venerdì 15 settembre 2017

Ape difforme dalla realizzazione? È truffa contrattuale





La Cassazione penale con la Sentenza n. 16644/2017 stabilisce che incorre nel reato di truffa contrattuale chi vende un immobile con prestazioni energetiche difformi a quelle contenute nell’Attestato di Prestazione Energetica.

Sostengo, fin dalla nascita della certificazione energetica in Italia (che possiamo datare ufficialmente dal 2007 in avanti), che l’Attestato di Prestazione Eanergetica (APE - prima Attestato di Certificazione Energetica ACE) si può configurare a tutti gli effetti come un atto pubblico, essendo esso stesso vidimato - attraverso un protocollo ufficiale - da un Ente Pubblico quale la Regione (all’inizio dal Comune).
Il falso in atto pubblico, o meglio la Falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, è punibile dall’Art. 483 del Codice Penale come segue “[I]. Chiunque attesta falsamente al pubblico ufficiale, in un atto pubblico, fatti dei quali l’atto è destinato a provare la verità, è punito con la reclusione fino a due anni. [II]. Se si tratta di false attestazioni in atti dello stato civile [449 c.c.], la reclusione non può essere inferiore a tre mesi”.
Questo sicuramente riguarda il Certificatore, ma il venditore non è esente dalla colpa, infatti se l’APE attesta il consumo di un edificio, tale informazione deve essere garantita dal venditore al compratore e deve essere un’informazione veritiera. Nel caso in cui i consumi reali fossero sensibilmente diversi, il compratore, rispettando le tempistiche di legge, può richiedere al venditore una riduzione di prezzo oppure, se la differenza di consumo è particolarmente rilevante, la risoluzione del contratto (Art. 1490 del Codice Civile).



Lo conferma una recente Sentenza n. 16644/2017 pubblicata il 4 aprile emessa della Corte di Cassazione Penale che ha stabilito che incorre nel reato di truffa contrattuale chi vende un immobile con prestazioni energetiche non corrispondenti a quelle dichiarate nell’APE.
Nel caso in esame la Corte di appello di Milano assolveva l’imputato dal reato di truffa contrattuale (Art. 640 del Codice Penale). Si contestava la vendita di un immobile con caratteristiche diverse da quelle dichiarate con riguardo alla definizione della categoria energetica. La responsabilità veniva esclusa ritenendo che l’imputata fosse in buona fede in quanto aveva confidato nelle valutazioni dei tecnici che attestavano la conformità delle opere al progetto approvato.
  • Il ricorso coraggioso
Il difensore della parte civile in causa, però, non si è dato per vinto e ha proposto un ricorso deducendo, come si legge nella Sentenza:

1. Vizio di motivazione: l’imputato non poteva essere in buona fede tenuto conto del fatto che era consapevole di avere effettuato lavori in economia; il fatto che il tecnico certificante avesse ritenuto rispettato il progetto non poteva escludere la consapevolezza degli inadempimenti in capo all’imputato, costruttore, che sapeva di avere utilizzato materiali di qualità inferiore a quella dichiarata, di avere installato serramenti e impianto di riscaldamento non conformi e di non avere rifatto il tetto.

2. Vizio di legge: avrebbe dovuto essere riconosciuto quantomeno il dolo eventuale in quanto il venditore avrebbe dovuto rappresentarsi che la difformità delle opere rispetto al progetto avrebbe avuto delle conseguenze sulla classificazione energetica dell’alloggio”
Giudicando fondato il ricorso, la Cassazione ha osservato che “la difformità tra i lavori eseguiti e quelli progettati e la conseguente vendita dell’immobile con una classe energetica effettiva non corrispondente a quella dichiarata non poteva sfuggire al costruttore, dato che le opere effettuate risultano meno costose di quelle che avrebbero dovuto essere eseguite per rispettare i parametri energetici contenuti nel progetto.
Poiché il risparmio di spesa conseguente alla esecuzione di opere non conformi a quelle progettate e che avrebbe garantito il rispetto della classe energetica era noto al costruttore, la parte della sentenza che esclude l’elemento soggettivo della truffa esclusivamente sulla base dell’affidamento che l’imputato avrebbe fatto nelle certificazioni di conformità dei tecnici che avevano eseguito il collaudo è manifestamente illogica”


Pertanto, la suprema Corte ha annullato la sentenza impugnata con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.
  • Certificatori scrupolosi e imprese qualificate
Sebbene in questo caso il certificatore non sia stato preso direttamente in considerazione nella colpa (ma solo perché il costruttore ha fatto errori macroscopici quali il mancato rifacimento del tetto o l’installazione di impianti non conformi), questa Sentenza fa riflettere su due punti importanti che riguardano sia il tecnico che l’impresa.
Il tecnico certificatore dovrebbe certificare lo stato dell’edificio al momento del collaudo e non in fase di progetto, proprio per non incorrere in errori come quelli fatti dal costruttore nel caso in esame, poiché è tenuto ad attestare lo stato “veritiero” dell’edificio. In questo caso trattato dalla Cassazione l’acquirente non avrebbe ricorso alla giurisprudenza poiché avrebbe pagato il giusto prezzo per un immobile con dei difetti evidenziati dalla certificazione energetica;
L’impresa deve essere qualificata e garante del portfolio di lavori già effettuati almeno negli ultimi 5 anni: un’impresa che costa troppo poco, vale altrettanto e lo dice la Cassazione “Dato che le opere effettuate risultano meno costose di quelle che avrebbero dovuto essere eseguite per rispettare i parametri energetici contenuti nel progetto” non ci può essere buona fede ma si configura il reato di truffa (art. 640 del Codice penale) per aver venduto un immobile con caratteristiche diverse da quelle dichiarate nell’APE.

di Annalisa Galante
Membro del Comitato Scientifico Abitare Biotech

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