giovedì 10 novembre 2016

Il reato di diffamazione nel condominio secondo la più recente giurisprudenza

La dottrina tradizionale non ritiene indispensabile l’animus diffamandi inteso come volontà di ledere la reputazione di altra persona, poiché l’art. 595 c.p. non richiede il dolo specifico. L’attività svolta all’interno di un condominio sia dall’amministratore che dai condomini consiste in un’attività sociale.

L’art. 594 c.p. sanzionava con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino ad euro 516 chiunque offendeva l’onore o il decoro di una persona. L’art. 1, comma primo lettera c) del d.lvo 15.1.2016 n. 7 ha abrogato detto articolo delegando detta fattispecie alla cognizione del giudice civile. La dottrina tradizionale sosteneva nell’art. 594 c.p. l’onore viene distinto dal decoro poiché il primo deve riferirsi alle sole qualità morali, mentre il secondo inerisce alle altre qualità e condizioni che concorrono a costituirei l valore sociale dell’individuo. A seguito dell’abrogazione dell’art. 594 c.p. una tipica tecnica difensiva cerca di ricondurre nella fattispecie dell’ingiuria commessa in presenza id più perone, fattispecie penale anch’essa abrogata, ogni caso di diffamazione che è rimasta penalmente rilevante. Invero l’art. 595 c.p. sanziona con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino ad euro 1.032 chiunque, fuori dei casi previsti dall’art. 594 c.p., comunicando con più persone offende l’altrui reputazione. La pena è della reclusione fino a due anni o con la multa fino ad euro 2.065 se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. L’elemento oggettivo del reato di diffamazione implica i seguenti tre requisiti:
  • l’assenza dell’offeso, vele a dire che questi non sia presente nel momento dell’azione criminosa e che pertanto non sia in grado di giustificarsi o di ritorcere immediatamente l’offesa;
  • l’offesa dell’altrui reputazione la quale è il riflesso dell’onore inteso in senso ampio e consistente nella valutazione che il pubblico compie dell’individuo e quindi la stima che questi gode tra i concittadini;
  • l’offesa alla reputazione deve essere compiuta comunicando con più persone in do da realizzare la divulgazione dell’offesa che è una delle caratteristiche strutturali del reato.
L’elemento soggettivo è quello del dolo generico e consistente nella volontà dell’agente dell’azione, consistente nella comunicazione dell’addebito offensivo a più persone, e, nel tempo stesso, nella consapevolezza del discredito che con il suo operato cagiona o può cagionare all’altrui reputazione. La dottrina tradizionale non ritiene indispensabile l’”animus diffamandi” inteso come volontà di ledere la reputazione di un altrui persona, poiché l’art. 595 c.p. non richiede il dolo specifico. L’attività svolta all’interno di un condominio sia dall’amministratore che dai condomini consiste in un’attività sociale e pertanto assai ricorrente è la contestazione giuridica della commissione del reato di diffamazione tra i medesimi. A tal riguardo la giurisprudenza più recente ha esaminato detta ipotesi in tre occasioni. Il primo caso (C.Cass., Sezione Feriale, sentenza n. 39986/2014, del 28.8.2014) riguarda l’annullamento di un ricorso avverso una sentenza che aveva condannato due amministratori di condominio per avere commesso il reato di cui all’art. 595 c.p. in danno dei loro condomini. La sentenza afferma che consiste nella realizzazione dell’elemento oggettivo del predetto reato la comunicazione contenente i nominativi dei condomini morosi affissa al portone condominiale poiché “anche in presenza di un effettiva morosità degli stessi condomini, costituiva una condotta diffamante, non sussistendo alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza di quei fatti, anche se veri”. Per configurare l’elemento soggettivo è sufficiente il dolo generico che “può assumere anche la forma del dolo eventuale, ravvisabile laddove l’agente faccia consapevolmente uso di parole ed espressioni socialmente interpretabili come offensive (C.Cass., sez. 5, sent. n. 4364 del 1271272012, Rv. 254390). “Deve poi escludersi la ricorrenza, nel caso di specie, dell’esimente del diritto di cronaca e di critica invocato dai ricorrenti. Ora, premesso che la scriminante in parole è in astratto ipotizzabile non solo in relazione all’attività di giornalisti o scrittori, ma anche rispetto al comune cittadino, occorre sempre valutare la rilevanza della diffusione della notizia che deve essere funzionale al corretto svolgimento delle relazioni interpersonali e dei rapporti sociali. In tale direzione, deve rilevarsi che la diffusione della comunicazione attraverso la sua affissione al portone di ingresso, essendo potenzialmente conoscibile da un numero indeterminato di persone, integrava il delitto contestato, per essere carente, al di fuori del ristretto ambito condominiale, un qualsiasi interesse alla conoscenza della circostanza relativa alla morosità di alcuni condomini”. Il secondo caso (C.Cass., sez. 5, sent. n. 44387/2015, ud. 4.6.2015) dichiarava inammissibile il ricorso di un amministratore di condominio che veniva condannato per il reato di diffamazione consistito nell’invio di una lettera diretta a tutti i condomini e contenente delle valutazioni di fatti avvenuti e del comportamento di alcuni soggetti durante un’assemblea. Nella sentenza veniva esclusa la ricorrenza di un’ipotesi di particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 – bis c.p. poiché “nel caso in oggi in esame, si è in effetti dinnanzi ad una condanna alla sola pena della multa, ma le pur concesse attenuanti generiche risultano valutate dai giudici di merito con un giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante in rubrica, a riprova di una non trascurabile incidenza della condotta criminosa sul bene giuridico in ipotesi leso; la Corte territoriale, infatti, sottolinea anche il particolare che la lettera venne preparata e divulgata per ottenere il massimo effetto di diffusione di conoscenza all’interno della realtà del grande complesso condominiale, circostanza manifestamente indicativa di una valutazione di gravità non minima della condotta de qua”. Il terzo caso (C.Cass., Sez.5, sent. n. 18919/2016, ud. del 15.3.2016) dichiarava inammissibile il ricorso avverso la sentenza che condannava per diffamazione un soggetto che inviava ad un amministratore di condominio e ad altri soggetti una lettera contenente gravi apprezzamenti nei confronti di un amministratore di una multiproprietà. La sentenza afferma quanto segue : “il ricorrente si duole del fatto che sia stata ritenuta la sussistenza del delitto di diffamazione piuttosto che quella del diverso reato di ingiuria aggravata (dall’essere pronunciata in presenza di più persone) visto che lo scritto, contenente l’offesa alla reputazione di… era stata indirizzato anche la medesimo. La censura è priva di fondamento perché questa Sezione ha già avuto modo di precisare che, nel caso l’offesa sia contenuta in una missiva diretta ad una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non può considerarsi concretata la fattispecie dell’ingiuria aggravata dalla presenza di altre persone, proprio per la non con testualità del recipimento delle offese medesime e per la conseguente maggiore diffusione delle stesse (Sez. 5, n. 44980 del 16/10/2012, Rv. 254044).



di Giulio Benedetti

Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano

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