire per l’esistenza di un danno concreto in quanto l’interesse a promuovere la causa è già integrato dal fatto stesso di vedere censurate le clausole regolamentari viziate: “l’interesse ad agire di un condomino per la rimozione di una deliberazione contraria alla legge o al regolamento di condominio, oltre a sostanziarsi nell’utilità di ciascun condomino allo svolgimento secondo regola delle relazioni condominiali, è costituito proprio dall’accertamento dei vizi da cui è affetta la deliberazione (v. Cass. n. 17276 del 2005; Cass. n. 4270 del 2001 e Cass. n. 2912 del 1997)”.
L’ulteriore quesito di diritto su cui si pronuncia la Corte riguarda la tempestività della impugnazione rispetto al termine di trenta giorni previsto dall’art. 1137 c.c. “Dica la Corte Suprema se, essendo nella specie unicamente legittimati passivamente i condomini uti singuli, possa valere ai fini della tempestività della impugnazione del regolamento condominiale, ex artt. 1138 e 1107 c.c., la notifica all’amministratore del condominio, carente di legittimazione passiva”. La risposta fornita dalla Suprema Corte dovrebbe essere nota a chiunque abbia frequentato almeno un paio di lezioni del corso di formazione iniziale per amministratore: “La delibera all’origine dell’attuale controversia, adottata in data 17 dicembre 2001, deve considerarsi nulla, perché non rientra nei poteri dell’assemblea, deliberando a maggioranza, stabilire l’ambito delle rispettive proprietà, determinando i beni di proprietà esclusiva rispetto a quelli di proprietà comune, potendo tale previsione essere inserita soltanto in un (valido) regolamento contrattuale, approvato all’unanimità (Cass. 18 maggio 2011 n. 10929)”. Infine, l’ultimo quesito di diritto sottoposto al giudizio della Cassazione: “Dica la Corte Suprema se sia valida o meno l’approvazione a maggioranza di un regolamento condominiale ai sensi degli artt. 1138 e 1136 c.c., e ciò poiché l’art. 1138 c.c. non menziona, tra gli articoli di legge che non possono comunque essere derogati dal regolamento, l’art. 1117 c.c.”.
La risposta elaborata dalla Corte, nella sua chiarezza ed esaustività è da manuale e serve all’associato a ripercorrere un concetto essenziale nella interpretazione e utilizzazione dei regolamenti secondo un orientamento ormai consolidato: “Nell’ambito dei regolamenti condominiali vanno distinte le clausole con contenuto tipicamente regolamentare dalle clausole contrattuali le quali devono essere approvate all’unanimità. È fuori discussione che una clausola, che limita ad un determinato uso un immobile escludendo gli altri possibili, costituisce limitazione del diritto di proprietà. Pertanto le norme del regolamento condominiale, che incidono sull’utilizzabilità e sulla destinazione delle parti dell’edificio, in particolare sullo stato giuridico di una cosa comune, come nella specie le scale, hanno carattere convenzionale e, se predisposte dall’originario proprietario dello stabile, debbono essere accettate dai condomini nei rispettivi atti di acquisto ovvero con atti separati, e, se invece deliberate dall’assemblea condominiale, debbono essere approvate all’unanimità (cfr. tra le tante, Cass. 11 febbraio 1977 n. 621). E, non potendo formare oggetto di decisione assembleare a maggioranza, sono assolutamente nulle le deliberazioni delle assemblee condominiali lesive dei diritti di proprietà comune. Ciò posto, non vi è dubbio che la clausola (del regolamento condominiale approvato dall’assemblea a maggioranza) che destina alla proprietà esclusiva dei proprietari dell’appartamento posto al piano terzo ed attico dello stabile le scale di collegamento fra i due piani, costituisce “di per sé” lesione del diritto di proprietà comune dei condomini, comprimendo in maniera eccessiva e ingiustificata l’esercizio di facoltà connesse all’uso o al godimento delle parti comuni dell’edificio - divieto di accedere in una parte delle scale - escludendo alcune destinazioni dall’uso che avrebbe potuto altrimenti farsi della cosa comune”. Una sentenza che è un lungo viaggio all’interno del fenomeno condominio e che contiene innumerevoli spunti di riflessione giuridica e pratico-applicativa. E che impone anche una riflessione assai più prosaica: spesso i condomini e i loro difensori potrebbero essere decisamente più essenziali nella proposizione di questioni che da tempo hanno trovato unanime risposta di legittimità evitando di produrre contenzioso di tal natura!
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