mercoledì 5 agosto 2015

L’ascensore è di tutti?

Le spese dell’ascensore possono riguardare solo alcuni condomini ma l’impianto è di proprietà comune a tutti i condomini


Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 maggio–14 luglio 2015, n.14697Presidente Mazzacane – Relatore Picaroni

Una massima laconica per un principio cardine. L’impianto di ascensore, anche quando delle spese si gravano solo i condomini che lo usano rimane un impianto di proprietà comune. La vicenda ha origine in terra ligure ed è interessante esaminare le premesse in fatto, poiché rappresentano accadimenti che sono frequenti nella vita professionale di ogni associato: “Il condomino N.A. aveva agito contro il Condominio per l’annullamento della delibera 7 luglio 1994, nella parte in cui - per quanto ancora di interesse - recava l’approvazione dell’esecuzione di un intervento di ristrutturazione dell’ascensore, essendo stata adottata con la partecipazione dei soli condomini proprietari degli appartamenti situati dal primo all’ultimo piano dell’edificio, con esclusione dei proprietari del piano ammezzato e dei negozi. Il Condominio aveva contestato la domanda, evidenziando che l’ascensore era sempre stato al servizio dei soli appartamenti situati al di sopra del piano ammezzato, ed apparteneva soltanto ai proprietari dei predetti immobili. Il Tribunale aveva rigettato la domanda. Proposto appello dal sig. N., cui resisteva il Condominio, la Corte territoriale ribaltava la decisione sul rilievo che l’intervento in oggetto non riguardava semplicemente la manutenzione degli ascensori ciò che avrebbe giustificato l’intervento dei soli condomini che ne usufruivano ma era finalizzato alla conservazione della cosa comune e quindi doveva essere approvato con la partecipazione di tutti i condomini”.

Tre sono i quesiti di diritto posti all’esame della Suprema Corte:

  1. “[se,] qualora un impianto sito in un condominio (nel caso di specie un ascensore) sia di proprietà solo di alcuni condomini, è solo a questi ultimi che competono tutte le decisioni in merito a tale impianto, cosi come le relative spese, applicandosi in tal caso la normativa sulla comunione (artt. 1104, 1105 e ss. c.c.)”; b) “[se,] i beni indicati al n. 3) dell’art. 1117 c.c. devono intendersi comuni a tutti i condomini solo in quanto e a condizione che siano all’effettivo servizio di tutte le unità immobiliari di cui si compone il condominio, con  inversione dell’onere della prova sul punto rispetto ai beni elencati ai nn. 1)
  2. di detta norma”. Una pronuncia che riguarda vicende assai frequenti: “S.A. proponeva opposizione, innanzi al Giudice di Pace di Roma, avverso il decreto ingiuntivo n. con cui, su istanza del condominio di via S. di Roma, gli veniva ingiunto il pagamento della somma di euro. A titolo di quota di spettanza per lavori di rifacimento dell’impianto fognario comune. L’opponente deduceva che il proprio locale rimessa sottostante l’edificio condominiale era dotato di un proprio impianto fognario autonomo “a dispersione”. L’adito Giudice di prime cure rigettava la proposta opposizione al detto D.I. con condanna alle spese di lite”;
  3. “[se] le opere di conservazione delle scale e, ragionando per analogia, dell’ascensore devono essere deliberate e pagate dai soli condomini cui servono, come dispone l’art. 1124 c.c. o da tutti i condomini”.
L’interpretazione fornita dalla Suprema Corte è di sicuro interesse: in assenza di apposita convenzione l’impianto è comune a tutti e il criterio di cui all’art. 1124 c.c. attiene alla mera riparazione delle spese e non alla proprietà del bene. Afferma la corte che “La sentenza impugnata ha
fatto corretta applicazione del principio secondo cui la proprietà dell’ascensore è comune a tutti i condomini, salvo titolo diverso, e che il criterio di ripartizione delle relative spese contenuto nell’art. 1124 c.c. non incide sul regime di proprietà. Non hanno costituito oggetto di esame da parte della Corte d’Appello né la questione dell’esistenza o non, nel caso di specie, di una deroga convenzionale alla disciplina legale, e quindi anche alla c.d. presunzione di proprietà comune, sancita dall’art. 1117 c.c., né la questione della destinazione effettiva del bene, con le necessarie implicazioni, in termini di accertamento di fatto (l’ascensore, come le scale, serve a raggiungere parti dell’edificio che possono essere comuni in proprietà individuale), e la sentenza d’appello non è censurata per omesso esame delle predette questioni. In questa prospettiva si deve leggere il richiamo conclusivo operato dal giudice d’appello alla sentenza di questa Corte n. 4975 [rectius n. 5975] del 2004, in tema di criteri di riparto delle spese riguardanti la manutenzione, ricostruzione e installazione dell’ascensore. La pronuncia citata, dopo aver ribadito che la disciplina contenuta negli artt. 1123-1125 c.c., sul riparto delle spese inerenti ai beni comuni, è suscettibile di deroga con atto negoziale e, quindi, anche con il regolamento condominiale che abbia natura contrattuale, ha affermato che “deve ritenersi legittima non solo una convenzione che ripartisca tali spese tra i condomini in misura diversa da quella legale, ma anche quella che preveda l’esenzione totale o parziale per taluno dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese medesime. In quest’ultima ipotesi, nel caso cioè in cui una clausola del regolamento condominiale stabilisca in favore di taluni condomini l’esenzione totale dall’onere di contribuire a qualsiasi tipo di spese (comprese quelle di conservazione), in ordine a una determinata cosa comune (come ad es. l’ascensore), si ha il superamento nei riguardi della suddetta categoria di condomini della presunzione di comproprietà su quella parte del fabbricato”. In assenza di siffatta previsione contrattuale, la proprietà comune del bene impone la partecipazione di tutti i condomini alle decisioni che concernono detto bene.

IL CONCETTO DI CONDOMINIALITA’ LE RELATIVE TUTELE AGEVOLATE

Il condominio (o, come nella specie, i condomini che avevano notificato l’originario atto di citazione) non deve dare piena prova della proprietà di un bene ex art. 1117 c.c. in quanto è sufficiente per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini in rapporto con queste da accessorio a principale (fattispecie relativa a spazi nel sottotetto).

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 marzo–28 luglio 2015, n.15929Presidente Oddo–Relatore Falaschi

La condominialità di un bene: è noto che la giurisprudenza ha da sempre ritenuto che colui che agisce per la rivendica di un bene assumendosene proprietario deve finire una sorta di prova diabolica circa la provenienza dello stesso. La Suprema Corte ritiene tuttavia, da qualche tempo, che quando il bene sia condominiale, tale caratteristica possa essere desunta da una serie di circostanze che lo qualificano come tale. Le vicende hanno ad oggetto un sottotetto, come emerge dalla descrizione del fatto contenuta nella sentenza: “Con atto di citazione notificato il 17 maggio 2002 P.A. ed D.C.E. , in qualità di condomini dello stabile di via (omissis), evocavano, dinanzi al Tribunale di Milano, F.A. chiedendo l’accertamento della proprietà condominiale di un vano adibito a bagno e di una porzione di corridoio siti nel sottotetto dell’immobile ed occupati dalla convenuta, con condanna della stessa al rilascio di detti beni e al risarcimento dei danni. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta che chiedeva l’accertamento della sua proprietà esclusiva sulle porzioni immobiliari de quibus in forza del suo titolo di acquisto del 1972 e comunque per utilizzo indisturbato degli stessi, il giudice adito, respingeva la domanda attorea. In virtù di rituale appello interposto dai medesimi P. - D.C. , la Corte d’Appello di Milano, nella resistenza dell’appellata, accoglieva il gravame e per l’effetto, in riforma della decisione impugnata, condannava la F. e per essa i suoi eredi alla restituzione dei beni. La sentenza compie ampia disamina sulla sussistenza o meno della necessità di estendere il contraddittorio a tutti i condomini, escludendo che ciò debba avvenire quando il convenuto oppone una semplice eccezione di usucapione in luogo di domanda riconvenzionale, con ciò allineandosi alla più recente giurisprudenza sul punto. Ciò che interessa è invece il quesito di diritto posto alla Corte sul tema della titolarità del bene e sull’azione di rivendica: “Chi agisce in rivendicazione ex art. 948 c.c., quando il convenuto opponga un proprio autonomo diritto sulla cosa posseduta che non presuppone l’originaria appartenenza dello stesso all’attore o al dante causa dell’attore, deve provare la sussistenza della sua proprietà o comproprietà sulla cosa fino all’acquisto a titolo originario ovvero dimostrando il compimento dell’usucapione?”.
Le riflessioni di diritto svolte sul punto sono di grande interesse: “Al riguardo questa Corte ha ribadito che “... costituisce valutazione in fatto, sottratta al giudizio di legittimità ove adeguatamente motivata, l’accertamento da parte del giudice di merito relativo al fatto che un determinato bene, per la sua struttura e conformazione e per la funzione cui è destinato, rientri tra quelli condominiali oppure sia di proprietà esclusiva di uno dei condomini...” (così Cass. 16 febbraio 2004 n. 2943). Nella fattispecie, la Corte di Milano, ha invero correttamente considerato che dal regolamento condominiale, in particolare dall’art. 4 lett. e) contenente la descrizione delle parti comuni, i cespiti in questione (il corridoio di accesso alla soffitta di proprietà della F. ed il bagno) costituivano pertinenza del locale condominiale a disposizione del portinaio, collocato proprio nel sottotetto, in zona limitrofa al bagno. Del resto la circostanza aveva trovato conferma nelle dichiarazioni rese dal teste R. , già proprietario di appartamento sito nello stabile, il quale ricordava di un bagno nel sottotetto utilizzato dal custode dell’epoca che aveva sempre nel sottotetto un locale a disposizione. La Corte territoriale si è dunque conformata alla giurisprudenza di questa Corte secondo cui per stabilire se un’unità immobiliare situata in un condominio è comune, ai sensi dell’art 1117 c.c., n. 2, perché destinata ad alloggio del portiere, il giudice del merito deve accertare se all’atto della costituzione del Condominio, come conseguenza dell’alienazione dei singoli appartamenti da parte dell’originario proprietario dell’intero fabbricato, vi è stata tale destinazione, espressamente o di fatto. Peraltro ha ancora puntualmente rilevato il giudice a quo che “il titolo di acquisto del 1972 della signora F., riconducibile al comune dante causa, non indica fra le parti oggetto di compravendita né il corridoio né il locale gabinetto siti nel sottotetto (...), in quanto si limita a disporre dell’appartamento posto al primo piano della casa sita in (…) composto di sei vani con annessi soffitta e cantina”, per cui non risulta alcuna espressa riserva di proprietà, né una tale riserva può indirettamente desumersi dal contesto degli stessi. Lo stesso giudicante ha poi ritenuto irrilevante una planimetria non allegata, né richiamata nell’atto di compravendita, di cui erano incerti la provenienza ed il contenuto, aderendo alla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui “...per vincere in base al titolo la presunzione legale di proprietà comune delle parti dell’edificio condominiale indicate nell’art. 1117 c.c., non sono sufficienti il frazionamento - accatastamento, e la relativa trascrizione, eseguiti a domanda del venditore costruttore, della parte dell’edificio in questione, trattandosi di atto unilaterale di per sé inidoneo a sottrarre il bene alla comunione condominiale, dovendosi riconoscere tale effetto solo al contratto di compravendita, in cui la previa delimitazione unilaterale dell’oggetto del trasferimento sia stata recepita nel contenuto negoziale per concorde volontà dei contraenti” (Cass. 23 febbraio 2001 n. 2670)”. L’amministratore potrà tenere bene a mente la riflessione finale che la corte svolge sul punto che condensa, con chiarezza, la peculiarità della natura condominiale di un bene e delle azioni a sua tutela: “A questo riguardo, non appare inutile ricordare che, questa Corte ha stabilito che, “... per tutelare la proprietà di un bene appartenente a quelli indicati dall’art. 1117 c.c. non è necessario che il Condominio dimostri con il rigore richiesto per la re ivindicatio la comproprietà del medesimo, essendo sufficiente, per presumerne la natura condominiale, che esso abbia l’attitudine funzionale al servizio o al godimento collettivo, e cioè sia collegato, strumentalmente, materialmente o funzionalmente con le unità immobiliari di proprietà esclusiva dei singoli condomini, in rapporto con queste da accessorio a principale, mentre spetta al condomino che ne afferma la proprietà esclusiva darne la prova” (Cass. 1 dicembre 2000 n. 15372)”.

LA PROPRITA' ESCLUSIVA RICHIEDE INVECE PROVA RIGOROSA E FORMALE

La presunzione di condominialità del lastrico solare può essere vinta solo esibendo un titolo di proprietà idoneo. Ai fini della dimostrazione della proprietà del terrazzo è del tutto irrilevante la circostanza che ad esso si possa accedere esclusivamente dalla proprietà privata di un unico soggetto.
A maggior ragione se l’accesso avviene attraverso un appartamento appartenente ad un altro corpo di fabbrica.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 24 marzo–4 agosto 2015, n.16367Presidente Oddo–Relatore Falaschi

La sentenza appare perfetto contraltare a quella precedente. Se il concetto di condominialità e il suo accertamento sono assistiti da una ampiezza nella prova che si allontana dai termini rigorosi della rivendicazione prevista dall’art. 948 c.c., così non è nel caso opposto: il singolo che intende provare la proprietà esclusiva di un bene destinato al servizio comune e vincere la presunzione di condominialità derivante dall’art. 1117 c.c. deve dare prova rigorosa e formale.
I fatti e lo svolgimento processuale: “il Condominio di via F.T. n. 96 - Roma evocava, dinanzi al Tribunale di Roma, M.F. (condomina di via T. n. 102) per sentire accertare l’indebita annessione alla proprietà esclusiva della convenuta di una contigua porzione di lastrico solare condominiale della superficie di mq. 35.50, con conseguente emissione dell’ordine di immediato rilascio e con ripristino dell’originario stato dei luoghi illegittimamente alterato. Instaurato il contraddittorio, nella resistenza della convenuta, intervenuta M.P.M., che spiegava domanda nei confronti della F., il giudice adito, dichiarato inammissibile l’intervento, respingeva la domanda attorea. In virtù di rituale appello interposto dal medesimo Condominio, la Corte d’Appello di Roma, nella resistenza della appellata, accoglieva il gravame e in riforma della decisione di prime cure, condannava l’appellata alla restituzione della porzione di lastrico solare di proprietà del Condominio di via T. n. 96.”. Il quesito di diritto formulato in sede di ricorso di legittimità: ” Dica la Suprema Corte se può essere applicata la presunzione di cui all’art. 1117 c.c. circa l’appartenenza del lastrico solare alle parti comuni dell’edificio in presenza di titolo contrario costituito da atto pubblico di compravendita e corredato da planimetrie catastali che qualificano il bene alienato come un unicum di proprietà esclusiva di un solo soggetto”. Il ricorso è stato respinto, fornendo ampia motivazione che suggerisce al lettore interessanti spunti di riflessione - sottolineanti - sulla nascita e le caratteristiche del condominio: “Costituisce un dato pacifico in causa che il lastrico solare per cui è controversia si trova ubicato in un blocco edilizio separato rispetto all’edificio in cui è sito l’appartamento della ricorrente e detta circostanza è stata adeguatamente valorizzata dalla corte distrettuale. La figura del Condominio si caratterizza, secondo quanto risulta dall’art. 1117 c.c., per la presenza, in uno stesso edificio, di piani o porzioni di piani di proprietà individuale. 
La definizione normativa va riferita, pertanto, all’edificio che presenta tali caratteri, a cui va circoscritto il fenomeno della proprietà condominiale. Data questa premessa, risulta evidente che l’estensione della proprietà condominiale ad edifici separati ed autonomi rispetto all’edificio in cui ha sede il Condominio può essere giustificata soltanto in ragione di un titolo idoneo a far ricomprendere il relativo manufatto nella proprietà del Condominio medesimo. Con ciò si vuol dire che in tanto può ritenersi che del Condominio faccia parte anche il manufatto da esso separato e distinto, in quanto vi sia un titolo di proprietà che qualifichi espressamente tale bene come appartenente ad altro Condominio. La relazione tra l’uno e l’altro va pertanto cercata e dimostrata nel titolo di proprietà, vale a dire negli atti in cui, attraverso la vendita dei singoli appartamenti, il Condominio medesimo risulta costituito (in tal senso, Cass. n. 8012 del 2012). Per contro, nessuna particolare rilevanza, a tal fine, può essere ascritta alla planimetria catastale di cui risulterebbe corredato l’atto di compravendita della ricorrente, atteso che essa avrebbe potuto essere giustificata soltanto in forza della dimostrazione dell’appartenenza di detta area al Condominio nel cui ambito è ricompreso l’appartamento di proprietà della F., proprietà esclusa dal giudice distrettuale anche in base all’interpretazione del rogito di compravendita intervenuto nel 1995 tra la M. e [a F., nel quale non vi è alcun riferimento alla porzione de qua (v. pag. 6 della sentenza impugnata). Per completezza argomentativa va aggiunto che la presunzione di proprietà condominiale del lastrico solare di copertura avrebbe potuto essere vinta solo con la dimostrazione di un titolo di acquisto originario successivo alla venuta ad esistenza del lastrico medesimo ovvero di un titolo proveniente da colui che aveva costituito il Condominio resistente, contenente la prima alienazione di una porzione di esso a soggetti diversi dai proprietari delle singole unità immobiliari o, infine, proveniente in epoca successiva da tutti i condomini (in tal senso v. Cass. n. 1568 del 1999). Per le ragioni su esposte il giudice del gravame non ha riconosciuto - legittimamente - alcuna rilevanza alla circostanza che al lastrico de quo si acceda dalla sola proprietà della ricorrente”.

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