mercoledì 15 giugno 2016

Conflitto di interessi nel condominio

Si parla di conflitto di interessi quando: 
  1. vi è contrasto tra comprovate particolari ragioni personali del condomino e l’interesse generale del condominio e il soddisfacimento del primo comporta il sacrificio dell'altro;
  2. quando il voto del condomino in conflitto di interessi abbia determinato la volontà assembrare. (cd. prova di resistenza)
Da un esame della giurisprudenza di legittimità e di merito relativa al conflitto di interessi sembrerebbero contrapporsi due correnti di pensiero:
  • la prima ritiene che ai fini del calcolo delle maggioranze assembleari non vanno computate le quote di partecipazione condominiale e i voti dei condomini che siano in conflitto di interessi con il condominio (cfr. Cass.10683/02; Cass. 10754/11);
  • la seconda sostiene al contrario che sia necessario considerare "la totalità dell'elemento personale e reale, vale a dire tutti i partecipanti ed il valore intero del condominio (cfr. Cass. 1201/02 e Caso. 19131/15).
La pronuncia più recente, Cass. 19131/15, ha statuito che: "In tema di condominio le maggioranze necessarie per approvare le delibere sono inderogabilmente quelle previste dalla legge in rapporto a tutti i partecipanti ed al valore dell'intero edificio, sia ai fini del quorum costitutivo sia di quello deliberativo, compresi i condomini in potenziale conflitto d’interesse con il condominio, i quali possono (e non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto, ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all'autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per impossibilità di funzionamento del collegio".
La massima non è stata redatta nella forma migliore ed ha suscitato diversi commenti.
Si è sostenuto (cfr. Paolo Pirruccio, Guida al Diritto II Sole 24 Ore, n. 44 del 31.10.2015) "che il principio di diritto sintetizzato a conclusione della sentenza sopraindicata non è corretto laddove, in un inciso, si afferma che i condomini in potenziale conflitto di interesse con il condominio "possono (non debbono) astenersi dall'esercitare il diritto di voto". Questa affermazione incidentale, palesemente inconciliabile con il senso della motivazione, sarebbe infatti frutto di un errore compiuto nella redazione della massima ufficiale relativa alla sentenza n. 1201/02, poi riaffermata pedissequamente, come principio, nella motivazione della sentenza n. 19131/15".
Evidenzia correttamente il Pirruccio che la Sentenza n. 1201/02 non statuisce in alcun punto che il condomino in conflitto di interessi non abbia l'obbligo di astenersi. Anzi afferma espressamente che al condominio, in virtù della ratio consimile, doveva estendersi il divieto di esercitare il diritto di voto, previsto in materia societaria dall'art. 2373, comma 1, c.c., per il condomino in potenziale conflitto di interessi.
Ed ancora, che nel corpo della motivazione della sopra menzionata sentenza si legge: "anche nel caso di conflitto di interesse fra taluni condomini ed il condominio, la maggioranza richiesta per le delibere si rapporta alla totalità dell'elemento personale e reale, vale a dire a tutti i partecipanti al condominio ed al valore dell'intero edificio, e non già ai soli condomini ed ai millesimi rappresentati dai condomini, i quali possono e non debbono astenersi dall'esercitare il diritto di voto". In altri termini, i condomini che possono (e non debbono) astenersi dal voto sono solo quelli che non versano in conflitto di interessi. Nulla esclude, infatti, che un condomino, pur non presentando alcun conflitto di interessi con il condominio, preferisca astenersi dal voto, anche se non vi sarebbe tenuto.
Pertanto il condomino in conflitto di interessi ha il dovere di astenersi e non può esercitare il diritto di voto. Qualora lo faccia, la deliberazione sarà annullabile se essa non supera la prova di resistenza (raggiungimento della maggioranza anche dopo la detrazione dei voti dei partecipanti in conflitto di interessi), quindi il condomino che ne ha interesse potrà impugnare la delibera nei termini previsti dall'art. 1137 c.c.. Il principio che la Sentenza 1201/02 e successivamente la 19131/15 hanno voluto sottolineare è che il diritto del condomino alla partecipazione all'assemblea, ed all'espressione in essa del suo voto, non può subire alcuna limitazione da parte degli altri partecipanti.
In altri termini deve negarsi all'assemblea dei condomini la possibilità di impedire l’effettiva partecipazione alle delibere da parte di tutti i partecipanti al condominio.
Non spetta al presidente della riunione condominiale escludere il confliggente dalla votazione ma, al più, potrebbe ammonirlo.
II condomino in conflitto di interessi dovrebbe astenersi ma se non ottempera, nessuno può impedirgli di votare.
II dovere - morale, ma non giuridico - di astenersi dalla relativa votazione (osserva Celeste in una bella nota pubblicata su immobili e società n. 2/2016) rientra nell'ambito della correttezza, e non può essere oggetto di coercizione.
La valutazione circa l’esistenza di una situazione di conflitto di interessi tra condomino e condominio è rimessa esclusivamente al magistrato competente in sede di impugnazione della delibera eventualmente assunta con tale voto.
Sempre nella motivazione della Sentenza n. 1201/02 si afferma: "in tema di condominio negli edifici - posto che, in caso di conflitto di interessi, al condomino sia vietato esercitare il diritto di voto - non si contempla nessuna ipotesi nelle quali, ai fini del quorum costitutivo e deliberativo, non si debba tener conto di tutti i partecipanti e di tutte le quote e nelle quali le maggioranze possano modificarsi in meno".
Fino alla sentenza 1201/02 si applicava in via analogica la disciplina prevista dall'art. 2373, comma 4, c.c., (testo anteriore alle modificazioni introdotte dal D.Lgs. 6/2003) e, conseguentemente venivano detratti i condomini ed i millesimi in conflitto di interessi dal totale dei millesimi del condominio. Pertanto se i millesimi di un condomino in conflitto di interessi erano pari a 300, la maggioranza veniva calcolata sui 700 millesimi residui.
La sentenza 1201/02 e la successiva 19131/15, invece, nell'evidenziare che nel condominio a differenza della società
  1. non esiste un fine gestorio autonomo;
  2. nell'assemblea condominiale il quorum costitutivo e quello deliberativo sono determinati con riferimento sia all'elemento personale (condomini partecipanti) che a quello reale (valore di ciascuna unità immobiliare), c.d. "doppia maggioranza",
  3. le disposizioni dell’art. 1136 c.c. concernenti la costituzione dell'assemblea e la validità delle delibere non sono modificabili, in virtù del disposto dell'art. 1138 comma 4 c.c. neppure con il consenso unanime dei condomini - sostengono che "le maggioranze occorrenti per la validità delle delibere in nessun caso possono modificarsi in meno".
Bisogna comunque precisare che la soluzione adottata non ha soddisfatto tutti i commentatori: infatti, il problema sostanzialmente è rimasto perché se non si effettua la detrazione delle teste e dei millesimi dei condomini in conflitto di interessi si può ricadere, con maggiore frequenza, a causa dell’ostruzionismo degli stessi, nell'ipotesi, che dovrebbe essere assolutamente residuale, di impossibilità di funzionamento del collegio.
Come detto la recente Sentenza n. 19131/15 non fa altro che rinviare facendole proprie a tutte le argomentazioni logico-giuridiche svolte ed ai principi enunciati nella Sentenza n. 1201/02.
Cass. 19131/15: "il quorum deliberativo - come quello costitutivo - è determinato con riferimento sia all'elemento personale (partecipanti all'assemblea) sia all'elemento reale (valore di Ciascun piano o porzione di piano rispetto all'intero edificio, espresso in millesimi. Da nessuna norma si prevede che, ai fini della costituzione dell'assemblea o delle deliberazioni, non si tenga conto di alcuni dei partecipanti al condominio e dei relativi millesimi. Il principio maggioritario, adottato dal codice per le deliberazioni assembleari con la regola della "doppia maggioranza" è un principio specifico dell'istituto condominiale, che vale a distinguerlo dalla disciplina della comunione e della società. In quanto solo nel condominio e previsto che la maggioranza venga l'aggiunta dal punto di vista delle persone e del valore".
Anche il periodo evidenziato nella massima della Sent. n. 19131/15 "ferma la possibilità per ciascun partecipante di ricorrere all'autorità giudiziaria in caso di mancato raggiungimento della maggioranza necessaria per l'impossibilità di funzionamento del collegio" è stato ripreso integralmente dalla Sent. n.1201/02 che ne spiega il significato.
Precisa infatti la Sent. n. 1201/02 che: "Se l’assemblea non può deliberare perché nella votazione non si raggiunge la maggioranza prescritta - e da nessuno si evoca l'inconveniente della impossibilità di far funzionare il collegio - nel caso di conflitto di interessi il rimedio di attribuire alla minoranza un ingiustificato potere di deliberare sovvertirebbe gli equilibri fissati, sulla base degli elementi personale e reale, dalle regole concernenti il metodo collegiale ed il principio maggioritario. Per la verità se l'assemblea non può deliberare soccorre la disposizione contenuta nell'art. 1105 comma 4 c.c. secondo cui, quando non si formano le maggioranze, ciascun partecipante può ricorrere all'autorità giudiziaria".
Il ricorso all'autorità giudiziaria ex art. 1105 c.c., applicabile al condominio in virtù del rinvio fissato dall'art. 1139 c.c., è esperibile, pertanto, nel caso in cui l'assemblea non possa deliberare perché nella votazione non si raggiunge la maggioranza prescritta come nel caso dell'elevato numero di condomini in conflitto di interesse o dell'elevato numero di millesimi facenti capo anche ad un solo condomino.
Prescrive l'art. 1105 c.c.: "Se non si prendono i provvedimenti necessari per l'amministrazione della cosa comune o non si forma una maggioranza, ovvero se la deliberazione adottata non viene eseguita, ciascun partecipante può ricorrere alla autorità giudiziaria. Questa provvede in camera di consiglio e può anche nominare un amministratore".
Si tratta di un rimedio tutt'altro che agevole, in pratica, perché presupposti dell'azione sono:
  1. l'adozione di provvedimenti di ordinaria amministrazione finalizzati alla conservazione, utilizzazione e miglior godimento della cosa comune;
  2. la necessità del provvedimento inteso come dovuto ed indispensabile e non semplicemente opportuno.
Il ricorso all'autorità giudiziaria ex art. 1105 c.c. presuppone ipotesi tutte riconducibili ad una situazione di assoluta inerzia in ordine alla concreta amministrazione della cosa comune per mancata assunzione dei provvedimenti necessari o per assenza di una maggioranza assembleare o per mancata esecuzione della delibera adottata, in tal senso, risolvendosi nell'adozione di atti di volontaria giurisdizione diretti a supplire od integrare, con l'intervento dell'A.G., la manchevole attività delle parti nell'amministrazione dei propri interessi, che dando luogo ad un difetto di funzionamento degli organi del condominio, paralizza la gestione della cosa comune.
Il giudice, quindi, è chiamato ad attuare ciò che avrebbe dovuto fare il soggetto sostituito se regolarmente funzionante diversamente a ciò che accade in sede contenziosa in cui il giudice esercita la cd. iurisdictio sui diritti controversi individuando la sussistenza o meno di determinate posizioni di diritto soggettivo, arrivando anche ad una eventuale pronuncia di condanna risarcitoria.
Con riferimento alle modalità di individuazione del conflitto di interessi, si afferma, sempre nelle motivazioni della Sentenza n. 1201/02, che "nelle società di capitali assumono rilevanza tanto lo scopo-fine, configurato dalla ripartizione degli utili a beneficio dei soci, quanto lo scopo-mezzo, consistente nell'esercizio delle attività economiche dirette alla produzione dei profitti. Nel condominio, invece, non esiste un fine gestorio autonomo: la gestione delle cose, degli impianti e dei servizi comuni è strumentale alla loro utilizzazione e godimento individuali e, principalmente, al godimento individuale dei piani o delle porzioni di piano in proprietà solitaria".
Pertanto, per poter parlare di conflitto tra il condominio ed il singolo condomino è necessario che questi sia portatore, allo stesso tempo, di un duplice interesse: uno come condomino ed uno come estraneo al condominio (e, che l'interesse sia estraneo al godimento delle parti comuni ed a quello delle unità abitative site nell'edificio) e che i due interessi non possano soddisfarsi contemporaneamente, ma che il soddisfacimento dell'uno comporti il sacrificio dell'altro.
In tema di validità delle delibere assembleari condominiali sussiste il conflitto di interessi ove sia dedotta e dimostrata in concreto una sicura divergenza tra specifiche ragioni personali di determinati singoli condomini, il cui voto abbia concorso a determinare la necessaria maggioranza ed un parimenti specifico contrario interesse istituzionale del condominio (Cass. 10754/11; Cass. 6853/01, Cass. 15360/01).
Non dà luogo, di per sé, a conflitto di interessi la coincidenza, in capo ad uno dei partecipanti al voto, delle posizioni di condomino di maggioranza, amministratore del condominio e gestore dell'impresa ivi esercitata, non determinando tale situazione, caratterizzata dalla compresenza di distinti rapporti, una sicura incompatibilità con gli interessi degli altri condomini alla corretta amministrazione del condominio (Cass. 13011/13).
Ultimo accenno sui criteri di ripartizione delle spese laddove venga adottata una delibera con un condomino in conflitto di interessi. La S.C. con sentenza n. 13885/14 riportandosi ad una decisione del 1970 ha statuito che "nell'ipotesi di controversia tra condomini, l’unità condominiale viene a scindersi di fronte al particolare oggetto della lite, per dare vita a due gruppi di partecipanti al condominio in contrasto tra loro, con la conseguenza che il giudice, nel dirimere la controversia provvede anche definitivamente sulle spese del giudizio, determinando, secondo i principi di diritto processuale, quale delle due parti in contrasto debba sopportare, nulla significando che nel giudizio il gruppo dei condomini, costituenti la maggioranza, sia stato rappresentato dall'amministratore". In altri termini, la ripartizione delle spese legali, affrontate per una causa che si é persa, o per la quale il giudice ha deciso di compensare le spese affrontate, ha criteri propri rispetto al motivo della causa stessa. In sostanza, in caso di compensazione delle spese ognuno paga il proprio avvocato, in caso di condanna alle spese dichiarata dal giudice le spese sono a carico del soggetto soccombente indicato in sentenza.
Casi pratici di possibile conflitto di interessi:
  • condominio locatore e condomino conduttore;
  • condomino titolare della ditta a cui vengono appaltati i lavori;
  • costruttore-venditore, proprietario di numerose unità immobiliari, nei cui confronti si vorrebbe promuovere un giudizio per vizi di costruzione (1669 c.c.);
  • assemblea convocata per promuovere una azione giudiziaria che vede coinvolto un condomino, o per resistere ad una domanda, o per promuovere un appello;
  • amministratore-condomino che riceva deleghe da parte dei condomini per la nomina o per l’approvazione dei bilanci o comunque in tutti i casi in cui i condomini sono chiamati a valutare l'operato dell’amministratore. Divieto previsto dalla L. 220/12 che, tuttavia, non si estende ai collaboratori dell'amministratore (Cass. 18192/09);
  • condomino dissenziente ex art. 1132 c.c. deve essere convocato e si deve astenere nel momento della votazione;
  • portiere-condomino che voglia far valere suoi crediti di lavoro;
  • condomino proprietario di albergo che abbia interesse ad effettuare interventi per motivi di sicurezza (ascensore adeguato ad invalidi, illuminazione scale con sistemi diversi da quelli esistenti, pavimentazione e corrimano a norma, ecc.).

di Fabio Casinovi
consuilente legale ANACI Roma
Fonte: Dossier Condominio

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