L’applicazione dei principi di sicurezza sul lavoro e sui luoghi di vita è assai attuale negli edifici che contengono impianti tecnologici i quali hanno la finalità di renderli più funzionali alle esigenze quotidiane di vita: la sempre maggiore complessità tecnologica delle strumentazioni di servizio degli immobili.
I crolli avvenuti negli edifici riportano l’attualità dell’annoso dibattito sul fascicolo del fabbricato ed a tal riguardo il Comune di Milano nel vigente regolamento edilizio (Deliberazione n. 9 – Seduta consiliare del 14.4.2014 – Deliberazione n. 27 –Seduta consiliare del 2.10.2014; pubblicate su BURL – Serie Avvisi e concorsi – n. 48 del 26.11.2014) nella voce “manutenzione e revisione periodica delle costruzioni (art. 11.6) prevede quanto segue:
- tutti i fabbricati, entro cinquanta anni dalla loro fabbricazione o, in assenza di tale requisito, dalla loro ultimazione, devono essere sottoposti ad una verifica dell’idoneità statica di ogni loro parte secondo la normativa vigente alla data del collaudo, o in assenza di questo, alla data di ultimazione del fabbricato che dovrà essere certificata da un tecnico abilitato;
- detta verifica interessa anche gli edifici interessati, per almeno metà della loro superficie da un cambio di destinazione d’uso, da interventi di manutenzione straordinaria, di restauro e di risanamento conservativo e di ristrutturazione se non sussistono gli estremi di legge per un nuovo collaudo statico;
- dette certificazioni devono essere allegate al fagiolo del fabbricato o alla documentazione dell’edificio e dovranno indicare la scadenza oltre la quale è necessaria la successiva verifica;
- decorsi dieci anni dall’entrata in vigore del regolamento la predetta verifica deve interessare tutti i fabbricati esistenti con data di collaudo delle strutture superiori a 50 anni o che raggiungano i 50 anni nel predetto periodo;
- il certificato di idoneità statica deve anche indicare gli elementi strutturali che potrebbero essere non idonei per le normative vigenti al momento della redazione del certificato stesso, pur non inficiandone la regolarità;
- il certificato deve essere integrato da una relazione sullo stato di conservazione degli elementi strutturali secondari e degli elementi non strutturali dell’edificio (parapetti, facciate,, tamponamenti ..), ponendo particolare attenzione al rischio di crollo di elementi esterni e/o su zone comuni e alla presenza di lesioni e di cedimenti in atto;
- nel caso del mancato rilascio di tale certificazione nei limiti temporali previsti viene meno l’agibilità dell’edifico o delle parti di questo non certificate;
- in caso di compravendita i notai dovranno allegare tali certificazioni all’atto di vendita. Giova notare che il regolamento per l’effettuazione di dette operazioni richiama le norme tecniche per le costruzioni del D.M. 14 –01- 2008 che al punto 7.2.3.elenca i criteri di progettazione di elementi strutturali secondari e gli elementi non strutturali. Detto capitolo è inserito nel paragrafo 7 che riguarda la progettazione per azioni sismiche.
- le opere e le componenti strutturali devono essere progettate, eseguite, collaudate e soggette a manutenzione in modo da consentirne la prevista utilizzazione, in forma economicamente sostenibile e con il livello di sicurezza previsto dalle norme del decreto;
- la sicurezza e le prestazioni di un’opera o di una parte di essa devono essere valutate in relazione agli stati limite che si possono verificare durante la vita nominale;
- stato limite è la condizione superata la quale l’opera non soddisfa più le esigenze per le quali è stata progettata;
- il superamento di uno stato limite ultimo ha carattere irreversibile e si definisce collasso.
Il D.M. 14 –01 –2008 contiene le norme tecniche
ed a tal riguardo si deve precisare la natura giuridica
delle norme tecniche volontarie.
Si rileva una differenza concettuale tra regole
dell’arte e le norme tecniche con differenti conseguenze giuridiche. Invero i due concetti trovano
una netta distinzione nella legge n. 317 del
21/6/1986, attuazione della direttiva n. 83/189/
CEE relativa alla procedura d’informazione nel settore
delle norme e delle regolamentazioni tecniche
che definisce:
- PRODOTTO: i prodotti di fabbricazione industriale e i prodotti agricoli;
- SPECIFICA TECNICA: una specifica normativa contenuta in un documento che definisce le caratteristiche richieste a un prodotto, quali i livelli di qualità o di utilizzazione, la sicurezza, le dimensioni, nonché le prescrizioni applicabili al prodotto per quanto riguarda la denominazione di vendita, la terminologia, i simboli, le prove ed i metodi di prova, l’imballaggio, la marcatura e l’etichettatura e le procedure di valutazione della conformità;
- NORMA: una specifica tecnica approvata da un organismo riconosciuto ed abilitato ad emanare atti di normalizzazione, la cui osservanza non sia obbligatoria ed appartenente ad una delle categorie: norme internazionali, norme europee, norme nazionali. Sono norme internazionali europee o nazionali, le norme adottate e messe a disposizione del pubblico rispettivamente da un’organizzazione internazionale, da un organismo europeo o da un organismo nazionale di normalizzazione;
- REGOLA TECNICA: una delle specifiche tecniche o
uno degli altri requisiti, comprese le disposizioni
amministrative che ad esso si applicano, indicati
al comma 2 e comunque ogni specifica tecnica o
altro requisito, la cui osservanza è obbligatoria per
la commercializzazione o l’utilizzazione di un prodotto
sul territorio nazionale o in una parte importante
di esso, nonché le disposizioni legislative,
regolamentari ed amministrative degli Stati membri
intese a vietare la fabbricazione, la commercializzazione
o l’utilizzazione di un prodotto ad eccezione
di quelle indicate all’articolo 9, comma 6.
Gli stessi concetti sono stati richiamati dalla direttiva
98/34/CE del Parlamento europeo e del Consiglio
del 22/6/1998 (pubblicata su GUCE L 207/37
del 21/7/1998)che prevede una procedura d’informazione
nel settore delle norme e delle regolamentazioni
tecniche.
La peculiare importanza delle regola tecnica è
stabilita:
- dall’articolo 9, comma primo, della legge
317/1986 per cui le regole tecniche non possono
essere messe in vigore prima del termine di tre mesi
dalla comunicazione del loro progetto alla Commissione
delle Comunità europee. Tale previsione trova
il suo fondamento (esplicato dall’articolo 9, comma
secondo, della legge 317/1986)dalla necessità che entro tale termine la norma sia oggetto di un
parere circostanziato della Commissione ovvero di
un’osservazione da parte di uno Stato membro della
Comunità in quanto la regola potrebbe creare
ostacoli tecnici alla libera circolazione dei beni e
in tali casi la sua entrata in vigore è differita di
sei mesi.
Da quanto fin qui premesso si evince che l’equiparazione
tra regola dell’arte e norma tecnica non è
corretta in quanto tali istituti, oltre ad avere origini
normative differenti, sono differenziati dal carattere
obbligatorio della prima e da quello facoltativo
della seconda. Invero la legislazione dell’Unione
europea privilegia come fonte primaria la regola
tecnica la cui violazione comporta l’incommerciabilità
del bene all’interno del territorio dell’Unione
europea in quanto il prodotto non corrispondente
alla stessa è definito insicuro e comunque non
corrispondente ai principi di costruzione che ne
legittimino la libera circolazione europea. La norma
tecnica è di rango inferiore non soltanto per la
relativa facilità di emanazione allorquando è emanata
da un organismo nazionale di normalizzazione,
ma anche perché, in quanto espressione dello
sviluppo tecnologico, il legislatore europeo non ha
voluto che la ricerca e la scienza fossero vincolati
da complessi normativi inderogabili e, in realtà,
facilmente ed ineluttabilmente superabili dal progresso
scientifico. Pertanto il legislatore in relazione
alle norme tecniche ha adottato “un diritto
leggero” che non solo non ne prevede un carattere
obbligatorio ed inderogabile, ma non distingue tra
l’origine nazionale o “unionistico” della medesima.
Ne consegue che di fronte ad una norma tecnica
chiunque ne abbia interesse può sempre cimentarsi,
sempre che vi riesca, a provare l’esistenza
un progetto tecnologico alternativo e dotato di un
grado equivalente, se non superiore, di scientificità
e di protezione degli interessi fondamentali sostenuti
dalla norma tecnica preesistente. Tale prova
non sempre è agevole ed obiettivamente è spesso
ardua poiché, da un lato la nuova norma deve essere
recepita almeno da un organismo nazionale di
normalizzazione, dall’altro le norme tecniche esistenti,
finchè non sono superate da nuove, sono
dotate di una presunzione di legittimità e solitamente
di un fondamento scientifico, ma detta
prova comunque costituisce il fondamento del progresso
scientifico secondo il metodo empirico del
“provare e riprovare” di Galileo Galilei. Invece la
regola tecnica è dotata di una valenza obbligatoria
per la commercializzazione dei beni all’interno
dell’Unione europea che presenta caratteristiche
di inderogabilità e, pertanto, di prova legale di
conformità la cui violazione comporta la nullità
del contratto di vendita, secondo quanto previsto
dall’articolo 1418, comma primo, del codice civile, per contrarietà a norme imperative.
- I principi di sicurezza nel condominio
L’applicazione dei principi di sicurezza sul lavoro e
sui luoghi di vita è assai attuale negli edifici che
contengono impianti tecnologici i quali hanno la
finalità di renderli più funzionali alle esigenze quotidiane
di vita: appare evidente che la sempre maggiore
complessità tecnologica delle strumentazioni
di servizio degli immobili, qualunque sia il servizio
a cui siano adibiti, se da un lato ne aumentano il
valore economico, dall’altro espongono l’incolumità
degli abitanti a rischi significativi.
Occorre notare che la necessità della tutela dei lavoratori
dipendenti e autonomi i quali eseguano gli
appalti con contenuto tecnologico è stata ribadita
dalla direttiva 92/57/CEE del Consiglio europeo del
24/6/1992, riguardante le prescrizioni minime di
sicurezza e di salute da attuare nei cantieri temporanei
e mobili e recepita nel diritto nazionale con
il D.lgs. 14/8/1996 n. 494, oggi ripreso dal d.lvo
n. 81/2008 ,dove si afferma che: “ il rispetto delle
prescrizioni minime atte a garantire un migliore
livello di sicurezza e di salute nei cantieri temporanei
o mobili costituisce un imperativo al fine di
garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori”.
Occorre aggiungere che inoltre la direttiva afferma:
- “ i cantieri temporanei o mobili costituiscono un
settore di attività che espone i lavoratori a rischi
particolarmente elevati”;
- “ le scelte architettoniche e/o organizzative non
adeguate o una carente pianificazione dei lavori
all’atto della progettazione dell’opera hanno influito
su più della metà degli infortuni del lavoro nei
cantieri nella Comunità”.
Ne consegue che tutti gli operatori del settore
(amministratori di condominio, progettisti, installatori,
direttori e responsabili dei lavori, architetti,
geometri, periti industriali, committenti, manutentori)sono
tenuti a conoscere ed applicare una
congerie di norme in continua evoluzione quali:
- le norme tecnologiche relative alla sicurezza degli
impianti elettrici e a gas (legge 6/12/1971 n.
1083, D.P.R. 22/10/2001 n. 462 a legge 5/3/1990
n. 46)e le norme tecnologiche CEI, UNI, UNI – EN,
le norme del DM n. 37/2008 e del d.vlo n. 81/2008;
- le nuove norme edilizie e sulla sicurezza degli
impianti contenute nel testo unico sull’edilizia (il
D.P.R. 6/6/2001 n. 380);
- le norme inerenti alla sicurezza, previste anche
nelle deliberazioni dell’Autorità per l’energia elettrica
e il gas, e finalizzate alla tutela della pubblica
incolumità nell’utilizzo degli apparecchi alimentati
a gas all’interno dei luoghi di vita e di lavoro.
Tali norme di sicurezza sono spesso ignote alla platea
di soggetti interessati i quali sono spesso ritenuti
responsabili, civilmente e penalmente di luttuosi
incidenti sul lavoro ed in ambienti di vita e quindi
è necessario accertare e descrivere i vincoli che inevitabilmente
la nuova normativa, la quale indubbiamente
privilegia la sicurezza degli utenti rispetto ai
criteri di economia d’impresa, appone alla libertà di
mercato ed all’organizzazione imprenditoriale.
La Corte di Cassazione (Sent n. 48812/2016)ha
sviluppato il concetto di sicurezza elettrica stabilendo
la responsabilità penale, per il reato di cui
all’art. 449 c.p., di un soggetto che aveva cagionato
l‘incendio di un edificio mediante la realizzazione
di un impianto elettrico inadeguato in quanto
privo del sistema di protezione da contatti diretti
dei conduttori e da eventuali sovraccarichi e da
corto circuiti e di un efficace impianto di messa
a terra. Inoltre la Corte affermava che con tale
condotta il soggetto aveva creato “le condizioni
perché si sviluppasse un fuoco e si propagassero
le fiamme e perché, in violazione dell’obbligo di
assicurare la custodia e la guardiania del compendio,
non predisponeva un’attrezzatura antincendio
idonea rispetto alle numerose parti in legno della
struttura ed un sistema di vigilanza adeguato ad
evitare la propagazione del fuoco”.
Il fondamento della disciplina della sicurezza sul
lavoro è tuttora dettato dall’articolo 2087 del codice
civile il quale obbliga l’imprenditore “ad adottare
nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo
le particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica,
sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità
morale dei prestatori di lavoro”.
Occorre notare che l’articolo 2050 del codice civile
impone a chiunque cagiona danno ad altri nello
svolgimento di un’attività pericolosa, per sua natura
o per la natura dell’attività dei mezzi adoperati,
deve risarcire il danno se non prova di avere adottato
tutte le misure idonee ad evitarlo.
In materia di sicurezza elettrica il D.M. n. 37/2008
prevede i documenti che accompagnano i prodotti
tecnologici:
- a) la dichiarazione di conformità del prodotto:
consiste nella dichiarazione di un venditore o di un
fornitore, redatta sotto la sua personale responsabilità,
che un prodotto, un processo o un servizio
sono conformi ad una specifica norma o ad una
altro documento normativo e per la sua redazione
non è previsto l’intervento di alcuna parte terza
(Ente di certificazione o Laboratorio di prova);
- b) l’attestato di conformità del prodotto: è l’atto
con il quale una terza parte indipendente attesta
che un determinato campione, previamente sottoposto
a prova, è conforme ad una specifica norma o ad un altro documento normativo; in particolare
l’attestato di conformità ha maggiore valore se il
laboratorio che lo rilascia ha ottenuto l’accreditamento
SINAL per il tipo di prova per il quale viene
rilasciato l’attestato;
- c) la certificazione di conformità: è l’atto con il
quale una terza parte indipendente (Ente certificatore)dichiara
che, con ragionevole attendibilità, un
determinato prodotto, processo o servizio è conforme
ad una specifica norma o ad una latro documento
normativo; il certificato viene emesso su tutta la produzione
di quel determinato prodotto e, inoltre, l’Ente
certificatore opera il controllo sul prodotto anche
mediante ispezioni esterne condotte sul mercato.
- La definizione giuridica di regola d’arte nel
condominio
Il ricorso ai concetti di norma tecnica e di regola
d’arte è assai frequente nelle cause condominiali
al punto di chiedersi quale sia il loro grado di
obbligatorietà e se le stesse siano derogabili. Occorre
notare che il giudice per valutare la diligenza
dell’adempimento del debitore nelle obbligazioni
deve, secondo quanto disposto dall’articolo 1176
del codice civile, valutare il suo comportamento
soggettivo con riferimento alla diligenza del buon
padre di famiglia e, qualora il contenuto dell’obbligazione
consista nello svolgimento di un’attività
professionale, alla natura dell’attività esercitata. In
tale ultima ipotesi il contenuto dell’obbligazione
consiste nelle tecniche proprie della attività specializzata
ed il grado di diligenza del debitore, esperto
in un’attività professionale, appare più elevato della
diligenza del buon padre di famiglia poiché, in questo
caso, occorre operare il riferimento al risultato
specifico che comporta l’obbligazione assunta. A tal
proposito osservasi che l’appaltatore o il prestatore
d’opera, incaricato della realizzazione di opere edilizie
da eseguirsi su strutture o basamenti preparati
dal committente o da terzi, viola il dovere di diligenza
stabilito dall’articolo 1175 del codice civile
(che impone al debitore ed al creditore di operare
secondo le regole di correttezza)se non si accerta,
nei limiti delle comuni regole dell’arte, dell’idoneità
delle predette strutture a reggere l’ulteriore opera
commessagli e ad assicurare la buona riuscita della
medesima e viola, parimenti, i doveri di adempiere
all’obbligazione con correttezza e buona fede se,
avendo accertato l’inidoneità di tali strutture, proceda
ugualmente all’esecuzione dell’opera. Inoltre il
prestatore d’opera qualificato deve essere in grado
di valutare le modalità di esecuzione del lavoro che
gli viene affidato e di garantirne l’esecuzione con la
professionalità e la diligenza che il caso richiede: ne
consegue che l’accettazione, senza riserve di eventuali
particolari difficoltà di eseguire la prestazione,
fa sorgere a carico del prestatore l’obbligo di eseguirla a regola d’arte. Il riferimento all’adempimento
della prestazione secondo la regola d’arte, la quale
pertanto costituisce un ‘obbligazione di risultato e
non di mezzi, è rilevante per:
- stabilire, ai sensi dell’articolo 1218 del codice civile,
la responsabilità del debitore che è tenuto al
risarcimento del danno se non esegue esattamente
la prestazione dovuta laddove non provi che l’inadempimento
o il ritardo è stato determinato da
impossibilità della prestazione derivante da causa
al medesimo non imputabile;
- permettere al creditore, secondo quanto stabilito
dall’articolo 2224 del codice civile qualora il
prestatore dell’opera non proceda all’esecuzione
dell’opera secondo le condizioni del contratto e a
regola d’arte, di stabilire un congruo termine entro
il quale il debitore deve conformarsi a tali condizioni,
che, se trascorre inutilmente, consente al
creditore di recedere dal contratto, salvo il diritto
al risarcimento del danno.
La Corte di Cassazione è intervenuta con più sentenze
relative alla rilevanza della norma tecnica
nel giudizio penale o civile e precisamente:
- la sent. n. 1987/2015 (che richiama C.Cass. n. 16386/2010)afferma che l’uso della norma UNI 10802 (in materia di campionamento di rifiuti)non è obbligatorio e che la scelta sul metodo da utilizzare è una questione di fatto, in mancanza di una normativa generale vincolante sul punto per cui è sufficiente che i giudice indichi le ragioni per le quali viene utilizzato il diverso metodo IRSA CNR anziché il metodo UNI 10802
- la sent. n. 8043/2016 sostiene che la mancata applicazione della norma UNI EN 131 (che attiene alle caratteristiche produttive ed alle prove che il prodotto deve superare per conseguire la certificazione di conformità alle normative di sicurezza) non è vincolante per il C.T.U. che può adottare un diverso metodo di indagine mediante l’effettuazione di prove più severe.
- la sent. n. 39372/2016 rileva che l’accertamento della pericolosità di un rifiuto non richiede necessariamente il rispetto delle metodiche di analisi fissate dalla norma tecnica UNI 10802, trattandosi di disposizioni prive di portata generale vincolante, finalizzate unicamente a disciplinare le analisi a cura del titolare dell’impianto di produzione di rifiuti.
Invero la C.Cass. con la sent. n. 24124/2016 ha affermato
che, nel caso di incidente mortale sul lavoro,
la disciplina UNI En 1114-1, punti 5.1.10 e 5.1.1.5,
costituisce il contenuto fondamentale della valutazione
del materiale di lavoro in “relazione ai rischi
derivanti dalla fuoriuscita dal condotto di fumi, gas
e residui plastici della lavorazione o comunque dagli
effetti di sovrapressione della macchina”.
- Il profilo civilistico di responsabilità da insidia
Il fondamento della responsabilità extracontrattuale
è quello dell’articolo 2043 del codice civile
il quale, in ossequio ad una tradizione giuridica
trimillenaria, stabilisce la responsabilità civilistica
e l’obbligo di risarcire il danno per colui che
ha cagionato con dolo o colpa ad altri un danno
ingiusto. Tale regime, sia pur rispondente ad un
alto principio di civiltà ovvero quello della responsabilità
individuale, espone il danneggiato ad una
serie di oneri probatori spesso di difficile attuazione:
vale a dire che, al fine di vedersi riconoscere
il diritto al risarcimento del danno, deve provare:
- il danno;
- il nesso di causalità tra il danno e l’operato dell’agente;
- l’ingiustizia del danno;
- la sussistenza dell’elemento soggettivo doloso o colposo nella condotta dell’agente.
La giurisprudenza ha così ridotto il margine della
prova liberatoria per il danneggiante al punto di
consentire l’affermazione per cui vige un regime di
responsabilità oggettiva; a tal riguardo è sufficiente
esaminare le seguenti massime.
- "La responsabilità da cose in custodia ex art. 2015 c.c. sussiste quando ricorrano due presupposti: un’alterazione della cosa che, per le sue intrinseche caratteristiche determina la configurazione nel caso concreto della cosiddetta insidia o trabocchetto e l’imprevedibilità e l’invisibilità di tale alterazione per il soggetto che, in conseguenza di questa situazione di pericolo, subisce un danno. (Nel caso trattato la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di risarcimento dei danni riportati da un’inquilina di un edificio a seguito di una caduta causata da acqua piovana infiltratasi dalla finestra, ritenendo prevedibile l’evento, in quanto lo stesso si era verificato in un condominio e aveva coinvolto un’inquilina ivi abitante da anni e, quindi, a conoscenza di tutte le caratteristiche dell’immobile). (C. Cass. civ, Sez. 3, Sent. n. 11592 del 13.5.2010, Rv. 613371)"
- "Il condominio di un edificio, quale custode dei beni e dei servizi comuni, è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie, affinché le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno rispondendo, in base all’art. 2051 c.c., dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini (nella specie, infiltrazioni d’acqua provenienti dal muro di contenimento di proprietà condominiale), ancorché tali danni siano imputabili a difetti costruttivi dello stabile.” (C.Cass. Civ., Sez. 2, Sent. n. 15291 del 12.7.2011, Rv. 618637)"
- In tema di responsabilità civile per i danni cagionati da cose in custodia, la fattispecie di cui all’art. 2051 c.c. individua un’ipotesi di responsabilità oggettiva e non una presunzione di colpa, essendo sufficiente per l’applicazione della stessa la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile e la cosa che ha dato luogo all’evento lesivo. Pertanto non rileva in sé la violazione dell’obbligo di custodire la cosa da parte del custode, la cui responsabilità è esclusa solo dal caso fortuito, fattore che attiene non ad un comportamento del responsabile, ma al profilo causale dell’evento, riconducibile in tal caso non alla cosa che ne è fonte immediata, ma ad un elemento esterno. Ne consegue che il vizio di costruzione della cosa in custodia, anche se è ascrivibile al terzo costruttore, non esclude la responsabilità del custode nei confronti del terzo danneggiato, non costituendo caso fortuito che interrompe il nesso eziologico, salva l’azione di rivalsa del danneggiante – custode nei confronti dello stesso costruttore. (Nel caso trattato la Suprema Corte, pur ribadendo il suddetto principio, ha confermato la sentenza impugnata con la quale era stata esclusa la responsabilità del condominio custode per i danni assunti come arrecati dal cattivo funzionamento della rete fognaria condominiale, essendo rimasto accertato che lo stesso aveva dimostrato che l’evento dannoso si era verificato, in via esclusiva, per un vizio intrinseco della cosa, addebitabile unicamente alla società costruttrice che, nel caso specifico, si identificava con la stessa parte attrice quale proprietaria di alcuni immobili siti nel condominio convenuto in giudizio, da ritenersi, perciò, essa stessa responsabile nei confronti del condominio medesimo.). (C.Cass. Civ., Sez. 3, Sent. n. 26051 del 30.10.2008, Rv. 605339)".
Il fondamento dottrinario che attesta il dovere del
datore di lavoro di tutelare l’integrità psico – fisica
del lavoratore si trova in due articoli del codice
civile e rispettivamente:
- l’art. 2086 (direzione e gerarchia nelle imprese) per cui: “L’imprenditore è il capo dell’impresa e da lui dipendono gerarchicamente i suoi collaboratori”
- l’art. 2087 (tutela delle condizioni di lavoro)per cui: “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro.”
A tal proposito si afferma:
- “Gli articoli 2086 e 2104 del codice civile che prevedono il potere gerarchico del datore di lavoro sul lavoratore devono essere interpretati alla luce del generale principio secondo cui ciascuna parte contrattuale può pretendere e deve fornire soltanto le prestazioni previste nel contratto. Ne consegue che, da un lato, i superiori gerarchici non possono richiedere prestazioni che siano chiaramente escluse dal contratto medesimo e che, dall’altro, il lavoratore, che non voglia attendere l’esito del giudizio in sede sindacale o giudiziaria, ha diritto di rifiutare prestazioni di tale tipo, correndo il rischio, conseguente a tale comportamento, di essere successivamente ritenuto responsabile di inadempimento qualora venga eventualmente accertata la legittimità dell’ordine disatteso. (C.Cass. Civ, sez. l, sent. n. 5463 del 8/6/1999)»;
- La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va considerata e risolta nell’ambito del capoverso dell’art. 40 c.p. che stabilisce che “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (C.Cass., Sez. 3, sent. n. 332 del 11.5.1967, ud. 24.2.1967 – C.Cass., Sez. 3, sent. N. 4676 del 14.3.1975, dep. il 14.4.1976).
- L’amministratore di uno stabile, sia che operi per conto di un solo proprietario (persona fisica o giuridica), sia che agisca per conto di un condominio ha la titolarità dei poteri attinenti alla conservazione e alla gestione delle cose e dei servizi comuni fra i quali rientra anche quello di attivarsi per l’eliminazione di situazioni che possono potenzialmente causare la violazione del principio del “neminem laedere” e di provvedere o, quantomeno, riferirne al proprietario; l’identificazione dei singoli obblighi in concreto incombenti sull’amministratore deve essere effettuata, sulla base delle norme legislative, statutarie o regolamentari, nelle singole fattispecie. (v C.Cass., sez. 4, sent. n. 6757 del 6.5.1983, dep. Il 14.7.1983).
- La responsabilità penale dell’amministratore di condominio va ricondotta nell’ambito della disposizione (art. 40, secondo comma, c.p.)per la quale “non impedire un evento che si ha l’obbligo di impedire equivale a cagionarlo”. Per rispondere del mancato impedimento di un evento è, cioè, necessario, in forza di tale norma, l’esistenza di un obbligo giuridico di attivarsi allo scopo; detto obbligo può nascere da qualsiasi ramo del diritto e quindi anche dal diritto privato e, specificamente, da una convenzione che da tale diritto sia prevista e regolata come è dal rapporto di rappresentanza volontaria intercorrente fra il condominio e l’amministratore.” (In applicazione di tale principio, la Corte ha ritenuto configurabile a carico dell’amministratore di condominio un obbligo di garanzia in relazione alla conservazione delle parti comuni, in una fattispecie di incendio riconducibile ad un difetto di installazione di una canna fumaria di proprietà di un terzo estraneo al condominio che attraversava le parti comuni dell’edificio”. (C.Cass., Sez. 4, sent. n. 39959 del 23.9.2009, dep. Il 13.10.2009).
Allorquando si commenta la responsabilità del datore
di lavoro per gli infortuni incorsi al suo lavoratore
dipendenti si afferma che il primo deve dare
concreta attuazione al suo dovere, sancito dall’art.
2087 del codice civile, di assicurare al secondo
ogni protezione la quale ne tuteli l’equilibrio psico
– fisico. Pertanto deve formarlo ed informarlo
sulla sua attività e sui rischi a cui è sottoposto e
deve dotarlo di attrezzature e di dispostivi di protezione
individuale rispondenti alle norme di legge.
Tuttavia ci si chiede fino a qual punto il datore di
lavoro sia responsabile delle condotta del lavoratore
dipendente specialmente allorquando quest’ultimo
compia attività imprudenti. E’ questo il tema riguardante
l’attività abnorme del lavoratore di cui si è
recentemente occupata la giurisprudenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, sent. n. 3983, ud 1.12.2011, dep. il
31.1.2012). Il caso trattato riguardava l’infortunio
incorso ad un operaio, in servizio presso una cava ed
addetto ad un impianto di frantumazione, il quale
mentre svolgeva l’attività di pulizia e di rimozione
dei detriti nel locale sottostante il frantoio, in prossimità
di un nastro trasportatore, scivolava a causa
del terreno viscido e cadeva incastrando il braccio
sinistro tra gli apparati del nastro e subiva l’amputazione
dell’arto. Gli imputati, il direttore tecnico e
responsabile delle sicurezza ed il preposto, venivano
condannati dalle Corti di merito, in quanto veniva
loro mosso l’addebito di non avere informato correttamente
il lavoratore sui rischi e di non avergli
fornito indicazioni scritte e direttive in ordine alla
corretta e sicura esecuzione dell’incarico e di avere
consentito l’esecuzione dell’operazione in assenza di
una griglia di protezione e di una fune per il blocco
di emergenza dell’impianto.
Avanti alla Corte di legittimità la principale difesa
degli imputati consisteva nell’affermare che la responsabilità
dell’incidente era da ricercarsi esclusivamente
nella condotta imprudente del lavoratore,
il quale aveva svolto un’operazione di pulizia del nastro
compiuta con il rullo in movimento e con l’ausilio
di una pala e quindi del tutto abnorme, vietata
e posta in essere arbitrariamente e volontariamente
dall’esperto lavoratore, attività assolutamente imprudente
che interrompeva il nesso causale.
La Corte di Cassazione respingeva l’assunto difensivo
affermando quanto segue.
“Il ricorso è infondato. I gravami tentano in larga
misura di sollecitare questa Corte alla riconsiderazione
nel merito. Per ciò che attiene alle questioni
rilevanti nelle presente sede di legittimità, rileva
che la pronunzia impugnata ritiene provato, alla
luce delle dichiarazioni delle persona offesa e dello
stato dei luoghi, che il lavoratore, mentre si occupava
delle operazioni di pulizia del nastro trasportatore, riposizionando il materiale sullo stesso nastro
scivolava sul terreno sdrucciolevole e cadeva
sull’apparato in movimento che gli amputava l’arto
superiore all’altezza dell’avambraccio. Si considera
altresì che il dispositivo di sicurezza consistente in
una fune, utile per bloccare l’impianto, era disattivato;
e che inoltre il carter di protezione del nastro
era stato rimosso e posto in un angolo con collocate
sopra delle lattine di vernice. Si aggiunge che il
lavoratore ha categoricamente escluso che fossero
presenti cartelli che ponevano il divieto di effettuare
le operazioni di pulizia con gli ingranaggi
dell’impianto in movimento e di non aver ricevuto
alcuna specifica istruzione in tal senso.
La sentenza richiama la giurisprudenza che pone
a carico del datore di lavoro l’obbligo di tutelare
il lavoratore anche in relazione ai suoi eventuali
comportamenti negligenti. Se ne inferisce che anche
nel caso in cui il lavoratore sia esperto e ponga
in essere un’azione avventata, forse fidandosi
della sua esperienza, si configura la responsabilità
del garante (vale a dire che ricorre il principio di
imputabilità del datore di lavoro negligente della
cosiddetta “doppia colpa”). Invero nel caso di
specie, anche a voler accedere alla tesi difensiva
secondo cui la vittima provvedeva alla pulizia del
frantoio in movimento utilizzando una pala di legno,
si ritiene che l’infortunio determinato da errore
del lavoratore che abbia prestato il consenso
ad operare in condizioni di pericolo non esclude
la responsabilità del garante. D’altra parte si pone
in luce che il dispositivo di blocco di sicurezza era
disattivato e si è dunque in presenza della mancata
doverosa predisposizione di misure di sicurezza
volte a prevenire l’evento.”
Alla luce di tali argomentazioni appare evidente
che il datore di lavoro allorquando, ai sensi dell’art.
17, comma primo lettera a), del d.lvo n. 81/2008,
valuti tutti i rischi ed elabori il documento previsto
dal successivo art. 28 deve prevedere adeguati
rimedi atti a prevenire l’attività abnorme
del proprio dipendente. Inoltre, secondo quanto
prescritto dall’art. 18, comma primo lettera z), del
d.lvo n. 81/2008 deve “aggiornare le misure di prevenzione
in relazione ai mutamenti organizzativi e
produttivi che hanno rilevanza ai fini della salute
e sicurezza sul lavoro, o in relazione al grado di
evoluzione della tecnica della prevenzione e delle
protezione.” Tali osservazioni valgono a stabilire
la natura estremamente dinamica della valutazione
del rischio, prevista dagli articoli 28 e 29 del d.lvo
n. 81/2008, la quale non può essere definita una
volta per sempre, ma segue necessariamente la natura
e l’evoluzione tecnologica dell’attività svolta
dal dipendente, in modo da prevenire gli infortuni
con una visione assai vasta la quale deve anche
prevedere, in termini sia pure ragionevoli e adeguati alla mansione svolta, l’atto imprudente del
proprio dipendente.
Tale ricostruzione giuridica è confermata dalla più
recente giurisprudenza.Invero è stata riconosciuta (C.Cass. Pen., Sez. 4,
Sent. n. 21223 del 3.5.2012, dep. il 31.5.2012)la
responsabilità penale (ai sensi dell’art. 590 c.p.)per
il reato di lesioni colpose gravi in danno di un minore
dell’amministratore del condominio che aveva
omesso di delimitare e segnalare opportunamente
un lucernario che si trovava al centro del condominio
ed era ricoperto di neve su cui il minore, a bordo
di uno slittino, era andato a finire. Il lucernario si
era frantumato facendo cadere il minore nelle sottostanti
scale con conseguenti lesioni diagnosticate
come politrauma con prognosi riservata.
La Suprema Corte riconosceva la responsabilità penale
dell’amministratore poiché da un lato ravvisava
la sussistenza di un rapporto di causalità tra
la condotta omissiva del primo e l’evento lesivo e
dall’altro la sussistenza della “corrispondenza causale
tra la violazione della regola cautelare a carico del
prevenuto e la produzione del risultato offensivo;
in altre parole, secondo il criterio della cosiddetta
“concretizzazione del rischio”, risulta nella vicenda
in esame, che l’evento lesivo verificatosi rappresenta
la realizzazione del rischio che la norma cautelare
violata dell’imputato doveva prevenire.”
Altra sentenza (C.Cass. Pen., Sez. 4, Sent. n. 34147
del 12.1.2012, dep. il 6.9.2012)dichiara la penale
responsabilità di un amministratore di condomino
per lesioni colpose gravi nei confronti di una condomina
la quale era caduta, provocandosi una frattura
omerale giudicata guaribile in oltre 40 giorni
di prognosi, su di un avallamento esistente tra il
pavimento ed il tombino di raccolta delle acque
reflue condominiali posto sul marciapiedi che dava
accesso alla farmacia sita al piano terra dello stesso
fabbricato condominiale. Il profilo di responsabilità
dell’amministratore era consistito nella sua
imprudenza, imperizia e negligenza nell’eseguire i
lavori di ripristino di tale avallamento. In particolare
la sentenza afferma quanto segue:
“L’unico responsabile del fatto doveva ritenersi
l’imputato in veste di amministratore del condominio
per avere colposamente omesso di sistemare il
passaggio pedonale in corrispondenza dell’accesso
al marciapiedi antistante il tombino, mediante apposto
scivolo al fine di eliminare le sconnessioni
del piano di calpestio o quanto meno di contenerne
la pericolosità con idonee delimitazioni atte ad
evitare che esse costituissero una vera e propria
insidia; ciò sul rilievo decisivo che in ogni caso anche
le sconnessioni esistenti nella parte in proprietà
esclusiva dei……. (ovvero nell’area diversa da quella occupata dal tombino)sono del tutto funzionali
allo scolo delle acque piovane convogliate dalla
strutture condominiali. Non può quindi mettersi
in discussione che l’amministratore del condominio
rivesta una specifica posizione di garanzia, su di
lui gravando l’obbligo ex art. 40 capoverso c.p. di
attivarsi al fine di rimuovere, nel caso di specie,
la situazione di pericolo per l ‘incolumità di terzi,
integrata dagli accertati avallamenti / sconnessioni
della pavimentazione in prossimità del tombino
predisposto al fine dell’esercizio di fatto della servitù
di scolo delle acque meteoriche a vantaggio
del condominio, ciò costituendo una vera e propria
insidia e trabocchetto, fonte di pericolo per
i passanti ed inevitabile con l’impiego della normale
diligenza; massime per una persona anziana
di 75 anni di età (cfr. Sez. 3 n. 4676 del 1975 rv.
133249). Né l’obbligo di attivarsi onde eliminare la
riferita situazione id pericolo doveva ritenersi subordinato,
come erroneamente sostenuto dal ricorrente,
alla preventiva deliberazione dell’assemblea
condominiale ovvero ad apposita segnalazione id
pericolo tale da indurre un intervento di urgenza.
Il disposto dell’art. 1130 n. 4 c.c. viene invero interpretato
dalla giurisprudenza di legittimità nel
senso che sull’amministratore grava il dovere di
attivarsi a tutela dei diritti inerenti le parti comuni
dell’edificio, a prescindere da specifica autorizzazione
dei condomini ed a prescindere che
si versi nel caso di atti cautelativi ed urgenti (cfr
Sez. 4 n. 3959 del 2009; Sez. 4 n. 6757 del 1983).
Dalla lettera dell’art. 1135, ultimo comma, c.c. si
evince peraltro a contrario che l‘amministratore ha
facoltà di provvedere alle opere di manutenzione
straordinaria, in caso rivestano carattere di urgenza,
dovendo in seguito informare l’assemblea. E’
indubitabile che l’eliminazione di un’insidia o trabocchetto
derivante dall’omesso livellamento della
pavimentazione in corrispondenza di un tombino
deputato all’esercizio di una servitù di scolo a vantaggio
– ovviamente – dell’edificio condominiale
rappresenti intervento sia conservativo del diritto
sia manutentivo di ordine urgente anche a tutela
della incolumità dei passanti e quindi determinante
dell’obbligo di agire ex art. 40 comma secondo
c.p..”
Sulla base dei principi stabiliti nella citata sentenza
deve concludersi che il fondamento della
responsabilità penale dell’amministratore, secondo
quanto stabilito dall’art. 40, secondo comma,
c.p., è sostanzialmente costituto dal suo potere di
gestione e di amministrazione dal contenuto così
ampio da consentirgli di compiere qualsiasi lavoro
straordinario, indipendentemente dalla previa autorizzazione
assembleare, purchè urgente e finalizzato
alla tutela ed alla salvaguardia dell’incolumità
di tutti i cittadini.
di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano
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