lunedì 8 gennaio 2018

Profili giuridici della valutazione di sicurezza tecnologica e statica negli edifici condominiali

L’applicazione dei principi di sicurezza sul lavoro e sui luoghi di vita è assai attuale negli edifici che contengono impianti tecnologici i quali hanno la finalità di renderli più funzionali alle esigenze quotidiane di vita: la sempre maggiore complessità tecnologica delle strumentazioni di servizio degli immobili.

- La valutazione del rischio statico degli edifici
I crolli avvenuti negli edifici riportano l’attualità dell’annoso dibattito sul fascicolo del fabbricato ed a tal riguardo il Comune di Milano nel vigente regolamento edilizio (Deliberazione n. 9 – Seduta consiliare del 14.4.2014 – Deliberazione n. 27 –Seduta consiliare del 2.10.2014; pubblicate su BURL – Serie Avvisi e concorsi – n. 48 del 26.11.2014) nella voce “manutenzione e revisione periodica delle costruzioni (art. 11.6) prevede quanto segue:
  • tutti i fabbricati, entro cinquanta anni dalla loro fabbricazione o, in assenza di tale requisito, dalla loro ultimazione, devono essere sottoposti ad una verifica dell’idoneità statica di ogni loro parte secondo la normativa vigente alla data del collaudo, o in assenza di questo, alla data di ultimazione del fabbricato che dovrà essere certificata da un tecnico abilitato;
  • detta verifica interessa anche gli edifici interessati, per almeno metà della loro superficie da un cambio di destinazione d’uso, da interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione se non sussistono gli estremi di legge per un nuovo collaudo statico;
  • dette certificazioni devono essere allegate al fagiolo del fabbricato o alla documentazione dell’edificio e dovranno indicare la scadenza oltre la quale è necessaria la successiva verifica;
  • decorsi dieci anni dall’entrata in vigore del regolamento la predetta verifica deve interessare tutti i fabbricati esistenti con data di collaudo delle strutture superiori a 50 anni o che raggiungano i 50 anni nel predetto periodo;
  • il certificato di idoneità statica deve anche indicare gli elementi strutturali che potrebbero essere non idonei per le normative vigenti al momento della redazione del certificato stesso, pur non inficiandone la regolarità;
  • il certificato deve essere integrato da una relazione sullo stato di conservazione degli elementi strutturali secondari e degli elementi non strutturali dell’edificio (parapetti, facciate,, tamponamenti ..), ponendo particolare attenzione al rischio di crollo di elementi esterni e/o su zone comuni e alla presenza di lesioni e di cedimenti in atto;
  • nel caso del mancato rilascio di tale certificazione nei limiti temporali previsti viene meno l’agibilità dell’edifico o delle parti di questo non certificate;
  • in caso di compravendita i notai dovranno allegare tali certificazioni all’atto di vendita. Giova notare che il regolamento per l’effettuazione di dette operazioni richiama le norme tecniche per le costruzioni del D.M. 14 –01- 2008 che al punto 7.2.3.elenca i criteri di progettazione di elementi strutturali secondari e gli elementi non strutturali. Detto capitolo è inserito nel paragrafo 7 che riguarda la progettazione per azioni sismiche.
Occorre aggiungere che i principi fondamentali di tali norme sono i seguenti:
  • le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette a manutenzione in modo da consentirne la prevista utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle norme del decreto;
  • la sicurezza e le prestazioni di un’opera o di una parte di essa devono essere valutate in relazione agli stati limite che si possono verificare durante la vita nominale;
  • stato limite è la condizione superata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata;
  • il superamento di uno stato limite ultimo ha carattere irreversibile e si definisce collasso.
-Le qualifica giuridica delle norme tecniche
Il D.M. 14 –01 –2008 contiene le norme tecniche ed a tal riguardo si deve precisare la natura giuridica delle norme tecniche volontarie.
Si rileva una differenza concettuale tra regole dell’arte e le norme tecniche con differenti conseguenze giuridiche. Invero i due concetti trovano una netta distinzione nella legge n. 317 del 21/6/1986, attuazione della direttiva n. 83/189/ CEE relativa alla procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche che definisce:

- PRODOTTO: i prodotti di fabbricazione industriale e i prodotti agricoli; 

- SPECIFICA TECNICA: una specifica normativa contenuta in un documento che definisce le caratteristiche richieste a un prodotto, quali i livelli di qualità o di utilizzazione, la sicurezza, le dimensioni, nonché le prescrizioni applicabili al prodotto per quanto riguarda la denominazione di vendita, la terminologia, i simboli, le prove ed i metodi di prova, l’imballaggio, la marcatura e l’etichettatura e le procedure di valutazione della conformità;

- NORMA: una specifica tecnica approvata da un organismo riconosciuto ed abilitato ad emanare atti di normalizzazione, la cui osservanza non sia obbligatoria ed appartenente ad una delle categorie: norme internazionali, norme europee, norme nazionali. Sono norme internazionali europee o nazionali, le norme adottate e messe a disposizione del pubblico rispettivamente da un’organizzazione internazionale, da un organismo europeo o da un organismo nazionale di normalizzazione;

- REGOLA TECNICA: una delle specifiche tecniche o uno degli altri requisiti, comprese le disposizioni amministrative che ad esso si applicano, indicati al comma 2 e comunque ogni specifica tecnica o altro requisito, la cui osservanza è obbligatoria per la commercializzazione o l’utilizzazione di un prodotto sul territorio nazionale o in una parte importante di esso, nonché le disposizioni legislative, regolamentari ed amministrative degli Stati membri intese a vietare la fabbricazione, la commercializzazione o l’utilizzazione di un prodotto ad eccezione di quelle indicate all’articolo 9, comma 6. Gli stessi concetti sono stati richiamati dalla direttiva 98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 22/6/1998 (pubblicata su GUCE L 207/37 del 21/7/1998)che prevede una procedura d’informazione nel settore delle norme e delle regolamentazioni tecniche.

La peculiare importanza delle regola tecnica è stabilita:

- dall’articolo 9, comma primo, della legge 317/1986 per cui le regole tecniche non possono essere messe in vigore prima del termine di tre mesi dalla comunicazione del loro progetto alla Commissione delle Comunità europee. Tale previsione trova il suo fondamento (esplicato dall’articolo 9, comma secondo, della legge 317/1986)dalla necessità che entro tale termine la norma sia oggetto di un parere circostanziato della Commissione ovvero di un’osservazione da parte di uno Stato membro della Comunità in quanto la regola potrebbe creare ostacoli tecnici alla libera circolazione dei beni e in tali casi la sua entrata in vigore è differita di sei mesi.

Da quanto fin qui premesso si evince che l’equiparazione tra regola dell’arte e norma tecnica non è corretta in quanto tali istituti, oltre ad avere origini normative differenti, sono differenziati dal carattere obbligatorio della prima e da quello facoltativo della seconda. Invero la legislazione dell’Unione europea privilegia come fonte primaria la regola tecnica la cui violazione comporta l’incommerciabilità del bene all’interno del territorio dell’Unione europea in quanto il prodotto non corrispondente alla stessa è definito insicuro e comunque non corrispondente ai principi di costruzione che ne legittimino la libera circolazione europea. La norma tecnica è di rango inferiore non soltanto per la relativa facilità di emanazione allorquando è emanata da un organismo nazionale di normalizzazione, ma anche perché, in quanto espressione dello sviluppo tecnologico, il legislatore europeo non ha voluto che la ricerca e la scienza fossero vincolati da complessi normativi inderogabili e, in realtà, facilmente ed ineluttabilmente superabili dal progresso scientifico. Pertanto il legislatore in relazione alle norme tecniche ha adottato “un diritto leggero” che non solo non ne prevede un carattere obbligatorio ed inderogabile, ma non distingue tra l’origine nazionale o “unionistico” della medesima. Ne consegue che di fronte ad una norma tecnica chiunque ne abbia interesse può sempre cimentarsi, sempre che vi riesca, a provare l’esistenza un progetto tecnologico alternativo e dotato di un grado equivalente, se non superiore, di scientificità e di protezione degli interessi fondamentali sostenuti dalla norma tecnica preesistente. Tale prova non sempre è agevole ed obiettivamente è spesso ardua poiché, da un lato la nuova norma deve essere recepita almeno da un organismo nazionale di normalizzazione, dall’altro le norme tecniche esistenti, finchè non sono superate da nuove, sono dotate di una presunzione di legittimità e solitamente di un fondamento scientifico, ma detta prova comunque costituisce il fondamento del progresso scientifico secondo il metodo empirico del “provare e riprovare” di Galileo Galilei. Invece la regola tecnica è dotata di una valenza obbligatoria per la commercializzazione dei beni all’interno dell’Unione europea che presenta caratteristiche di inderogabilità e, pertanto, di prova legale di conformità la cui violazione comporta la nullità del contratto di vendita, secondo quanto previsto dall’articolo 1418, comma primo, del codice civile, per contrarietà a norme imperative.

- I principi di sicurezza nel condominio
L’applicazione dei principi di sicurezza sul lavoro e sui luoghi di vita è assai attuale negli edifici che contengono impianti tecnologici i quali hanno la finalità di renderli più funzionali alle esigenze quotidiane di vita: appare evidente che la sempre maggiore complessità tecnologica delle strumentazioni di servizio degli immobili, qualunque sia il servizio a cui siano adibiti, se da un lato ne aumentano il valore economico, dall’altro espongono l’incolumità degli abitanti a rischi significativi.
Occorre notare che la necessità della tutela dei lavoratori dipendenti e autonomi i quali eseguano gli appalti con contenuto tecnologico è stata ribadita dalla direttiva 92/57/CEE del Consiglio europeo del 24/6/1992, riguardante le prescrizioni minime di sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei e mobili e recepita nel diritto nazionale con il D.lgs. 14/8/1996 n. 494, oggi ripreso dal d.lvo n. 81/2008 ,dove si afferma che: “ il rispetto delle prescrizioni minime atte a garantire un migliore livello di sicurezza e di salute nei cantieri temporanei o mobili costituisce un imperativo al fine di garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori”.
Occorre aggiungere che inoltre la direttiva afferma: 
- “ i cantieri temporanei o mobili costituiscono un settore di attività che espone i lavoratori a rischi particolarmente elevati”;
- “ le scelte architettoniche e/o organizzative non adeguate o una carente pianificazione dei lavori all’atto della progettazione dell’opera hanno influito su più della metà degli infortuni del lavoro nei cantieri nella Comunità”.

Ne consegue che tutti gli operatori del settore (amministratori di condominio, progettisti, installatori, direttori e responsabili dei lavori, architetti, geometri, periti industriali, committenti, manutentori)sono tenuti a conoscere ed applicare una congerie di norme in continua evoluzione quali:
- le norme tecnologiche relative alla sicurezza degli impianti elettrici e a gas (legge 6/12/1971 n. 1083, D.P.R. 22/10/2001 n. 462 a legge 5/3/1990 n. 46)e le norme tecnologiche CEI, UNI, UNI – EN, le norme del DM n. 37/2008 e del d.vlo n. 81/2008;
- le nuove norme edilizie e sulla sicurezza degli impianti contenute nel testo unico sull’edilizia (il D.P.R. 6/6/2001 n. 380);
- le norme inerenti alla sicurezza, previste anche nelle deliberazioni dell’Autorità per l’energia elettrica e il gas, e finalizzate alla tutela della pubblica incolumità nell’utilizzo degli apparecchi alimentati a gas all’interno dei luoghi di vita e di lavoro.
Tali norme di sicurezza sono spesso ignote alla platea di soggetti interessati i quali sono spesso ritenuti responsabili, civilmente e penalmente di luttuosi incidenti sul lavoro ed in ambienti di vita e quindi è necessario accertare e descrivere i vincoli che inevitabilmente la nuova normativa, la quale indubbiamente privilegia la sicurezza degli utenti rispetto ai criteri di economia d’impresa, appone alla libertà di mercato ed all’organizzazione imprenditoriale.
La Corte di Cassazione (Sent n. 48812/2016)ha sviluppato il concetto di sicurezza elettrica stabilendo la responsabilità penale, per il reato di cui all’art. 449 c.p., di un soggetto che aveva cagionato l‘incendio di un edificio mediante la realizzazione di un impianto elettrico inadeguato in quanto privo del sistema di protezione da contatti diretti dei conduttori e da eventuali sovraccarichi e da corto circuiti e di un efficace impianto di messa a terra. Inoltre la Corte affermava che con tale condotta il soggetto aveva creato “le condizioni perché si sviluppasse un fuoco e si propagassero le fiamme e perché, in violazione dell’obbligo di assicurare la custodia e la guardiania del compendio, non predisponeva un’attrezzatura antincendio idonea rispetto alle numerose parti in legno della struttura ed un sistema di vigilanza adeguato ad evitare la propagazione del fuoco”.
Il fondamento della disciplina della sicurezza sul lavoro è tuttora dettato dall’articolo 2087 del codice civile il quale obbliga l’imprenditore “ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Occorre notare che l’articolo 2050 del codice civile impone a chiunque cagiona danno ad altri nello svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura o per la natura dell’attività dei mezzi adoperati, deve risarcire il danno se non prova di avere adottato tutte le misure idonee ad evitarlo.

In materia di sicurezza elettrica il D.M. n. 37/2008 prevede i documenti che accompagnano i prodotti tecnologici:
- a) la dichiarazione di conformità del prodotto: consiste nella dichiarazione di un venditore o di un fornitore, redatta sotto la sua personale responsabilità, che un prodotto, un processo o un servizio sono conformi ad una specifica norma o ad una altro documento normativo e per la sua redazione non è previsto l’intervento di alcuna parte terza (Ente di certificazione o Laboratorio di prova);
- b) l’attestato di conformità del prodotto: è l’atto con il quale una terza parte indipendente attesta che un determinato campione, previamente sottoposto a prova, è conforme ad una specifica norma o ad un altro documento normativo; in particolare l’attestato di conformità ha maggiore valore se il laboratorio che lo rilascia ha ottenuto l’accreditamento SINAL per il tipo di prova per il quale viene rilasciato l’attestato;
- c) la certificazione di conformità: è l’atto con il quale una terza parte indipendente (Ente certificatore)dichiara che, con ragionevole attendibilità, un determinato prodotto, processo o servizio è conforme ad una specifica norma o ad una latro documento normativo; il certificato viene emesso su tutta la produzione di quel determinato prodotto e, inoltre, l’Ente certificatore opera il controllo sul prodotto anche mediante ispezioni esterne condotte sul mercato.

- La definizione giuridica di regola d’arte nel condominio
Il ricorso ai concetti di norma tecnica e di regola d’arte è assai frequente nelle cause condominiali al punto di chiedersi quale sia il loro grado di obbligatorietà e se le stesse siano derogabili. Occorre notare che il giudice per valutare la diligenza dell’adempimento del debitore nelle obbligazioni deve, secondo quanto disposto dall’articolo 1176 del codice civile, valutare il suo comportamento soggettivo con riferimento alla diligenza del buon padre di famiglia e, qualora il contenuto dell’obbligazione consista nello svolgimento di un’attività professionale, alla natura dell’attività esercitata. In tale ultima ipotesi il contenuto dell’obbligazione consiste nelle tecniche proprie della attività specializzata ed il grado di diligenza del debitore, esperto in un’attività professionale, appare più elevato della diligenza del buon padre di famiglia poiché, in questo caso, occorre operare il riferimento al risultato specifico che comporta l’obbligazione assunta. A tal proposito osservasi che l’appaltatore o il prestatore d’opera, incaricato della realizzazione di opere edilizie da eseguirsi su strutture o basamenti preparati dal committente o da terzi, viola il dovere di diligenza stabilito dall’articolo 1175 del codice civile (che impone al debitore ed al creditore di operare secondo le regole di correttezza)se non si accerta, nei limiti delle comuni regole dell’arte, dell’idoneità delle predette strutture a reggere l’ulteriore opera commessagli e ad assicurare la buona riuscita della medesima e viola, parimenti, i doveri di adempiere all’obbligazione con correttezza e buona fede se, avendo accertato l’inidoneità di tali strutture, proceda ugualmente all’esecuzione dell’opera. Inoltre il prestatore d’opera qualificato deve essere in grado di valutare le modalità di esecuzione del lavoro che gli viene affidato e di garantirne l’esecuzione con la professionalità e la diligenza che il caso richiede: ne consegue che l’accettazione, senza riserve di eventuali particolari difficoltà di eseguire la prestazione, fa sorgere a carico del prestatore l’obbligo di eseguirla a regola d’arte. Il riferimento all’adempimento della prestazione secondo la regola d’arte, la quale pertanto costituisce un ‘obbligazione di risultato e non di mezzi, è rilevante per:
- stabilire, ai sensi dell’articolo 1218 del codice civile, la responsabilità del debitore che è tenuto al risarcimento del danno se non esegue esattamente la prestazione dovuta laddove non provi che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa al medesimo non imputabile;
- permettere al creditore, secondo quanto stabilito dall’articolo 2224 del codice civile qualora il prestatore dell’opera non proceda all’esecuzione dell’opera secondo le condizioni del contratto e a regola d’arte, di stabilire un congruo termine entro il quale il debitore deve conformarsi a tali condizioni, che, se trascorre inutilmente, consente al creditore di recedere dal contratto, salvo il diritto al risarcimento del danno.

La Corte di Cassazione è intervenuta con più sentenze relative alla rilevanza della norma tecnica nel giudizio penale o civile e precisamente:
  • la sent. n. 1987/2015 (che richiama C.Cass. n. 16386/2010)afferma che l’uso della norma UNI 10802 (in materia di campionamento di rifiuti)non è obbligatorio e che la scelta sul metodo da utilizzare è una questione di fatto, in mancanza di una normativa generale vincolante sul punto per cui è sufficiente che i giudice indichi le ragioni per le quali viene utilizzato il diverso metodo IRSA CNR anziché il metodo UNI 10802
  • la sent. n. 8043/2016 sostiene che la mancata applicazione della norma UNI EN 131 (che attiene alle caratteristiche produttive ed alle prove che il prodotto deve superare per conseguire la certificazione di conformità alle normative di sicurezza) non è vincolante per il C.T.U. che può adottare un diverso metodo di indagine mediante l’effettuazione di prove più severe.
  • la sent. n. 39372/2016 rileva che l’accertamento della pericolosità di un rifiuto non richiede necessariamente il rispetto delle metodiche di analisi fissate dalla norma tecnica UNI 10802, trattandosi di disposizioni prive di portata generale vincolante, finalizzate unicamente a disciplinare le analisi a cura del titolare dell’impianto di produzione di rifiuti.
Per quanto riguarda la responsabilità penale occorre rilevare che in materia antinfortunistica le misure indicate dalla legge hanno carattere tassativo e non possono essere sostituite con altre reputate equivalenti: infatti se il legislatore ha ritenuto che un determinato infortunio sul lavoro sia meglio scongiurato adottando una ben precisa cautela, il destinatario della norma deve rispettare le prescrizioni e qualora si accerti l’inosservanza di queste, in caso di sinistro, risponderà dell’evento, a meno che non dimostri che lo stesso non è riconducibile al tipo di evento che la regola intendeva prevenire.
Invero la C.Cass. con la sent. n. 24124/2016 ha affermato che, nel caso di incidente mortale sul lavoro, la disciplina UNI En 1114-1, punti 5.1.10 e 5.1.1.5, costituisce il contenuto fondamentale della valutazione del materiale di lavoro in “relazione ai rischi derivanti dalla fuoriuscita dal condotto di fumi, gas e residui plastici della lavorazione o comunque dagli effetti di sovrapressione della macchina”.

- Il profilo civilistico di responsabilità da insidia 
Il fondamento della responsabilità extracontrattuale è quello dell’articolo 2043 del codice civile il quale, in ossequio ad una tradizione giuridica trimillenaria, stabilisce la responsabilità civilistica e l’obbligo di risarcire il danno per colui che ha cagionato con dolo o colpa ad altri un danno ingiusto. Tale regime, sia pur rispondente ad un alto principio di civiltà ovvero quello della responsabilità individuale, espone il danneggiato ad una serie di oneri probatori spesso di difficile attuazione: vale a dire che, al fine di vedersi riconoscere il diritto al risarcimento del danno, deve provare:
  • il danno;
  • il nesso di causalità tra il danno e l’operato dell’agente;
  • l’ingiustizia del danno;
  • la sussistenza dell’elemento soggettivo doloso o colposo nella condotta dell’agente.
La dottrina stabilisce che il legislatore, nelle ipotesi di responsabilità aggravata, per avvantaggiare la persona danneggiata, disciplina in maniera diversa e più grave per i soggetti che creano dei rischi, la problematica inerente l’individuazione del responsabile del danno. Nel caso di danno di cose in custodia, particolarmente ricorrente nei casi giurisprudenziali avvenuti all’interno del condominio, l’articolo 2051 del codice civile stabilisce che ciascuno è responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. In tali casi il legislatore presume che se fossero state adottate tutte le precauzioni, previste in particolare dalla normativa specialistica di sicurezza nei luoghi di vita e di lavoro, idonee ad evitare il danno, quest’ultimo non si sarebbe verificato. Pertanto è ritenuto responsabile chi aveva in custodia la cosa che ha provocato il danno, a meno che non venga provato il fatto di un terzo o uno specifico evento imprevedibile e inevitabile, estraneo alla cosa o al custode (Vedasi Manuale di diritto privato, Andrea Torrente e Piero Schlesinger, Milano, Giuffrè Editore, pagine 670 - 671).
La giurisprudenza ha così ridotto il margine della prova liberatoria per il danneggiante al punto di consentire l’affermazione per cui vige un regime di responsabilità oggettiva; a tal riguardo è sufficiente esaminare le seguenti massime.
  1. "La responsabilità da cose in custodia ex art. 2015 c.c. sussiste quando ricorrano due presupposti: un’alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche determina la configurazione nel caso concreto della cosiddetta insidia o trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità di tale alterazione per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno. (Nel caso trattato la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni riportati da un’inquilina di un edificio a seguito di una caduta causata da acqua piovana infiltratasi dalla finestra, ritenendo prevedibile l’evento, in quanto lo stesso si era verificato in un condominio e aveva coinvolto un’inquilina ivi abitante da anni e, quindi, a conoscenza di tutte le caratteristiche dell’immobile). (C. Cass. civ, Sez. 3, Sent. n. 11592 del 13.5.2010, Rv. 613371)"
  2. "Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie, affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all’art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini (nella specie, infiltrazioni d’acqua provenienti dal muro di contenimento di proprietà condominiale), ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile.” (C.Cass. Civ., Sez. 2, Sent. n. 15291 del 12.7.2011, Rv. 618637)"
  3. In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non rileva in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno. Ne consegue che il vizio di costruzione della cosa in custodia, anche se è ascrivibile al terzo costruttore, non esclude la responsabilità del custode nei confronti del terzo danneggiato, non costituendo caso fortuito che interrompe il nesso eziologico, salva l’azione di rivalsa del danneggiante – custode nei confronti dello stesso costruttore. (Nel caso trattato la Suprema Corte, pur ribadendo il suddetto principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa la responsabilità del condominio custode per i danni assunti come arrecati dal cattivo funzionamento della rete fognaria condominiale, essendo rimasto accertato che lo stesso aveva dimostrato che l’evento dannoso si era verificato, in via esclusiva, per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente alla società costruttrice che, nel caso specifico, si identificava con la stessa parte attrice quale proprietaria di alcuni immobili siti nel condominio convenuto in giudizio, da ritenersi, perciò, essa stessa responsabile nei confronti del condominio medesimo.). (C.Cass. Civ., Sez. 3, Sent. n. 26051 del 30.10.2008, Rv. 605339)".
- La ricostruzione penale dell’obbligo di garanzia del condominio per gli infortuni 
Il fondamento dottrinario che attesta il dovere del datore di lavoro di tutelare l’integrità psico – fisica del lavoratore si trova in due articoli del codice civile e rispettivamente:
  • l’art. 2086 (direzione e gerarchia nelle imprese) per cui: “L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”
  • l’art. 2087 (tutela delle condizioni di lavoro)per cui: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”
Pertanto che il legislatore ritiene che all’interno dell’impresa esista un rapporto corrispettivo per il quale se il datore di lavoro può ordinare l’esecuzione di prestazioni lavorative ai propri dipendenti, nell’ambito delle mansioni previste dal contratto, d’altra parte deve tutelare la loro sicurezza e salute secondo la migliore tecnica ed esperienza vigenti e validate dal modo tecnico e scientifico. Questo è il fondamento giuridico della costruzione dottrinaria la quale individua nel datore di lavoro la titolarità di una posizione di garanzia nei confronti dei lavoratori dipendenti, che costituisca tre le due parti una posizione sinallagmatica di sicurezza, ovvero una relazione corrispettiva tra l’ordine gerarchico impartito dall’imprenditore e la sicurezza del dipendente, la quale è stata riconosciuta dalla giurisprudenza quale suo addebito fondamentale di responsabilità in caso di infortunio del dipendente.

A tal proposito si afferma:
  • “Gli articoli 2086 e 2104 del codice civile che prevedono il potere gerarchico del datore di lavoro sul lavoratore devono essere interpretati alla luce del generale principio secondo cui ciascuna parte contrattuale può pretendere e deve fornire soltanto le prestazioni previste nel contratto. Ne consegue che, da un lato, i superiori gerarchici non possono richiedere prestazioni che siano chiaramente escluse dal contratto medesimo e che, dall’altro, il lavoratore, che non voglia attendere l’esito del giudizio in sede sindacale o giudiziaria, ha diritto di rifiutare prestazioni di tale tipo, correndo il rischio, conseguente a tale comportamento, di essere successivamente ritenuto responsabile di inadempimento qualora venga eventualmente accertata la legittimità dell’ordine disatteso. (C.Cass. Civ, sez. l, sent. n. 5463 del 8/6/1999)»;
La responsabilità penale dell’amministratore condominiale per gli infortuni incorsi ai lavoratori dipendenti è stata stabilita dalle seguenti pronunce giurisprudenziali:
  1. La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va considerata e risolta nell’ambito del capoverso dell’art. 40 c.p. che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (C.Cass., Sez. 3, sent. n. 332 del 11.5.1967, ud. 24.2.1967 – C.Cass., Sez. 3, sent. N. 4676 del 14.3.1975, dep. il 14.4.1976).
  2. L’amministratore di uno stabile, sia che operi per conto di un solo proprietario (persona fisica o giuridica), sia che agisca per conto di un condominio ha la titolarità dei poteri attinenti alla conservazione e alla gestione delle cose e dei servizi comuni fra i quali rientra anche quello di attivarsi per l’eliminazione di situazioni che possono potenzialmente causare la violazione del principio del “neminem laedere” e di provvedere o, quantomeno, riferirne al proprietario; l’identificazione dei singoli obblighi in concreto incombenti sull’amministratore deve essere effettuata, sulla base delle norme legislative, statutarie o regolamentari, nelle singole fattispecie. (v C.Cass., sez. 4, sent. n. 6757 del 6.5.1983, dep. Il 14.7.1983).
  3. La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va ricondotta nell’ambito della disposizione (art. 40, secondo comma, c.p.)per la quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto configurabile a carico dell’amministratore di condominio un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni, in una fattispecie di incendio riconducibile ad un difetto di installazione di una canna fumaria di proprietà di un terzo estraneo al condominio che attraversava le parti comuni dell’edificio”. (C.Cass., Sez. 4, sent. n. 39959 del 23.9.2009, dep. Il 13.10.2009).
Per quanto riguarda la responsabilità penale dell’amministratore di condominio nel caso di infortunio avvenuto all’interno dello stesso ci si chiede se anche in materia penale possa valere una sorta di responsabilità oggettiva ed a tal riguardo deve osservarsi quanto segue.
Allorquando si commenta la responsabilità del datore di lavoro per gli infortuni incorsi al suo lavoratore dipendenti si afferma che il primo deve dare concreta attuazione al suo dovere, sancito dall’art. 2087 del codice civile, di assicurare al secondo ogni protezione la quale ne tuteli l’equilibrio psico – fisico. Pertanto deve formarlo ed informarlo sulla sua attività e sui rischi a cui è sottoposto e deve dotarlo di attrezzature e di dispostivi di protezione individuale rispondenti alle norme di legge. Tuttavia ci si chiede fino a qual punto il datore di lavoro sia responsabile delle condotta del lavoratore dipendente specialmente allorquando quest’ultimo compia attività imprudenti. E’ questo il tema riguardante l’attività abnorme del lavoratore di cui si è recentemente occupata la giurisprudenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, sent. n. 3983, ud 1.12.2011, dep. il 31.1.2012). Il caso trattato riguardava l’infortunio incorso ad un operaio, in servizio presso una cava ed addetto ad un impianto di frantumazione, il quale mentre svolgeva l’attività di pulizia e di rimozione dei detriti nel locale sottostante il frantoio, in prossimità di un nastro trasportatore, scivolava a causa del terreno viscido e cadeva incastrando il braccio sinistro tra gli apparati del nastro e subiva l’amputazione dell’arto. Gli imputati, il direttore tecnico e responsabile delle sicurezza ed il preposto, venivano condannati dalle Corti di merito, in quanto veniva loro mosso l’addebito di non avere informato correttamente il lavoratore sui rischi e di non avergli fornito indicazioni scritte e direttive in ordine alla corretta e sicura esecuzione dell’incarico e di avere consentito l’esecuzione dell’operazione in assenza di una griglia di protezione e di una fune per il blocco di emergenza dell’impianto.
Avanti alla Corte di legittimità la principale difesa degli imputati consisteva nell’affermare che la responsabilità dell’incidente era da ricercarsi esclusivamente nella condotta imprudente del lavoratore, il quale aveva svolto un’operazione di pulizia del nastro compiuta con il rullo in movimento e con l’ausilio di una pala e quindi del tutto abnorme, vietata e posta in essere arbitrariamente e volontariamente dall’esperto lavoratore, attività assolutamente imprudente che interrompeva il nesso causale.
La Corte di Cassazione respingeva l’assunto difensivo affermando quanto segue.
“Il ricorso è infondato. I gravami tentano in larga misura di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione nel merito. Per ciò che attiene alle questioni rilevanti nelle presente sede di legittimità, rileva che la pronunzia impugnata ritiene provato, alla luce delle dichiarazioni delle persona offesa e dello stato dei luoghi, che il lavoratore, mentre si occupava delle operazioni di pulizia del nastro trasportatore, riposizionando il materiale sullo stesso nastro scivolava sul terreno sdrucciolevole e cadeva sull’apparato in movimento che gli amputava l’arto superiore all’altezza dell’avambraccio. Si considera altresì che il dispositivo di sicurezza consistente in una fune, utile per bloccare l’impianto, era disattivato; e che inoltre il carter di protezione del nastro era stato rimosso e posto in un angolo con collocate sopra delle lattine di vernice. Si aggiunge che il lavoratore ha categoricamente escluso che fossero presenti cartelli che ponevano il divieto di effettuare le operazioni di pulizia con gli ingranaggi dell’impianto in movimento e di non aver ricevuto alcuna specifica istruzione in tal senso.
La sentenza richiama la giurisprudenza che pone a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare il lavoratore anche in relazione ai suoi eventuali comportamenti negligenti. Se ne inferisce che anche nel caso in cui il lavoratore sia esperto e ponga in essere un’azione avventata, forse fidandosi della sua esperienza, si configura la responsabilità del garante (vale a dire che ricorre il principio di imputabilità del datore di lavoro negligente della cosiddetta “doppia colpa”). Invero nel caso di specie, anche a voler accedere alla tesi difensiva secondo cui la vittima provvedeva alla pulizia del frantoio in movimento utilizzando una pala di legno, si ritiene che l’infortunio determinato da errore del lavoratore che abbia prestato il consenso ad operare in condizioni di pericolo non esclude la responsabilità del garante. D’altra parte si pone in luce che il dispositivo di blocco di sicurezza era disattivato e si è dunque in presenza della mancata doverosa predisposizione di misure di sicurezza volte a prevenire l’evento.”
Alla luce di tali argomentazioni appare evidente che il datore di lavoro allorquando, ai sensi dell’art. 17, comma primo lettera a), del d.lvo n. 81/2008, valuti tutti i rischi ed elabori il documento previsto dal successivo art. 28 deve prevedere adeguati rimedi atti a prevenire l’attività abnorme del proprio dipendente. Inoltre, secondo quanto prescritto dall’art. 18, comma primo lettera z), del d.lvo n. 81/2008 deve “aggiornare le misure di prevenzione in relazione ai mutamenti organizzativi e produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute e sicurezza sul lavoro, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica della prevenzione e delle protezione.” Tali osservazioni valgono a stabilire la natura estremamente dinamica della valutazione del rischio, prevista dagli articoli 28 e 29 del d.lvo n. 81/2008, la quale non può essere definita una volta per sempre, ma segue necessariamente la natura e l’evoluzione tecnologica dell’attività svolta dal dipendente, in modo da prevenire gli infortuni con una visione assai vasta la quale deve anche prevedere, in termini sia pure ragionevoli e adeguati alla mansione svolta, l’atto imprudente del proprio dipendente.
Tale ricostruzione giuridica è confermata dalla più recente giurisprudenza.Invero è stata riconosciuta (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n. 21223 del 3.5.2012, dep. il 31.5.2012)la responsabilità penale (ai sensi dell’art. 590 c.p.)per il reato di lesioni colpose gravi in danno di un minore dell’amministratore del condominio che aveva omesso di delimitare e segnalare opportunamente un lucernario che si trovava al centro del condominio ed era ricoperto di neve su cui il minore, a bordo di uno slittino, era andato a finire. Il lucernario si era frantumato facendo cadere il minore nelle sottostanti scale con conseguenti lesioni diagnosticate come politrauma con prognosi riservata.
La Suprema Corte riconosceva la responsabilità penale dell’amministratore poiché da un lato ravvisava la sussistenza di un rapporto di causalità tra la condotta omissiva del primo e l’evento lesivo e dall’altro la sussistenza della “corrispondenza causale tra la violazione della regola cautelare a carico del prevenuto e la produzione del risultato offensivo; in altre parole, secondo il criterio della cosiddetta “concretizzazione del rischio”, risulta nella vicenda in esame, che l’evento lesivo verificatosi rappresenta la realizzazione del rischio che la norma cautelare violata dell’imputato doveva prevenire.”
Altra sentenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n. 34147 del 12.1.2012, dep. il 6.9.2012)dichiara la penale responsabilità di un amministratore di condomino per lesioni colpose gravi nei confronti di una condomina la quale era caduta, provocandosi una frattura omerale giudicata guaribile in oltre 40 giorni di prognosi, su di un avallamento esistente tra il pavimento ed il tombino di raccolta delle acque reflue condominiali posto sul marciapiedi che dava accesso alla farmacia sita al piano terra dello stesso fabbricato condominiale. Il profilo di responsabilità dell’amministratore era consistito nella sua imprudenza, imperizia e negligenza nell’eseguire i lavori di ripristino di tale avallamento. In particolare la sentenza afferma quanto segue:
“L’unico responsabile del fatto doveva ritenersi l’imputato in veste di amministratore del condominio per avere colposamente omesso di sistemare il passaggio pedonale in corrispondenza dell’accesso al marciapiedi antistante il tombino, mediante apposto scivolo al fine di eliminare le sconnessioni del piano di calpestio o quanto meno di contenerne la pericolosità con idonee delimitazioni atte ad evitare che esse costituissero una vera e propria insidia; ciò sul rilievo decisivo che in ogni caso anche le sconnessioni esistenti nella parte in proprietà esclusiva dei……. (ovvero nell’area diversa da quella occupata dal tombino)sono del tutto funzionali allo scolo delle acque piovane convogliate dalla strutture condominiali. Non può quindi mettersi in discussione che l’amministratore del condominio rivesta una specifica posizione di garanzia, su di lui gravando l’obbligo ex art. 40 capoverso c.p. di attivarsi al fine di rimuovere, nel caso di specie, la situazione di pericolo per l ‘incolumità di terzi, integrata dagli accertati avallamenti / sconnessioni della pavimentazione in prossimità del tombino predisposto al fine dell’esercizio di fatto della servitù di scolo delle acque meteoriche a vantaggio del condominio, ciò costituendo una vera e propria insidia e trabocchetto, fonte di pericolo per i passanti ed inevitabile con l’impiego della normale diligenza; massime per una persona anziana di 75 anni di età (cfr. Sez. 3 n. 4676 del 1975 rv. 133249). Né l’obbligo di attivarsi onde eliminare la riferita situazione id pericolo doveva ritenersi subordinato, come erroneamente sostenuto dal ricorrente, alla preventiva deliberazione dell’assemblea condominiale ovvero ad apposita segnalazione id pericolo tale da indurre un intervento di urgenza. Il disposto dell’art. 1130 n. 4 c.c. viene invero interpretato dalla giurisprudenza di legittimità nel senso che sull’amministratore grava il dovere di attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni dell’edificio, a prescindere da specifica autorizzazione dei condomini ed a prescindere che si versi nel caso di atti cautelativi ed urgenti (cfr Sez. 4 n. 3959 del 2009; Sez. 4 n. 6757 del 1983). Dalla lettera dell’art. 1135, ultimo comma, c.c. si evince peraltro a contrario che l‘amministratore ha facoltà di provvedere alle opere di manutenzione straordinaria, in caso rivestano carattere di urgenza, dovendo in seguito informare l’assemblea. E’ indubitabile che l’eliminazione di un’insidia o trabocchetto derivante dall’omesso livellamento della pavimentazione in corrispondenza di un tombino deputato all’esercizio di una servitù di scolo a vantaggio – ovviamente – dell’edificio condominiale rappresenti intervento sia conservativo del diritto sia manutentivo di ordine urgente anche a tutela della incolumità dei passanti e quindi determinante dell’obbligo di agire ex art. 40 comma secondo c.p..”
Sulla base dei principi stabiliti nella citata sentenza deve concludersi che il fondamento della responsabilità penale dell’amministratore, secondo quanto stabilito dall’art. 40, secondo comma, c.p., è sostanzialmente costituto dal suo potere di gestione e di amministrazione dal contenuto così ampio da consentirgli di compiere qualsiasi lavoro straordinario, indipendentemente dalla previa autorizzazione assembleare, purchè urgente e finalizzato alla tutela ed alla salvaguardia dell’incolumità di tutti i cittadini.

di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano

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