martedì 12 dicembre 2017

La responsabilità giuridica degli enti in ordine alla commissione dei reati ambientali

L’Unione europea nel biennio 2008 - 2009 ha riconosciuto la responsabilità giuridica degli enti in caso di violazione della normativa di tutela dell’ambiente in applicazione del consolidato principio “chi inquina paga.”e le relative direttive sono state recepite nel nostro ordinamento giuridico.




La legislazione italiana dovrà necessariamente ed ineluttabilmente adeguarsi a quella dell’Unione europea che, in breve tempo, introdurrà sanzioni penali assai severe, non solo per le persone fisiche, ma anche per le persone giuridiche, laddove commettano reati ambientali che compromettano l’integrità dell’uomo, della fauna, della flora, dell’aria, del suolo, dell’acqua.
- Premessa generale sulla responsabilità italiana degli enti in campo ambientale.

Il principio tradizionale del nostro ordinamento giuridico è che la società non può delinquere: infatti l’articolo 27, comma primo, della nostra Costituzione afferma: “la responsabilità penale è personale”. Tale affermazione trova il suo fondamento nel diritto romano che, in estrema sintesi, considerava il diritto criminale come l’insieme delle norme relative ai precetti la cui violazione legittimava l’esercizio della pretesa punitiva esercitata direttamente dallo Stato contro il singolo cittadino il quale doveva difendersi e rispondere soltanto in prima e isolata persona.

Invero si deve osservare che la carta costituzionale limita la responsabilità giuridica alla persona soltanto per quanto riguarda il diritto penale, a causa della sua maggiore afflittività la quale riguarda principalmente la inviolabilità, l’integrità e la libertà personali del cittadino garantite parimenti dagli articoli 13 e 32 della Costituzione, mentre, invece, non esclude una responsabilità oltre che della persona fisica, anche della persona giuridica nell’ambito del diritto civile e del diritto amministrativo.
Per quanto riguarda l’Unione europea diverse tradizioni giuridiche di “common law” e di origine germanica ammettono, sulla base di diverse elaborazioni dottrinali che trovano il loro fondamento addirittura nell’alto Medioevo, la responsabilità giuridica delle persone giuridiche. A lungo i rapporti tra il nostro ordinamento, il quale si confronta ad esempio con le “Anstalten” straniere operanti in Italia le quali non sono neppure una società, per quanto riguarda le società costituite nell’ambito dell’Unione Europea sono stati regolati con la legge 28/1/1971 n. 220 che ha ratificato in Italia la Convenzione firmata a Bruxelles il 29/2/1968. La convenzione predetta introduce una disciplina modificativa delle regole generali stabilita dal codice civile per le società straniere.

L’Unione europea ha emesso, in materia societaria, i seguenti atti normativi:
  • la Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee, fatta a Bruxelles il 26/7/1995 e il suo primo Protocollo fatto a Dublino il 27/9/1996;
  • il Protocollo concernente l’interpretazione in via pregiudiziale, da parte della Corte di Giustizia delle Comunità europee, di detta Convenzione, con annessa dichiarazione, fatto a Bruxelles il 29/9/996;
  • la Convenzione relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari delle Comunità europee o degli Stati membri dell’Unione europea fatta a Bruxelles il 26/5/1997;
  • la Convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di pubblici ufficiali stranieri nelle operazioni economiche internazionali, con annesso, fatta a Parigi il 17/12/1997.
Tutti tali atti internazionali sono stati ratificati con la legge 29/9/2000 n. 300 la quale delegava (articoli 11 e 14) il Governo ad emanare, entro otto mesi dall’entrata in vigore della predetta legge, la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridica. In attuazione di tale direttiva il Governo ha pertanto emanato il d.lgs 8/6/2001 n. 231 (pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 140 del 19/6/2001) contenente la predetta normativa. Tuttavia occorre precisare che il governo ha emanato il d.lgs 231/2001 senza esercitare tutte le facoltà attribuitegli dalla delega parlamentare: infatti, a seguito delle pressanti e reiterate richieste del mondo imprenditoriale, non ha esercitato la delega, prevista dall’articolo 11, comma primo, lettere c, d della legge 300/2000, per contemplare la responsabilità giuridica delle persone giuridiche a seguito della commissione:
  • dei reati previsti dagli articoli 589 e 590 del codice penale che siano stati commessi con violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro o relativi alla tutela dell’igiene e della salute sul lavoro;
  • dei reati in materia di tutela dell’ambiente e del territorio che siano punibili con pena detentiva non inferiore nel massimo ad un anno anche se alternativa alla pena pecuniaria, previsti dalla legge 31/12/1962 n. 1860, dalla legge 14/7/1965 n. 963, dalla legge 31/12/1982 n. 979, dalla legge 28/2/1985 n. 47, dalla legge 8/8/1985 n. 431, dal DPR 24/5/1988 n. 203, dalla legge 6/6/1991 n. 394, dal d.lgs 27/1/1992 n. 95, dal d.lgs 27/1/1992 n. 99, dal d.lgs 17/3/1995 n. 230, dal d.lgs 5/2/1997 n. 22, dal d.lgs 11/5/1999 n. 152, dal d.lgs 17/8/1999 n. 334, dal d.lgs 4/8/1999 n. 372, e dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, approvato con d.lgs 29/10/1999 n. 490.
Invero il mancato esercizio completo della delega parlamentare per tali materie rappresenta una forte battuta d’arresto nella crescita civile della nostra nazione non soltanto perché si è persa un’occasione storica per introdurre una tutela efficace dei lavoratori e del territorio, ma anche perché allontana la nostra legislazione da principi ormai riconosciuti nell’Unione europea e che ci verranno inevitabilmente imposti, onerosamente e bruscamente, nel prossimo futuro a seguito della sempre maggiore integrazione dei sistemi giuridici degli Stati componenti della medesima. Infatti deve osservarsi che nel prossimo futuro la legislazione italiana dovrà necessariamente ed ineluttabilmente adeguarsi a quella dell’Unione europea che, in breve tempo, introdurrà sanzioni penali assai severe, non solo per le persone fisiche, ma anche per le persone giuridiche, laddove commettano reati ambientali che compromettano l’integrità dell’uomo, della fauna, della flora, dell’aria, del suolo, dell’acqua.
L’applicazione del d.lvo n. 231/2001 agli enti è stata espressamente esclusa dalla giurisprudenza (C.Cass. Pen., Sez. 3, Sent. n. 41329 del 7.10.2008, dep. il 6.11.2008, Rv. N. 241528) per il reato di gestione non autorizzata di rifiuti in quanto “pur essendovi un richiamo a tale responsabilità nell’art. 192, comma quarto, del d.lgs. 3.4.2006 n. 152, difettano attualmente sia la tipizzazione degli illeciti che l’indicazione delle sanzioni.” In particolare la sentenza afferma quanto segue:
“Sembra, infatti, da escludere, allo stato, la possibilità di estendere la responsabilità amministrativa degli enti al reato in esame. Ed invero nonostante la l. 29.9.2000 n. 300, art. 11, comma primo lettera d), abbia delegato al governo la disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche e degli enti privi di personalità giuridiche anche in relazione alla commissione dei reati in materia di tutela dell’ambiente e del territorio, che siano punibili con pena detentiva non inferiore nel massimo ad una anno anche se alternativa alla pena pecuniaria, previsti, tra le altre, dal D.lg. 5.2.1997 n. 22, e successive modificazioni ( oggi sostituito dal d.lgs. n. 152 del 2006), il d.lgs. 8.6.2001 n. 231, attuativo della delega, non disciplinava originariamente la materia, né risulta che con riferimento a quest’ultima vi siano state successive integrazioni così come accaduto per altri settori. Allo stato l’unico richiamo alla responsabilità amministrativa dell’ente sul tema dei rifiuti sembra essere quello contenuto al d.lgs. n. 152 del 2006, art. 192, comma 4, che tuttavia, oltre a limitare il riferimento agli amministratori o rappresentanti delle persone giuridiche, espressamente sembrerebbe fare riferimento unicamente alla previsione del citato art. 192, comma 3 che ha per oggetto gli obblighi di rimozione dei rifiuti nel caso di abbandono incontrollato. Per quanto concerne la responsabilità degli enti, difetta dunque attualmente sia la tipizzazione degli illeciti e sia la indicazione delle sanzioni: il che indiscutibilmente contrasta con i principi di tassatività e tipicità che devono essere connaturati alla regolamentazione degli illeciti.”


- La direttiva 2009/123/CE sull’inquinamento provocato dalle navi. 
La direttiva 2009/123/CE, il cui termine di adozione è il 16.11.2010, modifica la precedente 2005/35/ CE il cui scopo era di armonizzare la definizione dei reati di inquinamento provocato dalle navi commessi da persone fisiche o giuridiche, l’ampiezza della loro responsabilità e la natura penale delle sanzioni che possono essere comminate per i reati commessi dalle persone fisiche. La direttiva 2009/123/CE ha lo scopo (art.2) di recepire nel diritto comunitario le norme internazionali in materia di inquinamento provocato dalle navi e di garantire che ai responsabili di scarichi di sostanze inquinanti siano comminate sanzioni adeguate, anche penali, al fine di aumentare la sicurezza marittima e migliorare la protezione dell’ambiente marino dall’inquinamento provocato dalle navi. Inoltre viene definita (art. 3) persona giuridica qualsiasi soggetto di diritto che possieda tale status, ad eccezione degli Stati stessi o delle istituzioni pubbliche nell’esercizio dei pubblici poteri e delle organizzazioni pubbliche.
E’ citata espressamente (art. 8 ter) la responsabilità delle persone giuridiche in ordine ai reati ambientali contemplati dalla direttiva 2005/35/CE e commessi a loro vantaggio da persone fisiche che agiscano a titolo individuale o in quanto membri di un organo della persona giuridica e che detengano una posizione preminente in seno alla persona giuridica basata sul potere di rappresentanza o di prendere decisioni o di esercitare il controllo nei suoi confronti. Il fondamento della responsabilità dell’ente è individuato allorquando la commissione del reato è causata dalla carenza di sorveglianza o di controllo delle persone fisiche che lo immedesimano ed esternano per suo conto. L’altra condizione prevista è quella per cui il reato sia commesso a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona fisica soggetta alla sua autorità. La direttiva specifica che la responsabilità giuridica della persona giuridica non esclude azioni penali nei confronti delle persone fisiche che abbiano commesso il reato ambientale o abbiano concorso a commetterlo o abbiano istigato alla sua commissione. Le sanzioni da irrogarsi nei confronti degli enti sono rimesse alla discrezionalità degli stati membri purchè siano efficaci, proporzionate e dissuasive.

- La direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente.
La direttiva 2008/99/CE, il cui termine di adozione scade il 26.12.2010, è originata dalla preoccupazione dell’Unione europea per l’aumento dei reati ambientali e per le loro conseguenze che sempre più frequentemente si estendono oltre le frontiere degli Stati in cui vengono commessi; ne consegue la valutazione allarmata delle conseguenze dei reati, costituenti una grave minaccia all’ambiente, e che richiedono una risposta adeguata. L’obbligo stabilito per gli Stati membri di prevedere nella loro legislazione nazionale sanzioni penali in relazione a gravi violazioni delle disposizioni del diritto comunitario in materia di tutela dell’ambiente è riferito alle sanzioni, previste dall’articolo 3, in materia di tutela della fauna e della flora protette, della normativa sui rifiuti, sulla qualità dell’acqua e dell’aria, della normativa nucleare. La definizione di persona giuridica è la medesima prevista dalla direttiva 2009/123/ CE sopra esaminata ed il sistema sanzionatorio proposto prevede la punizione della commissione, del favoreggiamento e dell’istigazione dei predetti reati con sanzioni penali efficaci, proporzionate e dissuasive. La responsabilità delle persone giuridiche è radicata dalla commissione dei reati a loro vantaggio e da parte di qualsiasi soggetto che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica, individualmente o in quanto parte dei un organo della persona giuridica in virtù:
  • del potere di rappresentanza della persona giuridica;
  • del potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica;
  • del potere di esercitare un controllo in seno alla persona giuridica.
La direttiva prevede (art. 6) che gli Stati membri provvedano affinchè le persona giuridiche possano essere dichiarati responsabili quando la carenza di sorveglianza o di controllo da parte dei soggetti apicali abbiano reso possibile la commissione dei reati ambientali a vantaggio della persona giuridica da parte di una persona giuridica soggetta alla sua autorità. La responsabilità giuridica degli enti non esclude quella concorrente delle persone fisiche, le quali abbiano commesso i predetti reati, e deve essere attuata con sanzioni efficaci, proporzionate e dissuasive.

- La responsabilità degli enti in materia ambientale. 
Il Consiglio dei ministri il 7.4.2011 ha adottato uno schema di decreto legislativo, al fine di riconoscere nel nostro ordinamento le direttive 2009/123/CE e 2008/22/CE, che riconosce due nuovi reati ambientali rispettivamente:

- l’art. 727 - bis c.p. che sanziona:
  • con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda fino a 4.000 euro l’uccisione di un esemplare appartenente ad una specie selvatica protetta;
  • con l’arresto fino a sei mesi o con l’ammenda fino a 3.000 euro chi cattura o possiede un esemplare appartenente ad una specie animale protetta;
  • con l’ammenda fino a 4.000 euro chi distrugge un esemplare appartenente ad una specie vegetale selvatica protetta;
  • con l’ammenda fino a 2.000 euro chi, fuori dei casi consentiti, preleva o possiede un esemplare appartenente ad una specie vegetale selvatica;
- l’art. 733 - bis c.p. che sanziona con l’arresto fino a diciotto mesi e con l’ammenda non inferiore a 3.000 euro la distruzione o il deterioramento significativo di un habitat all’interno di un sito protetto il quale è qualsiasi habitat di specie per le quali una zona sia classificata come zona a tutela speciale dall’articolo 4, paragrafi 1 o 2 della direttiva 79/409/CE o qualsiasi habitat naturale o un habitat per cui un sito sia designato come zona speciale dall’articolo 4, paragrafo 4, della direttiva 94/43/CE.

Tale ultimo articolo appare particolarmente significativo per la tutela dell’ambiente in quanto fino ad oggi era applicabile a detta fattispecie l’art. 734 c.p. che sanzionava con l’ammenda da euro 1.032 a 6.197 chiunque, mediante costruzioni, demolizioni o in qualsiasi altro luogo distrugge o altera le bellezze naturali dei luoghi soggetti alla speciale protezione dell’Autorità.

I predetti reati sono contravvenzioni per le quali se da un lato il termine prescrizionale è assai breve, poiché consiste nel massimo di anni quattro e sei mesi in caso di interruzione del procedimento ai sensi degli articoli 157 e 160 c.p.p., e quindi ostacola gravemente il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, d’altro canto l’elemento soggettivo richiesto è indifferentemente doloso e/o colposo e pertanto la prova della sua sussistenza è assai agevolata.
Il d.lgs. n. 231/2001 riconosce (art. 9) le seguenti sanzioni, assai severe, per gli illeciti amministrativi dipendenti dal reato:
  • la sanzione pecuniaria;
  • le sanzioni interdittive;
  • la confisca;
  • la pubblicazione della sentenza.
Tra le sanzioni interdittive si menzionano:
  • l’interdizione dall’esercizio dell’attività;
  • la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  • il divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
  • l’esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  • il divieto di pubblicizzare beni o servizi. Il sistema individuato dall’articolo 9 è di tipo binario che si fonda sulla distinzione tra sanzioni pecuniarie e inoltre all’esterno di tale perimetro si pone la confisca e la pubblicazione della sentenza di condanna.
La sanzione amministrativa pecuniaria (art. 10 del d.lgs. n. 231/2001) è sempre applicata per l’illecito amministrativo dipendente da un reato e viene applicata per quote in un numero non inferiore a cento e non superiore a mille. Ogni quota ha l’importo minimo da euro 258 ed uno massimo di 1.549 euro e non è ammesso il pagamento in misura ridotta. La scelta del sistema per quote trova il suo fondamento nella considerazione del legislatore di stabilire la pena pecuniaria in relazione alle condizioni economiche e pecuniarie dell’ente. Ne consegue che a parità di gravità soggettiva ed oggettiva l’importo della sanzione subirà un’oscillazione verso l’alto o il basso a secondo dell’effettiva incidenza che la sanzione è in grado di provocare sul patrimonio dell’ente.
Notasi che l’art. 60 del d.lgs. n. 231/2001 lega strettamente l’illecito amministrativo alla commissione del reato poiché afferma che il primo non può essere constato se il reato da cui dipende l’illecito amministrativo dell’ente è estinto per prescrizione. Inoltre l’art. 22 del d.lgs. n. 231/2001 afferma il principio generale per cui le sanzioni amministrative si prescrivono nel termine di cinque anni dalla commissione del reato, anche se al richiesta di misure cautelari e la contestazione dell’illecito, ai sensi del successivo art. 59, interrompono la prescrizione e, in tali casi, inizia un nuovo periodo di prescrizione. Infine osservasi che se la predetta interruzione è avvenuta mediante la contestazione dell’illecito amministrativo dipendente da reato, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio.
Dalla lettura di tale articolo si osserva che anche se il reato principale si prescrive ( ipotesi particolarmente ricorrente nel caso di reati contravvenzionali), se la commissione dell’illecito amministrativo è stata tempestivamente contestata, il relativo procedimento procede indipendentemente dalle sorti processuali del primo.

Il decreto riconosce le seguenti sanzioni per i seguenti reati del d.lgs. n. 231/2001:
  • il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a 250 quote per la violazione dell’art. 727 – bis c.p.;
  • il pagamento di una sanzione pecuniaria da 150 a 250 quote per la violazione dell’art. 733 – bis c.p.;
  • il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a 250 quote per la violazione dell’art. 29 – quattordicies del d.lgs. n. 152/2006 (ovvero l’esercizio di una delle attività di cui all’allegato VIII senza il possesso dell’autorità integrata ambientale);
  • per la violazione dell’art. 137 del d.lgs. n. 152/2006 (sanzioni penali in tema di inquinamento idrico):
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a 250 quote per la violazione dei commi primo, settimo prima ipotesi, nono, dodicesimo e quattordicesimo; 
  2. il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a 250 quote per la violazione dei commi terzo, quarto, quinto primo periodo, settimo seconda ipotesi, ottavo e tredicesimo;
  3. il pagamento di una sanzione pecuniaria da duecento a trecento quote per la violazione dei commi secondo, quinto secondo periodo, e undicesimo;
  • per la violazione dell’art. 256 del d.lgs. n. 152/2006 (attività di gestione di rifiuti non autorizzata):
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a 250 quote per la violazione dei commi primo lettera a), sesto primo periodo;
  2. il pagamento di una sanzione pecuniaria da 150 fino a 250 quote per la violazione dei commi primo lettera b), terzo primo periodo, e quinto;
  3. il pagamento di una sanzione pecuniaria da duecento fino a trecento quote per la violazione del comma terzo;
  4. le predette sanzioni sono ridotte della metà in caso di commissione del reato di cui all’articolo 256, comma quarto, del d.lgs. n. 152/2006;
  • per la violazione dell’art. 257 del d.lgs. n. 152/2006 (bonifica dei siti):
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta per la violazione del comma primo;
  2. il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta per la violazione del comma secondo;
  • per la violazione dell’art. 258 del d.lgs. n. 152/2006 (violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari):
  1.  il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote per la violazione del comma quarto;
  • per la violazione dell’art. 259 del d.lgs. n. 152/2006 (traffico illecito di rifiuti):
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote per la violazione del comma primo;
  • per la violazione dell’art. 260 del d.lgs. n. 152/2006 (attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti):
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria da trecento fino a cinquecento quote per la violazione del comma primo;
  2. il pagamento di una sanzione pecuniaria da quattrocento fino a ottocento quote per la violazione del comma secondo;
  • per la violazione dell’art. 260 - bis del d.lgs. n. 152/2006 (sistema informatico di controllo della tracciabilità dei rifiuti):
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote per la violazione dei commi sesto, settimo secondo e terzo periodo, ottavo, primo periodo;
  2. il pagamento di una sanzione pecuniaria da duecento fino a trecento quote per la violazione del comma ottavo secondo periodo;
  • per la violazione dell’art. 279 del d.lgs. n. 152/2006 (sanzioni in materia di immissioni nell’atmosfera):
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote per la violazione di tutti i commi ad eccezione dell’ultima ipotesi del comma primo;
  • per i reati previsti dalla legge 7.2.1992 n. 150 (Disciplina dei reati relativi all’applicazione in Italia della convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in stato di estinzione, firmata a Washington il 3.3.1973, di cui alla legge 19.12.1975 n. 874, e del regolamento CEE n. 3626/82, e successive modificazioni, nonché norme per la commercializzazione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l’incolumità pubblica ):
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote per la violazione dell’articolo 1, comma primo, dell’articolo 2, comma primo e secondo, dell’articolo 6, comma quarto;
  2. il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote per la violazione dell’articolo 1, comma secondo;
  • per i reati del codice penale richiamati dall’articolo 3 – bis della legge 7.2.1992 n. 150:
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo ad un anno di reclusione;
  2. il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a due anni di reclusione;
  3. il pagamento di una sanzione pecuniaria da duecento fino a trecento quote in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena non superiore nel massimo a tre anni di reclusione;
  4. il pagamento di una sanzione pecuniaria da trecento fino a cinquecento quote in caso di commissione di reati per cui è prevista la pena superiore nel massimo a tre anni di reclusione;
  • per i reati previsti dalla legge 28.12.1993 n. 543 (misure a tutela dell’ozono stratosferico e dell’ambiente):
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote in caso di commissione del reato di cui all’articolo 3, comma sesto;
  • per i reati previsti dal d.lgs. 6 .11.2007 n. 202 (Attuazione della direttiva 2005/35/CE relativo all’inquinamento provocato dalle navi e conseguenti sanzioni):
  1. il pagamento di una sanzione pecuniaria fino a duecentocinquanta quote in caso di commissione del reato di cui all’articolo 9, comma primo;
  2. il pagamento di una sanzione pecuniaria da centocinquanta fino a duecentocinquanta quote in caso di commissione dei reati di cui all’articolo 8, comma primo, e 9 comma secondo;
  3. il pagamento di una sanzione pecuniaria da duecento fino a trecento quote in caso di commissione del reato di cui all’articolo 8, comma secondo.
Sono applicate le sanzioni interdittive previste dall’articolo 9 del d.lgs. n. 231/2001 per una durata non superiore a sei mesi per la condanna per i reati di cui agli articoli 137,commi secondo, comma quinto secondo periodo, e comma 11 del d.lgs. n. 152/2006, 256, comma terzo secondo periodo, del d.lgs. n. 152/2006, 8, comma primo, 9, comma secondo, 8, comma secondo, del d.lgs. 6.11.2007 n. 202.
Si applica la sanzione dell’interdizione definitiva dall’esercizio dell’attività prevista dall’articolo 16, comma terzo, del d.lgs. n. 231/2001 se l’ente o una sua unità organizzativa siano stabilmente utilizzati allo scopo unico o prevalente di consentire o agevolare la commissione dei reati di cui all’articolo 260 del d.lgs. n. 152/2006 e dall’articolo 8 del d.lgs. 6.11.2007 n. 202. 

- I modelli organizzativi idonei ad evitare la responsabilità degli enti nel diritto ambientale. 
Le persone giuridiche non sono del tutto indifese dalla commissione di reati ad opera dei loro dipendenti purché adottino dei modelli organizzativi interni ed idonei a prevenire i reati. Infatti sono previste (art. 6 e 7 ) le seguenti formule e cautele che si distinguono a secondo dei soggetti coinvolti. Per i soggetti posti all’apice degli enti gli stessi non rispondono dei reati commessi dai dipendenti se provano che:
  • l’organo dirigente ha adottato ed efficacemente attuato, prima del reato, modelli di organizzazione e di gestione idonei a prevenire reati della stessa specie di quello verificatosi;
  • sono stati affidati ad un organo dell’ente, dotato di autonomi poteri di iniziativa e di controllo, la vigilanza sul funzionamento ed osservanza dei modelli di aggiornamento ed il loro aggiornamento;
  • i modelli di organizzazione e di gestione sono stati elusi fraudolentemente dagli autori del reato;
  • l’organo interno di controllo, sopra citato, non ha omesso o non ha esercitato insufficientemente la vigilanza.
I modelli organizzativi devono contenere:
  • l’individuazione delle attività nel cui ambito possono essere commessi i reati;
  • la previsione di specifici protocolli diretti a programmare la formazione e l’attuazione delle decisioni dell’ente in relazione ai reati da prevenire;
  • l’individuazione delle modalità di gestione delle risorse finanziarie idonee ad impedire la commissione dei reati;
  • la previsione degli obblighi di informazione nei confronti dell’organismo di controllo sul funzionamento e l’osservanza dei modelli;
  • l’ introduzione di un sistema disciplinare che sanzioni il mancato rispetto delle misure indicate dai modelli.
L’adozione dei modelli di organizzazione e di gestione può essere effettuata, con i contenuti sopra descritti, mediante codici di comportamento elaborati dalle associazioni rappresentative degli enti i quali sono comunicati al Ministero della giustizia che, di concerto coni Ministeri competenti, può formulare, entro 30 giorni le osservazioni sulla idoneità dei modelli a prevenire i reati. In dottrina in dottrina si afferma che, a causa del silenzio del decreto, se le osservazioni predette non vengono accolte il modello non dovrebbe essere efficace, con la conseguenza, paradossale, che l’elaborazione complessiva del decreto presta il destro a non difficili elusioni attuabili mediante la predisposizione di meccanismi meramente formali della responsabilità amministrativa. Invero tale pericolo non è del tutto infondato poiché il sistema attraverso il quale l’ente può sfuggire le proprie responsabilità consiste nella realizzazione di speciali protocolli preventivi (definiti negli Stati Uniti “compliance programs” i quali permettono alla società “di combattere in se stessa, dal suo interno, la criminalità “) finalizzati ad impedire, in via preventiva, la commissione dei reati ed invero il decreto tace sulla composizione e la nomina dei componenti dell’organismo di controllo che è incaricato (art. 7, comma primo, lettera b) di vigilare sul funzionamento e sull’osservanza dei modelli e di curare il loro aggiornamento. Per di più, proprio a causa delle loro ridotte dimensioni, negli enti di minore entità l’organo di vigilanza e di controllo dei modelli può essere ( articolo 6, comma quarto) rappresentato direttamente dall’organo dirigente; tuttavia in tale caso si verifica una problematica immedesimazione in un solo soggetto dei compiti di controllore e di controllato. Dalla lettura di tali articoli si può affermare che ordinariamente nelle grandi aziende i vertici non possono fare parte dell’organo di controllo che, pertanto, deve essere del tutto autonomo, oppure essere influenzato dalla gerarchia solo indirettamente, in modo da consentire una verifica esterna secondo i principi della “corporate governance”.
A tal proposito occorre notare che importanti organizzazioni di categoria hanno già redatto delle linee guida idonee ad evitare le sanzioni del d.lgs. n. 231/2001 qualora le imprese, seguendole, adotti idonei sistemi di controllo interno. I modelli sono adottati in relazione all’attività svolta, alla natura ed organizzazione dell’ente e la loro efficace attuazione richiede:
  • una verifica periodica e l’eventuale modifica qualora vengano scoperte significative violazioni delle prescrizioni oppure quando mutino l’organizzazione o l’attività sociali;
  • un sistema disciplinare idoneo a sanzionare l’inottemperanza alle prescrizioni del modello.
L’adozione dei modelli organizzativi nel diritto ambientale non è facile proprio per la assoluta specialità di tale materia che è assai complessa ed è formata da normativa appartenente a fonti diverse, europee, statali ( sia legislative che regolamentari), regionali.
A tal riguardo è sufficiente meditare sulla specificità dei modelli organizzativi previsti dall’art. 30 del d.lgs. 9/4/288 n. 81.
L’art. 300 del d.lgs. n. 81/2008 stabilisce, ai sensi del d.lgs. n. 231/2001, la responsabilità amministrativa dell’ente in relazione alla commissione dei reati di omicidio colposo (art. 589 c.p.) o di lesioni colpose gravi o gravissime ( artt. 590, primo, secondo e terzo comma, e 583 c.p.) commesse con violazione della normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro.
A tal riguardo giova notare che il modello organizzativo affinché possa essere esimente della responsabilità prevista dal d.lvo n. 231/2001 deve avere un contenuto piuttosto ampio e deve essere adottato ed efficacemente attuato (secondo quanto previsto dall’articolo 30 del d.lvo n. 81/2008), assicurando un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi:
  • al rispetto degli standards tecnico – strutturali di legge relativi a attrezzature, impianti, luoghi di lavoro, agenti chimici, fisici e biologici;
  • alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti;
  • alle attività di natura organizzativa, quali emergenze, primo soccorso, gestione degli appalti, riunioni periodiche di sicurezza, consultazioni dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza;
  • alle attività di sorveglianza sanitaria;
  • alle attività di informazione e formazione dei lavoratori;
  • alle attività di vigilanza con riferimento al rispetto delle procedure e delle istruzioni di lavoro in sicurezza da parte dei lavoratori;
  • all’acquisizione di documentazioni e certificazioni obbligatorie di legge;
  • alle periodiche verifiche dell’applicazione e dell’efficacia delle procedure adottate.
Inoltre il modello organizzativo deve prevedere:
  • idonei sistemi di registrazione dell’avvenuta effettuazione delle attività sopra descritte;
  • un’articolazione di funzioni che assicuri le competenze tecniche e i poteri necessari per la verifica, valutazione, gestione e controllo del rischio, nonché un sistema disciplinare idoneo a sanzionare il mancato rispetto delle misure indicate nel modello;
  • un idoneo sistema di controllo sull’attuazione del medesimo modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate. Notasi che tali modelli organizzativi per molti aspetti appaiono una ripetizione della valutazione dei rischi prevista dall’articolo 28 dello stesso d.lvo n. 81/2008 e l’interprete si domanda in cosa consista la differenza concettuale tra tali due categorie giuridiche. Invero entrambe si muovono su un terreno decisamente preventivo e non si comprende la duplicazione degli adempimenti previsti: a tal riguardo basta riflettere sul disposto dell’art. 30, comma primo, lettera b), del d.lvo n. 81/2008 per i quale il modello organizzativo deve assicurare un sistema aziendale per l’adempimento di tutti gli obblighi giuridici relativi “alle attività di valutazione dei rischi e di predisposizione delle misure di prevenzione e protezione conseguenti”.In ogni caso la scelta del tipo di modello organizzativo è rimessa alla libera valutazione dell’ente poiché: “in tema di responsabilità degli enti dipendente da reato non è consentito la giudice, nel revocare la misura cautelare interdittiva, imporre all’ente l’adozione coattiva di modelli organizzativi ( C.Cass. Pen., sez. 6, Sent. 32627 del 23/6/20069).”In ogni caso la scelta del tipo di modello organizzativo è rimessa alla libera valutazione dell’ente poiché: “in tema di responsabilità degli enti dipendente da reato non è consentito la giudice, nel revocare la misura cautelare interdittiva, imporre all’ente l’adozione coattiva di modelli organizzativi ( C.Cass. Pen., sez. 6, Sent. 32627 del 23/6/20069).”
  1. “In tema di tutela penale dell’ambiente, non è imputabile all’ente ai sensi del d.lvo n. 231/2001 la responsabilità amministrative per il reato di gestione non autorizzata dei rifiuti, in quanto pur essendovi un richiamo a tale responsabilità nell’art. 192, comma quarto, del d.lvo 3/4/2006 n. 152, difettano attualmente sia la tipizzazione degli illeciti che l‘indicazione delle sanzioni. (C.Cass. Pen. ,Sez. 3, Sent. 41329 del 7/10/2008)”.
  2. "In tema di responsabilità da reato degli enti, è ammissibile il sequestro preventivo a fini di confisca di beni in misura equivalente al profitto derivante dal reato anche quando la società cui gli stessi appartengono sia fallita, ma spetta al giudice dare conto della prevalenza delle ragioni sottese alla confisca rispetto a quelle che implicano la tutela dei legittimi interessi dei creditori nella procedura fallimentare. ( C.Cass. Pen. ,Sez. 5, Sent. 33425 del 8/7/2008).”
  3. “In tema di responsabilità degli enti collettivi per il reato di corruzione propria antecedente, strumentale all’aggiudicazione di un appalto pluriennale, il profitto oggetto della sanzione principale della confisca non si identifica con l’intero valore del rapporto sinallagmatico instaurato con la P.A., dovendosi in proposito distinguere il profitto direttamente derivato dall’illecito penale dal corrispettivo conseguito dall’ente per l’effettiva e corretta erogazione delle prestazioni comunque svolte in favore della stessa amministrazione, le quali non possono considerarsi automaticamente illecite in ragione dell’illiceità della causa remota. (C.Cass. pen. ,Sez. 6, Sent. 42300 del 26/672008)”.
  4. "In tema di responsabilità da reato degli enti collettivi, la confisca del profitto da reato prevista dagli artt. 9 e 19 del d.lvo n. 231/2001 si configura come sanzione principale, obbligatoria ed autonoma rispetto alle altre previste a carico dell’ente, e si differenzia da quella configurata dall’art. 6, quinto comma, del medesimo decreto, applicabile solo nel caso difetti la responsabilità della persona giuridica, la quale costituisce invece uno strumento volto a ristabilire l ‘equilibrio economico alterato dal reato presupposto, i cui effetti sono comunque andati a vantaggio dell’ente. (C.Cass. Pen., Sez. U, sent. 26654 del 27/3/2008)".
  5. "La confisca facoltativa delle cose che servirono o furono destinate a commettere il reato può essere disposta anche nei confronti dei beni appartenenti ad una persona giuridica, quando quest’ultima non sia estranea al reato, per esserle stato contestato il connesso illecito amministrativo. (C.Cass. Pen. ,Sez. 6, Sent. 35802 del 5/5/2008)”.
  6. "La valutazione della sussistenza delle esigenze cautelari che costituiscono, insieme al “fumus commissi delicti “il presupposto per l‘applicazione delle misure cautelari interdittive a carico dell’ente, implica l’esame di due tipologie di elementi: la prima, di carattere oggettivo ed attinente alle specifiche modalità e circostanze del fatto, può essere evidenziata dalla gravità dell’illecito e dall’entità del profitto; l’altra ha natura oggettiva ed attiene alla personalità dell’ente e per il suo accertamento devono considerarsi la politica dell’impresa attuata negli anni, gli eventuali illeciti commessi in precedenza e soprattutto lo stato di organizzazione dell’ente. (C.Cass. Pen., Sez. 6, Sent. 32626 del 23/6/2006).”
  7. "In tema di responsabilità da reato della persona giuridiche e delle società, l’espressione normativa, con cui se ne individua il presupposto nella commissione dei reati “nel suo interesse o a suo vantaggio”, non contiene un’endiadi, poiché i termini hanno riguardo a concetti giuridicamente diversi, potendosi distinguere un interesse “a monte “per effetto di un indebito arricchimento, prefigurato e magari non realizzato, in conseguenza dell’illecito, da un vantaggio obbiettivamente conseguito con la commissione del reato, seppure non prospettato “ex ante”, sicché l’interesse ed il vantaggio sono in concorso reale.( C.Cass. Pen., Sez. 2, Sent. 3615 del 20/12/2005)”.
  8. “La disciplina prevista dal d.lvo n. 231/2001, in materia di responsabilità da reati delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni, anche prive di personalità giuridica, non si applica alle imprese individuali, in quanto si riferisce ai soli enti collettivi. ( C.Cas.s Pen. Sez. 6, sent. 18941 del 3/3/2004)."
di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano

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