REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PETITTI Stefano - Presidente
Dott. ORILIA Lorenzo - Consigliere
Dott. PICARONI Elisa - Consigliere
Dott. ABETE Luigi - Consigliere
Dott. SCARPA Antonio - rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23137/2015 proposto da:
T.O., T. SRL UNIPERSONALE, V.A., elettivamente domiciliati in ROMA, presso lo studio dell'avvocato G. G., che li rappresenta e difende;
- ricorrenti -
CONTRO
CONDOMINIO, elettivamente domiciliato in ROMA, presso lo studio dell'avvocato C. D., che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato S. B.;
- controricorrente -
avverso la sentenza n. 1986/2014 del TRIBUNALE di BOLOGNA, depositata il 13/06/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/02/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorrenti .T. R.O. ed V.A. impugnano, articolando due motivi di ricorso, la sentenza n. 1986/2014 del 13 giugno 2014 resa dal Tribunale di Bologna, all'esito della pronuncia di inammissibilità dell'appello ex art. 348 bis c.p.c., della Corte d'Appello di Bologna con ordinanza del 23 giugno 2015.
Il Tribunale di Bologna aveva rigettato l'impugnazione della deliberazione assembleare del Condominio di via (OMISSIS) del 26 giugno 2013, che aveva adottato un riparto delle spese di riscaldamento sulla base dei consumi ("solo in minima parte") presunti. Il giudice di primo grado evidenziava che gli attori non avevano contestato il metodo di ripartizione delle spese di riscaldamento utilizzato nel condominio nell'ultimo decennio (30% in base ai millesimi e 70% in base ai consumi). A base dell'impugnazione T. R.O. ed V.A. avevano dedotto l'erroneità dei dati di consumo ricavati dai "contacalorie" collocati nelle singole unità immobiliari.
Il primo motivo di ricorso deduce la violazione degli artt. 1123, 1130 e 1137 c.c., avendo la sentenza del Tribunale disatteso la domanda di declaratoria di invalidità di un rendiconto che ripartiva le spese di riscaldamento sulla base di consumi presunti o comunque errati, dovendo il riparto avvenire secondo il già richiamato metodo convenzionalmente adottato nei precedenti esercizi.
Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione dell'art. 115 c.p.c., e art. 2697 c.c., per l'erronea valutazione delle prove e la mancata ammissione delle deduzioni istruttorie che avrebbero dimostrato il cattivo funzionamento dei contabilizzatori di calore e l'inesatto rilievo dei consumi.
Si difende con controricorso il Condominio di via (OMISSIS).
La ricorrente ha presentato memoria ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., comma 2.
Ritenuto che il ricorso potesse essere rigettato per manifesta infondatezza, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all'art. 380 bis c.p.c., in relazione all'art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), su proposta del relatore, il presidente ha fissato l'adunanza della camera di consiglio.
In via di principio sono da considerare nulle per impossibilità dell'oggetto, e perciò pure impugnabili indipendentemente dall'osservanza del termine perentorio di trenta giorni ex art. 1137 c.c., comma 2, tutte le deliberazioni dell'assemblea adottate in violazione dei criteri normativi o regolamentari di ripartizione delle spese, e dunque in eccesso rispetto alle attribuzioni dell'organo collegiale, seppur limitate alla suddivisione di un determinato affare o di una specifica gestione, non potendo la maggioranza dei partecipanti incidere sulla misura degli obblighi dei singoli condomini fissata per legge o per contratto, ed occorrendo, piuttosto, a tal fine, un accordo unanime, espressione dell'autonomia negoziale.
D'altro canto, il riparto degli oneri di riscaldamento, negli edifici condominiali in cui siano stati adottati sistemi di termoregolazione e di contabilizzazione del calore per ogni singola unità immobiliare, va fatto per legge in base al consumo effettivamente registrato (si veda la L. 9 gennaio 1991, n. 10, art. 26, commi 5 e 6, come modificato dalla L. n. 220 del 2012; cfr. anche Cass. Sez. 2, Sentenza n. 22573 del 07/11/2016).
Nella specie, per quanto del contenuto della deliberazione del 26 giugno 2013 risulta specificamente riportato nel ricorso, come prescritto dall'art. 366 c.p.c., comma, n. 6, non può affatto sostenersi che l'assemblea del Condominio di via (OMISSIS) avesse con essa, esulando dalle proprie attribuzioni, modificato i criteri di riparto delle spese di riscaldamento stabiliti dalla legge (o comunque dapprima approvati in via convenzionale da tutti i condomini), sicchè è da escluderne la nullità. I ricorrenti propongono a questa Corte di rivalutare le risultanze probatorie e di convenire sull'opportunità di procedere a prove esplorative, negate dal Tribunale, e che avrebbero potuto dar conforto all'assunto degli stessi ricorrenti dell'erroneo rilievo dei consumi di calore posti a base del riparto, con ciò investendo il giudice di legittimità di compiti che esulano dai limiti del suo sindacato.
E' infine decisivo osservare come il Tribunale evidenziasse che i consumi "presunti" contabilizzati riguardassero altri tre condomini, e non le unità immobiliari di proprietà degli attori, che quindi nessun danno avevano ricevuto dal recepimento di quei dati. Va al riguardo affermato che il condomino, il quale intenda proporre l'impugnativa di una delibera dell'assemblea, per l'assunta erroneità della disposta ripartizione delle spese di gestione, deve allegare e dimostrare di avervi interesse, interesse che presuppone la derivazione dalla deliberazione assembleare di un apprezzabile suo personale pregiudizio, in termini di mutamento della rispettiva posizione patrimoniale. Peraltro, l'interpretazione dell'esatto contenuto della delibera dell'assemblea dei condomini, impugnata ai sensi dell'art. 1137 c.c., come l'accertamento della situazione di fatto che è alla base della determinazione assembleare, sono rimessi all'apprezzamento del giudice di merito, non sindacabile in sede di legittimità (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 23903 del 23/11/2016; Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5125 del 03/05/1993). Il ricorso va perciò rigettato e le spese del giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo, vengono regolate secondo soccombenza.
Sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto l'art. 13, comma 1 quater, del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - dell'obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti in solido a rimborsare al controricorrente le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sezione Sesta - 2 Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 10 febbraio 2017.
Depositato in Cancelleria il 9 marzo 2017
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