martedì 5 settembre 2017

Dalla nascita del moderno condominio alle carenze dell’offerta di abitazioni di qualità nella fase attuale

L’individuo trova nella casa plurifamiliare e nelle varie forme di abitazione collettiva il suo modo di esistere, a condizione che sia soddisfatto il suo bisogno di intimità. L’alloggio può essere costretto entro muri e solai in comune con altri alloggi, ma deve avere il suo correttivo in sufficienti spazi all’aperto.

“Potrebbe sembrare che la produzione artistica si abbia soltanto in presenza del superfluo e della ricchezza. È un’interpretazione assolutamente errata. È certo che la semplicità corrisponde meglio alla mentalità moderna, che esige un’arte funzionale, almeno nell’assetto delle città. Per questo il puro principio utilitaristico e il gusto del superfluo devono essere evitati in ogni cosa. La semplicità si può ottenere anche senza un aumento dei costi. L’artista dovrebbe preoccuparsi di presentare le sue capacità artistiche in una forma semplice e idonea, così che appaia risposta chiara a precise esigenze. Non si deve dimenticare che l’arte di un paese è la misura non solo del suo benessere, ma anche e soprattutto della sua ricchezza intellettuale”
[Otto Wagner]

Il moderno edificio per la residenza, ovvero il prototipo di palazzo condominiale che caratterizza in maniera massiva le città europee, nasce nell’Ottocento ed è il risultato dei processi di inurbamento provocati dal sorgere della prima industria. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento, il modello dell’edificio residenziale destinato alla classe emergente medio-borghese si afferma in tutte le principali città europee. Alcuni tra i grandi architetti e ingegneri artefici della rottura con l’eclettismo e il classicismo ottocentesco sono stati i protagonisti della costruzione e dell’affermazione dell’edificio residenziale, così come ancor oggi viene concepito.
“Non è possibile dare una risposta esauriente al problema ‘come costruire’; ma la nostra sensibilità ci deve far prevedere fin da ora nelle forme dell’arte che stanno nascendo e in quelle che si svilupperanno in seguito il deciso affermarsi della linea orizzontale […], della superficie liscia, della massima semplicità e dell’importanza decisiva della tecnica costruttiva e dei materiali. […] è evidente che la bellezza con cui l’architettura esprimerà le esigenze del nostro tempo dovrà accordarsi con la mentalità e la vita dell’uomo moderno […]”.
“Le case d’affitto che si costruiscono oggi non perseguono altro scopo che di procurare il massimo reddito del capitale investito, ammassando appartamenti piccoli facilmente affittabili e venendo così incontro ai problemi economici della maggioranza. Da quando, in seguito all’adozione degli ascensori, il valore d’affitto dei singoli piani si è praticamente equiparato, anche nella configurazione esterna si tende a non differenziare più un piano dall’altro. D’altra parte sarebbe un grave errore adottare forme architettoniche mutuate dall’architettura dei palazzi, anche perché non corrisponderebbero alla struttura interna dell’edificio. Per questo la facciata della casa d’affitto moderna si sta orientando verso una superficie liscia interrotta solamente da una serie indifferenziata di finestre, cui si aggiungono il cornicione principale di protezione e tutt’al più un fregio ornamentale, un portale e così via. I principi esposti in questo scritto portano alla conclusione che non può essere compito dell’arte ribellarsi alle tendenze economiche in atto e che essa non deve ammantarsi di menzogne, ma tener giustamente conto di tali esigenze”.
In Italia in quella ormai lontana ma importante fase storica la situazione era purtroppo più arretrata rispetto alla realtà dell’impero austroungarico.
“Al censimento del 1861 la maggior parte dei capoluoghi di provincia denunciavano una popolazione non superiore a quella racchiusa tra le loro antiche mura nei tre secoli precedenti, e in generale oscillante da un minimo di 40.000 ad un massimo di 100.000. Quelle che stavano al di sopra, e che si contano sulle dita di una mano, godevano di privilegi atti a stimolare l’attività dei cittadini, come i porti franchi di Livorno, Catania e Messina; mentre erano più numerose molte altre che non raggiungevano neppure l’accennato limite minimo. E per tutto era così. Nella pianura padana città già importanti erano ridotte e centri modesti: Modena toccava i 20.000 abitanti come nei primi del Seicento; Ferrara, che nel momento dello splendore sotto gli Estensi era giunta a 30.000, col dominio della Chiesa era scesa a circa 23.000; Piacenza non registrava l’aumento di una sola unità dalla metà del secolo precedente.
Lo stesso avveniva in Toscana: Siena, ferma da due secoli e mezzo sulle 20.000 anime, si era abbassata sotto le 20.000; e Pisa era appena sulle 23.000. Per il Mezzogiorno basti citare Napoli, ancora la più popolosa, sì, ma stazionaria dalla metà del Settecento, e Palermo, sotto i 200.000, in diminuzione nell’ultimo cinquantennio. Al regresso demografico fanno eccezione soltanto Milano, Genova, Firenze e Torino. Milano nel mezzo secolo precedente all’unificazione passò da circa 150.000 a 250.000 abitanti; Genova quasi raddoppiò la sua popolazione superando i 150.000; Firenze si spinse da 80.000 a 143.000; Torino ebbe un’ascesa anche più rilevante: poco al di sotto dei 20.000 all’inizio del Seicento, di poco al di sotto degli 80.000 al principio dell’Ottocento, oltre i 200.000 nel 1861. Inoltre, nel quadro sempre più generalmente desolante, hanno rilievo le pennellate fosche delle frequenti pestilenze covate in vasti aggregati di abitazioni vecchie, malsane, inadeguate a forme di vita moderna, veri focolai di infezione: pestilenze ricorrenti, capaci di eliminare rapidamente le lievi eccedenze, se si verificassero, dei nati sui morti.”
Ci vorrà del tempo per il nostro Paese per sollevarsi ed entrare nel novero dei Paesi industrializzati e con un benessere diffuso. Solo nei primi decenni del secolo, dopo la Prima Guerra Mondiale e la successiva crisi, nasceranno e cresceranno le attività industriali.
Pur tra molte contraddizioni e ritardi, la fine dell’Ottocento e i primi decenni del Novecento saranno il momento nel quale nel mercato immobiliare la centralità che in precedenza aveva la casa individuale si sposta verso la casa collettiva, il condominio con appartamenti in affitto o in proprietà. Ciò è l’inevitabile portato della crescita urbana e la conseguente nascita delle problematiche alla scala urbanistica: dai problemi dell’ambiente a quelli dell’approvvigionamento idrico, dei trasporti e del connesso sistema viario, per arrivare alla crescente importanza e complessità dei servizi sociali (sanità, scuola, ecc.).
“Vedremo, nel seguire i tratti più marcati nel processo evolutivo, che anche le stesse case unifamiliari, e non soltanto quelle economiche, sono oggi concepite non più come singoli e distaccati edifici, ma su un piano sociale. Né d’altra parte si può negare che anche i paesi, come l’Inghilterra, l’Olanda, gli Stati Uniti, la Svezia, fino a qualche anno fa impegnati quasi esclusivamente a produrre case unifamiliari, stiano oggi producendo in sempre più larga scala edifici isolati e complessi quartieri di case plurifamiliari, in affitto o in condominio. […] L’individuo trova nella casa plurifamiliare e nelle varie forme di abitazione collettiva il suo modo di esistere, a condizione che sia soddisfatto il suo bisogno di intimità. L’alloggio può essere costretto entro muri e solai in comune con altri alloggi, ma deve avere il suo correttivo in sufficienti spazi all’aperto, capaci di ridonare agli individui, ai vecchi come ai giovani, il senso di un più libero contatto con la natura.”
Oggigiorno, nelle città in via di sempre crescente densificazione, l’auspicio di Carbonara si declina attraverso una sempre maggiore attenzione al verde pubblico, testimoniata da molti interventi di riqualificazione condotti su aree dismesse, realizzati attraverso lo strumento dei ‘Progetti Integrati di Intervento’, che hanno significativamente incrementato gli spazi verdi pubblici. Dall’altro lato emerge il sempre crescente interesse negli edifici residenziali condominiali di spazi comuni da adibire a servizi, quali: spazio per organizzare giochi e intrattenimenti vari per i bambini, spazio da utilizzare per lavatrici, stireria e asciugatura con servizio ad ore precise, ricovero biciclette, ecc. È il modello dell’edificio residenziale Usa, che quasi sempre è dotato di spazi (al piano terra o più frequentemente nel basement) e servizi utili per tutti i residenti giovani e anziani.
Diviene interessante comprendere come nel 1963, un professore dell’Università di Roma, l’arch. Pasquale Carbonara, che svolse interessanti esperienze negli Usa dove conseguì il diploma di ‘Master of Science in Architecture’ alla Columbia University di New York nel 1935, ed ebbe modo di studiare e approfondire le più avanzate tecniche costruttive e le evoluzioni socio economiche che caratterizzavano lo sviluppo di quel Paese, analizza e descrive i presupposti su cui si fonda la nuova concezione della casa, “elencandoli in forma succinta e programmatica:
  1. la composizione media statistica delle famiglie che, col progredire del benessere economico, scende rapidamente;
  2. a graduale e sempre più rapida riduzione del personale addetto ai lavori domestici, che in qualche paese è ormai quasi scomparso;
  3. i nuovi sistemi educativi e normativi della vita dei giovani;
  4. il costante incremento dell’indice relativo alla durata media della vita umana, e perciò l’aumento percentuale delle persone di età avanzata nella compagine familiare o meglio nella composizione della popolazione attuale; 
  5. i mutati rapporti di lavoro e la posizione delle donne nella vita attiva contemporanea e nella produzione di beni o servizi.
Tutti questi presupposti di carattere sociale, ed altri che facilmente potrebbero ad essi riferirsi come evidenti corollari, mirano in definitiva a rappresentare sempre più chiaramente il bisogno di una vita domestica e di relazioni sociali completamente sganciate dalle formalità una volta imposte da un codice di convenzioni sociali, che oggi si ritengono superate. […] non pochi dei compiti che una volta venivano svolti in casa, a cura specialmente della madre di famiglia e delle altre donne che la aiutavano nelle sue delicate incombenze, oggi sono svolti fuori di casa in appositi edifici destinati a un preciso e specifico scopo; per esempio l’assistenza sanitaria oggi vien data nelle cliniche o negli ospedali e non nell’ambito domestico; le feste, i ricevimenti si danno fuori di casa, l’istruzione viene impartita nelle pubbliche scuole, e via dicendo.”
Carbonara, con la sua lucida analisi anticipa molte tematiche dell’evoluzione sociale, tecnologica e produttiva e conseguentemente dei nuovi problemi dell’abitare, o meglio cui le abitazioni dovrebbero offrire risposte, entrando in sintonia con questo sviluppo:
  • “l’accorciamento della giornata lavorativa e il conseguente aumento del tempo libero, l’aumentato benessere sociale, il maggiore reddito di lavoro e quindi anche il maggiore potere di acquisto di sempre più larghe masse di individui, anche in giovane età;
  • la più ampia indipendenza economica dei singoli individui, uomini e donne, e delle famiglie di recente formazione, sottratte al vincolo dell’unico asse patrimoniale;
  • la nuova visione dell’unità familiare, che una volta era irrobustita anche da un preciso e concreto tornaconto economico, diremmo quasi aziendale, specialmente nelle famiglie contadine, ed oggi invece è basata soprattutto su molto più labili vincoli affettivi;
  • il sorgere di nuove fonti di lavoro dovunque ubicate a causa delle tante attività promosse dalla vita moderna, anche in località una volta lontane;
  • lo spostamento di larghe masse di abitanti dalle zone agricole, specialmente da quelle di più scarso reddito, verso zone industrialmente più progredite;
  • la preferenza oggi data, proprio per le suddette ragioni, alla casa d’affitto oppure alla casa in condominio che non richieda cospicui investimenti e che in qualsiasi momento possa essere smobilizzata;
  • la necessità, dunque, di un continuo rinnovamento nel mercato edilizio, secondo quanto avviene in altri campi commerciali;
  • il larghissimo uso, ormai divenuto quasi universale, di prodotti manifatturati, dalle confezioni vestiarie ai cibi preparati in scatola, dai medicinali agli oggetti di consumo;
  • l’avvento dell’automobile e di tutti gli altri mezzi di trasporto, specialmente se individuali;
  • la facilità delle comunicazioni per mezzo del telefono, della televisione;
  • l’enorme diffusione di apparecchi elettrodomestici di ogni genere, dai più semplici ai più complessi;
  • l’automazione e la meccanizzazione in generale;
  • i nuovi criteri di produzione di massa e di aperture commerciali alla produzione stessa, e quindi l’immissione sul mercato, a prezzi convenienti e con pagamento rateale, di nuove e più complete apparecchiature idrosanitarie, di cucine, guardaroba, mobili e arredamenti completi;
  • lo sviluppo di più completi ed efficaci sistemi di riscaldamento e di ventilazione, che hanno addirittura rivoluzionato la distribuzione della casa;
  • l’enorme diffusione del vetro, nelle più svariate forme di impiego, per tanti usi che una volta non sarebbero stati nemmeno immaginabili;
  • la nuova tecnica di illuminazione artificiale ed alcuni ritrovati del tutto moderni, come i frangisole per attenuare le conseguenze di una eccessiva illuminazione naturale;
  • la facilità di pulizia e di messa in ordine della casa moderna rispetto a quella del passato, grazie appunto alla chiarezza della pianta, alla semplicità dei mobili e alla abbondanza dei detersivi e di altri mezzi atti a pulire;
  • il bisogno di quiete e di silenzio, resosi oggi tanto più necessario proprio per lo sviluppo assunto dalla vita moderna, così caotica e rumorosa, e perciò anche la tendenza attuale a perfezionare proprio i metodi per la lotta contro i rumori;
  • la maggiore attenzione oggi rivolta al colore, sia nel senso commerciale che in quello relativo alla fisiologia dell’uomo e all’abitabilità della casa.” 
Sarà però dopo la Seconda Guerra Mondiale, tra la fine degli anni ’40 e i primi anni ’50 del secolo XX, che l’Italia potrà vantare un significativo sviluppo e il definitivo affrancamento dalle ristrettezze e miserie del passato. È il momento del così detto ‘boom economico’, una fase nella quale, grazie soprattutto alla modificazione della base economica, all’ingresso della donna nel mondo del lavoro, alla crescita della scolarizzazione di massa, si determinano fondamentali rotture rispetto al passato nelle forme dell’abitare e nella organizzazione delle abitazioni.
Dagli anni ’70-’80 l’Italia ha continuato la sua crescita, seppur a ritmi inferiori rispetto al boom del dopoguerra ed è diventata uno dei Paesi occidentali con la base economica più sviluppata: la settima od ottava economia del mondo secondo gli ultimi ranking internazionali.
La rapidità delle trasformazioni sociali, in primis quella della famiglia, l’invecchiamento della popolazione, il mutare delle abitudini, l’aumento dei valori e dei prezzi degli immobili, avvenuto parallelamente a quello della tassazione della proprietà immobiliare, hanno impattato in maniera significativa sul rapporto che si era consolidato tradizionalmente tra gli italiani e l’abitazione.
Così, a seguito di questi complessi fenomeni, il mercato della seconda casa è entrato in crisi da alcuni anni, mentre nel contempo diminuisce la propensione all’acquisto di abitazioni da parte delle famiglie e si risveglia l’interesse per la soluzione dell’affitto. Emergono con sempre maggiore evidenza fenomeni drammatici che marcano i profondi malesseri sociali che ruotano intorno al problema della casa:
  • manca un’offerta di soluzioni abitative per gli studenti fuori sede (gli universitari fuori sede a Milano sono circa 80.000) e, su questa base, si è sviluppato ed è cresciuto un mercato illegale che costituisce una preoccupante realtà in molte grandi città del nostro Paese;
  • manca un’offerta abitativa adeguata per giovani in fase di ingresso nel mondo del lavoro, così come per gli immigrati. Di housing sociale si parla molto, ma questo problema nel suo complesso è ben lungi dall’essere affrontato e la Pubblica Amministrazione appare incapace di offrire soluzioni percorribili come è invece avvenuto in altri Paesi tra cui la Spagna, l’Austria e gli Usa.
Il regime legislativo e fiscale non è favorevole alla locazione ed anzi non pochi proprietari di unità abitative esitano di fronte alla possibilità di affittare la propria proprietà nella consapevolezza delle difficoltà e dei tempi lunghi necessari per liberare l’immobile da un affittuario inadempiente.
Questa situazione rende difficile la mobilità lavorativa nel nostro Paese ed è uno dei principali ostacoli che viene segnalato da più parti alla possibile attrazione di società straniere che vorrebbero potenzialmente insediarsi nel nostro Paese. Eppure, a saper guardare alle esperienze di altri Paesi vicino a noi, la soluzione appare possibile.
In Germania il regime delle locazioni ha reso possibile un fiorente mercato della casa in affitto che consente a tutti i cittadini tedeschi e agli stranieri e immigrati, che vogliono trasferirsi per motivi di lavoro o studio, di trovare con facilità una soluzione ai propri problemi abitativi. I contratti di locazione non hanno una durata temporale prestabilita (tempo indeterminato) e sono più favorevoli per il proprietario che, in caso di morosità dell’inquilino, ha la garanzia di poter rientrare in tempi brevissimi in possesso della proprietà. Questo è il motivo per cui la propensione all’acquisto di abitazioni da parte dei cittadini tedeschi è circa la metà di quella dei cittadini italiani.
Il patrimonio immobiliare pubblico tedesco, ovvero l’Edilizia Residenziale Pubblica costruita con i soldi dei cittadini la cui proprietà fa capo alle municipalità, viene gestita da società private in maniera efficiente: i canoni sono ovviamente inferiori a quelli del mercato libero, ma non così bassi come accade nell’edilizia residenziale pubblica di alcune città italiane, la morosità è praticamente inesistente e qualunque abuso viene immediatamente stroncato, mentre i titoli abilitativi per poter avere diritto ad un alloggio pubblico vengono periodicamente monitorati e controllati e questo permette l’assegnazione delle abitazioni pubbliche a chi ne ha effettivamente diritto e bisogno. È possibile che anche nel nostro Paese di possa cominciare ad affrontare alcuni dei problemi legati all’abitazione soprattutto nelle aree urbane a maggiore densità e tensione abitativa?
Uno spiraglio si apre in questa direzione, infatti alcuni investitori e operatori del Real Estate manifestano interesse a investimenti finalizzati alla costruzione di case d’affitto. Alcune iniziative in questa direzione si stanno muovendo.
L’auspicio è che il legislatore non penalizzi con ulteriori provvedimenti fiscali (vedi ad esempio la riforma del catasto) il mercato immobiliare e in particolare il segmento residenziale, ma che al contrario cresca la consapevolezza che la crescita economica e sociale del nostro Paese passa inevitabilmente anche attraverso la capacità di offrire risposte positive al problema della residenza.

di Oliviero Tronconi
Professore Ordinario Politecnico di Milano Dip. BEST 

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