martedì 2 febbraio 2016

Cosa si può fare a chi lancia oggetti dal balcone? e per lo stillicidio?

Colui che lancia oggetti dal balcone imbrattando le aree sottostanti è responsabile anche penalmente

I fenomeni di malcostume all’interno dell’edificio urbano risultano, purtroppo, frequenti, e proprio la sovrapposizione verticale - oltre che la contiguità orizzontale - delle unità immobiliari acuisce la situazione e genera spesso conflitti difficili da comporre.
Le realtà condominiale supera, però, la fantasia: si pensi all’inaffiamento delle piante, allo sciorinamento dei panni, al rumore che si propaga dal pavimento, allo stillicidio dell’acqua e, da ultimo, al lancio di oggetti dal balcone, caso concreto analizzato, di recente, da Cass. pen. 4 novembre 2015 n. 44458.
Nella specie, un condomino ricorreva per cassazione impugnando la sentenza emessa dal Tribunale, che lo aveva condannato alla pena di euro 206,00 di ammenda per il reato previsto dall’art. 674 c.p., “perché gettava ripetutamente all’interno del giardino di proprietà” del condomino del piano sottostante “cose atte ad offendere, imbrattare o, comunque, a molestare” quest’ultimo. Per la cassazione dell’impugnata sentenza, il ricorrente affidava il gravame ad un unico motivo, con il quale sollevava più questioni, deducendo la violazione di legge e la mancanza/contraddittorietà/manifesta illogicità della motivazione in riferimento all’effettiva condotta posta in essere dall’imputato ed all’attendibilità del teste nonché alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena (art. 606, comma 1, lett. b ed e, c.p.p.).

Nello specifico, il condomino “sporcaccione” assumeva che la sentenza di condanna non fosse condivisibile, nella parte in cui aveva ritenuto attendibile la dichiarazione del vicino “imbrattato”, fondando, quindi, il giudizio di colpevolezza esclusivamente sulle dichiarazioni della persona offesa costituitasi parte civile; in particolare, il Tribunale non avrebbe spiegato in base a quali elementi aveva ritenuto attendibile la persona offesa, pur avendo quest’ultima un interesse diretto alla condanna del ricorrente per poter ottenere il risarcimento dei danni richiesti; peraltro, il teste non aveva affatto riferito di aver visto il ricorrente gettare una bottiglia, avendo soltanto affermato di averlo visto sul balcone e contemporaneamente di aver visto cadere una bottiglia dallo stesso balcone.
Ma se anche fosse stato il ricorrente a compiere materialmente il gesto, la sentenza impugnata - ad avviso del condomino “maleducato” - non aveva spiegato le ragioni per le quali aveva ritenuto che tutti i rifiuti gettati nel cortile del vicino fossero attribuibili al lancio proprio da parte dell’imputato.
Né il Tribunale aveva spiegato i motivi in base ai quali la condotta addebitata al ricorrente avrebbe offeso l’interesse tutelato dall’art. 674 c.p. ed avrebbe posto in pericolo il bene tutelato dalla norma; invero, il reato non doveva ritenersi integrato anche perché -come da documentazione allegata al ricorso- l’alloggio residenziale pubblico non apparteneva alla persona offesa e quest’ultimo occupava abusivamente l’immobile, con la conseguenza che l’oggetto materiale delle condotte non aveva investito cose di sua proprietà o delle quali egli avesse il legittimo possesso.

Infine -secondo il condomino “arrogante”- la motivazione della sentenza impugnata risultava lacunosa nella parte in cui gli aveva negato il beneficio della sospensione condizionale della pena, essendosi il Tribunale limitato ad affermare che, trattandosi di vari episodi ed in costanza di reiterati comportamenti oggetto di altre iniziative giudiziarie, non fosse possibile prevedere che l’imputato si sarebbe astenuto in futuro dal porre in essere altri simili comportamenti: in buona sostanza, il giudice a quo, alla luce di altri eventuali procedimenti -dei quali il ricorrente non sarebbe stato a conoscenza- aveva considerato certa la responsabilità penale del prevenuto circa tali altri comportamenti, negando ingiustamente al ricorrente il beneficio richiesto.
I giudici di Piazza Cavour hanno ritenuto tutte queste censure non meritevoli di accoglimento, condannando, altresì, il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di quelle del grado sostenute dalla parte civile.

Per quanto concerne l’accertamento della responsabilità penale dell’imputato in ordine al reato ascrittogli, si è evidenziato che la persona offesa, nel corso della sua deposizione, aveva riferito che il ricorrente, suo vicino di casa, occupava un appartamento posto al piano superiore rispetto al suo, nel medesimo condominio, precisando, con riferimento al periodo di sei mesi, che egli aveva personalmente assistito ad alcuni episodi.
Segnatamente, mentre rientrava presso la sua abitazione e stava varcando il cancelletto di ingresso sul giardino di proprietà esclusiva, aveva visto “una bottiglia cadere dal piano superiore” ed aveva verificato che “l’imputato l’aveva lanciata, insieme ad altri oggetti caduti subito dopo”; lo stesso teste aveva preso anche visione delle fotografie relative allo stato dei luoghi, dalle quali era emerso che il suo giardino era stato “segnato da ripetuti lanci di oggetti di ogni tipo”, fino a diventare “un vero e proprio ricettacolo di rifiuti”.

Sulla base di tali dichiarazioni e delle fotografie versate in atti, il Tribunale -reputando attendibile la dichiarazione della persona offesa, in quanto riscontrata anche dai rilievi fotografici- ha ritenuto sussistente la fattispecie di reato contestata, affermando, poi, che l’imputato, ancorché incensurato, non offriva garanzie sufficienti in merito alla sua futura astensione dalla commissione di nuovi reati, atteso che la reiterazione degli episodi e l’esistenza di altre pendenze giudiziarie analoghe costituiva segno evidente del fatto che il reato continuava ad essere commesso.
I magistrati del Palazzaccio hanno sostenuto che il Tribunale, al riguardo, nel valutare le “dichiarazioni della persona offesa”, si era sostanzialmente attenuto al principio di diritto affermato dal supremo organo di nomofilachia, secondo il quale le regole dettate dall’art. 192, comma 3, c.p.p. -secondo cui “le dichiarazioni rese dal coimputato del medesimo reato o da persona imputata in un procedimento connesso a norma dell’art. 12 sono valutate unitamente agli altri elementi di prova che ne confermano l’attendibilità”- non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che, peraltro, deve in tal caso essere “più penetrante e rigoroso” rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone (v. Cass. S.U.pen. 19 luglio 2012 n. 41461).

Nel caso di specie, il Tribunale aveva proceduto opportunamente al riscontro delle dichiarazioni del condomino che aveva subìto il gettito di oggetti provenienti dal balcone sovrastante, con altri elementi costituiti dai rilievi fotografici.
In ordine, poi, alla configurabilità della contravvenzione punita dall’art. 674 c.p. -che punisce, con l’arresto fino a un mese o con l’ammenda di euro 206,00, “chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte ad offendere o imbrattare o molestare persone, ovvero, nei casi non consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare tali effetti”- gli ermellini hanno osservato che tale reato tutela “l’incolumità pubblica”, e più precisamente l’interesse di prevenire pericoli più o meno gravi alle persone, dipendenti dal getto o versamento di cose atte ad offendere, molestare o imbrattare nonché dall’emissione di gas, vapori o fumi atti a cagionare tali effetti (v., ex multis, Cass. pen. 13 marzo 1986 n. 9458).
Configurando la fattispecie un “reato di pericolo”, per integrarla è sufficiente che la cosa gettata o versata -o l’emissione di gas, vapori o fumi- sia idonea a produrre almeno uno degli effetti previsti, non essendo necessario provare che tali effetti si siano effettivamente verificati.
In quest’ordine di concetti, si è avuto modo di precisare che, ai fini della configurabilità del suddetto reato, non si richiede che la condotta contestata abbia cagionato un “effettivo nocumento”, essendo sufficiente che essa sia idonea ad offendere, imbrattare o molestare le persone (v., da ultimo, Cass. pen. 13 gennaio 2015 n. 971; cui adde Cass. pen. 22 dicembre 2005 n. 46846).
La contravvenzione di cui sopra, poi, non è configurabile quando l’offesa, l’imbrattamento o la molestia abbiano ad oggetto esclusivamente cose e non “persone” (v. Cass. pen. 10 giugno 2010 n. 22032: nella specie, lo sversamento di liquami, provocato dal cattivo funzionamento di un depuratore consortile, aveva causato danni solo a colture private, senza riverberi negativi sui consorziati).
Né poteva discutersi che la persona offesa occupasse abusivamente l’immobile interessato dal lancio degli oggetti, trattandosi di questione nuova fondata su un documento allegato al ricorso per cassazione il cui esame era preluso in sede di legittimità (v. Cass. pen. 1° aprile 2014 n. 27417).
Per completezza, il Supremo Collegio ha ritenuto infondata anche la questione con cui il ricorrente si doleva del fatto che il Tribunale avesse negato il beneficio della sospensione condizionale della pena sul presupposto che, nei confronti dello stesso, fossero pendenti altri analoghi procedimenti.
In proposito, è stato richiamato il principio secondo il quale, in tema di sospensione condizionale della pena, la presunzione che il colpevole si asterrà dal commettere ulteriori reati non deriva, come effetto automatico, dall’assenza di precedenti condanne risultanti dal certificato penale, potendo giustificare un contrario convincimento non solo il comportamento processuale dell’imputato, ma anche i precedenti giudiziari (art. 133, comma 2, n. 2, c.p.), quali i procedimenti pendenti a carico del medesimo.

Ne consegue che il giudice può fondare, in modo esclusivo o prevalente, comunque decisivo, il giudizio prognostico negativo circa la futura astensione del soggetto dalla commissione di nuovi crimini sulla capacità a delinquere dell’imputato desumendola dai precedenti giudiziari, ancorché non definitivi (v., tra le altre, Cass. pen. 12 novembre 2009 n. 9915; Cass. pen. 20 novembre 1990 n. 3851; Cass. pen. 22 giugno 1989 n. 16172).
In proposito, é stato anche puntualizzato che l’utilizzazione, da parte del giudice, della posizione di indiziato per la commissione di altro reato a carico dell’imputato, non contrasta con il principio della presunzione di innocenza dello stesso fino alla condanna definitiva (art. 27, comma 2, Cost.), in quanto, nella valutazione del giudice, non viene dato rilievo al fatto che l’imputato abbia o non abbia commesso i reati o il reato di cui è indiziato in altri processi, ma solamente e precisamente alla sua condizione, costituendo questa, di per sé, un precedente di carattere giudiziario rilevante ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 133, comma 2, n. 2, c.p., sicché legittimamente è stata negata, su tale presupposto, la sospensione condizionale della pena (v., per tutte, Cass. pen. 10 giugno 1981 n. 9547).
Una fattispecie analoga era stata decisa, sempre di recente, da Cass. pen. 10 aprile 2014 n. 15956: in quel caso, il Tribunale aveva condannato un condomino alla pena dell’ammenda, ritenendolo responsabile del reato di cui all’art. 674 c.p., perché, “innaffiando i fiori del suo appartamento, gettava acqua mista a terriccio nell’appartamento sottostante imbrattandone il davanzale, i vetri ed altre suppellettili”.

Avverso tale pronuncia, il predetto condomino aveva proposto in ricorso per cassazione, sulla base di un unico motivo, deducendo che quanto contestatogli era il risultato del malfunzionamento di un impianto automatico di irrigazione, cosicché difettava, nella specie, l’elemento soggettivo del reato, da individuarsi nel dolo specifico, non avendo egli posto in essere un’azione deliberata con lo scopo di recare danno o molestia ad altri. 
I giudici di legittimità hanno ritenuto “inammissibile” tale ricorso.
Invero, dalla sentenza impugnata, era emerso che il giudice del merito, a seguito dell’istruzione dibattimentale, aveva accertato, in fatto, che le infiltrazioni di acqua nell’appartamento della parte offesa erano state provocate dall’impianto automatico per l’innaffiamento delle piante predisposto dall’imputato.
Tali circostanze, riferite dalla persona offesa, avevano trovato in questo caso conferma nella deposizione dell’amministratore del condominio, il quale aveva dichiarato di aver personalmente constatato le infiltrazioni di acqua e la loro provenienza dal sovrastante terrazzo nonché la caduta di un pezzo di intonaco su un divano dell’appartamento, nonché di aver inviato alcune raccomandate all’imputato, il quale aveva risposto di aver eliminato il problema, anche se poi la persona offesa aveva continuato a lamentare danni; peraltro, l’imputato aveva riconosciuto l’esistenza del problema segnalato dal condomino dell’appartamento sottostante, al quale aveva dichiarato di aver posto rimedio.

Tale essendo, dunque, la ricostruzione della vicenda fattuale da parte del giudice del merito - che, essendo “assistita da tenuta logica e coerenza strutturale”, non risultava censurabile in sede di legittimità - il Collegio penale ha osservato che le conclusioni cui era pervenuto il Tribunale risultavano giuridicamente corrette ed adeguatamente giustificate.
Si è ricordato che, con la contravvenzione prevista dall’art. 674 c.p., viene punito il gettare o versare, in luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o altrui uso, cose atte ad offendere, imbrattare o molestare le persone (ovvero il provocare, nei casi non consentiti dalla legge, emissioni di gas, vapori o fumo atti a cagionare gli effetti predetti).
La condotta esaminata dal Tribunale nel caso in esame era, ovviamente, riconducibile alla prima parte della norma incriminatrice, poiché, concretandosi l’elemento materiale del reato nel “gettare” o “versare” le cose di cui sopra, era ipotizzabile tale ultima azione, chiaramente riferita ai liquidi ed alle sostanze ad essi assimilabili (sabbie, polveri, ecc.) che potevano comunque essere versate, mentre il “gettare” riguardava invece le cose solide o, in ogni caso, aventi diversa consistenza.
Si è rilevato, inoltre, come i concetti di “getto” e “versamento” contemplati dalla prima parte dell’art.674 c.p. hanno un significato molto ampio, anche in considerazione del fatto che la norma non specifica le modalità con le quali debbano essere effettuati, né, tanto meno, sulla base di quali principi fisici debba avvenire l’azione - ad esempio, caduta per gravità, spinta meccanica, lancio manuale, ecc. -né sulla traiettoria che la cosa deve compiere-. L’ambito di efficacia della disposizione in esame -secondo il Supremo Collegio- è peraltro ulteriormente ampliato dall’utilizzazione, da parte del legislatore, del termine “cosa”, volutamente generico ed evidentemente finalizzato a rendere più ampio possibile l’oggetto del versamento o del getto. Da ciò consegue che una condotta come quella oggetto di contestazione poteva essere certamente qualificata come “versamento” nei termini delineati dall’art. 674 c.p., e che l’esito di tale azione potesse altrettanto pacificamente risolversi nell’altrui “offesa”, “imbrattamento” o “molestia”, essendo pacificamente dotata di quella capacità offensiva che la disposizione richiede.

Occorre, infine, ricordare come la magistratura di vertice (v. Cass. pen. 17 aprile 2009 n. 16286) aveva già avuto modo di rilevare motivatamente - disattendendo un diverso orientamento risalente nel tempo - che il reato in esame è configurabile sia in forma omissiva che in forma commissiva mediante omissione (c.d. reato omissivo improprio) ogniqualvolta il pericolo concreto per la pubblica incolumità derivi anche dall’omissione, dolosa o colposa, del soggetto che aveva l’obbligo giuridico di evitarlo.

In una precedente occasione, proprio con riferimento ad un’ipotesi di getto di acqua con una pompa all’interno dell’abitazione altrui, si era precisato come il “versamento” potesse avvenire direttamente per mano dell’agente o in qualsiasi altro modo da lui posto in essere oppure lasciato dolosamente o colposamente in azione, e doveva essere posto in relazione con l’effetto possibile di offendere, imbrattare o molestare le persone, anche se questo effetto non si fosse verificato (v. Cass. pen. 24 luglio 1992 n. 8386).
Nella fattispecie, il giudice del merito aveva accertato, in fatto, che i versamenti si erano protratti nel tempo ed erano proseguiti nonostante le lamentele della persona offesa e le segnalazioni dell’amministratore del condominio, e ne aveva, inoltre, indicato gli esiti, così escludendo, seppure implicitamente, che la condotta posta in essere potesse ritenersi priva di concreta offensività, ponendo altresì in luce l’evidente consapevolezza, in capo all’imputato, delle conseguenze derivanti dall’attivazione del suo impianto di irrigazione automatica. Ovviamente, non tutte le condotte “prepotenti” del proprietario dell’unità immobiliare del piano superiore sfociano in fattispecie penalmente rilevanti, sicché Cass. pen. 15 maggio 2012 n. 27625, ha puntualizzato che il condomino che “scuote tappeti o tovaglie, facendo, così, cadere briciole e polvere sulle finestre e sul terrazzo del condomino sottostante” non risponde del reato di getto pericoloso di cose di cui all’art. 674 c.p., per impossibilità di causare, con tale condotta, imbrattamenti e molestie alle persone, secondo la formulazione letterale della disposizione incriminatrice, atteso che tale norma deve essere intesa alla luce dell’interesse perseguito con l’incriminazione, che appartiene alla materia della polizia di sicurezza, concernendo la prevenzione di pericoli per una pluralità di soggetti. Pertanto, la coesistenza di appartamenti, all’interno dello stesso stabile condominiale, l’uno all’altro sovrapposti, e la convivenza forzata dei rispettivi nuclei abitativi, comporta (inevitabili e tollerabili) interferenze, disturbi, fastidi, che vanno risolti, unitamente al rispetto delle norme di vicinato, con buon senso ed educazione, a meno che non si risolvano in (sterili e gratuiti) capricci, soverchierie, sopraffazioni, prepotenze, soprusi, da reprimere sul versante civilistico e penalistico.



Fonte: Amministrare Immobili
di Alberto Celeste
Sostituto Procuratore Generale della Corte di Cassazione



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