Il decreto ingiuntivo deve essere richiesto esclusivamente nei confronti di colui che è condomino al momento della sua proposizione e non di colui che abbia perduto tale qualifica per aver alienato l’immobile.
Qualora un soggetto fornito di soggettività
giuridica, quale è un condominio, ritenga
che un suo diritto sia leso, può rivolgersi
all’autorità giudiziaria affinché disponga la cessazione
di tale lesione e disponga, se ne ricorrano i
presupposti, il risarcimento dei danni patiti.
Il legislatore, al fine di statuire le regole del procedimento
giudiziale, ha innanzi tutto focalizzato
tre criteri che consentono di individuare esattamente
l’autorità giudiziaria alla quale rivolgersi.
Questi sono: Competenza per valore: in relazione
al valore della causa si può radicare il giudizio o
avanti il Giudice di Pace, competente sino al valore
di euro 5.000,00=, per quanto attiene la disciplina
condominiale latu sensu intesa, o avanti
il Tribunale in composizione monocratica, solo in
rare eccezioni in composizione collegiale, se la
causa ha un valore superiore alla predetta cifra.
Competenza per materia: per alcune particolari
questioni é lo stesso legislatore ad indicare il
giudice competente; così in materia condominiale
è competente, qualsiasi valore possa essere attribuito
alla vertenza, il Giudice di Pace per la regolamentazione dell’uso delle parti comuni e per le
immissioni di fumi e rumori provenienti da privati
e non da attività industriali.
Per tutte le altre materie è competente il Tribunale
nel rispetto delle disposizioni inerenti alla
competenza per valore.
Competenza per territorio: la causa deve essere
radicata avanti a una determinata autorità giudiziaria
territoriale al fine di evitare un possibile
arbitrio nella sua scelta; nel caso specifico è sempre
competente il Tribunale o il Giudice di Pace
nel cui mandamento si trova l’immobile condominiale,
anche ai fini della normativa concernente
la tutela dei consumatori ex D. Lgs. 6 settembre
2005, n. 206, essendo il condominio un consumatore
equiparato, quindi, a una persona fisica
(Cass. Civ. Sez. II 22 maggio 2015).
Il legislatore del 2012 ha modificato l’art. 23 c.p.c.,
inserendo anche le cause tra condomini e condominio,
recependo la tesi giurisprudenziale sul punto.
Considerato, poi, che la parte soccombente nel
giudizio di primo grado può ritenere che il giudice
abbia errato nella valutazione della fattispecie
concreta, sottoposta al suo esame, il legislatore gli
ha concesso di ricorrere in appello. L’appello deve
essere radicato rispettivamente avanti il Tribunale
per le sentenze emesse dal Giudice di Pace e avanti
la Corte d’Appello per quelle emesse dal Tribunale.
Nel giudizio di appello non sono ammessi nuove
prove o depositi di ulteriori documenti, sempre
che la parte non sia stata nell’impossibilità assoluta
di articolarle o produrli in primo grado.
Allo scopo, però, di scoraggiare il ricorso in appello
al solo fine di prolungare il giudizio, il legislatore
ha disposto che le sentenze di primo
grado sono provvisoriamente esecutive e, dunque, devono essere eseguite, eccettuata l’ipotesi nella
quale, in relazione ad apposita istanza, la Corte
d’Appello non ne disponga la sospensione in
attesa del giudizio definitivo di secondo grado.
Non solo, il legislatore, con l’art. 348-bis c.p.c.,
introdotto nel codice di rito dall’art. 54, comma
primo, d. l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito in
legge 7 agosto 2012, n. 134, ha stabilito che l’appello
può essere dichiarato, con ordinanza succintamente
motivata, inammissibile o improcedibile,
quando l’impugnazione non ha una ragionevole
probabilità di essere accolta.
È, infine, ammesso anche il ricorso per Cassazione,
con unica sede in Roma, avverso le sentenze
di secondo grado esclusivamente per errori
di diritto commessi dalla Corte d’Appello e il ricorso
deve essere adeguatamente motivato; non
è, quindi, ammesso il ricorso per Cassazione per
presunta errata valutazione sul fatto o sulle prove
assunte in causa.
Anche l’atto introduttivo del giudizio può avere
forma diversa: citazione e ricorso.
L’atto di citazione viene notificato direttamente
dal legale dell’attore, colui che promuove la causa,
al convenuto, parte passiva del giudizio, indicando
la data dell’udienza di comparizione e poi
viene iscritta la causa a ruolo; con il ricorso l’avvocato
della parte iscrive a ruolo immediatamente
la causa e poi, fissata l’udienza dal magistrato,
viene notificato al convenuto
– resistente la copia sia del ricorso sia del pedissequo
decreto del magistrato.
L’atto introduttivo ordinario è l’atto di citazione,
mentre il ricorso è preventivamente stabilito
dallo stesso legislatore: richiesta di un decreto
ingiuntivo; opposizione ad un decreto ingiuntivo
in materia locatizia, se, ad esempio, il condominio
conduce in locazione l’alloggio di servizio del
portiere; revoca dell’amministratore.
Le controversie che possono interessare un condominio
sono interne, con un condomino, o esterne,
con un terzo fornitore o professionista che sia; in
entrambi i casi è lo stesso condominio parte del
giudizio e quindi i singoli condomini non hanno
la capacità di testimoniare, costituendo loro stessi
la parte in causa ex art. 246 cod. proc. civ. e
avendo un interesse a che la causa si decida in
modo a loro favorevole.
Il legale rappresentante del condominio è l’amministratore
e la legittimazione processuale di
costui non esclude quella concorrente dei singoli
condomini, non avendo il condominio personalità
giuridica.
Nel caso nelle more del giudizio sia sostituito
l’amministratore, il nuovo non deve rilasciare una
nuova procura al legale poiché parte in causa è il
condominio.
Qualora si controverta in tema di diritti reali o
contrattuali dei singoli condomini, si determina
un litisconsorzio necessario tra loro e la vertenza
giudiziaria deve inerire a tutti loro, con esclusione,
quindi, dell’amministratore di condominio;
tipiche fattispecie sono le controversie concernenti
le clausole contrattuali del regolamento di
condominio.
Le controversie che si riferiscono ai rapporti interni
tra i condomini sono inerenti a:
1) recupero crediti nei confronti dei condomini
morosi; per il recupero delle spese condominiali
non corrisposte da un condomino l’amministratore
può chiedere un decreto ingiuntivo che costituisce
un procedimento speciale rispetto a quello
ordinario sopra esaminato.
Il ricorso per decreto ingiuntivo deve essere documentato
con la convocazione dell’assemblea,
il verbale che approva il rendiconto consuntivo
e/o preventivo con il relativo riparto, la messa in
mora del condomino debitore.
Il magistrato, senza sentire la parte ingiunta,
emette il decreto, che può essere opposto dall’ingiunto
ove sussistano suoi fondati motivi.
L’amministratore, in questo caso, ha il potere autonomo
di ricorrere all’autorità giudiziaria, senza
necessità, pertanto, di alcuna delibera dell’assemblea.
Il decreto ingiuntivo deve essere richiesto esclusivamente
nei confronti di colui che è condomino
al momento della sua proposizione e non di colui
che abbia perduto tale qualifica per aver alienato
l’immobile.
Qualora il condomino non provveda a pagare quanto
riportato nel decreto ingiuntivo, l’amministratore
procede con l’azione esecutiva concernente un:
a) pignoramento mobiliare consistente nel sequestrare
beni mobili, per esempio, il televisore, una
poltrona e così via, nella casa del debitore, con le
esclusioni ex lege previste, ad esempio, il letto e
la cucina, e venderli all’asta soddisfacendosi con
il ricavato;
b) pignoramento immobiliare che si differenzia
dal primo poiché il sequestro investe direttamente
l’unità immobiliare del debitore;
c) pignoramento di beni mobili iscritti in pubblici
registri, ad esempio, un motoveicolo o un autoveicolo;
d) pignoramento presso terzi quale può essere lo
stipendio a mani del datore di lavoro o un conto
deposito titoli presso un istituto di credito.
2) Adempimento di obbligazioni per costringere
un condomino, o anche un conduttore, a rispettare
il regolamento di condominio o a cessare un
comportamento illegittimo per un uso abusivo dei beni comuni ovvero per costringere il condominio
a effettuare le manutenzioni dello stabile e/o dei
suoi singoli impianti.
3) Difesa del diritto di possesso e di proprietà
dei beni condominiali per un’occupazione abusiva
degli stessi; in queste ipotesi l’amministratore
deve essere preventivamente autorizzato dall’assemblea
di condominio.
4) Impugnazione di una delibera condominiale o
di un provvedimento autonomo dell’amministratore.
In ogni caso il sindacato dell’autorità giudiziaria
sulle delibere assembleari, non può estendersi
alla valutazione del merito e al controllo
della discrezionalità di cui dispone l’assemblea,
ma deve limitarsi al risconto della sua legittimità.
5) Revoca dell’amministratore condominiale e/o
richiesta di risarcimento danni per una non corretta
gestione o per un suo inadempimento al
contratto di mandato.
6) Provvedimenti di urgenza al fine di evitare che
il comportamento di un condomino possa arrecare
e aggravare un pregiudizio per il condominio.
Le azioni contro i terzi ineriscono a:
- adempimento coatto di un contratto, o risoluzione del medesimo, con contestuale richiesta di risarcimento dei danni patiti e patiendi in relazione ad un inadempimento contrattuale; si rammenta che la risoluzione può essere giudiziale o di diritto (clausola risolutiva espressa, diffida ad adempiere, termine essenziale) e che una vola richiesta la risoluzione del contratto non ne può più essere richiesto l’adempimento. Ricorrendone i presupposti l’azione ordinaria può essere preceduta da un accertamento tecnico preventivo per determinare le cause di vizi e di contestazioni lamentati e, se del caso, può essere richiesto al consulente tecnico d’ufficio di esperire un tentativo di conciliazione inter partes.
- Azioni reali e richieste di provvedimenti d’urgenza del condominio contro terzi, o viceversa, con identiche motivazioni delle cause tra condomini, ut supra dedotto.
- Recupero dei crediti vantati dai terzi nei confronti del condominio; in quest’ipotesi la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza dell’8 aprile 2008, n. 9148, ha deciso la parziarietà dei debiti del condominio, il terzo deve procedere in sede esecutiva nei confronti dei singoli condomini morosi e l’amministratore, a richiesta, deve fornirgli il loro nominativo, senza incorrere in alcuna violazione della normativa della privacy, considerato il disposto del novellato art. 63 disp. att. c.c.. Una delle esigenze dei nostri tempi è quella della velocità nel conseguimento dei risultati. Se alla rapidità si affiancano la riservatezza e la garanzia, si rinvengono tre ragioni che hanno favorito in questi ultimi anni l’istituto dell’arbitrato.
L’arbitrato, che può essere irrituale e rituale, si distingue
dall’arbitraggio, della perizia tecnica, della
conciliazione, della mediazione, che del resto sono
sempre impugnabili, e pertanto deve essere previsto
espressamente nel regolamento di condominio.
L’arbitrato però non è utilizzabile nell’ipotesi di
controversia con un dipendente subordinato del
condominio.
Nell’arbitrato rituale, nel quale gli arbitri possono
decidere secondo diritto e che è disciplinato dalla
legge 5 gennaio 1994, n. 25, così come modificato
dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, gli arbitri
possono essere uno o più, ma sempre in numero
dispari; una volta istruita la causa, i giudici devono
emettere il lodo che, vistato dal Tribunale, è
già un titolo esecutivo.
Il lodo può essere impugnato avanti la Corte di
Appello solo per nullità, per le fattispecie previste
dallo stesso legislatore, per revocazione e per
opposizione di terzo.
Da ultimo si deve evidenziare che, a far data dal
2011, le controversie in materia condominiale
possono essere precedute da un tentativo di conciliazione.
Il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, ha introdotto
la mediazione obbligatoria per le controversie,
tra le altre, in materia di condominio,
locazione e diritti reali.
Il tentativo di conciliazione, per queste fattispecie,
rappresenta una condizione di procedibilità
dell’eventuale successiva domanda giudiziale.
Al fine di diffondere l’istituto della conciliazione
il legislatore ha posto un obbligo a carico degli
avvocati di segnalare ai propri clienti la facoltà
di avvalersi della procedura de qua; l’informativa
deve essere allegata al fascicolo di parte nell’eventuale
successiva causa.
Il procedimento della mediazione da adottare è
quello previsto dal regolamento del quale ogni
organismo deve munirsi; lo stesso è del tutto informale
e deve avere una durata non superiore a
tre mesi non soggetta alla sospensione feriale dei
termini processuali.
Al fine di agevolare il ricorso alla mediazione, il
legislatore concede alle parti un credito d’imposta
per le spese sostenute, seppure con il limite di
500,00= euro, purché, però, abbiano raggiunto un
accordo conciliativo, nonché delle spese di bollo
e dell’imposta di registro sino a 50,00= euro.
Inoltre il verbale de quo costituisce titolo esecutivo
per la procedura esecutiva anche degli obblighi
di fare e per l’iscrizione d’ipoteca giudiziale
in caso di inosservanza della raggiunta conciliazione,
se sottoscritto dagli avvocati delle parti.
Sono esclusi dal tentativo di mediazione gli accertamenti
tecnici preventivi, qualora sia chiesto che
il C.T.U. tenti una conciliazione, e i procedimenti
per decreti ingiuntivi poiché sono procedimenti
sommari che non richiedono il contraddittorio
delle parti e si risolvono in breve; tuttavia, nel
caso di opposizione dell’ingiunto, trasformandosi
il rito in giudizio a cognizione ordinaria, il tentativo
di conciliazione deve essere esperito.
Non si applicano, inoltre, ai procedimenti possessori
e cautelari.
La Corte costituzionale ha dichiarato, con sentenza
6 dicembre 2012, n. 272, l’incostituzionalità,
della normativa in esame, per eccesso di delega,
limitatamente all’informativa dell’avvocato al
cliente e all’obbligatorietà del tentativo di mediazione,
con le conseguenze procedurali che ne
derivano, ma il Governo ha reiterato questa procedura
con il D.L. 21 giugno 2013 n. 69 convertito
in legge 9 agosto 2013 n. 98.
Tuttavia, il legislatore, con l’art. 71-quater disp. att. cod. civ, ha dettato la procedura che il condominio
deve adottare per pervenire, eventualmente,
a una soluzione conciliativa insorta.
Innanzi tutto, ha precisato che per vertenze, in
materia condominiale, devono intendersi esclusivamente
quelle inerenti alla disciplina codicistica
in tema di condominio, con esclusione, conseguentemente,
delle diverse vertenze nella quali
una parte è un condominio quale può essere una
causa per la richiesta di risarcimento danni, tra
un condominio e un appaltatore, in conseguenza
di vizi all’opera eseguita, e tra un condomino e il
condominio per infiltrazioni d’acqua provenienti
dal tetto per una sua mancata manutenzione.
Inoltre, ha stabilito che la domanda di mediazione
deve essere presentata a un organismo con
sede nella circoscrizione del Tribunale nella quale
è sito il condominio, derogando in tal modo
alla disposizione generale prevista dal d.lgs. n.
28/2010 concernente la libertà di scelta dell’organismo
in tutto il territorio nazionale.
Infine, ha stabilito che la partecipazione dell’amministratore
alla mediazione e la sottoscrizione
da parte sua del verbale di conciliazione debbano
essere approvate dalla maggioranza dei presenti
in assemblea rappresentante almeno la metà del
valore millesimale del condominio.
Si deve ritenere che la mediazione inerente alla
comproprietà di un bene comune, per esempio del
sottotetto, debba essere ugualmente approvata
con l’unanimità dei consensi dei condomini.
L’amministratore, che può convocare più riunioni
consecutive dell’assemblea, ai sensi del quinto comma
dell’art. 66 disp. att. c.c., può, nel caso specifico,
fissare più riunioni al fine sia di farsi autorizzare
a presenziare alla mediazione sia di riferire l’andamento
della procedura sia, infine, per farsi autorizzare
a sottoscrivere la proposta di conciliazione.
di Gian Vincenzo Tortorici
Direttore CSN ANACI
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