L’Unione europea nel biennio 2008 - 2009 ha riconosciuto la responsabilità giuridica degli enti in caso di violazione della normativa di tutela dell’ambiente in applicazione del consolidato principio “chi inquina paga.”e le relative direttive sono state recepite nel nostro ordinamento giuridico.
- Premessa generale sulla responsabilità italiana degli enti in campo ambientale.La legislazione italiana dovrà necessariamente ed ineluttabilmente adeguarsi a quella dell’Unione europea che, in breve tempo, introdurrà sanzioni penali assai severe, non solo per le persone fisiche, ma anche per le persone giuridiche, laddove commettano reati ambientali che compromettano l’integrità dell’uomo, della fauna, della flora, dell’aria, del suolo, dell’acqua.
Il principio tradizionale del nostro ordinamento
giuridico è che la società non può delinquere:
infatti l’articolo 27, comma primo, della nostra
Costituzione afferma: “la responsabilità penale è
personale”. Tale affermazione trova il suo fondamento
nel diritto romano che, in estrema sintesi,
considerava il diritto criminale come l’insieme
delle norme relative ai precetti la cui violazione
legittimava l’esercizio della pretesa punitiva esercitata
direttamente dallo Stato contro il singolo
cittadino il quale doveva difendersi e rispondere
soltanto in prima e isolata persona.
Invero si deve osservare che la carta costituzionale
limita la responsabilità giuridica alla persona soltanto
per quanto riguarda il diritto penale, a causa
della sua maggiore afflittività la quale riguarda
principalmente la inviolabilità, l’integrità e la libertà
personali del cittadino garantite parimenti dagli
articoli 13 e 32 della Costituzione, mentre, invece,
non esclude una responsabilità oltre che della persona
fisica, anche della persona giuridica nell’ambito
del diritto civile e del diritto amministrativo.
Per quanto riguarda l’Unione europea diverse
tradizioni giuridiche di “common law” e di origine
germanica ammettono, sulla base di diverse
elaborazioni dottrinali che trovano il loro fondamento
addirittura nell’alto Medioevo, la responsabilità
giuridica delle persone giuridiche. A lungo
i rapporti tra il nostro ordinamento, il quale si confronta ad esempio con le “Anstalten” straniere
operanti in Italia le quali non sono neppure una
società, per quanto riguarda le società costituite
nell’ambito dell’Unione Europea sono stati regolati
con la legge 28/1/1971 n. 220 che ha ratificato
in Italia la Convenzione firmata a Bruxelles
il 29/2/1968. La convenzione predetta introduce
una disciplina modificativa delle regole generali
stabilita dal codice civile per le società straniere.
L’Unione europea ha emesso, in materia societaria,
i seguenti atti normativi:
- la Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26/7/1995 e il suo primo Protocollo fatto a Dublino il 27/9/1996;
- il Protocollo concernente l’interpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee, di detta Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29/9/996;
- la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea fatta a Bruxelles il 26/5/1997;
- la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta a Parigi il 17/12/1997.
- dei reati previsti dagli articoli 589 e 590 del codice penale che siano stati commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relativi alla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro;
- dei reati in materia di tutela dell’ambiente e del territorio che siano punibili con pena detentiva non inferiore nel massimo ad un anno anche se alternativa alla pena pecuniaria, previsti dalla legge 31/12/1962 n. 1860, dalla legge 14/7/1965 n. 963, dalla legge 31/12/1982 n. 979, dalla legge 28/2/1985 n. 47, dalla legge 8/8/1985 n. 431, dal DPR 24/5/1988 n. 203, dalla legge 6/6/1991 n. 394, dal d.lgs 27/1/1992 n. 95, dal d.lgs 27/1/1992 n. 99, dal d.lgs 17/3/1995 n. 230, dal d.lgs 5/2/1997 n. 22, dal d.lgs 11/5/1999 n. 152, dal d.lgs 17/8/1999 n. 334, dal d.lgs 4/8/1999 n. 372, e dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, approvato con d.lgs 29/10/1999 n. 490.
L’applicazione del d.lvo n. 231/2001 agli enti è
stata espressamente esclusa dalla giurisprudenza
(C.Cass. Pen., Sez. 3, Sent. n. 41329 del 7.10.2008,
dep. il 6.11.2008, Rv. N. 241528) per il reato di gestione
non autorizzata di rifiuti in quanto “pur essendovi
un richiamo a tale responsabilità nell’art.
192, comma quarto, del d.lgs. 3.4.2006 n. 152, difettano
attualmente sia la tipizzazione degli illeciti
che l’indicazione delle sanzioni.” In particolare la
sentenza afferma quanto segue:
“Sembra, infatti, da escludere, allo stato, la possibilità
di estendere la responsabilità amministrativa
degli enti al reato in esame. Ed invero nonostante
la l. 29.9.2000 n. 300, art. 11, comma primo lettera
d), abbia delegato al governo la disciplina della responsabilità
amministrativa delle persone giuridiche
e degli enti privi di personalità giuridiche anche in
relazione alla commissione dei reati in materia di
tutela dell’ambiente e del territorio, che siano punibili
con pena detentiva non inferiore nel massimo
ad una anno anche se alternativa alla pena pecuniaria,
previsti, tra le altre, dal D.lg. 5.2.1997 n. 22, e
successive modificazioni ( oggi sostituito dal d.lgs.
n. 152 del 2006), il d.lgs. 8.6.2001 n. 231, attuativo
della delega, non disciplinava originariamente la
materia, né risulta che con riferimento a quest’ultima
vi siano state successive integrazioni così come
accaduto per altri settori. Allo stato l’unico richiamo
alla responsabilità amministrativa dell’ente sul tema
dei rifiuti sembra essere quello contenuto al d.lgs.
n. 152 del 2006, art. 192, comma 4, che tuttavia,
oltre a limitare il riferimento agli amministratori
o rappresentanti delle persone giuridiche, espressamente
sembrerebbe fare riferimento unicamente alla previsione del citato art. 192, comma 3 che ha
per oggetto gli obblighi di rimozione dei rifiuti nel
caso di abbandono incontrollato. Per quanto concerne
la responsabilità degli enti, difetta dunque
attualmente sia la tipizzazione degli illeciti e sia la
indicazione delle sanzioni: il che indiscutibilmente
contrasta con i principi di tassatività e tipicità che
devono essere connaturati alla regolamentazione
degli illeciti.”
- La direttiva 2009/123/CE sull’inquinamento
provocato dalle navi.
La direttiva 2009/123/CE, il cui termine di adozione
è il 16.11.2010, modifica la precedente 2005/35/
CE il cui scopo era di armonizzare la definizione dei
reati di inquinamento provocato dalle navi commessi
da persone fisiche o giuridiche, l’ampiezza della
loro responsabilità e la natura penale delle sanzioni
che possono essere comminate per i reati commessi
dalle persone fisiche. La direttiva 2009/123/CE ha
lo scopo (art.2) di recepire nel diritto comunitario
le norme internazionali in materia di inquinamento
provocato dalle navi e di garantire che ai responsabili
di scarichi di sostanze inquinanti siano comminate
sanzioni adeguate, anche penali, al fine di
aumentare la sicurezza marittima e migliorare la
protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento
provocato dalle navi. Inoltre viene definita (art. 3)
persona giuridica qualsiasi soggetto di diritto che
possieda tale status, ad eccezione degli Stati stessi
o delle istituzioni pubbliche nell’esercizio dei pubblici
poteri e delle organizzazioni pubbliche.


E’ citata espressamente (art. 8 ter) la responsabilità
delle persone giuridiche in ordine ai reati ambientali
contemplati dalla direttiva 2005/35/CE e commessi
a loro vantaggio da persone fisiche che agiscano a
titolo individuale o in quanto membri di un organo
della persona giuridica e che detengano una posizione
preminente in seno alla persona giuridica basata
sul potere di rappresentanza o di prendere decisioni
o di esercitare il controllo nei suoi confronti. Il fondamento
della responsabilità dell’ente è individuato
allorquando la commissione del reato è causata dalla
carenza di sorveglianza o di controllo delle persone
fisiche che lo immedesimano ed esternano per suo
conto. L’altra condizione prevista è quella per cui il
reato sia commesso a vantaggio della persona giuridica
da parte di una persona fisica soggetta alla sua
autorità. La direttiva specifica che la responsabilità
giuridica della persona giuridica non esclude azioni
penali nei confronti delle persone fisiche che abbiano
commesso il reato ambientale o abbiano concorso a
commetterlo o abbiano istigato alla sua commissione.
Le sanzioni da irrogarsi nei confronti degli enti
sono rimesse alla discrezionalità degli stati membri
purchè siano efficaci, proporzionate e dissuasive.
- La direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale
dell’ambiente.
La direttiva 2008/99/CE, il cui termine di adozione
scade il 26.12.2010, è originata dalla preoccupazione
dell’Unione europea per l’aumento dei reati
ambientali e per le loro conseguenze che sempre
più frequentemente si estendono oltre le frontiere
degli Stati in cui vengono commessi; ne consegue la
valutazione allarmata delle conseguenze dei reati,
costituenti una grave minaccia all’ambiente, e che
richiedono una risposta adeguata. L’obbligo stabilito
per gli Stati membri di prevedere nella loro legislazione
nazionale sanzioni penali in relazione a gravi
violazioni delle disposizioni del diritto comunitario
in materia di tutela dell’ambiente è riferito alle sanzioni,
previste dall’articolo 3, in materia di tutela
della fauna e della flora protette, della normativa sui
rifiuti, sulla qualità dell’acqua e dell’aria, della normativa
nucleare. La definizione di persona giuridica
è la medesima prevista dalla direttiva 2009/123/
CE sopra esaminata ed il sistema sanzionatorio proposto
prevede la punizione della commissione, del
favoreggiamento e dell’istigazione dei predetti reati
con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive.
La responsabilità delle persone giuridiche è radicata
dalla commissione dei reati a loro vantaggio
e da parte di qualsiasi soggetto che detenga una
posizione preminente in seno alla persona giuridica,
individualmente o in quanto parte dei un organo
della persona giuridica in virtù:
- del potere di rappresentanza della persona giuridica;
- del potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica;
- del potere di esercitare un controllo in seno alla persona giuridica.
- La responsabilità degli enti in materia ambientale.
Il Consiglio dei ministri il 7.4.2011 ha adottato
uno schema di decreto legislativo, al fine di
riconoscere nel nostro ordinamento le direttive 2009/123/CE e 2008/22/CE, che riconosce due
nuovi reati ambientali rispettivamente:
- l’art. 727 - bis c.p. che sanziona:
- con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda fino a 4.000 euro l’uccisione di un esemplare appartenente ad una specie selvatica protetta;
- con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 3.000 euro chi cattura o possiede un esemplare appartenente ad una specie animale protetta;
- con l’ammenda fino a 4.000 euro chi distrugge un esemplare appartenente ad una specie vegetale selvatica protetta;
- con l’ammenda fino a 2.000 euro chi, fuori dei casi consentiti, preleva o possiede un esemplare appartenente ad una specie vegetale selvatica;
Tale ultimo articolo appare particolarmente significativo
per la tutela dell’ambiente in quanto fino
ad oggi era applicabile a detta fattispecie l’art.
734 c.p. che sanzionava con l’ammenda da euro
1.032 a 6.197 chiunque, mediante costruzioni,
demolizioni o in qualsiasi altro luogo distrugge o
altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla
speciale protezione dell’Autorità.
I predetti reati sono contravvenzioni per le quali
se da un lato il termine prescrizionale è assai breve,
poiché consiste nel massimo di anni quattro e
sei mesi in caso di interruzione del procedimento
ai sensi degli articoli 157 e 160 c.p.p., e quindi
ostacola gravemente il passaggio in giudicato
della sentenza di condanna, d’altro canto l’elemento
soggettivo richiesto è indifferentemente
doloso e/o colposo e pertanto la prova della sua
sussistenza è assai agevolata.
Il d.lgs. n. 231/2001 riconosce (art. 9) le seguenti
sanzioni, assai severe, per gli illeciti amministrativi
dipendenti dal reato:
- la sanzione pecuniaria;
- le sanzioni interdittive;
- la confisca;
- la pubblicazione della sentenza.
- l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
- la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
- il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
- l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
- il divieto di pubblicizzare beni o servizi. Il sistema individuato dall’articolo 9 è di tipo binario che si fonda sulla distinzione tra sanzioni pecuniarie e inoltre all’esterno di tale perimetro si pone la confisca e la pubblicazione della sentenza di condanna.
Notasi che l’art. 60 del d.lgs. n. 231/2001 lega
strettamente l’illecito amministrativo alla commissione
del reato poiché afferma che il primo non può
essere constato se il reato da cui dipende l’illecito
amministrativo dell’ente è estinto per prescrizione.
Inoltre l’art. 22 del d.lgs. n. 231/2001 afferma il
principio generale per cui le sanzioni amministrative
si prescrivono nel termine di cinque anni dalla
commissione del reato, anche se al richiesta di
misure cautelari e la contestazione dell’illecito, ai
sensi del successivo art. 59, interrompono la prescrizione
e, in tali casi, inizia un nuovo periodo
di prescrizione. Infine osservasi che se la predetta
interruzione è avvenuta mediante la contestazione
dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la
prescrizione non corre fino al momento in cui passa
in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.
Dalla lettura di tale articolo si osserva che anche
se il reato principale si prescrive ( ipotesi particolarmente
ricorrente nel caso di reati contravvenzionali),
se la commissione dell’illecito amministrativo
è stata tempestivamente contestata, il
relativo procedimento procede indipendentemente dalle sorti processuali del primo.
Il decreto riconosce le seguenti sanzioni per i seguenti
reati del d.lgs. n. 231/2001:
- il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a 250 quote per la violazione dell’art. 727 – bis c.p.;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote per la violazione dell’art. 733 – bis c.p.;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a 250 quote per la violazione dell’art. 29 – quattordicies del d.lgs. n. 152/2006 (ovvero l’esercizio di una delle attività di cui all’allegato VIII senza il possesso dell’autorità integrata ambientale);
- per la violazione dell’art. 137 del d.lgs. n. 152/2006 (sanzioni penali in tema di inquinamento idrico):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a 250 quote per la violazione dei commi primo, settimo prima ipotesi, nono, dodicesimo e quattordicesimo;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a 250 quote per la violazione dei commi terzo, quarto, quinto primo periodo, settimo seconda ipotesi, ottavo e tredicesimo;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote per la violazione dei commi secondo, quinto secondo periodo, e undicesimo;
- per la violazione dell’art. 256 del d.lgs. n. 152/2006 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a 250 quote per la violazione dei commi primo lettera a), sesto primo periodo;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da 150 fino a 250 quote per la violazione dei commi primo lettera b), terzo primo periodo, e quinto;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da duecento fino a trecento quote per la violazione del comma terzo;
- le predette sanzioni sono ridotte della metà in caso di commissione del reato di cui all’articolo 256, comma quarto, del d.lgs. n. 152/2006;
- per la violazione dell’art. 257 del d.lgs. n. 152/2006 (bonifica dei siti):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta per la violazione del comma primo;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta per la violazione del comma secondo;
- per la violazione dell’art. 258 del d.lgs. n. 152/2006 (violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote per la violazione del comma quarto;
- per la violazione dell’art. 259 del d.lgs. n. 152/2006 (traffico illecito di rifiuti):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote per la violazione del comma primo;
- per la violazione dell’art. 260 del d.lgs. n. 152/2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da trecento fino a cinquecento quote per la violazione del comma primo;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da quattrocento fino a ottocento quote per la violazione del comma secondo;
- per la violazione dell’art. 260 - bis del d.lgs. n. 152/2006 (sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote per la violazione dei commi sesto, settimo secondo e terzo periodo, ottavo, primo periodo;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da duecento fino a trecento quote per la violazione del comma ottavo secondo periodo;
- per la violazione dell’art. 279 del d.lgs. n. 152/2006 (sanzioni in materia di immissioni nell’atmosfera):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote per la violazione di tutti i commi ad eccezione dell’ultima ipotesi del comma primo;
- per i reati previsti dalla legge 7.2.1992 n. 150 (Disciplina dei reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in stato di estinzione, firmata a Washington il 3.3.1973, di cui alla legge 19.12.1975 n. 874, e del regolamento CEE n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica ):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote per la violazione dell’articolo 1, comma primo, dell’articolo 2, comma primo e secondo, dell’articolo 6, comma quarto;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote per la violazione dell’articolo 1, comma secondo;
- per i reati del codice penale richiamati dall’articolo 3 – bis della legge 7.2.1992 n. 150:
- il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da duecento fino a trecento quote in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da trecento fino a cinquecento quote in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione;
- per i reati previsti dalla legge 28.12.1993 n. 543 (misure a tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote in caso di commissione del reato di cui all’articolo 3, comma sesto;
- per i reati previsti dal d.lgs. 6 .11.2007 n. 202 (Attuazione della direttiva 2005/35/CE relativo all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni):
- il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote in caso di commissione del reato di cui all’articolo 9, comma primo;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote in caso di commissione dei reati di cui all’articolo 8, comma primo, e 9 comma secondo;
- il pagamento di una sanzione pecuniaria da duecento fino a trecento quote in caso di commissione del reato di cui all’articolo 8, comma secondo.
Si applica la sanzione dell’interdizione definitiva
dall’esercizio dell’attività prevista dall’articolo 16,
comma terzo, del d.lgs. n. 231/2001 se l’ente o
una sua unità organizzativa siano stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire
o agevolare la commissione dei reati di cui
all’articolo 260 del d.lgs. n. 152/2006 e dall’articolo
8 del d.lgs. 6.11.2007 n. 202.
- I modelli organizzativi idonei ad evitare la responsabilità
degli enti nel diritto ambientale.
Le persone giuridiche non sono del tutto indifese
dalla commissione di reati ad opera dei loro dipendenti
purché adottino dei modelli organizzativi
interni ed idonei a prevenire i reati. Infatti sono
previste (art. 6 e 7 ) le seguenti formule e cautele
che si distinguono a secondo dei soggetti coinvolti.
Per i soggetti posti all’apice degli enti gli stessi non
rispondono dei reati commessi dai dipendenti se
provano che:
- l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi;
- sono stati affidati ad un organo dell’ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, la vigilanza sul funzionamento ed osservanza dei modelli di aggiornamento ed il loro aggiornamento;
- i modelli di organizzazione e di gestione sono stati elusi fraudolentemente dagli autori del reato;
- l’organo interno di controllo, sopra citato, non ha omesso o non ha esercitato insufficientemente la vigilanza.
- l’individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi i reati;
- la previsione di specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
- l’individuazione delle modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
- la previsione degli obblighi di informazione nei confronti dell’organismo di controllo sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
- l’ introduzione di un sistema disciplinare che sanzioni il mancato rispetto delle misure indicate dai modelli.
A tal proposito occorre notare che importanti organizzazioni
di categoria hanno già redatto delle
linee guida idonee ad evitare le sanzioni del
d.lgs. n. 231/2001 qualora le imprese, seguendole,
adotti idonei sistemi di controllo interno.
I modelli sono adottati in relazione all’attività
svolta, alla natura ed organizzazione dell’ente e
la loro efficace attuazione richiede:
- una verifica periodica e l’eventuale modifica qualora vengano scoperte significative violazioni delle prescrizioni oppure quando mutino l’organizzazione o l’attività sociali;
- un sistema disciplinare idoneo a sanzionare l’inottemperanza alle prescrizioni del modello.
A tal riguardo è sufficiente meditare sulla specificità
dei modelli organizzativi previsti dall’art. 30 del d.lgs. 9/4/288 n. 81.
L’art. 300 del d.lgs. n. 81/2008 stabilisce, ai sensi
del d.lgs. n. 231/2001, la responsabilità amministrativa
dell’ente in relazione alla commissione
dei reati di omicidio colposo (art. 589 c.p.) o di
lesioni colpose gravi o gravissime ( artt. 590, primo,
secondo e terzo comma, e 583 c.p.) commesse
con violazione della normativa di prevenzione
degli infortuni sul lavoro.
A tal riguardo giova notare che il modello organizzativo
affinché possa essere esimente della responsabilità
prevista dal d.lvo n. 231/2001 deve
avere un contenuto piuttosto ampio e deve essere
adottato ed efficacemente attuato (secondo quanto
previsto dall’articolo 30 del d.lvo n. 81/2008),
assicurando un sistema aziendale per l’adempimento
di tutti gli obblighi giuridici relativi:
- al rispetto degli standards tecnico – strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
- alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
- alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
- alle attività di sorveglianza sanitaria;
- alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
- alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
- all’acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
- alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate.
- idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle attività sopra descritte;
- un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;
- un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Notasi che tali modelli organizzativi per molti aspetti appaiono una ripetizione della valutazione dei rischi prevista dall’articolo 28 dello stesso d.lvo n. 81/2008 e l’interprete si domanda in cosa consista la differenza concettuale tra tali due categorie giuridiche. Invero entrambe si muovono su un terreno decisamente preventivo e non si comprende la duplicazione degli adempimenti previsti: a tal riguardo basta riflettere sul disposto dell’art. 30, comma primo, lettera b), del d.lvo n. 81/2008 per i quale il modello organizzativo deve assicurare un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi “alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti”.In ogni caso la scelta del tipo di modello organizzativo è rimessa alla libera valutazione dell’ente poiché: “in tema di responsabilità degli enti dipendente da reato non è consentito la giudice, nel revocare la misura cautelare interdittiva, imporre all’ente l’adozione coattiva di modelli organizzativi ( C.Cass. Pen., sez. 6, Sent. 32627 del 23/6/20069).”In ogni caso la scelta del tipo di modello organizzativo è rimessa alla libera valutazione dell’ente poiché: “in tema di responsabilità degli enti dipendente da reato non è consentito la giudice, nel revocare la misura cautelare interdittiva, imporre all’ente l’adozione coattiva di modelli organizzativi ( C.Cass. Pen., sez. 6, Sent. 32627 del 23/6/20069).”
- “In tema di tutela penale dell’ambiente, non è imputabile all’ente ai sensi del d.lvo n. 231/2001 la responsabilità amministrative per il reato di gestione non autorizzata dei rifiuti, in quanto pur essendovi un richiamo a tale responsabilità nell’art. 192, comma quarto, del d.lvo 3/4/2006 n. 152, difettano attualmente sia la tipizzazione degli illeciti che l‘indicazione delle sanzioni. (C.Cass. Pen. ,Sez. 3, Sent. 41329 del 7/10/2008)”.
- "In tema di responsabilità da reato degli enti, è ammissibile il sequestro preventivo a fini di confisca di beni in misura equivalente al profitto derivante dal reato anche quando la società cui gli stessi appartengono sia fallita, ma spetta al giudice dare conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle che implicano la tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare. ( C.Cass. Pen. ,Sez. 5, Sent. 33425 del 8/7/2008).”
- “In tema di responsabilità degli enti collettivi per il reato di corruzione propria antecedente, strumentale all’aggiudicazione di un appalto pluriennale, il profitto oggetto della sanzione principale della confisca non si identifica con l’intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la P.A., dovendosi in proposito distinguere il profitto direttamente derivato dall’illecito penale dal corrispettivo conseguito dall’ente per l’effettiva e corretta erogazione delle prestazioni comunque svolte in favore della stessa amministrazione, le quali non possono considerarsi automaticamente illecite in ragione dell’illiceità della causa remota. (C.Cass. pen. ,Sez. 6, Sent. 42300 del 26/672008)”.
- "In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, la confisca del profitto da reato prevista dagli artt. 9 e 19 del d.lvo n. 231/2001 si configura come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell’ente, e si differenzia da quella configurata dall’art. 6, quinto comma, del medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l ‘equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell’ente. (C.Cass. Pen., Sez. U, sent. 26654 del 27/3/2008)".
- "La confisca facoltativa delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato può essere disposta anche nei confronti dei beni appartenenti ad una persona giuridica, quando quest’ultima non sia estranea al reato, per esserle stato contestato il connesso illecito amministrativo. (C.Cass. Pen. ,Sez. 6, Sent. 35802 del 5/5/2008)”.
- "La valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari che costituiscono, insieme al “fumus commissi delicti “il presupposto per l‘applicazione delle misure cautelari interdittive a carico dell’ente, implica l’esame di due tipologie di elementi: la prima, di carattere oggettivo ed attinente alle specifiche modalità e circostanze del fatto, può essere evidenziata dalla gravità dell’illecito e dall’entità del profitto; l’altra ha natura oggettiva ed attiene alla personalità dell’ente e per il suo accertamento devono considerarsi la politica dell’impresa attuata negli anni, gli eventuali illeciti commessi in precedenza e soprattutto lo stato di organizzazione dell’ente. (C.Cass. Pen., Sez. 6, Sent. 32626 del 23/6/2006).”
- "In tema di responsabilità da reato della persona giuridiche e delle società, l’espressione normativa, con cui se ne individua il presupposto nella commissione dei reati “nel suo interesse o a suo vantaggio”, non contiene un’endiadi, poiché i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse “a monte “per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell’illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato “ex ante”, sicché l’interesse ed il vantaggio sono in concorso reale.( C.Cass. Pen., Sez. 2, Sent. 3615 del 20/12/2005)”.
- “La disciplina prevista dal d.lvo n. 231/2001, in materia di responsabilità da reati delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni, anche prive di personalità giuridica, non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli enti collettivi. ( C.Cas.s Pen. Sez. 6, sent. 18941 del 3/3/2004)."
di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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