Dalla norma UNI EN 81 - 80 contemplata dal Decreto del Ministro dello sviluppo economico n. 108/2009 del 23/7/2009. La sentenza C. Cass. n. 13358/2016.
La cultura della sicurezza nella materia di ascensori non soffre di conflitti di giurisdizione tra il giudice ordinario e quello amministrativo poiché l’attività di omologazione di un impianto di ascensore e di controllo sul suo funzionamento costituisce prestazione di servizio pubblico resa in confronto di un soggetto determinato.
La differenza tra norma tecnica italiana e regola
dell’arte europea.
Occorre notare che la legge n. 317 del 21/6/1986,
attuazione della direttiva n. 83/189/CEE relativa
alla procedura d’informazione nel settore delle norme
e delle regolamentazioni, definisce (art. 1):
- norma una specifica tecnica approvata da un organismo riconosciuto ed abilitato ad emanare atti di normalizzazione, la cui osservanza non sia obbligatoria ed appartenente ad una delle categorie: norme internazionali, norme europee, norme nazionali;
- regola tecnica: una delle specifiche tecniche o uno degli altri requisiti la cui osservanza è obbligatoria per la commercializzazione o l’utilizzazione di un prodotto sul territorio nazionale e le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri intese a vietare la fabbricazione, la commercializzazione o l’utilizzazione di un prodotto.
Altre norme tecniche sono costitute dalla serie EN 81 contenente: la UNI EN 81/1/2199 contemplante
n. 74 situazioni di pericolo negli ascensori
esistenti, la UNI EN 81 – 1 per gli ascensori elettrici,
la UNI EN 81 – 2 per gli ascensori idraulici,
la UNI EN 81 –28 contemplante i teleallarmi per
passeggeri. Il ricorso alla norma tecnica è determinante
per valutare la diligenza nell’adempimento
del debitore nelle obbligazioni aventi ad oggetto
lo svolgimento di un’attività professionale secondo
quanto disposto dall’articolo 1176, secondo comma,
del codice civile. Tale constatazione appare evidente
laddove si rifletta che il contenuto dell’obbligazione
consiste nelle tecniche proprie dell’attività specializzata
e, pertanto, il grado di diligenza del debitore,
esperto in un’attività professionale, appare più
elevato della diligenza del buon padre di famiglia,
poiché qui occorre operare il riferimento al risultato
specifico che comporta l’obbligazione assunta.
Ne consegue che gli interventi di adeguamento
dell’ascensore alla normativa dell’Unione europea,
essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza della vita umana e incolumità delle persone,
onde proteggere efficacemente gli utenti e i
terzi, attengono all’aspetto funzionale dello stesso,
ancorché riguardino l’esecuzione di opere nuove,
l’aggiunta di nuovi dispositivi, l’introduzione di
nuovi elementi strutturali.
La cultura della sicurezza nella materia di ascensori
non soffre di conflitti di giurisdizione tra il giudice
ordinario e quello amministrativo poiché l’attività
di omologazione di un impianto di ascensore
e di controllo sul suo funzionamento costituisce
prestazione di servizio pubblico resa in confronto
di un soggetto determinato, in rapporto al quale
è configurabile un rapporto d’utenza. Inoltre
tale attività impegna non un potere discrezionale
dell’amministrazione, ma solo la sua discrezionalità
tecnica, sicché, in relazione ad essa, sorgono nel
privato posizioni di diritto soggettivo per cui spetta
al giudice ordinario conoscere della domanda di
risarcimento del danno proposta dal privato nei
confronti della pubblica amministrazione (ISPESL,
Ministero della Sanità, Azienda ASL, Comune) a
seguito del comportamento asseritamente “contra
ius” da questa posto in essere nel procedere all’omologazione
di un impianto di ascensore installato a servizio di un immobile condominiale, nell’eseguirne
le verifiche periodiche ed, infine, nell’inibirne
il funzionamento. A tal riguardo la Suprema
Corte afferma i seguenti principi:
- l’omologazione ed il controllo degli impianti di ascensore costituiscono un servizio pubblico reso dalla pubblica amministrazione nell’ambito del servizio sanitario nazionale (l. n. 1415 del 24/10/1942, art. 6, lettera n, della legge n. 833 del 23/12/978);
- le domande proposte contro i soggetti privati, inerenti ai comportamenti da essi tenuti, sia per quanto attiene alla progettazione dell’edificio in rapporto all’impianto di ascensore sia per quanto riguarda le successive trasformazioni, attengono tutte a rapporti tra privati né vengono in rilievo quanto a questi profili, per cui la loro attività è equiparata a quella della pubblica amministrazione agli effetti della giurisdizione e quindi ricadono anch’esse nella giurisdizione del giudice ordinario.
- l’art. 1218 stabilente la responsabilità del debitore il quale è tenuto a risarcire il danno laddove non esegua esattamente la prestazione dovuta, qualora non provi che l’inadempimento o il ritardo siano stati determinati dall’impossibilità della prestazione derivante da causa al medesimo non imputabile;
- gli articoli 1667 e seguenti per i quali permane la responsabilità civile del terzo responsabile alla conduzione dell’impianto nei confronti del proprietario per lo svolgimento del subappalto (qualora sia consentito dal contratto e non sia espressamente vietato oppure sia stato effettuato senza l’autorizzazione del committente contro l’espresso divieto dell’art. 1656) secondo le regole generali del contratto di appalto;
- l’art. 2050 il quale afferma che chiunque cagiona ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dei mezzi adoperati (quale è quella relativa agli ascensori), è tenuto al risarcimento, se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitare il danno; - l’art. 2224 il quale consente al creditore, qualora il prestatore d’opera non proceda all’esecuzione dell’opera secondo le condizioni del contratto e a regola d’arte, di stabilire un congruo termine entro il quale il debitore deve conformarsi a tali condizioni che, se trascorre inutilmente, consente al primo di recedere dal contratto, salvo il diritto al risarcimento del danno.
Il Codice del consumo, il d.lgs. 6/9/2005 n. 206
(emanato ai sensi dell’art. 7 della legge 29/7/2003
n. 229 e pubblicato su GU n. 235 del 8/10/2005),
contiene i seguenti principi rilevanti:
- il produttore (art. 104) immette sul mercato solo prodotti sicuri;
- un prodotto (art. 117) è difettoso quando non offre la sicurezza che ci si può legittimamente attendere tenuto conto di tutte le circostanze tra cui il modo di presentazione, l’uso del prodotto, il tempo in cui il prodotto è stato messo in circolazione;
- il difetto di conformità ( art. 129, ultimo comma) che deriva dall’imperfetta installazione del bene di consumo è equiparato al difetto di conformità del bene quando l’installazione è compresa nel contratto di vendita ed è stata effettuata dal venditore o sotto la sua responsabilità. Tale equiparazione si applica anche nel caso in cui il prodotto, concepito per essere installato dal consumatore, sia da questo installato in modo non corretto a causa di una carenza delle istruzioni di installazione.
- si afferma (art. 105) che un prodotto è definito sicuro:
- si presume che un prodotto sia sicuro, per quanto concerne i rischi e le categorie di rischi disciplinati dalla pertinente normativa nazionale quando è conforme alle norme nazionali non cogenti che recepiscono le norme europee, i cui riferimenti siano stati pubblicati dalla Commissione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee;
- per quanto concerne gli aspetti disciplinati dalla pertinente normativa nazionale, quando in mancanza di disposizioni comunitarie specifiche che ne disciplinano la sicurezza, è conforme alle normative nazionali specifiche dello Stato membro nel cui territorio è commercializzato, che sono stabilite nel rispetto del trattato, in particolare degli articoli 28 e 30 e che fissano i requisiti cui deve rispondere il prodotto sul piano sanitario e della sicurezza per poter essere commercializzato;
- in circostanze diverse da quelle sopra riferite la conformità di un prodotto all’obbligo generale di sicurezza è valutata tenendo in particolare conto, se esistenti, i seguenti parametri sussidiari:
- le norme in vigore nello Stato membro in cui il
prodotto è commercializzato;
- le raccomandazioni della Commissione relative ad
orientamenti sulla sicurezza dei prodotti;
- i codici di buona condotta in materia di sicurezza
dei prodotti vigenti nel settore interessato;
- gli ultimi ritrovati della tecnica;
- la sicurezza che i consumatori possono ragionevolmente
attendere.
Pertanto l’art. 105 del Codice del consumo innova
la serie delle fonti giuridiche italiane e quindi in
tale materia prevede il seguente ordine: la carta
costituzionale italiana, le direttive europee comprensive
delle norme armonizzate, la legislazione
nazionale (leggi, decreti legge, decreti legislativi),
la normativa regolamentare (decreti del presidente
della repubblica e decreti ministeriali), i provvedimenti
di autonomia, di autotutela e di autotarchia
delle pubbliche amministrazioni (circolari e risoluzioni),
le norme tecniche volontarie (norme UNI
– EN, norme UNI – EN - ISO e norme UNI o CEI), gli
usi e le prassi tecnologici. L’esplicito riferimento
agli ultimi ritrovati della tecnica ed alla sicurezza
attesa dagli utenti quali residuali parametri di
riferimento della sicurezza del prodotto consente
di ritenere definitivamente superato l’indirizzo
dottrinario tradizionale il quale, con evidenti nostalgie
di un passato storico autarchico, nazionalistico
ed assolutamente autoreferente, afferma che
ogni disposizione comunitaria, per essere vigente
in Italia, necessiti la sua ricezione nel nostro ordinamento
giuridico mediante l’esclusivo ricorso
allo strumento legislativo del nostro Parlamento.
Appare opportuno notare che i riferimenti agli
ultimi ritrovati tecnologici e all’aspettativa della
sicurezza da parte dei consumatori rappresentano,
a loro volta, degli usi tecnologici che hanno una
giuridica rilevanza non solo per gli interessi rispettivamente
rappresentati e sicuramente meritevoli
di tutela, ma anche perché la loro menzione consente
di evitare una cristallizzazione della ricerca
scientifica. Infatti la stessa procede adottando il
metodo empirico del “provare e riprovare” inventato
da Galileo Galilei e che non può essere definito
una volta per tutte in quanto ogni innovazione
tecnologica ne introduce una successiva in un
continuo ed infinito divenire. E’ la soluzione per
complessità per la quale la risoluzione di un problema
implica necessariamente la formulazione di
uno successivo e quindi il diritto non può bloccare
tale movimento infinito con definizioni apodittiche
e definitivamente conclusive come avvenuto
in passato con il metodo medievale scolastico. In
definitiva trattasi di una vera e propria clausola
generale di salvaguardia tecnologica stabilita per
evitare che disposizioni normative strette ed inderogabili rendano superfluo lo sviluppo tecnologico
con la conseguenza di porre l’Europa in uno stato
di obiettivo svantaggio di fronte alla concorrenza
dei produttori statunitensi, cinesi ed indiani i quali
pongono proprio la ricerca scientifica avanzata a
fondamento dello sviluppo delle loro economie in
modo da aumentare il loro prodotto interno lordo
in misura notevolmente superiore al nostro.
I Decreti del 26/10/2005 e del 16/1/2006
del Ministero delle attività produttive relativi al
miglioramento della sicurezza degli ascensori.
Il decreto emanato il 26/10/2005 dal Ministero delle
attività produttive ( pubblicato nella GU n. 265
del 14/11/2005) riguarda il miglioramento della sicurezza
degli ascensori installati negli edifici i civili
precedentemente alla data di entrata in vigore della
direttiva 95/16/Ce. Il decreto impone di adeguare
tali impianti, sia pure attraverso lo scaglionamento
temporale dei lavori, descritto all’articolo 2, a secondo
del grado di pericolosità dei rischi accertati,
alla norma europea UNI EN 81- 80 contenente l’elenco
dei 74 rischi maggiormente ricorrenti.
Il decreto del 16/1/2006 (pubblicato sulla GU n.
27 del 2/2/2006), del medesimo Ministero, recepisce
nel nostro ordinamento la predetta norma UNI
EN 81- 80 con la conseguenza giuridica di rendere
immediatamente obbligatoria la sua adozione al
fine di garantire la pubblica incolumità.
A tal riguardo può chiedersi se le norme armonizzate
europee possano rivestire i principi essenziali
di sicurezza e le caratteristiche fondanti le disposizioni
legislative e regolamentari vigenti in materia
di sicurezza sopra sanzionate (con il ricorso alla
nota struttura della norma penale in bianco contenente
soltanto la sanzione e riguardante invero
una fattispecie aperta al progresso tecnologico) .
In merito la dottrina afferma che in campo penale
la disapplicazione di una norma che si risolva in
una operazione “in malam partem” è incompatibile
con l’art. 25 della Costituzione sia perché una direttiva
di per sé non può creare obblighi a carico
di un soggetto, né può avere l’effetto di per sé,
e indipendentemente da una legge interna di uno
Stato membro adottata per l’attuazione della direttiva,
di determinare o aggravare la responsabilità
penale di coloro che agiscono in violazione delle
sue disposizioni. Osservasi inoltre che le direttive
anche qualora prevedano sanzioni per il soggetto
inottemperante riservano alla libera scelta
dei Parlamenti degli Stati membri di stabilire se le
pene previste abbiano, all’interno del singolo ordinamento,
le caratteristiche della sanzione penale
oppure amministrativa (con il pagamento di una
somma pecuniaria).
A diversa conclusione non perviene la giurisprudenza
di legittimità la quale afferma che la normativa di sicurezza non comprende, quale genus, sia
la species delle norme antinfortunistiche sia quelle
delle norme di igiene sul lavoro poiché tali due categorie
sono ontologicamente distinte e separate.
Tale orientamento dottrinale, tuttavia, non tiene
conto del caso in cui una norma armonizzata europea
venga recepita all’’interno del nostro ordinamento,
come nel caso sopra esaminato, e assuma
una rilevanza giuridica obbligatoria per la sua adozione
nei luoghi di lavoro secondo quanto previsto
dall’art. 6 del d.lgs. n. 626/1994 il quale, in definitiva,
prevede l’adozione delle misure di sicurezza secondo
la migliore scienza ed esperienza del singolo
momento storico. D’altro canto tale norma diviene
il parametro di riferimento per l’adozione di tutte le
misure idonee previste per evitare il danno secondo
quanto è previsto, nel codice civile in materia di
fatti illeciti, dagli articoli 2049 (responsabilità dei
padroni e dei committenti), 2050 (responsabilità
per l’esercizi odi attività pericolose), 2051 (danno
cagionato da cose in custodia). La dottrina afferma
l’applicabilità di tali norme nell’ambito condominiale
e le definisce capisaldi della responsabilità
oggettiva civile che importa l’inversione dell’onere
della prova della responsabilità del danno dal danneggiato
(come prevede l’art. 2043 nella responsabilità
aquiliana) al danneggiante il quale deve
provare di avere adottato tutte le cautele idonee e
tecnicamente possibili per evitare il verificarsi del
danno. Inoltre la norma UNI EN 81- 80 costituisce
l’insieme delle cautele che il datore deve adottare
nelle misure generali di tutela previste dall’art. 3 del
d.lgs. n. 626/1994 e che costituiscono suoi precisi
obblighi ai sensi del successivo art. 4. A tal proposito
appare pletorico affermare che nel caso in
cui il mancato rispetto della norma tecnica cagioni
una situazione di pericolo e di danno alla persona
da cui derivi una lesione personale o la morte
di un soggetto utilizzatore dell’ascensore, secondo
i principi generali del codice penale in materia di
reati colposi e di contravvenzioni, nei confronti dei
soggetti garanti dell’installazione, della funzionalità
e della manutenzione dell’impianto sono ravvisabili
le fattispecie dei reati di lesioni personali aggravate
(articoli 590 e 582 del codice penale) oppure dell’omicidio
colposo (art. 589del codice penale). Invero
la mancata adozione della norma tecnica in tali
ipotesi costituirà oggetto della colpa specifica che
sarà contestata nel capo di imputazione al reo da
parte della pubblica accusa e che costituirà oggetto
di giudizio da parte del giudice.
L’operatività immediata della norma UNI EN
81- 80 e la conseguente impraticabilità della
manovra d’emergenza sull’ascensore da parte
del custode del condominio.
Nei confronti del DM 26/10/2005 è stata proposta un’istanza di sospensiva che è stata respinta dal
Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio sulla
base della considerazione che per la sua piena operatività
il predetto decreto prevede (art. 2, comma
5) l’emanazione, entro sessanta giorni di un decreto
del Direttore generale dello sviluppo produttivo
e competitività contenente le modalità di svolgimento
delle verifiche e i criteri generali delle prescrizioni
di adeguamento. Pertanto il giudice amministrativo
non ha inteso sospendere l’efficacia
di un provvedimento immediatamente non produttivo
di effetti giuridici. Tuttavia da tale reiezione
dell’istanza non appare ermeneuticamente corretto
inferire la conseguenza per cui l’intera nuova
normativa sugli ascensori sia attualmente sospesa.
Invero da un lato non appare decisivo ricavare un
principio interpretativo univoco da parte di posizioni
soccombenti al vaglio del giudice adito, di
talchè una sconfitta si tramuti inopinatamente in
repentina vittoria, dall’altro notasi che la predetta
norme UNI EN 81 -80 vive di vita autonoma e
propria, rispetto alla citata vicenda giudiziaria,
poiché il DM 16/1/2006 non risulta impugnato, è
un decreto autonomo e non forma oggetto neppure
incidentale della questione svolta nel corso del
predetto giudizio.
Le conseguenze della vigenza della norma tecnica
appaiono rilevanti in merito alla attuale impraticabilità
della manovra d’emergenza sull’ascensore da
parte del custode del condominio.
La verifica degli ascensori disciplinata dal DPR
3/4/1999 n. 162 si distingue nelle due seguenti
categorie:
- l’ordinaria o periodica, da effettuarsi ogni biennio, la quale è diretta (art. 13, comma terzo) ad accertare se le parti dalle quali dipenda la sicurezza dell’impianto sono in condizioni di efficienza, se i dispositivi di sicurezza funzionano regolarmente e se è stato ottemperato alle prescrizioni eventualmente impartite in precedenti verifiche: tali operazioni sono eseguite dal manutentore sotto la vigilanza del verificatore;
- la straordinaria che deve essere compiuta, a spese del proprietario, allorquando la verifica ordinaria ottiene un verbale di verifica negativo (art. 14, comma primo) ed è effettuata su richiesta degli interessati (il proprietario o il suo legale rappresentante) che la richiedono ai verificatori dopo avere rimosso le cause che hanno determinato l’esito negativo della verifica precedente; oppure deve esser effettuata in seguito ad incidenti di notevole importanza, anche se non sono seguiti da un infortunio, comunicati dal proprietario o dal suo legale rappresentante al comune il quale, da parte sua dispone immediatamente il fermo dell’impianto (art. 14, comma secondo). In tali casi l’ascensore può essere rimesso in servizio solo per l‘esito della verifica è positivo.
I contratti collettivi di categoria prevedono (art.
20, comma primo, n.7 CCNL) l’aggiornamento dei
lavoratori – custodi sulla salute e sulla sicurezza,
la formazione (art. 43 ) sulla prevenzione antinfortunistica
e sulla sicurezza sui luoghi di lavoro,
nonché (art. 19, comma quarto, lettera l del CCNL
1/12/2003 – 31/12/2006)” il compito di intervenire
in casi di emergenza sull’impianto di ascensore
ai fini di sbloccare la cabina, portarla al piano e
aprire la porta, onde consentire l’allontanamento
delle persone; l’affidamento di questa mansione può
avvenire soltanto previo specifico corso di formazione
che dovrà essere effettuato in conformità allo
schema approvato dall’Organismo Paritetico Nazionale
di cui all’art. 4 dell’Accordo 17/4/1997 (all.
n. 6); tale conformità dovrò risultare da apposito
provvedimento emanato dall’O.P.N.. Il costo del corso
sarà a carico del datore di lavoro. Tale compito
verrà svolto dai lavoratori incaricati durante l’orario
di lavoro e, limitatamente a quelli che usufruiscono
dell’alloggio di servizio, durante le ore di reperibilità,
nonché quando gli stessi si trovino comunque
presso i fabbricato, anche fuori degli orari di lavoro
di cui sopra, il lavoratore potrà intervenire oppure
provvederà a dare l’allarme, facendo attivare gli Organismi
competenti. Il lavoratore sarà coperto da
un’assicurazione per danni verso terzi procurati nelle
manovre ai riallineamento, mediante estensione della
polizza globale fabbricati. Per le prestazioni di cui
sopra è dovuta l’indennità di cui alle tabelle da A ad
A- quater dell’art. 117”
A tal riguardo osservasi che fin dal 1981 la giurisprudenza
(C. Cass. Civile, Sent. L, n. 6387 del
1/12/1981) prevedeva l’obbligo dell’assicurazione
per i lavoratori adibiti a tali mansioni sulla base
della presunzione di pericolosità delle attività indicate
dall’art. 1 del DPR 30/6/1965 n. 1124 riguardanti
per i custodi la piccola manutenzione
dell’ascensore, l’intervento in caso di allarme, il
controllo degli impianti di illuminazione, l’esecuzione
di pulizie nei locali all’interno dei quali
è installato l’impianto termico. La norma UNI
EN 81 –80, resa efficace in Italia con il decreto
16/1/2006, è autonoma dal Decreto 26/10/2005
non soltanto perché è contenuta in un differente
atto normativo, ma poiché lo stesso decreto non
subordina ad alcun termine la sua entrata in vigore
in Italia e neppure all’emanazione del decreto
direttoriale previsto dall’art. 2, comma quinto, del decreto 26/10/2005. Infatti il decreto 16//1/2006
afferma che allo stato attuale si ravvisa …”l’opportunità
di provvedere alla diffusione della norma
UNI EN 81 –80”che trova il suo fondamento nelle
seguenti considerazioni:
- nel livello di sicurezza degli ascensori esistenti inferiore allo stato dell’arte odierno;. - nelle nuove tecnologie e aspettative sociali le quali hanno condotto a quello che è lo stato dell’arte odierno in materiali sicurezza;
- nell’aumento della durata della vita e nella legittima aspettativa delle persone disabili ad accessi e progettazioni adeguati alle loro esigenze;
- nella necessità di fornire un mezzo sicuro di trasporto verticale per i disabili e per le persone anziane non accompagnate;
- nella constatazione della diminuzione della presenza del personale di servizio fisso degli ascensori e dei custodi degli stabili per cui è importante fornire le misure di sicurezza rilevanti per il recupero di persone rimaste intrappolate;
- nella constatazione della maggior lunghezza del ciclo di vita degli ascensori rispetto agli altri mezzi di trasporto con la conseguenza per cui il progetto di un ascensore, le sue prestazioni e la sicurezza possono rimanere indietro rispetto alla tecnologia moderna;
- nell’osservazione per la quale se gli ascensori esistenti non verranno portati allo stato dell’arte in termini di sicurezza il numero degli infortuni aumenterà specialmente in quegli edifici nei quali ha accesso il pubblico;
- nel rilievo dell’affermazione del principio della libertà di movimento delle persone all’interno dell’Unione europea con la conseguenza per la quale è sempre più difficile familiarizzare con le diverse installazioni sia per gli utenti che per le persone autorizzate.
- lo sbloccaggio di emergenza di una porta di piano deve essere possibile soltanto usando un dispositivo speciale (per esempio una chiave triangolare secondo quanto previsto dalla EN 81-1:1998, 7.7.3.2, oppure dalla EN 81-2: 1998, 7.7.3.2; misure aggiuntive devono essere applicate in conformità alla norma EN 81 71 negli edifici che possono subire atti vandalici o dove può verificarsi un “surfing” sull’ascensore ( punto 5.7.8.1);
- l’ascensore deve essere fornito di un sistema di manovra di emergenza in conformità con la EN 81
- 1: 1998, 12.5, per gli ascensori elettrici oppure con la EN 81 – 2:1998, 12.9., per gli ascensori idraulici; tutti questi sistemi di emergenza devono essere forniti di istruzioni che siano chiaramente esposte come definito nella EN 81-1:1998, 16.3.1, oppure nella EN 81-2:1998, 16.3.1 (punto 5.12.2);
- prima di rimettere in servizio un ascensore dopo avere effettuato delle modifiche esso deve essere sottoposto a controlli e a prove secondo quanto previsto nella EN 81 –1: 1998, appendice B”, oppure nella EN 81 –2: 1998, appendice E.2, oppure in regolamenti nazionali; le modifiche fatte su uno specifico componente possono avere conseguenze sulla sicurezza o sul funzionamento di altri componenti ad esso associati. Quindi i controlli e le prove dopo la modifica non devono essere limitati solo ai componenti modificati, ma devono comprendere anche i componenti e i sistemi che possono esserne influenzati (punto 6);
- si deve fornire tutta la documentazione rilevante per quei componenti che vengono cambiati e completati secondo il punto 5 della UNI EN 81 -80 inerente ai requisiti di sicurezza ed alle misure di prevenzione (punto 7).
E’ evidente che non ricorre l’ipotesi di reato predetto,
in quanto i medesimi agiscono in adempimento
di un dovere e pertanto la loro condotta integra
la causa di giustificazione prevista dall’articolo 51
del codice penale (esercizio di un diritto o adempimento
di un dovere), nei confronti del personale di
soccorso pubblico appartenente alle Forze dell’Ordine,
ai Vigili del Fuoco, alle organizzazioni di pronto
intervento della sanità pubblica i quali intervengano
per soccorrere i soggetti che abbiano riportato delle
lesioni nell’uso degli ascensori o che siano rimaste
chiuse, per varie cause, all’interno dei medesimi.
Sono abilitate (art. 2 della legge 5/3/1990 n. 46)
all’installazione, trasformazione, ampliamento e
manutenzione degli impianti indicati nell’art. 1
della legge 5/3/1990 n. 46 le imprese iscritte:
- nel registro delle ditte del r.d. 20/9/1934 n.
2001; - nell’albo provinciale delle imprese artigiane
di cui alla legge 8/8/1985 n. 443.
Le predette imprese che dimostrino la loro iscrizione
nei predetti albi almeno da un anno dalla
data di entrata in vigore della l. 46/1990 hanno
diritto ad ottenere il riconoscimento dei requisiti
tecnico – professionali previa la presentazione di
una domanda (art. 5 della l. 46/1990). L’esercizio
di tali attività è, inoltre, subordinato (artt. 3, 4,
5 della legge 46/1990) al possesso dei requisiti
tecnico – professionali (laurea in materia tecnica,
diploma di scuola secondaria, diploma di scuola
secondaria superiore in materia tecnica, attestato
di formazione professionale, prestazione svolta alle
dipendenze di un’azienda del settore per un periodo
non inferiore a tre anni ) il cui accertamento
viene espletato per le imprese artigiane dalle Commissioni
provinciali per l’artigianato, per tutte le
altre imprese da una commissione nominata dalla
Giunta della Camera di commercio, le quali rilasciano
il certificato di riconoscimento dei requisiti
professionali ( art. 3 del DPR 6/12/1991 n. 447).
Per la progettazione degli impianti (art. 6 della
l.46/1990, art. 4 del DPR 6/12/1991 n. 447) è obbligatoria
la redazione del progetto da parte di professionisti
iscritti negli albi professionali, nell’ambito
delle rispettive competenze. Al termine dei
lavori (art. 9 della l. 46/1990 e 7 del DPR 447/1991,
norme oggi sostituite dall’art. 7 del D.M. Sviluppo
Economico 22/1/2008 n. 37) l’impresa installatrice
deve rilasciare al committente la dichiarazione di
conformità (redatta sulla base del modello predisposto
con decreto 20/2/1992 del Ministero dell’Industria,
del commercio e dell’artigianato) degli impianti
realizzati nel rispetto delle norme previste dall’art. 7 della l. 46/1990. Il Sindaco (art. 11 della l. 46/1990
e art. 24 del DPR 380/2001) rilascia il certificato di
abitabilità o di agibilità dopo aver acquisito anche
la dichiarazione di conformità o il certificato di collaudo
degli impianti installati. La dichiarazione (art.
13 della l. 46/1990) deve essere depositata presso lo
sportello unico del comune entro trenta giorni dalla
conclusione dei lavori qualora il nuovo impianto sia
installato in un edificio per il quale è già stato rilasciato
il certificato di abitabilità, mentre nel caso
di rifacimento parziale di impianti il progetto e la
dichiarazione di conformità o il certificato di collaudo,
ove previsto, si riferiscono alla sola parte degli
impianti oggetto dell’opera di rifacimento.
Il Decreto del Ministro dello Sviluppo Economico
n. 108/2009 del 23/7/2009 relativo
all’adeguamento degli ascensori esistenti alla
norma Uni En 81 - 80.
I commentatori che hanno fino ad oggi negato
l’immediata applicabilità della norma Uni En 81 -
80, nonostante la sua pubblicazione sulla GU n.
27 del 2/2/2006, sostenevano come principale ed
unica argomentazione di tale assunto la mancata
adozione di un decreto ministeriale di attuazione
della normativa introdotta dai decreti del
26/10/2005 e del 16/1/2006 del Ministero delle
attività produttive, anch’essi relativi al miglioramento
della sicurezza degli ascensori.
Tale affermazione è oggi definitivamente superata
dall’emanazione del Decreto del Ministro dello
Sviluppo Economico n. 108/2009 del 23/7/2009
(pubblicato su GU n. 189 del 17/8/2009) relativo
all’adeguamento degli ascensori esistenti alla norma
Uni En 81 - 80 che rivolto a tutte le categorie
professionali interessate, a vario titolo, all’adeguamento
allo stesso livello di sicurezza tutti gli
ascensori in esercizio in Italia attesa la vetustà di
una parte rilevante dei medesimi.
Il sistema di controllo (art. 2) coinvolge direttamente
il proprietario od il legale rappresentante
dell’impianto che, a partire dall’entrata in vigore
del decreto, in occasione della prima verifica
sull’impianto già programmata dall’organismo notificato,
dalla ASL o dall’Ispettorato del Lavoro,
richiede l’effettuazione di una visita straordinaria
finalizzata “ad un’analisi delle situazioni di rischio
presenti nell’impianto” secondo le regole della
buona tecnica e consistenti nelle norme UNI e le
norme europee che garantiscono un livello di sicurezza
equivalente come le norme Uni En 81 - 80.
Le verifiche straordinarie debbono essere attuate
entro i seguenti termini perentori decorrenti dalla
data di entrata in vigore del decreto:
- due anni per gli ascensori installati prima del 15/11/1964;
- 3 anni per gli ascensori installati prima del 14/10/1979;
- 4 anni per gli ascensori installati prima del 9/4/1991;
- 5 anni per gli ascensori installati prima del 24/6/1999.
Gli oneri delle verifiche e dei costi di adeguamento
degli impianti sono a carico dei rispettivi proprietari
e il decreto afferma (artt. 4 e 5) le seguenti
impegnativa dichiarazioni di responsabilità:
- gli enti responsabili delle verifiche devono accertare, nel corso delle ispezioni successive, l’avvenuto adeguamento degli impianti al decreto ed in caso in cui venga l’inottemperanza, l’ente ne comunica l’esito negativo al competente ufficio comunale peri provvedimenti di competenza e informa il proprietario dell’impianto e/o l’amministratore del condominio e la ditta di manutenzione;
- il proprietario dell’impianto di ascensore o il suo legale rappresentante sono responsabili della corretta esecuzione degli interventi di adeguamento previsti dal decreto e nel rispetto delle esecuzioni tecniche previste dall’analisi del rischio oppure da quelle indicate dalla norma di buona tecnica.
L’installazione dell’ascensore secondo la sentenza
C.Cass. n. 13358/2016.
La ristrutturazione degli immobili comporta modifiche consistenti che interessano anche impianti
tecnologici invasivi quali gli ascensori ed a tal
proposito è intervenuta la Corte di Cassazione
con la sentenza n. 13358/2016 (Sez. 2 Civ., ud.
15.3.2016, dep. 28.6.2016). Il caso trattato riguardava
l’installazione di un ascensore all’interno
di un cortile di un fabbricato realizzato senza rispettare
le distanze legali di una proprietà vicina.
Il proprietario dell’ascensore sosteneva che l’opera
era stata legittimamente realizzata secondo le norme
della legge 9.1.1989 n. 13 contenente disposizioni
per favorire il superamento e l’eliminazione
delle barriere negli edifici privati. In particolare
tale legge contiene l’art. 3 il quale al primo comma
afferma che le opere possono essere realizzate in
deroga alle norme sulle distanze previste dai regolamenti
edilizi anche per i cortili e le chiostrine
interne ai fabbricati o comuni o di uso comune. Il
successivo comma secondo sostiene che sussiste
l’obbligo di rispetto delle distanze di cui agli artt.
873 e 907 del codice civile nell’ipotesi in cui tra
le opere da realizzare e i fabbricati alieni non sia
interposto alcuno spazio o alcuna area di proprietà
o di uso comune.
La sentenza n. 13358/2016 ha rigettato il ricorso
del proprietario dell’ascensore affermando che se
è vero che il primo comma dell’art. 3 della legge
n. 13/1989 contempla, oltre ai cortili comuni o in
uso comune a più fabbricati anche i cortili interni,
indipendentemente dalla proprietà degli stessi,
tale principio non consente di accogliere la sua domanda
poiché nel caso trattato ricorre il disposto
del secondo comma dell’art. 3 citato in quanto nel
corso dei gradi precedenti del giudizio era stato
accertato che la costruzione dell’ascensore non
coinvolgeva una proprietà comune alla controparte
nel giudizio. Il conseguente principio di diritto
consiste nell’affermare non solo che non è condominiale
il cortile in cui è stata installata la colonna
dell’ascensore, ma anche che non è condominiale,
ovvero non appartiene al medesimo fabbricato del
convenuto, la muratura perimetrale a cui detta colonna
si appoggiava.
di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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