La dottrina tradizionale non ritiene indispensabile l’animus diffamandi inteso come volontà di ledere la reputazione di altra persona, poiché l’art. 595 c.p. non richiede il dolo specifico. L’attività svolta all’interno di un condominio sia dall’amministratore che dai condomini consiste in un’attività sociale.
L’art. 594 c.p. sanzionava con la reclusione fino a sei mesi o con la multa fino ad euro 516 chiunque offendeva l’onore o il decoro di una persona. L’art. 1, comma primo lettera c) del d.lvo 15.1.2016 n. 7 ha abrogato detto articolo delegando detta fattispecie alla cognizione del giudice civile. La dottrina tradizionale sosteneva nell’art. 594 c.p. l’onore viene distinto dal decoro poiché il primo deve riferirsi alle sole qualità morali, mentre il secondo inerisce alle altre qualità e condizioni che concorrono a costituirei l valore sociale dell’individuo. A seguito dell’abrogazione dell’art. 594 c.p. una tipica tecnica difensiva cerca di ricondurre nella fattispecie dell’ingiuria commessa in presenza id più perone, fattispecie penale anch’essa abrogata, ogni caso di diffamazione che è rimasta penalmente rilevante. Invero l’art. 595 c.p. sanziona con la reclusione fino ad un anno o con la multa fino ad euro 1.032 chiunque, fuori dei casi previsti dall’art. 594 c.p., comunicando con più persone offende l’altrui reputazione. La pena è della reclusione fino a due anni o con la multa fino ad euro 2.065 se l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato. L’elemento oggettivo del reato di diffamazione implica i seguenti tre requisiti:
- l’assenza dell’offeso, vele a dire che questi non sia presente nel momento dell’azione criminosa e che pertanto non sia in grado di giustificarsi o di ritorcere immediatamente l’offesa;
- l’offesa dell’altrui reputazione la quale è il riflesso dell’onore inteso in senso ampio e consistente nella valutazione che il pubblico compie dell’individuo e quindi la stima che questi gode tra i concittadini;
- l’offesa alla reputazione deve essere compiuta
comunicando con più persone in do da realizzare
la divulgazione dell’offesa che è una delle caratteristiche
strutturali del reato.
L’elemento soggettivo è quello del dolo generico e
consistente nella volontà dell’agente dell’azione,
consistente nella comunicazione dell’addebito offensivo
a più persone, e, nel tempo stesso, nella
consapevolezza del discredito che con il suo operato
cagiona o può cagionare all’altrui reputazione.
La dottrina tradizionale non ritiene indispensabile
l’”animus diffamandi” inteso come volontà
di ledere la reputazione di un altrui persona, poiché
l’art. 595 c.p. non richiede il dolo specifico.
L’attività svolta all’interno di un condominio sia
dall’amministratore che dai condomini consiste in
un’attività sociale e pertanto assai ricorrente è la
contestazione giuridica della commissione del reato
di diffamazione tra i medesimi. A tal riguardo
la giurisprudenza più recente ha esaminato detta
ipotesi in tre occasioni. Il primo caso (C.Cass.,
Sezione Feriale, sentenza n. 39986/2014, del
28.8.2014) riguarda l’annullamento di un ricorso
avverso una sentenza che aveva condannato due
amministratori di condominio per avere commesso
il reato di cui all’art. 595 c.p. in danno dei
loro condomini. La sentenza afferma che consiste
nella realizzazione dell’elemento oggettivo
del predetto reato la comunicazione contenente i
nominativi dei condomini morosi affissa al portone
condominiale poiché “anche in presenza di un
effettiva morosità degli stessi condomini, costituiva
una condotta diffamante, non sussistendo
alcun interesse da parte dei terzi alla conoscenza
di quei fatti, anche se veri”. Per configurare l’elemento
soggettivo è sufficiente il dolo generico
che “può assumere anche la forma del dolo eventuale,
ravvisabile laddove l’agente faccia consapevolmente
uso di parole ed espressioni socialmente
interpretabili come offensive (C.Cass., sez.
5, sent. n. 4364 del 1271272012, Rv. 254390).
“Deve poi escludersi la ricorrenza, nel caso di
specie, dell’esimente del diritto di cronaca e di
critica invocato dai ricorrenti. Ora, premesso che
la scriminante in parole è in astratto ipotizzabile
non solo in relazione all’attività di giornalisti o
scrittori, ma anche rispetto al comune cittadino,
occorre sempre valutare la rilevanza della diffusione
della notizia che deve essere funzionale al corretto svolgimento delle relazioni interpersonali
e dei rapporti sociali. In tale direzione, deve
rilevarsi che la diffusione della comunicazione
attraverso la sua affissione al portone di ingresso,
essendo potenzialmente conoscibile da un numero
indeterminato di persone, integrava il delitto
contestato, per essere carente, al di fuori del ristretto
ambito condominiale, un qualsiasi interesse
alla conoscenza della circostanza relativa alla
morosità di alcuni condomini”.
Il secondo caso (C.Cass., sez. 5, sent. n.
44387/2015, ud. 4.6.2015) dichiarava inammissibile
il ricorso di un amministratore di condominio
che veniva condannato per il reato di diffamazione
consistito nell’invio di una lettera diretta a
tutti i condomini e contenente delle valutazioni
di fatti avvenuti e del comportamento di alcuni
soggetti durante un’assemblea. Nella sentenza
veniva esclusa la ricorrenza di un’ipotesi di particolare
tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131 – bis
c.p. poiché “nel caso in oggi in esame, si è in
effetti dinnanzi ad una condanna alla sola pena
della multa, ma le pur concesse attenuanti generiche
risultano valutate dai giudici di merito con
un giudizio di equivalenza rispetto all’aggravante
in rubrica, a riprova di una non trascurabile incidenza
della condotta criminosa sul bene giuridico
in ipotesi leso; la Corte territoriale, infatti, sottolinea
anche il particolare che la lettera venne preparata
e divulgata per ottenere il massimo effetto
di diffusione di conoscenza all’interno della realtà
del grande complesso condominiale, circostanza
manifestamente indicativa di una valutazione di
gravità non minima della condotta de qua”.
Il terzo caso (C.Cass., Sez.5, sent. n. 18919/2016,
ud. del 15.3.2016) dichiarava inammissibile il ricorso
avverso la sentenza che condannava per
diffamazione un soggetto che inviava ad un amministratore
di condominio e ad altri soggetti una
lettera contenente gravi apprezzamenti nei confronti
di un amministratore di una multiproprietà.
La sentenza afferma quanto segue : “il ricorrente si
duole del fatto che sia stata ritenuta la sussistenza
del delitto di diffamazione piuttosto che quella
del diverso reato di ingiuria aggravata (dall’essere
pronunciata in presenza di più persone) visto
che lo scritto, contenente l’offesa alla reputazione
di… era stata indirizzato anche la medesimo.
La censura è priva di fondamento perché questa
Sezione ha già avuto modo di precisare che, nel
caso l’offesa sia contenuta in una missiva diretta
ad una pluralità di destinatari, oltre l’offeso, non
può considerarsi concretata la fattispecie dell’ingiuria
aggravata dalla presenza di altre persone,
proprio per la non con testualità del recipimento
delle offese medesime e per la conseguente maggiore
diffusione delle stesse (Sez. 5, n. 44980 del
16/10/2012, Rv. 254044).
di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
Nessun commento:
Posta un commento
Commenti, critiche e correzioni sono ben accette e incoraggiate, purché espresse in modo civile. Scrivi pure i tuoi dubbi, le tue domande o se hai richieste: il team dei nostri esperti ti risponderà il prima possibile.