mercoledì 14 gennaio 2015

La tutela del cittadino dal rischio di esposizione all’amianto


La sentenza C. Cass. n. 11128/2015

I lavori per la demolizione e la rimozione dell’amianto possono essere compiuti soltanto dalle imprese che rispondono ai requisiti previsti dall’art. 30, comma quarto, del d.lvo 5/2/1997 n. 22 ed il datore di lavoro deve predisporre prima di iniziare tale attività un apposito piano di lavoro.

L’esposizione all’amianto è stata più volte esaminata dalla giurisprudenza e dalla dottrina e l’articolo esamina la problematica giuridica inerente alla rimozione dell’amianto dagli edifici civili e dai luoghi di lavoro secondo la normativa e dottrina tradizionali, il d.lvo n. 81/2008 e la giurisprudenza più recente costituita dalla sentenza C. Cass. n. 11128/2015.

  • La normativa tradizionale di sicurezza sull’amianto.


La prima vera normativa che abbia seriamente trattato della capacità di creare posizioni di garanzia (nella specie di controllo delle fonti di pericolo) è stata emanata con il d.lvo n. 271/1999; è dunque solo a partire da questa che deve essere valutata la sussistenza del nesso causale tra una condotta colposa (quella che ha violato il citato decreto) e l’insorgenza della malattia. Inoltre l’amianto, proprio per la sua intrinseca pericolosità per la salute umana è stato posto al bando nelle lavorazioni industriali dalla legge 27/3/1992 n. 257 la quale ha vietato l’estrazione l’importazione, l’esportazione, la commercializzazione e la produzione di tale minerale.
Il divieto di uso comprende anche i silicati fibrosi contemplati dalla legge 15/8/1991 n. 277 (contemplante la cessazione dell’impiego di amianto nei luoghi di lavoro) e la legge n. 257/1992, oltre a fissare i valori limite e la classificazione, l’imballaggio l’etichettatura, riguarda l’utilizzazione dell’amianto, la lavorazione e la produzione di prodotti di amianto o di prodotti contenenti amianto libero o legato in matrice friabile o in matrice cementizia o resinoide, di prodotti che possano immettere nell’ambiente fibre di amianto, nonché i rifiuti di amianto. Inoltre il d.lvo 25/7/2006 n. 257 (pubblicato sulla GU n. 211 del 11/9/2006) abroga la legge n. 277/1991, mantiene in vigore la legge n. 257/1992 e recepisce nel nostro ordinamento giuridico la direttiva 2003/18/CE inerente alla protezione dei lavoratori derivanti dai rischi derivanti dall’esposizione all’amianto durante il lavoro.In particolare si contemplava il capo VI – bis all’interno del d.lvo n. 626/1994 nel quale veniva sancito l’importante principio per cui (art.59 – quater) prima di intraprendere lavori di demolizione il datore di lavoro adotta , anche chiedendo informazioni ai proprietari dei locali, ogni misura necessaria volta ad individuare la presenza di materiali a potenziale contenuto d’amianto. Tale analisi dei rischi richiama direttamente la relazione contenente la valutazione dei rischi per la sicurezza e la salute durante il lavoro imposta al datore di lavoro dall’art. 4, comma primo lettera a), del d.lvo n. 626/1994 anche perché se, a seguito di tale studio, risulti il minimo dubbio sulla presenza
di amianto in una materiale o in una costruzione il datore di lavoro deve adottare le disposizioni del predetto capo VI – bis salvo che l’attività da svolgersi comporti esposizioni sporadiche e di debole entità (attività non continuative di manutenzione, di incapsulamento e di confinamento di materiale, di sorveglianza e di controllo dell’aria ) e purchè non sia superato il valore limite di esposizione pari a 0.1 fibre per centimetro cubo d’aria, misurato con una media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore. Negli altri casi rilevanti di esposizione dei lavoratori al rischio dell’amianto il datore di lavoro deve compiere i seguenti adempimenti principali:
  • comunica, prima dell’inizio dei lavori, all’organo di vigilanza (ARPA) competente per territorio tutti i dati rilevanti (ubicazione, tipo di amianto manipolato, numero dei lavoratori interessati, misure adottate) della lavorazione;
  • adotta le misure di prevenzione e di protezione idonee a limitare l’esposizione dei lavoratori alle polveri provenienti dall’amianto o dai materiali contenenti amianto e presenti nel luogo di lavoro;
  • ricorre alle misure igieniche che vietino il fumo sul luogo di lavoro, contemplino la predisposizione di aree speciali che consentano ai lavoratori di mangiare e bere senza rischi di contaminazione;
  • dota i lavoratori di adeguati dispositivi di protezione individuale;
  • effettua periodicamente la misurazione della concentrazione di fibre di amianto nell’aria del luogo di lavoro;
  • affida i lavori di demolizione soltanto ad imprese autorizzate e predispone un adeguato piano di lavoro prima dell’inizio dell’attività;
  • informa e forma i lavoratori sui rischi dell’esposizione all’amianto e li sottopone ad una adeguata sorveglianza sanitaria al fine di consentire al medico competente di redigere ed aggiornare il registro di esposizione e le cartelle sanitarie dei lavoratori.
Per la violazione delle norme sopra citate erano previste le sanzioni penali (dell’arresto o dell’ammenda) contemplate dall’art. 89 del d.lvo n.626/1994 , secondo la procedura prevista dal d.lvo
n. 758/1994 per cui, qualora accerti violazioni sulla sicurezza sul lavoro, l’organo di vigilanza commina le prescrizioni di sicurezza e le sanzioni amministrative e la contravvenzione si estingue qualora le prime siano ottemperate e le seconde siano pagate nel termine prescritto.
In relazione all’obbligo di informazione da parte del committente nei confronti dell’esecutore delle opere della presenza di amianto occorre precisare che la responsabilità del primo è già definita dalla legge 27/3/1992 n. 257 che stabilisce (art. 15, comma quarto), la sanzione amministrativa pecuniaria da euro 2.582 a 5.164 per:
  • l’omessa indicazione, tramite l’invio di una relazione alle competenti autorità, delle operazioni che coinvolgano l’uso di amianto o dello svolgimento dell’attività di bonifica o di smaltimento;
  • l’omessa istituzione presso le ASL del registro indicantela localizzazione dell’amianto floccato o in matrice friabile presente negli edifici. Tale comunicazione deve essere effettuata alle ASL da parte dei proprietari degli immobili in cui sia presente amianto floccato o in matrice friabile.
Giova notare che nella stessa Gazzetta Ufficiale n. 211 del 11/9/2006 è stata pubblicata anche la deliberazione emanata il 10/7/2006 dal Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare la quale contempla che, ai fini dell’iscrizione nell’Albo nazionale dei gestori ambientali per la bonifica dei siti e dei beni contenenti amianto contemplato dall’art. 212 del d.lvo 3/4/2006 n. 152, occorra:
  • la piena disponibilità delle attrezzature minime per l’iscrizione nella categoria 9 e 10 della deliberazione 12/12/2001;
  • che il contratto di locazione sia stipulato in forma scritta, sia stato autenticato da un pubblico ufficiale, non abbia durata non inferiore a cinque anni a decorrere dalla data dell’iscrizione all’albo dell’impresa locataria, oppure, in caso d’impresa già iscritta, abbia durata almeno pari al residuo periodo di validità dell’iscrizione;
  • che il contratto di locazione identifichi chiaramente le attrezzature e abbia ad oggetto la consegna delle stesse in modo pieno ed esclusivo, contenga la dichiarazione della loro destinazione, per tutta la durata del contratto all’oggetto del medesimo, non ad iscrizioni all’Albo diverse da quella pattuita dal locatario.
Infine notasi che tutti i prodotti di costruzione non devono contenere amianto ed infatti anche in tale ambito è rilevante il DPR 21/4/1993 n. 246 (regolamento di attuazione della direttiva 89/106/CEE relativa ai prodotti da costruzione) il quale prevede anche per tali beni l’adozione del marchio CE il quale attesta il requisito essenziale dell’opera in modo che sia “concepita e costruita in modo da non costituire una minaccia per l’igiene o la salute degli occupanti o dei vicini, causata, in particolare, dalla formazione di gas nocivi, dalla presenza nell’aria di particelle o di gas pericolosi, dall’emissione di radiazioni pericolose, dall’inquinamento o dalla contaminazione dell’acqua o del suolo, da difetti di evacuazione delle acque, dai fumi e dai residui solidi o liquidi e dalla formazione di umidità in parti o sulle superfici interne dell’opera”. Inoltre la stessa fonte normativa prevede che tali prodotti di costruzione debbano avere il predetto marchio CE che ne attesti la conformità dei requisiti essenziali in modo da assicurarne l’igiene e la salute degli utilizzatori, la resistenza meccanica e la stabilità, la sicurezza in caso d’incendio, la sicurezza d’utilizzazione, la protezione contro il rumore , il risparmio energetico e l’isolamento termico. A tal proposito osservasi che attualmente il contratto di vendita dei materiali di costruzione privi del marchio CE, ai sensi dell’art. 1418 c.c., è nullo per contrarietà alle norme imperative del DPR n. 246/1993. In Lombardia l’art. 6 , comma primo lettera a), della legge regionale 29/9/2003 n. 17 stabilisce quanto segue: “Al fine di conseguire il censimento completo dell’amianto presente sul territorio regionale ai sensi dell’art. 12 della legge n. 257/1992 , i soggetti pubblici e i privati proprietari sono tenuti a: a) per gli edifici, impianti o luoghi nei quali vi è la presenza di amianto o di materiali contenenti amianto a comunicare tale presenza all’ASL competente per territorio, qualora non già effettuato.”

  • Le norme del d.lvo 9/4/2008 n. 81 sul rischio amianto.

I concetti dottrinali sopra esposti costituiscono l’antefatto storico, dogmatico e razionale sulla base del quale il d.lvo n. 9/7/2008 n. 81 ha introdotto il capo III intitolato “Protezione dai rischi connessi all’esposizione all’amianto”, diviso in due sezioni (rispettivamente intitolate “Disposizioni generali”, “Obblighi del datore di lavoro”) e la nuova normativa abroga quella precedente (art. 304) prevista dal d.lvo 15/8/1991 n. 277. Le predette norme ( art. 246) fanno salve le precedenti disposizioni previste dalla legge 27/3/1992 n. 257, e si applicano alle rimanenti attività lavorative che possano comportare, per i lavoratori, il rischio di esposizione ad amianto, quali manutenzione, rimozione dell’amianto o dei materiali contenenti amianto, smaltimento e il trattamento dei relativi rifiuti, nonché la bonifica delle aree interessate.
A tal ultimo fine è stabilito l’importante principio (art. 248) per il quale prima di intraprendere i lavori di demolizione o di manutenzione il datore di lavoro adotta , anche richiedendo informazioni ai proprietari dei locali, ogni misura necessaria e finalizzata ad individuare la presenza di materiali a potenziale contenuto d’amianto.
Le predette norme del d.lvo n. 81/2008 si applicano comunque se risulta ogni minimo dubbio sulla presenza di amianto in un materiale o in una costruzione e tale previsione tutela al massimo la salute dei lavoratori al di là di qualsiasi interpretazione capziosa delle norme e maliziosamente volta a ridurre gli investimenti e le cautele necessarie per assicurare la concreta protezione dei primi. In tale ottica è stabilita (art. 249) una rigorosissima valutazione del rischio (prevista dall’articolo 28 del d.lvo n. 81/2008) nella quale il datore di lavoro valuta i rischi dovuti alla polvere proveniente dall’amianto e dai materiali contenenti amianto la fine di stabilire la natura e il grado di esposizione e le misure preventive e protettive da attuare.
Nelle attività che comportino l’esposizione sporadica e di debole intensità (definite dalla Commissione consultiva permanente prevista dall’art. 6 del d.lvo n. 81/2008) e a condizione che risulti chiaramente dalla valutazione dei rischi che il valore limite di esposizione all’amianto non è superato non si applicano gli articoli 250 (notifica), 259 (la sorveglianza sanitaria) e 260, comma primo, (iscrizione dei lavoratori nel registro di esposizione).
Sono attività che comportano l’esposizione sporadica e di debole intensità all’amianto:
  • brevi attività non continuative di manutenzione durante le quali il lavoro viene effettuato solo su materiali non friabili;
  • rimozione senza deterioramento di materiali non degradati in cui le fibre di amianto sono fermamente legate ad una matrice;
  • incapsulamento o sconfinamento di materiali contenenti amianto che si trovano in buono stato;
  • sorveglianza e controllo e prelievo di campioni ai fini dell’individuazione della presenza di amianto in un determinato materiale.
In ogni caso il datore di lavoro deve effettuare nuovamente la valutazione dei rischi ogni qualvolta si verifichino modifiche che possano comportare un mutamento significativo dell’esposizione dei lavoratori alla polvere proveniente dall’amianto o dai materiali contenenti amianto.
Come sopra esaminato nelle attività che non comportino una sporadica esposizione all’amianto il datore di lavoro è soggetto a norme più stringenti che gli impongono di notificare (art. 260) all’organo di vigilanza l’ubicazione del cantiere e la descrizione minuziosa dell’attività svolta e delle misure di protezione adottate , di adottare particolari misure di prevenzione e di protezione dei lavoratori (art. 251) e di adottare un registro di esposizione per i lavoratori i quali sono stati esposti ad una concentrazione di amianto superiore a quella stabilita dall’art. 251, comma primo lettera b).
Per qualsiasi attività comportante l’esposizione dei lavoratori al rischio amianto si applicano gli articoli: 251, elencante le misure di prevenzione e di protezione, l’art.252 indicante le misure igieniche, l’art. 257 e 258 contenente i principi dell’informazione e di formazione dei lavoratori.
Le misure di prevenzione e di protezione consistono nella limitazione del numero dei lavoratori esposti all’amianto, nella previsione dell’utilizzo dei dispositivi di protezione individuale durante il lavoro il quale deve essere organizzato in modo da prevedere da periodi di riparo adeguati all’impegno fisico richiesto dal lavoro, nell’organizzazione del lavoro in modo da evitare di produrre polveri di amianto, nell’imballaggio e nel deposito controllato dell’amianto o dei materiali contenenti amianto e nella rimozione immediata dei rifiuti delle predette lavorazioni con l’apposizione di etichette indicanti che contengono amianto.
Tra le misure igieniche si contemplano: la delimitazione e l’apposizione di contrassegni nei luoghi utilizzati per lavorare l’amianto e l’accesso a tali aree soltanto ai lavoratori incaricati a causa del loro lavoro o della loro funzione , il divieto di fumo in tali locali, la predisposizione di aree speciali in cui i lavoratori possano mangiare e bere senza incorrere nel rischio di contaminazione da polveri di amianto, la messa a disposizione dei lavoratori di adeguati indumenti di lavoro che devono restare all’interno dell’impresa e possano essere lavati dall’impresa, qualora la stessa non fornisca indumenti monouso, all’interno di contenitori sigillati, la conservazione degli indumenti di lavoro o protettivi in un luogo separato rispetto a quello destinato agli abiti civili, la custodia dell’equipaggiamento protettivo all’interno di locali a tali scopi destinati e l’adozione di misure per riparare o sostituire l’equipaggiamento difettoso o deteriorato prima di ogni utilizzazione.
L’informazione e la formazione dei lavoratori riguarda l’elencazione dei rischi per la salute derivanti all’esposizione alla polvere contenente amianto o dai materiali contenenti amianto, le specifiche norme igieniche da osservare, le modalità di pulitura e di uso degli indumenti protettivi e dei dispositivi di protezione individuale l’esistenza del valore limite indicato dall’art. 254, le procedure di lavoro sicure, i controlli e le attrezzature di protezione, la funzione e la scelta e la corretta utilizzazione dei dispositivi di protezione individuale, le procedure di emergenza, le procedure di decontaminazione, l’eliminazione dei rifiuti, la necessità della sorveglianza medica. Giova notare che (art. 258, comma terzo) possono essere addetti alla rimozione, smaltimento dell’amianto e alla bonifica delle aree interessate i lavoratori che abbiano frequentato i corsi di formazione professionale previsti dall’articolo 10, comma secondo, lettera h), della legge 27/3/1992 n. 257.
Riprendendo le file del dibattito scientifico inerente alla misurazione della pericolosità delle fibre di amianto nell’ambiente lavorativo o domestico l’art. 254 determina il valore limite di esposizione per l’amianto nella misura di 0,1 fibre per centimetro cubo di aria misurato come media ponderata nel tempo di riferimento di otto ore, pertanto i datori di lavoro devono provvedere affinché nessun lavoratore sia esposto ad una concentrazione di amianto nell’aria superiore al limite stabilito. Quando tale valore viene superato il datore di lavoro individua le cause del superamento e adotta al più presto possibile le misure appropriate per ovviare alla situazione ed il lavoro può proseguire nella zona interessata solo se vengono adottate misure adeguate per la protezione dei lavoratori interessati. Per verificare l’efficacia di tali misure il datore di lavoro procede immediatamente ad una nuova determinazione della concentrazione di fibre d’amianto nell’aria. Tranne che nelle attività che determinano l’esposizione sporadica e di debole intensità (descritte dall’art. 249, comma secondo) il datore di lavoro, per garantire il rispetto del valore limite fissato dall’art. 254 , il quale ha carattere assoluto e di generalità per cui si applica alla valutazione dei rischi di tutte le attività che comportino il rischio dell’esposizione del lavoratore al rischio di contatto con l’amianto, effettua periodicamente la misurazione della concentrazione delle fibre di amianto nell’aria nel luogo di lavoro ed i risultati devono essere riportati nel documento di valutazione dei rischi.
Nelle attività in cui il valore limite previsto dall’art.254 venga superato , nonostante l’adozione di misure tecniche preventive per limitare la concentrazione di amianto nell’aria, il datore di lavoro adotta speciali misure di protezione per i lavoratori consistenti nella fornitura di adeguati dispositivi di protezione delle vie respiratorie, l’affissione di cartelli di pericolo all’interno delle aree interessate dal superamento della concentrazione permessa di fibre di amianto nell’aria, misure tecniche per impedire la dispersione della polvere al di fuori dei locali e dei luoghi di lavoro , e infine consulta i lavoratori o i loro rappresentanti sulle misure da adottare prima di procedere a tale attività.
I lavori per la demolizione e la rimozione dell’amianto possono essere compiuti (art. 256) soltanto dalle imprese che rispondono ai requisiti previsti dall’art. 30, comma quarto, del d.lvo 5/2/1997 n. 22 ed il datore di lavoro prima di iniziare tale attività predispone un apposito piano di lavoro che prevede le misure necessarie per garantire la sicurezza e la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro e la protezione dell’ambiente esterno e che deve essere inviato all’organo di vigilanza almeno trenta giorni prima dell’inizio dei lavori e che deve essere accessibile ai lavoratori ed ai loro rappresentanti. L’art. 30 del d.lvo n. 22/1997 riguarda l’albo nazionale delle imprese esercenti i servizi di smaltimento dei rifiuti ed il quarto comma riguarda le imprese che svolgono attività di raccolta e di trasporto di rifiuti non pericolosi prodotti da terzi e le imprese che raccolgono e trasportano i rifiuti pericolosi e le imprese che intendono effettuare la bonifica dei beni contenenti amianto. L’iscrizione deve essere rinnovata ogni cinque anni e sostituisce l’autorizzazione all’esercizio delle attività di raccolta, di trasporto, di commercio e di intermediazione dei rifiuti.
Notasi che nei casi accertati di mesotelioma pleurico dei lavoratori deve esserne effettuata la relativa registrazione, sotto la denominazione di Registro nazionale dei mesoteliomi presso l’ISPESL dove è
tenuto il registro dei casi di neoplasia di sospetta origine professionale (articoli 244 e 260). Infine giova aggiungere che l’art. 262, tra l’altro, contiene severe sanzioni per il datore di lavoro ed i dirigenti che non rispettino le norme sopra citate ed in particolare è sanzionato penalmente:
  • il superamento del valore limite previsto dall’art.254 di esposizione per l’amianto;
  • la mancata adozione della procedura inerente alla notifica dei lavori prevista dall’art. 260;
  • l’omessa formazione, informazione dei lavoratori e la omessa sorveglianza sanitaria nei loro confronti e l’omessa istituzione del registro di esposizione all’amianto.

  • La tutela del lavoratore dall’esposizione all’amianto: le sentenza C. Cass. n. 33311/2012 e n. 11128/2015.

La sentenza C.Cass. Pen., Sez. 4, n. 33311 depositata il 27.8.2012, detta i principi fondamentali perl’interpretazione delle norme di sicurezza di tutela dei lavoratori all’esposizione all’amianto. In particolare si diffonde sulla ricostruzione del nesso causale tra l’attività svolta in ambienti contaminati dalla presenza di amianto e la sopravvenuta patologia oncologica incorsa al lavoratore e stabilisce la sussistenza dell’obbligo di garanzia del datore di lavoro sulla salute del dipendente.
Sul primo punto la sentenza afferma che:
“… non assume rilievo decisivo l’individuazione dell’esatto momento d’insorgenza della patologia (Sez. IV, 114/2008 n. 22165), dovendosi reputare prevedibile che la condotta doverosa avrebbe potuto incidere positivamente anche solo sul suo tempo di latenza, ampiamente motivata appare la statuizione gravata nella parte in cui, giudicata inattendibile la teoria della cosiddetta -trigger dose-, assume che il mesotelioma è patologia dose-dipendente.
Correttamente la sentenza impugnata ha chiarito come da una conclusione non contestabile dello studioso Irving Selikoff si era giunti ad elaborare l’inaccettabile tesi secondo la quale poiché l’insorgenza della patologia oncologica era causata anche dalla sola iniziale esposizione (cosiddetta trigger dose o dose killer), tutte le esposizioni successive, pur in presenza di concentrazioni anche elevatissime di fibre cancerogene devono reputarsi ininfluenti. Trattasi di una vera e propria distorsione dell’intuizione del Selikoff, il quale aveva voluto solo mettere in guardia sulla pericolosità del contatto con le fibre d’amianto, potendo l’alterazione patologica essere stimolata anche da soli brevi contatti e in presenza di percentuali di dispersione nell’aria modeste. Non già che si fosse in presenza, vera e propria anomalia mai registrata nello studio delle affezioni oncologiche, di un processo cancerogeno indipendente dalla durata e intensità dell’esposizione.
Ciò ha trovato puntuale conferma nelle risultanze peritali alle quali il giudice di merito ha ampiamente attinto. Infatti, la molteplicità di alterazioni innestate dall’inalazione delle fibre tossiche necessita del prolungarsi dell’esposizione e dal detto prolungamento dipende la durata della latenza e, in definitiva della vita, essendo ovvio che a configurare il delitto di omicidio è bastevole l’accelerazione della fine della vita. Pertanto di nessun significato risulta l’ affermazione che talune delle vittime venne a decedere in età avanzata. La morte, infatti, costituisce limite certo della vita e a venir punita e la sua ingiusta anticipazione per opera di terzi, sia essa dolosa che colposa. L’autonomia dei segnali preposti alla moltiplicazione cellulare, l’insensibilità, viceversa, ai segnali antiproliferativi, l’evasione dei processi di logoramento della crescita cellulare, l’acquisizione di potenziale duplicativi illimitato, lo sviluppo di capacità angiogenica che assicuri l’arrivo di ossigeno e dei nutrienti e, infine, la perdita delle coesioni cellulari, necessarie per i comportamenti invasivi e metastatici, sono tutti processi che per svilupparsi e, comunque rafforzarsi e accelerare il loro loro corso giammai possono essere indipendenti dalla quantità della dose. Ciò ancor più a tenere conto che l’accumulo delle fibre all’interno dei polmoni, continuando l’esposizione, non può che crescere, mentre solo con il concorso, in assenza d’ulteriore esposizione, di molti anni, lentamente il detto organo tende a liberarsi delle sostanze tossiche essendo stato accertato dagli studi di Casale Monferrato, dei quali appresso si dirà, che l’accumulo tende a dimezzarsi solo dopo 10/12 anni dall’ultima esposizione. Dallo studio in parola (i cui risultati sono stati riportati dalla sentenza di merito, la quale ha, a sua volta attinto agli apporti degli esperti di settore), il primo intervenuto in Italia, avendo operato su una vasta platea di persone, osservate per un lungo periodo …., si è potuto rilevare che tutte le esposizioni alle quali il soggetto è stato sottoposto almeno negli ultimi dieci anni che precedono la diagnosi della malattia hanno avuto influenza, aumentando il rischio ed accelerando
il processo maligno; che, allo stesso tempo, non è possibile determinare una soglia quantitativa e temporale di sicurezza, né il tempo massimo d’induzione; che sul soggetto fumatore si verifica un effetto moltiplicativo esponenziale del rischio, ben maggiore della singola somma dei due rischi, quanto al carcinoma polmonare….“Prosegue la sentenza sostenendo quanto segue.
“Sussiste, in definitiva il nesso di causalità tra l’omessa adozione da parte del datore di lavoro di idonee misure di protezione e il decesso del lavoratore in conseguenza della protratta esposizione alle polveri di amianto, quando pur non essendo possibile determinare l’esatto momento di insorgenza della malattia, deve ritenersi prevedibile che la condotta doverosa avrebbe potuto incidere positivamente anche sul solo tempo di latenza (Sez. IV, 11.4.2008 n. 22165). In altri termini, se il garante avesse tenuto la condotta lecita prevista dalla legge, operando secondo il noto principio di controfattualità, guidato sulla base di una generalizzata regola di esperienza o di una legge scientifica universale o statistica S.U., 10.7.2012, n.303028), l’evento non si sarebbe verificato ovvero si sarebbe verificato ma in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva. In questo senso l’evento doveva ritenersi evitabile.”
In relazione all’obbligo, sancito dall’art. 2087 del codice civile, del datore di lavoro di tutelare l’integrità psico-fisica del lavoratore, occorre notare che in dottrina per lungo tempo ci si è chiesti se la norma cautelare fosse l’articolo 21 del DPR 19.3.1956 n. 303, successivamente abrogato dal d.lvo n. 81/2008, che limitava la diffusione delle polveri nei luoghi di lavoro.
Tale perplessità è ormai superata non solo per la successione delle leggi nel tempo ma anche sulla base delle motivazioni della predetta sentenza n. 33311/12 che in merito argomenta che: “Le norme antinfortunistiche che fanno obbligo al datore di lavoro d’approntare ogni misura utile ad impedire o ridurre al minimo l’inalazione di polveri non è diretta ad impedire o ridurre al minimo l’inalazione di polveri non è diretta, come vorrebbero i ricorrenti, ad evitare che i lavoratori subiscano il fastidio d’un ambiente di lavoro polveroso, bensi’, come appare evidente, che l’organismo dei predetti sia costretto ad inalare corpuscoli frammisti all’aria respirata del tutto estranei ad essa e certamente forieri di danno fisico. In ogni caso , non par dubbio che la prevedibilità altro non significa che porsi il problema delle conseguenze di una condotta omissiva od omissiva avendo presente il cosiddetto modello d’agente, il modello dell’ homo eiusdem condicionis et professionis, ossia il modello dell’uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che importa l’assunzione di certe responsabilità, nella comunità, la quale esige che l’operatore si ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che questo si aspetta ( Sez. IV, 1.7.1992, n. 1345, massima; più di recente e sullo specifico argomento qui in esame, sempre Sez. IV, 1.4.2010, n. 20047). Un tale modello impone, nel caso estremo in cui il garante si renda conto di non essere in grado di incidere sul rischio, l’abbandono della funzione, previa adeguata segnalazione al datore di lavoro ( sul punto , Sez. IV n. 20047 cit.).”
Detto assunto determina la necessaria conclusione per cui la presenza di amianto il quale che perda fibre in modo pericoloso all’interno degli ambienti di vita e di lavoro non può essere assolutamente tollerata e che pertanto il datore di lavoro o il titolare dell’attività, se non sono in grado di rimuovere l’amianto, debbano abbandonare la stessa, facendola cessare e mettendola in condizioni di assoluta sicurezza sanitaria per i cittadini.
La sentenza C. Cass. n. 11128/2015 (Quarta Sezione Penale del 21.11.2014, dep. il 16.3.2015) sostiene: “Quindi, le tesi sposate dalla sentenza impugnata sul punto si collocano nell’alveo segnato dalla prevalente giurisprudenza (tra tutte, Cass. pen., Sez. IV, n. 988 del 11.7.2002, Rv. 227000, Macola) che ha ritenuto corretta, anche per il mesotelioma, la teoria scientifica di un processo patologico che mette in crisi la teoria della “dose killer o dosi trigger teoria della dose trigger”, che viene squalificata come frutto di artificio. Nonchè in linea con il principio secondo cui la responsabilità per gli eventi dannosi legati all’inalazione di polveri di amianto, pur in assenza di dati certi sull’epoca di maturazione della patologia, va attribuita causalmente alla condotta omissiva dei soggetti responsabili della gestione aziendale, anche se per una parte soltanto del periodo di tempo di esposizione delle persone offese, in quanto tale condotta, con riguardo alle patologie già insorte, ha ridotto i tempi di latenza della malattia, ovvero con riguardo alle affezioni insorte successivamente, ha accelerato i tempi di insorgenza ( cfr. Cass. Pen. Sez. IV, n. 38991 del 10.6.2010, Quaglierini e altri, Rv. 248847).”
“Correttamente, quindi, è stata ritenuta l’inottemperanza degli imputati, quali titolari della predetta posizione di garanzia rispetto ai danni provocati ai propri dipendenti in quanto gestori dello stabilimento, all’onere di adottare serie misure di prevenzione per l’eliminazione o riduzione della polverosità delle lavorazioni (già note all’epoca e necessarie a captare ed eliminare le polveri d’asbesto , quali mascherine con filtri speciali ed aspiratori), condotta che avrebbe evitato o ritardato o alleviato le malattie non mortali e evitato o ritardato quelle mortali (tutte dose dipendenti) o allungato la relativa durata, spostandone in avanti l’infausto esito”.

di Giulio Benedetti
Sostituto Procuratore Generale Corte d’Appello di Milano


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