giovedì 13 luglio 2017

Le liti nel condominio - decreto ingiuntivo

Il decreto ingiuntivo deve essere richiesto esclusivamente nei confronti di colui che è condomino al momento della sua proposizione e non di colui che abbia perduto tale qualifica per aver alienato l’immobile.

Qualora un soggetto fornito di soggettività giuridica, quale è un condominio, ritenga che un suo diritto sia leso, può rivolgersi all’autorità giudiziaria affinché disponga la cessazione di tale lesione e disponga, se ne ricorrano i presupposti, il risarcimento dei danni patiti.
Il legislatore, al fine di statuire le regole del procedimento giudiziale, ha innanzi tutto focalizzato tre criteri che consentono di individuare esattamente l’autorità giudiziaria alla quale rivolgersi.
Questi sono: Competenza per valore: in relazione al valore della causa si può radicare il giudizio o avanti il Giudice di Pace, competente sino al valore di euro 5.000,00=, per quanto attiene la disciplina condominiale latu sensu intesa, o avanti il Tribunale in composizione monocratica, solo in rare eccezioni in composizione collegiale, se la causa ha un valore superiore alla predetta cifra.
Competenza per materia: per alcune particolari questioni é lo stesso legislatore ad indicare il giudice competente; così in materia condominiale è competente, qualsiasi valore possa essere attribuito alla vertenza, il Giudice di Pace per la regolamentazione dell’uso delle parti comuni e per le immissioni di fumi e rumori provenienti da privati e non da attività industriali.
Per tutte le altre materie è competente il Tribunale nel rispetto delle disposizioni inerenti alla competenza per valore.
Competenza per territorio: la causa deve essere radicata avanti a una determinata autorità giudiziaria territoriale al fine di evitare un possibile arbitrio nella sua scelta; nel caso specifico è sempre competente il Tribunale o il Giudice di Pace nel cui mandamento si trova l’immobile condominiale, anche ai fini della normativa concernente la tutela dei consumatori ex D. Lgs. 6 settembre 2005, n. 206, essendo il condominio un consumatore equiparato, quindi, a una persona fisica (Cass. Civ. Sez. II 22 maggio 2015).
Il legislatore del 2012 ha modificato l’art. 23 c.p.c., inserendo anche le cause tra condomini e condominio, recependo la tesi giurisprudenziale sul punto.
Considerato, poi, che la parte soccombente nel giudizio di primo grado può ritenere che il giudice abbia errato nella valutazione della fattispecie concreta, sottoposta al suo esame, il legislatore gli ha concesso di ricorrere in appello. L’appello deve essere radicato rispettivamente avanti il Tribunale per le sentenze emesse dal Giudice di Pace e avanti la Corte d’Appello per quelle emesse dal Tribunale.
Nel giudizio di appello non sono ammessi nuove prove o depositi di ulteriori documenti, sempre che la parte non sia stata nell’impossibilità assoluta di articolarle o produrli in primo grado.
Allo scopo, però, di scoraggiare il ricorso in appello al solo fine di prolungare il giudizio, il legislatore ha disposto che le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive e, dunque, devono essere eseguite, eccettuata l’ipotesi nella quale, in relazione ad apposita istanza, la Corte d’Appello non ne disponga la sospensione in attesa del giudizio definitivo di secondo grado.
Non solo, il legislatore, con l’art. 348-bis c.p.c., introdotto nel codice di rito dall’art. 54, comma primo, d. l. 22 giugno 2012, n. 83 convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, ha stabilito che l’appello può essere dichiarato, con ordinanza succintamente motivata, inammissibile o improcedibile, quando l’impugnazione non ha una ragionevole probabilità di essere accolta.
È, infine, ammesso anche il ricorso per Cassazione, con unica sede in Roma, avverso le sentenze di secondo grado esclusivamente per errori di diritto commessi dalla Corte d’Appello e il ricorso deve essere adeguatamente motivato; non è, quindi, ammesso il ricorso per Cassazione per presunta errata valutazione sul fatto o sulle prove assunte in causa.
Anche l’atto introduttivo del giudizio può avere forma diversa: citazione e ricorso.
L’atto di citazione viene notificato direttamente dal legale dell’attore, colui che promuove la causa, al convenuto, parte passiva del giudizio, indicando la data dell’udienza di comparizione e poi viene iscritta la causa a ruolo; con il ricorso l’avvocato della parte iscrive a ruolo immediatamente la causa e poi, fissata l’udienza dal magistrato, viene notificato al convenuto
– resistente la copia sia del ricorso sia del pedissequo decreto del magistrato.
L’atto introduttivo ordinario è l’atto di citazione, mentre il ricorso è preventivamente stabilito dallo stesso legislatore: richiesta di un decreto ingiuntivo; opposizione ad un decreto ingiuntivo in materia locatizia, se, ad esempio, il condominio conduce in locazione l’alloggio di servizio del portiere; revoca dell’amministratore.
Le controversie che possono interessare un condominio sono interne, con un condomino, o esterne, con un terzo fornitore o professionista che sia; in entrambi i casi è lo stesso condominio parte del giudizio e quindi i singoli condomini non hanno la capacità di testimoniare, costituendo loro stessi la parte in causa ex art. 246 cod. proc. civ. e avendo un interesse a che la causa si decida in modo a loro favorevole.
Il legale rappresentante del condominio è l’amministratore e la legittimazione processuale di costui non esclude quella concorrente dei singoli condomini, non avendo il condominio personalità giuridica.
Nel caso nelle more del giudizio sia sostituito l’amministratore, il nuovo non deve rilasciare una nuova procura al legale poiché parte in causa è il condominio.
Qualora si controverta in tema di diritti reali o contrattuali dei singoli condomini, si determina un litisconsorzio necessario tra loro e la vertenza giudiziaria deve inerire a tutti loro, con esclusione, quindi, dell’amministratore di condominio; tipiche fattispecie sono le controversie concernenti le clausole contrattuali del regolamento di condominio.

Le controversie che si riferiscono ai rapporti interni tra i condomini sono inerenti a:

1) recupero crediti nei confronti dei condomini morosi; per il recupero delle spese condominiali non corrisposte da un condomino l’amministratore può chiedere un decreto ingiuntivo che costituisce un procedimento speciale rispetto a quello ordinario sopra esaminato.
Il ricorso per decreto ingiuntivo deve essere documentato con la convocazione dell’assemblea, il verbale che approva il rendiconto consuntivo e/o preventivo con il relativo riparto, la messa in mora del condomino debitore.
Il magistrato, senza sentire la parte ingiunta, emette il decreto, che può essere opposto dall’ingiunto ove sussistano suoi fondati motivi.
L’amministratore, in questo caso, ha il potere autonomo di ricorrere all’autorità giudiziaria, senza necessità, pertanto, di alcuna delibera dell’assemblea.
Il decreto ingiuntivo deve essere richiesto esclusivamente nei confronti di colui che è condomino al momento della sua proposizione e non di colui che abbia perduto tale qualifica per aver alienato l’immobile.
Qualora il condomino non provveda a pagare quanto riportato nel decreto ingiuntivo, l’amministratore procede con l’azione esecutiva concernente un:
a) pignoramento mobiliare consistente nel sequestrare beni mobili, per esempio, il televisore, una poltrona e così via, nella casa del debitore, con le esclusioni ex lege previste, ad esempio, il letto e la cucina, e venderli all’asta soddisfacendosi con il ricavato;
b) pignoramento immobiliare che si differenzia dal primo poiché il sequestro investe direttamente l’unità immobiliare del debitore;
c) pignoramento di beni mobili iscritti in pubblici registri, ad esempio, un motoveicolo o un autoveicolo;
d) pignoramento presso terzi quale può essere lo stipendio a mani del datore di lavoro o un conto deposito titoli presso un istituto di credito.

2) Adempimento di obbligazioni per costringere un condomino, o anche un conduttore, a rispettare il regolamento di condominio o a cessare un comportamento illegittimo per un uso abusivo dei beni comuni ovvero per costringere il condominio a effettuare le manutenzioni dello stabile e/o dei suoi singoli impianti.

3) Difesa del diritto di possesso e di proprietà dei beni condominiali per un’occupazione abusiva degli stessi; in queste ipotesi l’amministratore deve essere preventivamente autorizzato dall’assemblea di condominio.

4) Impugnazione di una delibera condominiale o di un provvedimento autonomo dell’amministratore. In ogni caso il sindacato dell’autorità giudiziaria sulle delibere assembleari, non può estendersi alla valutazione del merito e al controllo della discrezionalità di cui dispone l’assemblea, ma deve limitarsi al risconto della sua legittimità.

5) Revoca dell’amministratore condominiale e/o richiesta di risarcimento danni per una non corretta gestione o per un suo inadempimento al contratto di mandato.

6) Provvedimenti di urgenza al fine di evitare che il comportamento di un condomino possa arrecare e aggravare un pregiudizio per il condominio. Le azioni contro i terzi ineriscono a:
  • adempimento coatto di un contratto, o risoluzione del medesimo, con contestuale richiesta di risarcimento dei danni patiti e patiendi in relazione ad un inadempimento contrattuale; si rammenta che la risoluzione può essere giudiziale o di diritto (clausola risolutiva espressa, diffida ad adempiere, termine essenziale) e che una vola richiesta la risoluzione del contratto non ne può più essere richiesto l’adempimento. Ricorrendone i presupposti l’azione ordinaria può essere preceduta da un accertamento tecnico preventivo per determinare le cause di vizi e di contestazioni lamentati e, se del caso, può essere richiesto al consulente tecnico d’ufficio di esperire un tentativo di conciliazione inter partes.
  • Azioni reali e richieste di provvedimenti d’urgenza del condominio contro terzi, o viceversa, con identiche motivazioni delle cause tra condomini, ut supra dedotto.
  • Recupero dei crediti vantati dai terzi nei confronti del condominio; in quest’ipotesi la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza dell’8 aprile 2008, n. 9148, ha deciso la parziarietà dei debiti del condominio, il terzo deve procedere in sede esecutiva nei confronti dei singoli condomini morosi e l’amministratore, a richiesta, deve fornirgli il loro nominativo, senza incorrere in alcuna violazione della normativa della privacy, considerato il disposto del novellato art. 63 disp. att. c.c.. Una delle esigenze dei nostri tempi è quella della velocità nel conseguimento dei risultati. Se alla rapidità si affiancano la riservatezza e la garanzia, si rinvengono tre ragioni che hanno favorito in questi ultimi anni l’istituto dell’arbitrato.
Considerato, quindi, che il condominio è una fucina di conflitti interpersonali aventi natura economica e che gravi sono i ritardi per la soluzione delle liti giudiziarie, non meraviglia che la società civile si sia indirizzata alle cosiddette “Alternative Dispute Resolutions” che offrono metodi rapidi per risolvere al meglio le controversie di natura civile. D’altronde i maggiori costi dell’arbitrato sono compensati dalla celerità del lodo arbitrale (240 giorni ex art. 820 c.p.c.).
L’arbitrato, che può essere irrituale e rituale, si distingue dall’arbitraggio, della perizia tecnica, della conciliazione, della mediazione, che del resto sono sempre impugnabili, e pertanto deve essere previsto espressamente nel regolamento di condominio. L’arbitrato però non è utilizzabile nell’ipotesi di controversia con un dipendente subordinato del condominio.
Nell’arbitrato rituale, nel quale gli arbitri possono decidere secondo diritto e che è disciplinato dalla legge 5 gennaio 1994, n. 25, così come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, gli arbitri possono essere uno o più, ma sempre in numero dispari; una volta istruita la causa, i giudici devono emettere il lodo che, vistato dal Tribunale, è già un titolo esecutivo.
Il lodo può essere impugnato avanti la Corte di Appello solo per nullità, per le fattispecie previste dallo stesso legislatore, per revocazione e per opposizione di terzo.
Da ultimo si deve evidenziare che, a far data dal 2011, le controversie in materia condominiale possono essere precedute da un tentativo di conciliazione.
Il decreto legislativo 4 marzo 2010, n. 28, ha introdotto la mediazione obbligatoria per le controversie, tra le altre, in materia di condominio, locazione e diritti reali.
Il tentativo di conciliazione, per queste fattispecie, rappresenta una condizione di procedibilità dell’eventuale successiva domanda giudiziale.
Al fine di diffondere l’istituto della conciliazione il legislatore ha posto un obbligo a carico degli avvocati di segnalare ai propri clienti la facoltà di avvalersi della procedura de qua; l’informativa deve essere allegata al fascicolo di parte nell’eventuale successiva causa.
Il procedimento della mediazione da adottare è quello previsto dal regolamento del quale ogni organismo deve munirsi; lo stesso è del tutto informale e deve avere una durata non superiore a tre mesi non soggetta alla sospensione feriale dei termini processuali.
Al fine di agevolare il ricorso alla mediazione, il legislatore concede alle parti un credito d’imposta per le spese sostenute, seppure con il limite di 500,00= euro, purché, però, abbiano raggiunto un accordo conciliativo, nonché delle spese di bollo e dell’imposta di registro sino a 50,00= euro.
Inoltre il verbale de quo costituisce titolo esecutivo per la procedura esecutiva anche degli obblighi di fare e per l’iscrizione d’ipoteca giudiziale in caso di inosservanza della raggiunta conciliazione, se sottoscritto dagli avvocati delle parti.
Sono esclusi dal tentativo di mediazione gli accertamenti tecnici preventivi, qualora sia chiesto che il C.T.U. tenti una conciliazione, e i procedimenti per decreti ingiuntivi poiché sono procedimenti sommari che non richiedono il contraddittorio delle parti e si risolvono in breve; tuttavia, nel caso di opposizione dell’ingiunto, trasformandosi il rito in giudizio a cognizione ordinaria, il tentativo di conciliazione deve essere esperito.
Non si applicano, inoltre, ai procedimenti possessori e cautelari.
La Corte costituzionale ha dichiarato, con sentenza 6 dicembre 2012, n. 272, l’incostituzionalità, della normativa in esame, per eccesso di delega, limitatamente all’informativa dell’avvocato al cliente e all’obbligatorietà del tentativo di mediazione, con le conseguenze procedurali che ne derivano, ma il Governo ha reiterato questa procedura con il D.L. 21 giugno 2013 n. 69 convertito in legge 9 agosto 2013 n. 98.
Tuttavia, il legislatore, con l’art. 71-quater disp. att. cod. civ, ha dettato la procedura che il condominio deve adottare per pervenire, eventualmente, a una soluzione conciliativa insorta.
Innanzi tutto, ha precisato che per vertenze, in materia condominiale, devono intendersi esclusivamente quelle inerenti alla disciplina codicistica in tema di condominio, con esclusione, conseguentemente, delle diverse vertenze nella quali una parte è un condominio quale può essere una causa per la richiesta di risarcimento danni, tra un condominio e un appaltatore, in conseguenza di vizi all’opera eseguita, e tra un condomino e il condominio per infiltrazioni d’acqua provenienti dal tetto per una sua mancata manutenzione.
Inoltre, ha stabilito che la domanda di mediazione deve essere presentata a un organismo con sede nella circoscrizione del Tribunale nella quale è sito il condominio, derogando in tal modo alla disposizione generale prevista dal d.lgs. n. 28/2010 concernente la libertà di scelta dell’organismo in tutto il territorio nazionale.
Infine, ha stabilito che la partecipazione dell’amministratore alla mediazione e la sottoscrizione da parte sua del verbale di conciliazione debbano essere approvate dalla maggioranza dei presenti in assemblea rappresentante almeno la metà del valore millesimale del condominio.
Si deve ritenere che la mediazione inerente alla comproprietà di un bene comune, per esempio del sottotetto, debba essere ugualmente approvata con l’unanimità dei consensi dei condomini.
L’amministratore, che può convocare più riunioni consecutive dell’assemblea, ai sensi del quinto comma dell’art. 66 disp. att. c.c., può, nel caso specifico, fissare più riunioni al fine sia di farsi autorizzare a presenziare alla mediazione sia di riferire l’andamento della procedura sia, infine, per farsi autorizzare a sottoscrivere la proposta di conciliazione.

di Gian Vincenzo Tortorici
Direttore CSN ANACI 

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