mercoledì 5 agosto 2015

Il vicino di casa, rivelatosi stalker, che si comporta uti dominus anzichè uti condominus

Il reato de quo ha natura plurioffensiva, poiché tutela l’integrità psico-fisica, la tranquillità psichica e la libertà di autodeterminazione, e lo stalker è colui che, con condotte reiterate, provochi, in via alternativa, i tre distinti eventi naturalistici sopra indicati.

“A quello, prima o poi gli sparo”: a quanti di noi, talvolta, non è venuto in mente tale insano pensiero, rivolto al vicino di casa che sporca il cortile con gli escrementi del cane, che parcheggia il suv in modo tale da impedire l’ingresso nel garage, che suona la batteria durante le ore dedicate al riposo, che cammina con gli zoccoli anche a notte inoltrata, che sciorina i panni incurante delle cose che cascano, che lascia la televisione accesa anche quando esce, e quant’altro?
Purtroppo, quando tali situazioni, quasi fisiologiche della vita in condominio, vengono portate all’eccesso e all’esasperazione laddove invece buon senso, educazione e civiltà dovrebbero prevalere succede che si passa alle vie di fatto, alla giustizia fai-da-te, con altrettanti dispetti, ripicche, ritorsioni, per arrivare persino a vere e proprie “sparatorie”. E’ cronaca di questi giorni di alcune liti condominiali trasformatesi in fatti di sangue, con morti e feriti, in cui il condomino, stanco di subire, è andato alla controffensiva, anche perché probabilmente disilluso sul possibile intervento risolutore della magistratura nei confronti di questi mini-abusi, oltre modo difficili da accertare, prevenire, inibire e sanzionare.
Sempre da notizie di stampa, dal lato della vittima delle vessazioni ma senza che quest’ultima desse sfogo ad improprie forme di autotutela, si è venuto a sapere che il Tribunale penale di Genova, con la recente sentenza del 23 aprile 2015 di cui, al momento della redazione di queste brevi note, non è stata ancora depositata la motivazione ha condannato un condomino per stalking, una figura penale di nuovo conio, concepita per le convivenze familiari, ma applicabile anche all’àmbito condominiale, dove esiste un’altra tipologia di convivenza, per così dire forzata, all’interno dell’edificio urbano.
La vicenda registrava piccole, insistenti, destabilizzanti torture psicologiche e persecuzioni quotidiane, subite, per ben quattro anni, da una giovane coppia ad opera del vicino di casa, concretatesi in condotte di vario genere: insulti verbali, ripetuti colpi di bastone e di trapano alle pareti, musica rock nel cuore della notte, spazzatura varia gettata dal balcone, sentirsi osservati dalla finestra, minacce al figlio (“la pagherà”), procurati allarmi non veritieri, e via dicendo. Tali vessazioni risultavano alimentate da banali pretesti, come l’uso contestato del giardinetto o un diverbio sulla canna fumaria, ma era chiaro che fossero solo dei pretesti per coltivare l’odio verso i vicini. Tuttavia, al fine di sopravvivere a tale stato di angoscia, ansia e terrore (provato anche dai referti medici), la famiglia era stata costretta a trasferirsi in un seminterrato, a limitare i movimenti, a
cambiare abitudini, a farsi accompagnare a casa, ad azzerare la vita di relazione. Finalmente, il giudice ligure ha condannato il responsabile del suddetto “martirio” psicologico a quattro mesi di reclusione, più il risarcimento danni, per “stalking condominiale”, dove appunto lo stalker non è il marito nei confronti della moglie o il disperato fan nei confronti della sua beniamina, ma appunto il dirimpettaio, il signore della porta accanto, l’inquilino del piano di sopra. In proposito, appare opportuno rammentare che l’art. 612-bis cod. pen. punisce, a titolo di “atti persecutori”, chi, con condotte reiterate, minacci o molesti taluno, in modo da cagionare un suo perdurante stato di paura o di ansia, o un suo fondato timore di pericolo per l’incolumità propria o di persone prossime, oppure la costrizione ad alterare le proprie abitudini di vita. Si tratta di una nuova fattispecie criminosa, introdotta nel nostro ordinamento in forza dell’art. 6 del decreto-legge 23 febbraio 2009 n. 11, convertito dalla legge 23 aprile 2009 n. 38; antecedentemente, il legislatore codicistico non aveva offerto un’efficace misura (anche preventiva) a fronte di reiterati atti persecutori nei confronti della persona offesa; in particolare, le condotte moleste di cui all’art. 660 c.p. venivano sanzionate solo se correlate a disturbi arrecati, ad un dato soggetto, in un luogo pubblico o aperto al pubblico (o tramite telefono), mentre le altre fattispecie criminose si rivelavano inadeguate a reprimere un comportamento continuo ed assillante, come è lo stalking. 
Il reato de quo ha natura plurioffensiva, poiché tutela l’integrità psico-fisica, la tranquillità psichica e la libertà di autodeterminazione, e lo stalker è colui che, con condotte reiterate, provochi, in via alternativa, i tre distinti eventi naturalistici sopra indicati.
Rimane salvo, ovviamente, che “il fatto non costituisca più grave reato”, come, ad esempio, nell’ipotesi di maltrattamenti in famiglia o verso fanciulli, di violenza sessuale, ecc.; in questa prospettiva, il delitto di lesioni personali (art. 590 c.p.) potrebbe concorrere con il delitto di atti persecutori, che assorbe solo quei comportamenti, ripetuti ed insistenti, che non siano ancora tali da integrare i (più gravi) reati contro la vita o l’incolumità personale, sebbene siano idonei a fondare un giustificato timore per tali beni.
La condotta tipica si concretizza in minaccia e molestia, intendendo, per la prima, la prospettazione di un male futuro, e, per la seconda, l’alterazione, in modo fastidioso o inopportuno, dell’equilibrio psico-fisico di una persona normale; tali condotte sono caratterizzate dalla loro reiterazione nel tempo, essendo irrilevante che i comportamenti siano omogenei tra loro.
I giudici di legittimità hanno prontamente perimetrato, in termini generali, i contorni della suddetta new entry nel nostro sistema penalistico. Innanzitutto, riguardo al diritto intertemporale, si è chiarito che é configurabile il delitto di atti persecutori (c.d. stalking) nell’ipotesi in cui, pur essendo la condotta persecutoria iniziata in epoca anteriore all’entrata in vigore della norma incriminatrice, si accerti la commissione reiterata, anche dopo la vigenza del decreto-legge n. 11/2009 di atti di aggressione e di molestia idonei a creare nella vittima lo status di persona lesa nella propria libertà morale, in quanto condizionata da costante stato di ansia e di paura (v. Cass., sez. V, 8 maggio 2014, n. 18999; Cass., sez. V, 6 marzo 2013, n. 10388).
Sotto il profilo della condotta incriminata, si è puntualizzato che sono idonee a costituire la reiterazione richiesta dalla norma incriminatrice anche due sole condotte di minaccia o di molestia (v. Cass., sez. V, 20 novembre 2013, n. 46331); per contro, essendo reato necessariamente abituale, non è configurabile in presenza di un’unica, per quanto grave, condotta di molestie e minaccia, neppure unificando o ricollegando la stessa ad episodi pregressi oggetto di altro procedimento penale, atteso il divieto di bis in idem (v. Cass., sez. V, 20 novembre 2014, n. 48391).
Peraltro, ai fini della rituale contestazione del delitto di stalking (reato “abituale”), non si richiede che
il capo di imputazione rechi la precisa indicazione del luogo e della data di ogni singolo episodio nel quale si sia concretato il compimento di atti persecutori, essendo sufficiente a consentire un’adeguata difesa la descrizione in sequenza dei comportamenti tenuti, la loro collocazione temporale di massima e gli effetti derivatine alla persona offesa (v. Cass., sez. V, 15 dicembre 2013, n. 7544).
Comunque, il delitto delineato dall’art. 612-bis cod. pen. è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo, sicché, ai fini della sua configurazione, non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità (v. Cass., sez. V, 26 luglio 2011, n. 29872; Cass., sez. V, 21 settembre 2010, n. 34015).
Sul versante della prova dell’evento del delitto, si è precisato che, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, la stessa va ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psi cologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando sia la sua astratta idoneità a causare l’evento, sia il suo profilo concreto riguardo alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (v.Cass., sez. VI, 3 dicembre 2014, n. 50746; Cass., sez. VI, 14 maggio 2014, n. 20038; Cass., sez. V, 17 giugno 2014, n. 41040, aggiungendo che l’attendibilità delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dal fatto che, all’interno del periodo di vessazione, la moglie avesse avuto “transitori momenti di benevola rivalutazione del passato e di desiderio di pacificazione” non il marito persecutore; cui adde, Cass., sez. V, 4 febbraio 2015, n. 5313, secondo cui è irrilevante la situazione di “attenuazione del malessere” in cui la persona offesa dal reato aveva ripristinato il dialogo con il persecutore).
In proposito, ai fini della prova dello stato di ansia o di paura denunciato dalla vittima del reato, il giudice non deve necessariamente fare ricorso ad una perizia medica, potendo egli argomentare la sussistenza degli effetti destabilizzanti della condotta dell’agente sull’equilibrio psichico della persona offesa, anche sulla base di massime di esperienza (v. Cass., sez. V, 8 maggio 2014, n. 18999, la quale ha ritenuto congrua la motivazione della sentenza impugnata fondata sulla diagnosi del medico di famiglia e sull’accertato uso di ansiolitici per alcuni mesi).
Molto singolare si è rivelata, inoltre, la fattispecie risolta dalla V Sezione Penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 20895 del 25 maggio 2011, che - a quanto consta - costituisce il primo intervento nella configurarazione del reato di atti persecutori di cui all’art. 612-bis c.p. nell’àmbito condominiale.
Il fatto registrava un condomino (lo stalker), il quale aveva molestato e minacciato alcune proprietarie di appartamenti nello stesso edificio in cui abitava: più nel dettaglio, una era stata offesa tanto da doversi trasferire per timore a casa della madre, un’altra era stata minacciata di morte, un’altra ancora era stata bloccata nell’ascensore in cui era salita per sfuggirgli, un’altra ancora aveva subìto il distacco dell’energia elettrica, ed analoghe condotte erano state perpetrate nei confronti di altre coabitanti. In primo grado, il tribunale aveva condannato tale condomino a due anni di reclusione, per atti persecutori (art. 612-bis c.p.), violenza privata (art. 610 c.p.), minaccia (art. 612 c.p.) ed ingiuria (art. 594 c.p.).Con l’appello, il condomino aveva invocato l’assoluzione dai reati suindicati, perché talune condotte, valutate dal giudice di prime cure, risalivano al 2007 e per esse vi era già stata condanna, e perché l’esame doveva limitarsi ai fatti successivi all’entrata in vigore dell’art. 612-bis c.p. - 25 febbraio 2009 - sicché si confinava ai soli due episodi successivi alla pubblicazione del decretolegge n. 11/2009, che dovevano valutarsi separatamente per ciascuna persona offesa.
La corte territoriale aveva accolto l’appello relativamente ai fatti di minaccia ed ingiuria nei confronti di una condomina, in ordine ai quali l’offesa aveva rimesso la querela; aveva ritenuto la non punibilità ex art. 612-bis c.p. delle condotte precedenti l’entrata in vigore della norma (chiusura in ascensore, distacco della corrente elettrica) quanto ad altra condomina, seppure punibili ai sensi dell’art. 610 c.p.; nonché aveva ritenuto che costituissero unico reato di cui all’art. 612-bis c.p. lecondotte dell’imputato offensive delle persone di sesso femminile abitanti nello stesso stabile.
Lo stesso condomino era ricorso in cassazione, lamentandosi circa il confinamento dei fatti costitutivi di reato e la necessità di rapportare ciascuna condotta di stalking alla singola persona offesa; osservando che, nel caso di una condomina, il primo episodio precedeva la norma incriminatrice, sicché residuava solo quello in danno di sua figlia, seguita per istrada; rilevando, nel caso dell’altra condomina, che i due episodi, di ingiuria e deterioramento della porta, escludevano che si configurassero condotte reiterate; nel caso di una, si trattava di due episodi di ingiuria e uno di danneggiamento, non costitutivi di condotte violente o aggressive tali da rapportarsi alla fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p., mentre l’inseguimento dell’altra era da considerarsi fortuito; sostenendo, infine, l’esclusione della procedibilità laddove la querela non fosse stata presentata.
Come sopra evidenziato, la nuova legge n.38/2009 si applica solo ai fatti commessi dopo la sua entrata in vigore, ma la preclusione per i fatti anteriori concerne l’evento da cui dipende l’esistenza del reato; ne consegue - secondo gli ermellini - che il giudice di appello si sarebbe dovuto domandare se la reiterazione di atti minatori e molesti, nei confronti di persona già offesa da atti dello stesso genere, attuata dopo l’entrata in vigore della norma, integrasse gli estremi del reato, laddove il mancato rilievo ha avuto in concreto incidenza non per escludere il reato, bensì la continuazione, perché la corte d’appello aveva unificato la posizione degli offesi offrendo la lettura suindicata della norma, travisando che gli offesi fossero più d’uno.
E’ stato, quindi, osservato che la locuzione “condotte reiterate” vuol dire che si è in presenza di reato complesso, la cui “condotta criminosa”, cioè l’azione od omissione di cui è conseguenza l’evento da cui dipende l’esistenza del reato (art. 660 c.p.) è - nel caso di specie - integrata da atti per sé costitutivi di condotte di minaccia o molestia; pertanto, il carattere decisivo della condotta criminosa consiste nella ripetizione di atti qualificati “persecutori”, in quanto il loro insieme cagiona l’evento ulteriore assorbente del reato de quo.
ll meno grave degli atti previsti integra contravvenzione di “molestia o disturbo alle persone”, ma si tratta di reato di “sbarramento” (art. 660 c.p.), assorbibile, ad esempio, dall’ingiuria, perciò letteralmente dalla progressiva minaccia di un male ingiusto (art. 612 c.p.); ma già il rilievo della funzione di sbarramento della molestia consente di intendere che la dizione “minaccia o molesta taluno” non implica che ogni atto costitutivo della condotta criminosa dell’art. 612-bis c.p. debba avere ad oggetto la stessa persona. Infatti, la minaccia rivolta ad una persona può coinvolgerne altre o comunque costituirne molestia: si pensi al caso di colui che minacci abitudinariamente qualsiasi persona attenda ogni mattino nel luogo solito un mezzo di trasporto per recarsi al lavoro, perché la minaccia, in tal caso, assorbe bensì la molestia nei confronti della persona cui è rivolta, ma non la molestia arrecata alle altre persone presenti.
Perciò, può essere decisivo, ai fini dell’art. 612-bis c.p., che, in diversa occasione, altra persona, già molestata, sia oggetto diretto di nuova molestia da parte dell’agente.
E’, dunque, ineludibile - ad avviso del Supremo Collegio - l’implicazione che l’offesa arrecata ad una persona per la sua appartenenza ad un genere turbi per sé ogni altra che faccia parte dello stesso genere; e se la condotta è reiterata indiscriminatamente contro talaltra, perché vive nello stesso luogo privato, sì da esserne per questa ragione occasionale destinataria come la precedente persona minacciata o molestata, il fatto genera all’evidenza il turbamento di entrambe.
Nella fattispecie in esame, la molestia e, ancor più, la minaccia, vieppiù se accentuata da costrizione, è dimostrata rivolta occasionalmente per la stessa ragione a ciascuna delle persone offese; perciò, il giudice del gravame ha dato corretto rilievo alla direzione collettiva indiscriminata della minaccia occasionalmente rivolta ad una condomina, che si era fatta accompagnare dal sacerdote per dissuaderlo dal reiterare fatti già commessi anche nei confronti di altre persone abitanti nello stesso edificio, e, quindi, ha incensurabilmente ritenuto che le singole condotte, in quanto ripetute nei confronti di donne di qualsiasi età conviventi nell’edificio - v. il ripetuto arresto dell’ascensore dello stabile, dopo che l’una o l’altra vi si era immessa per sfuggire allo stesso autore dei fatti, ben più del seguirne ostentatamente taluna - le coinvolgesse tutte. Analizzando la fattispecie sottoposta al vaglio dei giudici di legittimità, la novità va individuata nel fatto che è stato configurato il reato di stalking non necessariamente in atti persecutori nei confronti della stessa persona (nel caso concreto, il condomino, affetto probabilmente da una sindrome maniacale, aveva “messo in croce” alcune condomine del suo stesso stabile).
In altri termini, i giudici di Piazza Cavour affermano, al riguardo, un nuovo principio, secondo cui la minaccia o/e la molestia arrecata ad una persona, per la sua appartenenza ad un “genere”, turba ogni altra che faccia parte dello stesso. Qualora la condotta venga reiterata in presenza di altre persone, che sono destinatarie occasionali degli atti persecutori, il fatto provoca il turbamento e l’ansia anche di queste e non solo quello della vittima diretta dello stalker: il suddetto principio ha trovato la sua applicazione nell’àmbito condominiale, in quanto le persone abitavano nello stesso edificio ed appartenevano allo stesso “genere” femminile. Per completezza, va ricordato che l’art. 612-bis c.p. contempla, poi, due aggravanti, rispettivamente, se il fatto è commesso dal coniuge legalmente separato o divorziato, o da persona che sia stata legata da una relazione affettiva, nonché se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di un disabile, oppure con armi o da persona travisata.
Si prevede, altresì, l’ammonimento di cui all’art. 8 della legge n. 38/2009, nel senso che la vittima, la quale non abbia ancora proposto querela nei confronti dello stalker, può rivolgersi all’autorità di pubblica sicurezza e chiedere che il Questore appunto “ammonisca” il persecutore “invitandolo a tenere una condotta conforme alla legge”; in caso di persistenza nell’atteggiamento, il reato diverrà perseguibile d’ufficio e la pena sarà aumentata.


di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore presso la Corte di Cassazione

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