Nel giudizio di impugnazione di deliberazione dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1137 c.c l’eventuale allegazione della proprietà esclusiva di un bene, può essere oggetto di accertamento di carattere incidentale, funzionale alla decisione della causa sulla validità dell’atto collegiale, ma privo di efficacia di giudicato ai diritti dei singoli.
I. Non è facile, e nemmeno elegante, difendere accoratamente le proprie idee o le proprie opere. Anzi, è talmente scomodo provare a convincere gli altri dell’onestà e della bontà dei propri pensieri e delle proprie azioni, che addirittura Marco Tullo Cicerone (non uno a caso, quindi), per rendere credibile l’orazione contro Publio Clodio Pulcro, pronunciata dinanzi ai pontefici al fine di chiedere la restituzione dell’area del Palatino dove si trovava la sua casa, incendiata dopo il suo esilio, nonché il denaro occorrente per ricostruirla, sentì il bisogno di legittimare la sua dotta opinione di giurista addirittura con un’investitura discendente dagli Dei, perché venissero rispettate le norme religiose e dello Stato.
II. Cass. 15 marzo 2017, n. 6649, ha deciso che, se un condomino, convenuto dall’amministratore con azione di rilascio di uno spazio di proprietà comune, proponga (non un’eccezione riconvenzionale di usucapione, al fine limitato di paralizzare la pretesa avversaria, ma) una domanda riconvenzionale, ai sensi degli artt. 34 e 36 c.p.c., diretta a conseguire la dichiarazione di proprietà esclusiva del bene, viene meno la legittimazione passiva dell’amministratore rispetto alla controdomanda, dovendo la stessa, giacchè incidente sull’estensione del diritto dei singoli, svolgersi nei confronti di tutti i condomini, in quanto viene dedotto in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile su cui deve statuire la richiesta pronuncia giudiziale. Nell’ipotesi in cui una siffatta domanda riconvenzionale venga proposta e decisa solo nei confronti dell’amministratore, il contraddittorio non può ritenersi validamente instaurato, e, in difetto di giudicato esplicito o implicito sul punto, tale invalida costituzione del contraddittorio può essere denunciata o essere rilevata d’ufficio fino ancora al giudizio di legittimità.
Spostandoci dalla retorica latina ancora indietro
per giungere all’Ecclesiaste, questa pronuncia poteva
essere commentata con un laconico «nihil sub
sole novum».
è evidente che Cass. 15 marzo 2017, n. 6649, pronuncia
in un caso in cui la domanda del singolo
condomino di rivendica della proprietà esclusiva
del bene altrimenti comune, stando alla presunzione
di cui all’art. 1117 c.c., era stata proposta
in via riconvenzionale avverso una domanda del
Condominio. Ma nulla cambia, e nulla può cambiare,
se una domanda avente simili petitum e
causa petendi provenga in via principale dal condomino
che convenga egli il condominio. Non
esiste nella teoria generale del processo domanda
che imponga il litisconsorzio necessario sol se
proposta in via riconvenzionale, e non anche se
proposta in via principale.
La soluzione è stata già ribadita da Cass. 31 agosto
2017, n. 20612, secondo la quale “esula dai
limiti della legittimazione passiva dell’amministratore
medesimo una domanda che sia volta ad
ottenere l’accertamento della proprietà esclusiva
di un singolo su un bene altrimenti compreso
fra le parti comuni ex art. 1117 c.c., imponendo
una tale domanda il contraddittorio processuale
di tutti i restanti condomini (…). Ne consegue
che, nel giudizio di impugnazione di deliberazione
dell’assemblea, ai sensi dell’art. 1137 c.c., per
il quale all’amministratore di condominio spetta
la legittimazione passiva, l’eventuale allegazione
della proprietà esclusiva di un bene, sul quale
l’impugnata delibera abbia inciso, può essere
oggetto di accertamento di carattere meramente
incidentale, funzionale alla decisione della causa
sulla validità dell’atto collegiale, ma privo di
efficacia di giudicato in ordine all’estensione dei
diritti reali dei singoli”.
«Nihil sub sole novum», perché anche per il
condominio, come per ogni persona o soggetto
giuridico, ovvero per ogni parte soggettivamente
complessa, vige il principio secondo cui la
legittimazione processuale va d’ufficio accertata
dal giudice con riferimento all’astratta idoneità
della veste del soggetto che agisca in nome e per conto dell’ente ad abilitarlo alla rappresentanza
sostanziale in ordine al rapporto dedotto in giudizio.
In tal senso, l’ambito della legittimatio ad
processum dell’amministratore di condominio non
può non coincidere con l’ambito delle sue attribuzioni,
sul fondamento del principio dell’interesse
ad agire (art. 100 c.p.c.), inteso non soltanto
come obiettiva presenza o probabilità della lite,
ma altresì come «appartenenza» della stessa a chi
agisce, nel senso che la relazione della lite con
l’amministratore agente debba consistere in ciò
che l’interesse in lite sia «condominiale».
Se, dunque, l’oggetto della controversia riguarda
l’estensione dei diritti dominicali dei singoli
condomini sulle parti comuni, ossia se l’esito del
processo intentato possa essere quello di accertare
che un determinato bene, rientrante nella presunzione
di attribuzione condominiale ex art. 1117
c.c., sia stato acquistato, a titolo derivativo o originario,
da un singolo condomino, o da un terzo
rispetto alla compagine dei partecipanti, allora la
rappresentanza dell’amministratore rimane del tutto
estranea. Come ai sensi dell’art. 1108, comma
3, c.c. (applicabile al condominio: art. 1139 c.c.),
occorre il consenso di tutti i condomini per gli atti
di alienazione dei beni comuni, così sussiste, per
la necessaria corrispondenza tra l’unitarietà del
rapporto sostanziale sottostante e l’integrità del
contrattiddittorio processuale, il litisconsorzio necessario
dei condomini tutti ove nel giudizio sia
in gioco l’accertamento o la costituzione di una
vicenda acquisitiva di taluno di quei beni in favore
di chi si sia reso attore nel processo.
«Nihil sub sole novum», soprattutto a rileggere
tutto quel che segue:
1) poiché per la sussistenza
della rappresentanza processuale occorre sempre
il conferimento di un mandato espresso rivestito
della forma scritta, ove in un verbale di assemblea
condominiale si conferisca all’amministratore l’espresso
specifico mandato di stare in giudizio in
nome e per conto di alcuni o di tutti i condomini
per far valere, nel loro rispettivo interesse, una
pretesa assegnata alla loro sfera giuridica dalle
fattispecie negoziali di acquisto, lo stesso verbale
(sia pure consacrante una deliberazione unanime)
in tanto può essere idoneo a conferire all’amministratore
il potere di rappresentanza convenzionale
nel processo di singoli condomini solo in quanto
esso sia stato sottoscritto individualmente da
ciascun mandante (Cass. 3 agosto 1984, n. 4623;
Cass. 12 febbraio 1981, n. 869);
2) poiché la legittimazione
ad agire in giudizio dell’amministratore
in caso di pretese concernenti l’affermazione
di diritti di proprietà (anche comune), può trovare
fondamento soltanto nel mandato a lui conferito
da ciascuno dei condomini, l’assenza dell’apposito
potere rappresentativo in capo all’amministratore in relazione all’azione esercitata cagiona la mancata
costituzione del rapporto processuale per
difetto della legittimazione processuale, inscindibilmente
connessa alla capacità di rappresentanza
sostanziale, con conseguente nullità della procura
alle liti, di tutti gli atti compiuti e della sentenza
(Cass. 13 marzo 2007, n. 5862);
3) in ordine alla
legittimazione attiva dell’amministratore, esorbita
dai poteri rappresentativi “ex lege” del medesimo
la proposizione di una domanda diretta non
alla difesa della proprietà comune, ma alla sua
estensione mediante declaratoria di appartenenza
al condominio di un’area adiacente al fabbricato
condominiale (siccome, si assumeva nella specie,
acquistata per usucapione), implicando essa non
solo l’accrescimento del diritto di comproprietà,
ma anche la proporzionale assunzione degli obblighi
e degli oneri ad esso correlati (Cass., 24 settembre
2013, n. 21826; questa sentenza ribadiva
che il sistema codicistico creato dagli artt. 1130 e
1131 c.c. separa le situazioni di carattere condominiale
da quelle di carattere individuale del singolo
condomino, nel senso che soltanto in ordine alle
prime l’amministratore è legittimato ad esercitare
le funzioni di rappresentanza, rappresentanza,
peraltro, del tutto speciale, in ragione della determinazione
legale delle relative attribuzioni);
4) in
tema di condominio degli edifici, poiché l’accertamento
della proprietà di un bene non può essere
effettuato se non nei confronti di tutti i soggetti a
vantaggio o verso i quali esso è destinato ad operare,
secondo l’effetto di giudicato richiesto con la domanda, ove quest’ultima sia proposta da alcuni
condomini per far dichiarare la natura comune di
un bene nell’ambito di un edificio condominiale,
il giudizio deve svolgersi nei confronti di tutti gli
altri partecipanti al condominio stesso, i quali, nel
caso di esito della lite favorevole agli attori, non
potrebbero altrimenti né giovarsi del giudicato, né
restare terzi non proprietari rispetto al convenuto
venditore-costruttore (ad esempio, Cass. 30 aprile
2012, n. 6607);
5) in tema di condominio degli
edifici, l’azione di accertamento della proprietà comune,
in quanto ha ad oggetto la contitolarità del
diritto di proprietà in capo a tutti i condomini, è
relativa a un rapporto sostanziale plurisoggettivo
unitario, dando luogo a un’ipotesi di litisconsorzio
necessario fra tutti i condomini; infatti, il giudicato
si forma ed è opponibile nei confronti dei soli
soggetti che hanno partecipato al giudizio; d’altra
parte, poiché non è applicabile ai rapporti assoluti
la disciplina specifica dei rapporti obbligatori, non
è estensibile alla specie il criterio dettato in materia
di obbligazioni indivisibili dall’art. 1306 cod.
civ., in virtù del richiamo di cui all’art.1317 cod.
civ., secondo cui gli effetti favorevoli di una sentenza
pronunciata nei confronti di uno o di alcuni dei diversi componenti dell’obbligazione solidale
o indivisibile si comunicano agli altri (Cass. 17
marzo 2006, n. 6056);
6) in tema di condominio
degli edifici, ove alcuni condomini, convenuti per
l’accertamento della proprietà comune di un bene,
propongano domanda riconvenzionale di accertamento
della proprietà esclusiva, in base ai titoli
o per intervenuta usucapione, dev’essere disposta
l’integrazione del contraddittorio nei confronti di
tutti i condomini, configurandosi un’ipotesi di litisconsorzio
necessario, in quanto viene dedotto
in giudizio un rapporto plurisoggettivo unico e inscindibile.
Ne consegue che, qualora nessuna delle
parti provveda all’integrazione del contraddittorio,
l’eccezione di estinzione sollevata dal convenuto,
ancorché limitata alla sola domanda riconvenzionale,
investe necessariamente l’intero rapporto
processuale, e comporta l’estinzione totale del processo
(Cass. 8 settembre 2009, n. 19385. Ma ancora,
potrebbero richiamarsi Cass. 8 febbraio 2012, n.
1768 (in motivazione), o Cass. 6 agosto 2001, n.
10828, per cui: in tema di condominio negli edifici,
l’art. 1131, comma secondo, cod. civ. prevede la
legittimazione passiva dell’amministratore solo in
ordine alle liti riguardanti le parti comuni dell’edificio,
con la conseguenza che, ove un condomino
chieda che l’accertamento della proprietà esclusiva
di parte del sottotetto, viene meno la legittimazione
passiva dell’amministratore, dovendo la causa,
riguardante l’estensione del diritto dei singoli in
dipendenza dei rispettivi acquisti, svolgersi nei
confronti di tutti i condomini; nell’ipotesi in cui
la suddetta controversia venga proposta e decisa
solo nei confronti dell’amministratore, il contraddittorio
non può ritenersi validamente instaurato,
e, in difetto di giudicato esplicito o implicito sul
punto, tale invalida costituzione del contraddittorio
deve essere rilevata d’ufficio anche in sede di
legittimità.
C’è poi stata Cass. sez. un., 13 novembre 2013,
n. 25454, la quale ha affrontato la questione della
necessità del litisconsorzio di tutti i comproprietari
con riguardo a controversia tra due singoli condomini,
volta all’accertamento della natura condominiale
di un’area adiacente ad un box auto ed alla
rimozione dei manufatti ivi realizzati dal convenuto,
il quale aveva, tuttavia, eccepito di essere
titolare dello spazio conteso in forza di precedente
assegnazione, senza formulare al riguardo un’apposita
domanda riconvenzionale.
III. Vengo ora a Cass. 18 maggio 2017, n. 12580.
Questa pronuncia ha ritenuto valida la clausola del
regolamento contrattuale che, in ipotesi di rinuncia
o distacco dall’impianto di riscaldamento centralizzato,
ponga, a carico del condomino rinunciante o
distaccatosi, l’obbligo di contribuzione alle spese
per il relativo uso in aggiunta a quelle, comunque dovute, per la sua conservazione, potendo i condomini
regolare, mediante convenzione espressa,
adottata all’unanimità, il contenuto dei loro diritti
ed obblighi e, dunque, ferma l’indisponibilità del
diritto al distacco, suddividere le spese relative
all’impianto anche in deroga agli artt. 1123 e 1118
c.c. L’autonomia privata può infatti derogare alla
disciplina dell’art. 1118 c.c., prescegliendo un accordo
di valore negoziale che si risolve in un impegno
irrevocabile di determinare quantitativamente
le quote di contribuzione alle spese in un certo
modo (cosi già Cass. 26 marzo 2010, n. 7300; e poi
Cass. 23 dicembre 2011, n. 28679; Cass. 20 marzo
2006, n. 6158; Cass. 28 gennaio 2004, n. 1558).
I criteri legali di ripartizione delle spese condominiali
possono, invero, essere derogati, come
prevede l’art. 1123 c.c., e la relativa convenzione
modificatrice della disciplina legale di ripartizione
può essere contenuta sia nel regolamento condominiale
(che perciò si definisce “di natura contrattuale”),
sia in una deliberazione dell’assemblea
che venga approvata all’unanimità, o col consenso
di tutti i condomini. La natura delle disposizioni
contenute negli artt. 1118, comma 1, e 1123 c.c.
non preclude, infatti, l’adozione di discipline convenzionali
che differenzino tra loro gli obblighi dei
artecipanti di concorrere agli oneri di gestione del
condominio, attribuendo gli stessi in proporzione
maggiore o minore rispetto a quella scaturente
dalla rispettiva quota individuale di proprietà. In
assenza di limiti posti dall’art. 1123 c.c., la deroga
convenzionale ai criteri codicistici di ripartizione
delle spese condominiali può arrivare a dividere in
quote uguali tra i condomini gli oneri generali e
di manutenzione delle parti comuni, e finanche a
prevedere l’esenzione totale o parziale per taluno
dei condomini dall’obbligo di partecipare alle spese
medesime (Cass. 4 agosto 2016, n. 16321; Cass 25
marzo 2004, n. 5975; Cass. 16 dicembre 1988).
Una volta, però, rinvenuto il fondamento scriminante
delle convenzioni in tema di spese condominiali
nell’esercizio dell’autonomia privata e
nella disponibilità e derogabilità dei criteri legali
di ripartizione, non c’è fondamento giuridico per
ritenere valide le sole convenzioni sulle spese che
obblighino uno o più condomini a pagare di più
o, rispettivamente, di meno di quanto avrebbero
comunque dovuto pagare in proporzione al valore
della loro proprietà o all’uso, e per ritenere, invece,
invalide le clausole che obblighino a contribuire
alle spese il condomino che altrimenti non
vi sarebbe affatto tenuto. Sarebbe come dire che
è valido il patto con cui Tizio, che dovrebbe per
legge pagare uno, si obblighi invece a pagar cento,
mentre è nullo il contratto con cui lo stesso Tizio si
obblighi a pagare soltanto uno, quando per legge
non doveva pagare nulla.
di Antonio Scarpa
Consigliere della Corte di Cassazione
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