La direttiva 2005/36/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 7 settembre 2005 relativa al riconoscimento delle qualifiche professionali, pubblicata su Gazzetta ufficiale dell’Unione Europea del 30.9.2005, recepita in Italia con il d.lgs. 6 novembre 2007, n.206. La direttiva sostituisce tutte le quindici direttive che dagli anni ’70 al 20 ottobre 2007 hanno disciplinato il riconoscimento delle qualifiche professionali:
- le direttive Sistemi generali (89/48/CEE, 92/51/ CEE, 99/42/CE) e
- le direttive settoriali (77/452/CEE, 77/453/ CEE, 78/686/CEE, 78/687/CEE, 78/1026/CEE, 78/1027/CEE, 80/154/CEE, 80/155/CEE, 85/384/ CEE, 85/432/CEE, 85/433/CEE e 93/16/CEE).
- Le attività libero professionali per lo svolgimento delle quali i singoli stati prevedono dei requisiti specifici in termine di titolo di studio e/o di tirocinio e/o di superamento di un apposito esame con valore abilitante come: medico, ingegnere, farmacista.
- Altre attività in ambito industriale, artigianale e commerciale per le quali i singoli stati prevedono requisiti speciali in termine di titolo di studio e/o di tirocinio e/o di superamento di un apposito esame con valore abilitante e/o precedente esperienza lavorativa come: il gestore di albergo, di lavanderia, di estetista, di agenzia di viaggi, di guida turistica).
Quindi l’impostazione iniziale della Commissione Europea, era che quanti fossero abilitati allo svolgimento di una determinata professione nel proprio Paese UE, potessero automaticamente svolgere attività (e se desideravano insediarsi) in tutti gli altri Paesi UE. Questa impostazione è stata poi modificata in fase di approvazione della direttiva a favore di un sistema che prevede la possibilità di un controllo della professionalità da parte del Paese “ospitante”. Inoltre adesso è vietato che un cittadino ad esempio italiano con un titolo conseguito in Italia che non viene abilitato allo svolgimento di una determinata professione in Italia, ma sia sufficiente per lo svolgimento della medesima professione, ad esempio che in Spagna possa abilitarsi allo svolgimento della professione e su questa base esercitare la professione anche in Italia. Secondo la direttiva approvata sono possibili vari casi:
1) Prestazioni temporanee di servizi da parte di
prestatore abilitato nel proprio Paese e che abbia
esercitato l’attività nel proprio Paese da almeno 2
anni: possibile la prestazione in altri Paesi senza dover
iscriversi all’albo e all’ente di previdenza sociale
dell’altro Paese. Tuttavia lo Stato ospitante può:
a) richiedere una dichiarazione preventiva con
informazioni su nazionalità, qualifica, esperienza,
assenza condanne penali, copertura assicurativa;
b) per professioni aventi ripercussioni
in materia di pubblica sicurezza e di sanità
pubblica può richiedere una preliminare verifica
anche attitudinale ;
c) per prestazioni effettuate
utilizzando un titolo diverso da quello
comunemente utilizzato nel Paese “ospitante”,
può richiedere che il prestatore fornisca al destinatario
del servizio una serie di informazioni
quali ad esempio numero di iscrizione ad albo,
autorità di vigilanza dell’albo, ordine professionale
di iscrizione, partita IVA;
2) esercizio stabile di attività in Paese “ospitante” delle professioni di medico, dentista, infermiere, farmacista, veterinario, architetto (professioni per le quali è già stato concordato e adottato a livello europeo un sistema minimo di formazione). Ogni Paese membro riconosce automaticamente come abilitanti all’esercizio della professione i titoli conseguiti negli altri Paesi. L’effettivo svolgimento dell’attività è subordinato al possesso di conoscenze linguistiche adeguate. Le norme in precedenza previste per queste professioni sono abrogate;
3) esercizio stabile di attività nel Paese “ospitante” di professioni diverse da medico, dentista, infermiere, farmacista, veterinario, architetto (che hanno già adottato un sistema minimo di formazione a livello europeo) e da professioni in ambito industriale, artigianale e commerciale (in pratica
le professioni a cui si riferisce questo punto sono
le professioni regolamentate libero professionali
residue, quali ad esempio ingegnere, biologo,
psicologo,mentre apparentemente la direttiva non
modifica quanto già disposto per avvocati e notai;
Vengono identificati 5 livelli di formazione: 1)
attestato di competenza (relativo a percorso di
formazione che non ha previsto la frequenza di una
scuola secondaria), 2) certificato (completamento
di ciclo di studi secondari),3) diploma che attesta
1 anno di formazione post secondaria, 4) diploma
che attesta almeno 3 anni di formazione post
secondaria 5) diploma che attesta almeno 4 anni di
formazione post secondaria.
Nel caso che la persona che desidera svolgere la
propria professione in un Paese diverso: 1) sia in
possesso di titolo dello stesso livello a quello previsto
per l’esercizio della professione nel Paese “ospitante”,
oppure 2) sia in possesso di un titolo del
livello immediatamente precedente, oppure 3) sia in
possesso di un titolo di qualunque tipo che comunque
abilita la persona allo svolgimento di quella
determinata professione , oppure 4) provenga da
un Paese dove la professione non è regolamentata e
abbia svolto per almeno 2 anni a tempo pieno tale
professione e sia in possesso di un titolo di dello
stesso livello o di livello immediatamente inferiore,
allora in questi casi il Paese ospitante può:
- riconoscere automaticamente abilitanti uno o tutti
i suddetti titoli o esperienze indicate in precedenza
dal punto1 al 4 oppure:
- richiedere alla persona di svolgere una integrazione
(‘compensazione’) della propria formazione sotto
forma di un tirocinio di adattamento non superiore
a 3 anni oppure, in genere a scelta, di sostenere
una prova attitudinale per le professioni di cui al
punto 3 precedente è anche possibile che stati
membri o associazioni professionali presentino alla
Commissione delle ‘piattaforme comuni’.
Per piattaforme comuni si intende una serie di criteri
che consentono di colmare la più ampia gamma
di differenze sostanziali che sono state individuate
tra i requisiti di formazione in almeno due terzi
degli Stati membri, inclusi tutti gli Stati membri
che regolamentano la professione in questione. Tali
criteri potrebbero ad esempio includere requisiti
quali una formazione complementare, un tirocinio
di adattamento, una prova attitudinale o un livello
minimo prescritto di pratica professionale, o una
combinazione degli stessi. Nel caso tale piattaforma
sia approvata, il Paese ospitante può uniformare la
propria richiesta di integrazione a quanto previsto
dalla piattaforma (sia in senso più restrittivo che
meno restrittivo esercizio stabile di attività in Paese
‘ospitante’ di professioni regolamentate in ambito industriale, artigianale e commerciale La Direttiva
fissa un numero minimo di anni di attività pregressa
in ciascuno dei settori e delle attività indicate
nell’Allegato IV alla Direttiva. Essa consolida tre
testi precedenti relativi al regime generale di riconoscimento
delle qualifiche e dodici direttive settoriali
relative a specifiche professioni. Tra le novità
più significative introdotte dalla normativa c’è la
previsione di una disciplina ad hoc per la prestazione
temporanea e occasionale di servizi, senza
necessità di stabilimento e completamente assente
nelle precedenti direttive generali, un ampliamento
del campo di applicazione e un rafforzamento
dei mezzi di cooperazione tra le Amministrazioni
nazionali e tra queste e la Commissione UE. In
particolare è previsto l’obbligo, per il prestatore di
altro Stato membro che viene in Italia di presentare,
al momento della prima prestazione, una
comunicazione preliminare all’autorità competente
e di accompagnata con documenti che comprovino
le proprie qualifiche professionalizzanti; la possibilità
per l’autorità competente, nel caso di professioni
che implichino profili di sicurezza e salute pubblica,
di richiedere misure compensative in presenza di
“differenze sostanziali”; l’individuazione di specifiche
normative nazionali che rispondono alla definizione
di “formazione regolamentata”; la possibilità
di facilitare la mobilità professionale attraverso
l’approvazione, a livello comunitario, di “piattaforme
comuni” per determinate professioni. Per quello
che riguarda il diritto di stabilimento, vi sono tre
regimi che regolano i riconoscimenti professionali.
Sistema Generale basato sulla mutua fiducia tra gli
Stati membri. Si applica se la professione è regolamentata
nello Stato ospite e se il professionista
ha esercitato, o è abilitato a esercitare, la stessa
professione nello Stato di provenienza. Il riconoscimento
non è automatico ma prevede un confronto
tra i percorsi formativo-professionalizzanti previsti
nei due Stati e la possibilità, in caso di “differenza
sostanziale”, di condizionare il riconoscimento a
misure compensative (prova attitudinale o tirocinio
di adattamento). Questo regime si applica ad un
numero di professioni che varia da Stato a Stato.
Infatti, la direttiva non impone agli Stati alcun
obbligo di regolamentazione. Di conseguenza,
il decreto legislativo non introduce novità nella
relativa normativa nazionale. Questo sistema si
applica anche a professioni coperte dai regimi
indicati ai punti 1 e 3 quando non sono soddisfatti
alcuni requisiti che assicurano l’automaticità del
riconoscimento. Esperienza professionale maturata
nello stato membro d’origine. Si applica ad attività
di tipo artigianale (indicate nell’allegato IV del decreto)
e prevede un riconoscimento automatico se
sono rispettate le condizioni espressamente previste
per le singole categorie professionali.
fonte
Amministrare Immobili
di Francesco Burrelli
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