CASSAZIONE 25 MAGGIO 2016, N. 33547
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. GALLO Domenico - Presidente
Dott. RAGO Geppino - Consigliere
Dott. AGOSTINACCHIO Luigi - Consigliere
Dott. PARDO Ignazio - Consigliere
Dott. D’ARRIGO Cosimo - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.C., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza n. 1167 emessa in data 13 febbraio 2015 dalla Corte d'appello di Milano;
Sentita la relazione svolta in pubblica udienza dal consigliere Dott. Cosimo D'Arrigo;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. GALLI Massimo, che ha concluso per l'inammissibilità del ricorso;
udito il difensore avv. Andrea Soliani, nell'intesse dell'imputato, che ha insistito nei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
P.C., già amministratore di un condominio sito in San Donato Milanese, è stato condannato dal Tribunale di Milano, con sentenza del 15 giugno 2012, per essersi indebitamente appropriato dell'importo di Euro 38.878,00 prelevato dalle casse condominiali. La Corte d'appello meneghina, con sentenza del 13 febbraio 2015, in parziale riforma della decisione di primo grado, ha concesso all'imputato il beneficio della non menzione della condanna.
Ricorre l'imputato, per il tramite del proprio difensore, denunciando anzitutto l'erronea applicazione dell'art. 646 cod. pen. e il vizio di motivazione in ordine all'accertamento dell'interversione del possesso delle somme indicate come oggetto del reato contestatogli. Osserva al riguardo che la vicenda veniva alla luce in data 13 febbraio 2009, allorquando il P., cessando dalla carica di amministratore del condominio, consegnava al nuovo amministratore la contabilità e contestualmente segnalava un ammanco di oltre Euro 22.000.00, successivamente accertato (e definitivamente riconosciuto dallo stesso P.) in Euro 38.878,40. Sottolinea, quindi, di essere stato egli stesso a segnalare l'ammanco di tali somme e che le stesse non erano destinate al pagamento di spese correnti: egli aveva fatto un investimento nell'interesse esclusivo del condominio amministrato e non se ne è mai appropriato.
Il secondo motivo di ricorso l'imputato si duole della omessa sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria.
In udienza il difensore ha eccepito la prescrizione del reato.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è manifestamente infondato e deve essere dichiarato inammissibile.
Il primo motivo di ricorso riguarda, in sostanza, l'accertamento della sussistenza degli elementi costitutivi del delitto di appropriazione indebita, con riferimento tanto al dato teleologico dell'ingiusto profitto quanto a quello psicologico dell'interversione del possesso. La doglianza è infondata in relazione ad entrambi profili dedotti.
La censura relativa all'interversione del possesso poggia sull'erronea convinzione che tale momento si determina allorquando l'autore del reato, già appropriatosi della cosa, non provveda alla sua restituzione. In realtà la consumazione del reato di cui all'art. 646 cod. pen. non richiede la costituzione in mora dell'autore nè un vero e proprio inadempimento dell'obbligo restitutorio, essendo anticipata la soglia della rilevanza penale al momento appropriativo in sè considerato (cioè, nel caso di specie, all'indebito prelievo di somme dalle casse del condominio).
Quanto all'ingiusto profitto, la circostanza che le somme in questione sarebbero state investite nell'interesse del condominio, anzichè utilizzate a fini privati dall'imputato, risulta sprovvista di qualsiasi riscontro fattuale. Si tratta di questione proposta per la prima volta col presente ricorso. Al contrario, dalla lettura dell'atto d'appello si ricavare che le somme sarebbero, piuttosto che essere "investite" nell'interesse del condominio, sarebbero state spostate dal conto corrente condominiale ad un conto corrente privato del P. "destinato alla gestione di tutti i condomini di cui lo stesso risultava essere, da 38 anni, amministratore", caratterizzato da una maggiore fruttuosità in ragione del tasso di interesse praticato. Detta operazione, ben lungi dal costituire semplicemente un'attività poste in essere in nome per conto del condominio, ancorchè in eccedenza del mandato ricevuto, implica l'impossessamento del denaro da parte dell'imputato.
E' parimenti infondato il secondo motivo di ricorso, relativo al diniego della sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria. La corte d'appello ha infatti osservato che l'esigua misura della pena sostitutiva (anche a causa di un errore commesso dal giudice di primo grado nella determinazione della pena in senso favorevole per l'imputato) renderebbe la sanzione priva di qualsiasi efficacia deterrente. Tale motivazione immune da vizi logici e giuridici, si sottrae a censure di legittimità.
Quanto alla prescrizione del reato, eccepita in udienza, si rileva che l'effettiva interruzione del reato si è avuta solo al momento del passaggio di consegne al nuovo amministratore, essendosi le condotte distrattive prolungate per tutta la durata dell'incarico.
Il ricorso deve, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile.
Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonchè - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al pagamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 1.500,00, così equitativamente stabilita in ragione dei motivi dedotti.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
Sentenza a motivazione semplificata.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 25 maggio 2016.
Depositato in Cancelleria il 1 agosto 2016
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