La Suprema Corte ha affermato che le scale, essendo mezzo indispensabile per accedere al tetto ed al terrazzo di copertura, conservano, in mancanza di titolo contrario, la qualità di parti comuni, come indicato nell’art. 1117 c.c.
1. - L’art. 1224, primo comma, c.c., dopo avere premesso che le scale egli ascensori sono mantenuti e “sostituiti” dai proprietari delle unità immobiliari a cui servono, aggiunge che a spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore delle singole unità immobiliari e per l’altra metà esclusivamente in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano dal suolo.
Il secondo comma, poi, precisa che al fine del
concorso nella metà della spesa che è ripartita in
ragione del valore l’altezza si considerano come
piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o camere
a tetto e i lastrici solari qualora non siano di
proprietà comune.
Il legislatore ha inteso stabilire che contribuiscono
alle spese da ripartire in base al valore anche
quelle parti dell’edificio servite dalle scale che
non possono considerarsi unità immobiliari nel
senso in cui tale espressione è utilizzata nelle disposizioni
in tema di condominio, pur avendo una loro autonomia fisica (i lastrici solari non in proprietà
comune), oppure che hanno caratteristiche
tali da non consentirne la normale vivibilità (i
palchi morti, le soffitte o camere a tetto) oppure
ancora costituiscono pertinenze di unità immobiliari
servite dalle scale (le cantine).
Il primo problema interpretativo che tali disposizioni
pongono consiste nello stabilire se alle
spese ripartite in base ai millesimi devono contribuire
anche i proprietari dei locali a piano terra
e dei locali strada, i quali non utilizzano le scale
per accedere a tali unità immobiliari.
Recentemente la S.C. ha affermato che le scale,
essendo mezzo indispensabile per accedere al
tetto ed al terrazzo di copertura, conservano, in
mancanza di titolo contrario, la qualità di parti
comuni, come indicato nell’art. 1117 c.c., anche
relativamente ai proprietari di negozi o locali terranei
con accesso dalla strada, poiché anche tali
condomini ne fruiscono, quantomeno in ordine
alla conservazione e manutenzione dell’edificio;
ne consegue l’applicabilità della tabella millesimale
generale ai fini del computo del quorum per
la ripartizione delle spese di manutenzione straordinaria
(ed eventualmente ricostruzione) cui
anche detti condomini sono obbligati a concorrere
in rapporto ed in proporzione all’utilità che
possono in ipotesi trarne.
Prima di procedere alla critica della correttezza
della conclusione cui è pervenuta la S.C., pur partendo
dalla esatta premessa che le scale sono comuni
anche ai proprietari dei locali a piano terra
o esterni con accesso dalla strada, non si possono
non rilevare alcune perplessità che suscita la
“massima” trascritta.
Non è esatto, in primo luogo, che le scale consentano
sempre l’accesso al tetto ed al lastrico solare.
E’ difficile, poi, comprendere il senso della affermazione
che i condomini di cui si discute fruiscono
delle scale “quantomeno in ordine alla conservazione
e manutenzione dell’edificio”.
La menzione del “computo del quorum per la ripartizione
delle spese” non tiene conto il termine
quorum è riferibile al calcolo delle maggioranze
assembleari.
Ugualmente non si comprende il senso del riferimento
alla tabella millesimale generale, che comporterebbe
l’obbligo anche dei condomini di cui si
discute di contribuire in base al valore delle unità
immobiliari di cui sono proprietari, se poi contraddittoriamente
si afferma che la misura della
contribuzione deve essere determinata in base
all’utilità che a tali condomini forniscono le scale
e che pertanto dovrebbe essere prevista da una
tabella millesimale ad hoc.
Venendo al merito del problema, la lettera della
legge sembra contrastare con la conclusione cui è giunta la S.C., in quanto individua i soggetti su
cui gravano le spese relative alle scale nei “proprietari
delle unità immobiliari a cui servono”.
Se il legislatore avesse voluto stabilire che l’obbligo
di contribuzione grava anche a carico dei
proprietari dei locali di cui si discute, avrebbe
usato una formulazione diversa, analoga a quella
dell’art. 1123, secondo comma, c.c., cioè avrebbe
previsto tale obbligo a carico di tutti i condomini
e in misura proporzionale all’utilità che essi possono
trarre dalle scale.
Dalla interpretazione proposta dalla S.C., poi,
risulterebbe una improbabile dimenticanza del
legislatore, il quale, pur dovendo essere a conoscenza
che anche i proprietari di locali a piano
terra o esterni all’edificio possono accedere ad
altre parti comuni (il tetto e il lastrico solare)
utilizzando le scale ha posto le spese che le riguardano
a carico soltanto dei condomini che se
ne servono per accedere alle unità immobiliari in
loro proprietà esclusiva.
Sembra pertanto preferibile ritenere che il legislatore
non ha tenuto conto di tali elementi quando
nell’art. 1123, ultimo comma, e nell’art. 1124 c.c.
ha posto le spese di manutenzione delle scale a
carico dei soli condomini che traggano utilità ai
fini dell’accesso alle unità immobiliari in loro proprietà
esclusiva.
A ciò si deve aggiungere che, come rilevato dalla
stessa S.C., sarebbe difficile accertare l’entità della
utilità alla quale fa riferimento può l’orientamento
in questione, va osservato che, basandosi
il criterio dettato dall’art. 1124 c.c. sul presupposto
che le scale servano per accedere ad unità
immobiliari di proprietà esclusiva, esso non essere
applicato per calcolare l’eventuale contribuito
nelle spese con riferimento all’ipotesi che le scale
servano anche ad accedere a parti comuni.
Ne consegue che non può essere condivida la tesi
sostenuta in dottrina , secondo la quale non costituendo
il lastrico solare comune un piano a sé,
in quanto è comune ai proprietari dei piani dell’edificio,
il numero dei piani da conteggiare per la
distribuzione della metà della spesa che è ripartita
in misura proporzionale all’altezza di ciascun
piano dal suolo, comprenderà anche il piano terreno,
così come comprenderebbe anche le cantine
(che verrebbero considerate come un piano a sé)
qualora il proprietario di queste fosse proprietario
del lastrico solare.
Non si vede, infatti, come si possano addebitare delle
spese da ripartire in base all’altezza dei piani dal
suolo al proprietario del piano terra, che ha un’altezza
dal suolo pari a zero, e al proprietario delle
cantine che sono al di sotto del livello del suolo.
Non si può, poi, non rilevare l’iniquità di tale
soluzione, in quanto in base i proprietari delle cantine e del piano terra verrebbero a contribuire
- sia pure per la sola metà - alle spese delle scale,
che non utilizzano per accedere alle loro unità
in proprietà esclusiva, sulla base di un criterio
dettato per i condomini per i quali, invece, tale
utilizzo è normale.
2. - Il secondo problema che pone l’interpretazione
dell’art. 1124 c.c. è costituito dall’inserimento
delle cantine, unitamente ai palchi morti alle soffitte
o camere a tetto ed i lastrici solari che non
siano di proprietà comune, tra i “piani” in base
al cui valore va ripartita metà della spesa, dal
momento che le cantine, di regola, si trovano al
di sotto del suolo e quindi, non potrebbero essere
considerate come “piani”.
In dottrina è sorto il dubbio se, nel caso in cui la
cantina appartiene in proprietà esclusiva al proprietario
del piano terreno o ad un terzo estraneo
alla comunione e la scala della cantina è collegata
alla scale principale, la cantina si debba
considerare come piano, per cui il proprietario a
contribuire alle spese di tutta la scala (dalla cantina
all’ultimo piano) così come avverrebbe per il
proprietario della soffitta o del lastrico solare, e
si è osservato che la conseguenza, pur essendo
coerente alla lettera della legge, urterebbe contro
il principio che le spese relative alle scale devono
essere sopportate dai proprietari dei diversi piani
a cui servono.
In definitiva, le scale di accesso alle cantine devono
essere considerate come entità fisiche e giuridiche
a sé stanti e non come una semplice parte
delle scale dell’edificio . Si è, in proposito, osservato
che. se altrimenti si ritenesse, il proprietario
del piano terreno, per il semplice fatto di essere
titolare di una cantina, sarebbe assurdamente tenuto
a contribuire alle spese delle scale dal piano
terreno all’ultimo piano, di cui egli non usa.
I proprietari delle altre strutture considerate unitamente
alle cantine, infatti, utilizzano la scala
“principale” (quella, cioè, che dal piano terra
porta all’ultimo piano ed eventualmente anche al
tetto o al lastrico solare) per accedere dal piano
terra ad esse, anche se, in base all’id quod
plerumque accidit, con una intensità minore dei
proprietari delle altre unità immobiliari il che giustifica
l’obbligo di contribuire in misura ridotta
alle spese relative a tale scala.
I proprietari delle cantine, invece, ai fini dell’accesso
a tali locali, non utilizzano la scala principale,
ma la scala che ha la funzione specifica di
consentire tale accesso.
La menzione delle cantine ha pertanto una diversa
giustificazione logica.
L’obbligo di contribuzione è da considerare a carico
dei soli proprietari di unità immobiliari cui acceda come pertinenza la cantina e trova il suo
fondamento nel fatto che essi per accedere a tale
cantina utilizzano, prima in discesa e poi in risalita
la scala principale.
Se la cantina appartiene in proprietà esclusiva
al proprietario del piano terreno o ad un terzo
estraneo alla comunione la scala della cantina è
collegata alla scale principale, dovendosi la cantina
considerare come piano, dovrebbe obbligarsi
il proprietario a contribuire alle spese di tutta la
scala (dalla cantina all’ultimo piano) così come
avverrebbe per il proprietario della soffitta o del
lastrico solare.
In definitiva, quindi, il proprietario di una unità
immobiliare cui acceda come pertinenza una cantina
dovrà contribuire alle spese per scale per la
metà sommando il valore di tale unità immobiliare
a quello della cantina.
Il problema è stato creato dalla imperfetta formulazione
dell’art. 1124, secondo comma, c.c.,
quando ha unificato ai fini di un parziale obbligo
di contribuzione nelle spese delle scale i proprietari
di cantine, palchi morti, soffitte o camere a
tetto e lastrici solari non di proprietà comune,
come se tale obbligo avesse la stessa ratio, costituita
dalla utilizzazione della scala “principale”,
che, invece, è diversa per le cantine.
3. - Il legislatore non disciplina espressamente la
ripartizione delle spese relative alla scala di accesso
alle cantine.
Tali spese devono essere ripartite dai proprietari
esclusivi delle cantine in base ai millesimi ove,
come in genere accade, le cantine siano tutte ad
uno stesso livello.
Ove, invece, le cantine fossero su più livelli, si
sostiene che troverebbe applicazione anche il criterio
dell’altezza di cui al primo comma dell’art.
1124 c.c., e le altezze si stabilirebbero dal piano
delle singole cantine al piano terreno, restando
invertita la progressione del concorso, venendo,
cioè, ad essere gradualmente aumentata la quota
dal basso all’alto.
Si tratta una affermazione che desta perplessità.
Se, infatti, si considera che l’art. 1124, primo
comma, c.c., nella parte in cui prevede che
metà delle spese relative alle scale si ripartisce
in misura proporzionale all’altezza di ciascun piano
dal suolo, è dettata per la scale principale e
costituisce norma eccezionale, in quanto deroga
al principio secondo il quale tali spese andrebbero
ripartite integralmente in base al valore delle
singole unità immobiliari che di tali scale si
servono, l’estendere tale disposizione alle spese
relative alla scala di accesso alle cantine comporta
la applicazione analogica (sotto il profilo della
analogia iuris) vietata.
di Roberto Triola
già Presidente della Seconda Sezione Civile della Cassazione
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